Renato Bordone
Proposta di una lettura
della Corografia Astigiana
dell’avvocato G. S. De Canis

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Dell’Abbazia di Vezzolano

COR. I, 10.

FONTI E. Durando, Cartario dei monasteri di Grazzano, Vezzolano, Crea e Pontestura, Pinerolo 1908 (BSSS 42, I).

BIBL. Una bibliografia completa si trova in: A. A. Settia, Santa Maria di Vezzolano. Una fondazione signorile nell’età della riforma ecclesiastica, Torino 1975, al quale si rimanda.

Notizie. — All’ovest d’Albugnano ed alla distanza d’un miglio circa trovasi l’antichissimo monastero di Santa Maria di Vezzolano situato in luogo solenne circondato da folti boschi e tutt’affatto proprio per un eremo.

Vezzolano divenne ricco e potente, tanto più dopo che fu dichiarato di nessuna diocesi, sebbene poi dopo la soppressione sia stato nuovamente sottoposto alla giurisdizione del Vescovo di Casale.

Fra i pingui tenimenti, che erano molti, si deve comprendere quello di Oviglio posto sul territorio di Riva presso Chieri, da cui il monastero traeva immenso reddito, che forniva a quei canonici il modo di vivere agiatissimamente alla spartana.

Nel decimo sesto secolo la corruzione in quel cenobio giunse a tal punto che que’ padroni, deviando dalle regole di S. Agostino, s’abbandonarono ad ogni sorta di stravizi e di dissolutezze a tal punto, che ne fu istrutto il santo arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo.

Questo degno prelato, che fece tanto bene alle diocesi della sua metropoli dipendenti, approfittando di un suo viaggio a Vercelli determinò di far una scorsa a Vezzolano tenendo il più rigoroso incognito.

È fama che nel giorno in cui S. Carlo arrivò colà fingendo d’essere un semplice prete viaggiatore che, sorpreso dalla notte, era costretto a chiedere l’ospitalità presso quei monaci, avessero costoro ivi raccolta una moltitudine di persone, fra cui diverse leggiadre donne, onde passarsela in amena conversazione, e che perciò il santo arcivescovo sia stato ocular testimonio dell’irregolare condotta di quegli individui; che in conseguenza, dopo il suo ritorno a Milano, abbia irremissibilmente ordinata la soppressione dei canonici di Vezzolano.

Di questo avvenimento, sebbene non mi siano caduti sottocchio dei documenti, egl’è d’altronde certo che una perenne tradizione ne lo assicura, massime nei paesi confinanti e circonvicini al detto monastero.

Soppressa adunque la Canonica summentovata circa il fine del XVI secolo pare che sul principio del XVII ne fossero i redditi applicati alla religione del Ss. Maunzto e Lazzaro, come può congetturarsene dalle iscrizioni che già esistevano nella sala abbaziale, che sono le seguenti:

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Victorio Amedeo Sabaud. Duci Regi Cyp. &c.
S.S. Mauritii et Lazari Magno Magistro
Patrono et Benefactori
Magnus Prior Cccae Magistralis anno 1630
Christianae Borboniae
Christianissimi Gallorum Regis sorori
Ducissae Sabaudiae Cypri Reginae
et Patronae
D. Octs. Magnus Prior S.S. Mauritii et
Lazari
an. 1636

Io penso che il Duca di Savoia siasi messo in possesso dei beni della detta abbazia ed abbia principiato a disporne a suo piacimento dopo che col trattato di Cherasco conquistò il feudo d’Albugnano, sopra di cui essa aveva giurisdizione.

Comunque sia, egli è certo che i beni della medesima, sino in questi ultimi tempi nei quali ancora gl’ebbe in goldita l’abbate Mossi di Morano, tuttora vivente, furon sempre destinati a gratificare qualche prelato bene affetto alla Casa di Savoia da cui passarono nelle mani dell’attuale governo, il quale, trattane una cassina che fu destinata per congrua al parroco d’Albugnano, ne fece vendita a diversi particolari, essendo il tenimento d’Oviglio passato a mani del signor Vianzon di Torino, ed il monastero col resto dei fondi a due impiegati nella Telegrafia Laire e Magol, riservata però la chiesa con una porzione di fabbrica fuori del chiostro a profitto della parrocchia di Albugnano.

La chiesa è d’architettura tedesca detta volgarmente gotica: convien per altro osservare che la facciata ed il muro verso mezzanotte non hanno alcun arco acuto, quandoché il corpo della chiesa gl’ha tutti acuti, circostanza questa che proverebbe avere la facciata servito ad altra fabbrica più antica, sullo stesso disegno, e che nel rifabbricarla sul modello del dì d’oggi s’ebbe attenzione di conservarla.

Dal che deduco che queste parti datano prima del 1250, posteriore d’altronde ravvisando il corpo della chiesa, giacché prima di tale anno non conosceasi ancora l’uso del sesto acuto in Piemonte, del quale cominciarono gl’architetti a valersi soltanto sul principio del XIV.

Ma prescindendo da quest’osservazione, accennerò che la facciata è ornata di colonnette di pietra bianca, di statue rappresentanti degli Apostoli, Cristo fra due Serafini ed al di sopra della porta di mezzo un /54/ gruppo esprimente, in basso rilievo, la natività di Maria Vergine ne occupa lo sfondato.

Tutte queste figure stanno colà fitte senz’azione alcuna e senza vivacità, e spira da esse quella barbara semplicità del secolo in cui furono abbozzate.

Agli ornati, alle pieghe dei loro abiti e da altri dettagli si può con qualche fondamento dedurre che essi siano fattura di quei scultori greci, che nel secolo XI lavoravano in Italia e che riempivano di stupore gli ignoranti d’allora, quandoché le opere loro eccitano al dì d’oggi riso e pietà.

Sullo stesso gusto sono le colonnette, i fogliami e le membrature dei capitelli, e quel che è più ridicolo si è che delle due colonne che adornano i lati della grande porta una è rotonda e l’altra quadrata.

Lo stesso si dica dei cornicioni, sia esterni delle facciate che interni della chiesa, ed i capitelli dei pilastri che ne sostengono il volto, dei quali neppur uno è uniforme, salvo nella materia che è di pietra, veggendosene taluno rotondo, taluno quadrato e taluno octagono.

Era la chiesa anticamente divisa in tre navi, ma in processo di tempo essa fu ridotta a due; la destra fu aperta verso il chiostro ed otturatine gli archi verso la chiesa fu convertita in un corridoio, che quadra il cortile con gli altri tre che già sussisteano. In questa guisa la chiesa è mutilata d’un terzo il che la rende di cattivo disegno.

Tutto il corpo della chiesa è diviso per traverso ad un terzo circa dalla porta per via d’un ambone o tribuna tutto di pietra da taglio, la cui estremità porta un’immensità di figure, che rappresentano la serie compita dei Patriarchi dai quali discese Maria Vergine, e la morte e l’assunzione al cielo della medesima cogli Apostoli al di lei sepolcro. Tutte queste figure sono dell’altezza di il piede di Torino o p. liprando era una misura agrimensoria pari a circa cm 51 mezzo piede liprando circa, ed i Patriarchi tengono ciascuno un cartello con entro scolpito il loro nome.

Questo lavoro è del XII secolo, siccome lo indica l’iscrizione al di sotto del medesimo esistente; non è per conseguenza necessario ch’io dica essere le figure goffamente scolpite ed aver il viso da spiritati: il leggitore è abbastanza istrutto del gusto che allora dominava in Italia in fatto di belle arti.

Fra mezzo alle figure accennate si leggono in caratteri barbari i seguenti versi:

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Virginis ad sumus [sic] mestus stat grex duodenus
Surge parens Xpi te vocat quem tu genuisti
Collocat ecce piam Xpsus super astra Mariam
Haec series Sanctam produxit in orbe Mariam
quae peperit veram sine semine munda sophiam

Indi sotto alla cornice che termina il bassorilievo si legge la seguente iscrizione:

Anno ab incarnatione Domini MCLXXXVIIII
Regnante Frederico Imperatore, completum est
opus istud sub preposito Widone.

L’ambone ha tre aperture, quella del mezzo dava accesso alla parte superiore della chiesa, ove officiavano i monaci, che giusta l’uso di quei tempi si teneano divisi dal popolo; nelle altre due vi sono dei piccioli altari esposti alla divozione della plebe che stava al di qua della tribuna, che le impediva la vista del maggiore.

Nei secoli posteriori in cui più famigliare divenne la venerazione dei Santi fu aperta alla destra, tra l’ambone e la porta, una capella, il cui titolo non m’è noto e da questa si avea accesso su una cameretta che trovasi incassata nel vivo della facciata, la quale servìa o per ricovrarvi qualche persona destinata a guardar la chiesa di notte per mezzo d’un fessura praticata nel muro a ponente, verso cui, siccome praticavasi allora, trovasi la chiesa rivolta, ovvero per rinchiudervi qualcun di coloro che valeasi dell’asilo ed immunità ecclesiastica.

L’altar maggiore è di pietra rozzamente lavorata, come le piccole colonne rotonde, quadrate ed octagone che adornano le due pareti della chiesa al medesimo laterali, sormontate esse colonne da barbari capitelli, teste d’angeli, fogliami e d’animali.

Sull’altare alzasi una teca in legno antichissima lavorata a piccoli archi acuti a fogliami ed a compartimenti sullo stesso disegno, la quale racchiude la statua di Maria Vergine col Bambino, a cui l’eremita presenta Carlo Magno genuflesso il quale ha ai suoi piedi lo stemma di Francia coi tre gigli: alla destra della Vergine v’è Sant’Ambrogio vescovo di Milano; tutte queste statue sono di mezzana statura e di pietra colorite, però e dalla carnagione e dai panneggiamenti si conosce che /56/ esse sono state scolpite in secoli più vicini a noi, giacché si scorgeva naturalezza ed un andamento di pieghe che fan conoscere che l’artista era al fatto del buon disegno.

Dietro l’altare non v’è che un piccolo spazio semicircolare che termina la chiesa, il quale certamente non serviva da coro, poiché gli antichi monaci ufficiavano in sedili posti avanti e non dietro l’altare, siccome si usa oggigiorno.

Dalla nave sinistra nella quale fu recentemente situato un altro altare che ora trovasi in rovina si ha accesso per una strettissima porta acuta ad un massiccio quadrato campanile tutto di pietra, che ha niente di rimarchevole.

Malgrado l’ingiuria dei tempi, che degradarono questo edificio in più luoghi, vi si ravvisano ancora due iscrizioni che riflettono Ottaviano della Porta preposto della cattedrale di Novara ed il marchese Tomaso Grisella di Rosignano, conte di Moncucco, Cunico etc; esse sono le seguenti:

Octavianus de la Porta vir integerrimus Venerandi
Collegii Ecclesie maioris Novarie Ppt. a Cano-
cus benemeritus sexagenarius modi huius
miseris solutus hic pro tempore quiescit
M° Quingentesimo XX Quinto Calendas
Aprillis D.M. S.S.
1558
Nobilis et prudens Thomas Grisella quiescit
Hic positum corpus spiritus ante Deum
Vendicat ossa sibi praescripto tempore tellus
ZCOHY’GXI YVXHY [sic] vindicat ipse Deus
Cur igitur defles felici morte peremptum
Nil quia mortales pulvis et umbra sumus
Hoc quia percelebris periit spes optima nobis
Lapsaque est Poglianoe firma columna domus
Die 7
Ianuarii

I cadaveri di questi due illustri personaggi sono sepolti nel tumulo posto al pie di ciascuna di dette iscrizioni, che trovansi incassate nella destra parte della chiesa.

/57/ Ai tempi di Guichenon essendosi fatto uno scavo in prossimità della chiesa di Vezzolano, fu rinvenuta una lapide sepolcrale su cui stava scolpita la seguente iscrizione romana:

SEX. OCTAVIVS
SEX. F. POL. CEL.
SVS. CASSIANVS
T.F.I.
VIXIT.ANNOS.XXI

Questa lapide trovasi ora nel Museo dell’Università di Torino.

Se si considerano minutamente tutte le parti della chiesa di Vezzolano non si trova che barbarie sparse da per tutto, ma se si esamina bene il totale e queste parti assieme, non si può che ravvisarvi una maestà che spira un sacro orrore ed un profondo rispetto per il santuario, a cui contribuisce l’oscurità del tempio occasionata espressamente dall’angustia delle finestre, onde con più raccoglimento i monaci cantassero le divine laudi; quest’uso di lasciare i templi oscuri durò per più secoli fra i cristiani i quali non amavano d’aver le loro chiese come altrettanti teatri, ma sibbene semplici ed umili.

Al mezzodì della chiesa si trova il chiostro: è questo composto di quattro ordini di portici.

Il più antico è verso ponente, gli archi di questo corridoio sono rotondi stretti e piccioli assai; essi sono sostenuti da piccole colonnette di pietra della più barbara architettura; non ha quest’ordine alcun volto, il che prova essere stato eretto prima del XIII secolo: quello che si trova a mezzogiorno è di recente struttura, e l’altro a levante data tra il XV al XVI secolo.

Il più rimarchevole è il corridoio verso mezzanotte in totale contiguità della chiesa; è questo siccome osservai una nave della medesima: esso è totalmente dipinto in tutti tre gli archi d’onde è composto: nel primo vi sta la Vergine col Bambino e due angeli sovraposti alla piccola porta che dà accesso alla chiesa; nel secondo si vede Cristo sedente sull’iride avendo a lato i quattro emblemi degl’Evangelisti fra i quali l’angelo tiene un libro col motto Liber Generationis e l’aquila in un cartello In Principio erat Verbum: al di sotto v’è l’adorazione dei Magi ed un angelo che presenta alla Vergine Oberto di Rivalba signore di Castelnuovo il quale è sepolto in un tumulo posto al piè di queste pitture.

/58/ Si riscontra inoltre inferiormente ai Magi la storia della fondazione di Vezzolano fatta da Carlo Magno; finalmente verso lo suolo sta dipinto un sepolcro nel quale giace l’anzidetto Oberto sul margine del quale si leggono ancora in rozzi caratteri:

Hoc est sepulchrum spectabilis et generosi Oberti de Rivalba:

il resto non è più leggibile.

Nel volto stanno i dottori di Santa Chiesa indicati ciascuno col loro nome a lato scritto in caratteri d’oro; il solo S. Gregorio Magno è intero, gli altri son corrosi dall’antichità.

Negli archi di questa campata sono dipinti dei rabeschi, e gli stemmi della famiglia Rivalba, come pure in ovali i ritratti di vari individui di questa casa ora estinta.

Nella terza arcata del chiostro vi è la Vergine col Bambino, Sant’Ambrogio e S. Benedetto che presenta una chiesa alla Vergine: al piè di queste pitture alcuni pretendono che sia sepolto Oddone di Rivalba ossia di Castelnuovo, altri che quel sepolcro appartenga a qualcuno dei Radicati; varie iscrizioni e gli stemmi attorno dipinti ci metterebbero in chiaro d’ogni cosa, se le prime non fossero consumate dal tempo, e le altre cancellate dalla rivoluzione.

In questa parte del chiostro trovasi una piccola scala praticabile che per un usciuolo dà l’accesso alla tribuna ossia ambone che separa la chiesa nella maniera da noi surriferita.

Nella parete finalmente verso levante è ripetuta la storia della fondazione di Vezzolano fatta da Carlo Magno con qualche gotica iscrizione, ma il tutto è sì guasto, che poco o niente appare tanto su detta parete che nel volto.

Queste pitture sono del decimoquarto secolo, siccome puossi congetturare dal disegno, congetture che si avvalorano nel riflettere che Oberto di Rivalba, vivente nel 1342, è probabilmente morto nel medesimo secolo e colà sepolto.

Tutte le figure sono sul gusto di quei barbari tempi, cioè senz’attitudine e scorrette di disegno in tutte le loro parti; il solo colorito è rimarcabile; egli è così vivo che pare di recente pennellatura; quest’è la prerogativa che ben giustamente si dee attribuire ai pittori di quei tempi, d’essere superiori ai nostri nella concia dei colori, che a fronte delle intemperie vivacissimi si conservano dopo tanti secoli.

/59/ Per quello poi che riguarda l’abitato del monastero, le antiche celle, le quali certamente esisteano dalla parte di ponente son tutte in rovina: verso levante non si ha che un vasto portico nel quale si scorgono ancora dei residui di camere, ora rovinate: allato del medesimo eravi una capelletta angusta con delle nicchie, molto antica, la quale serviva o di secrestia o di chiesuola per l’inverno, o di sepolcro ai canonici, la quale oggi ha cangiato forma, essendone stato atterrato lo sfondato circolare verso il giardino. Verso mezzodì vi sono quattro in cinque camere di moderna struttura, totalmente rimodernate dei nuovi proprietari di Vezzolano, onde sparirono i ritratti, gli stemmi di vari abbati e le iscrizioni da me sopra riferite; alla riserva di quanto sopra e qualche casuccia per uso dei massari, il rimanente del monastero non è più, l’ingiuria del tempo ha ogni cosa distrutta, e le novità che gli abati e gli acquisitori vi fecero cangiarono talmente faccia a quel luogo che non e più possibile a ravvisarlo nel suo essere.

Mi resta ancora a osservare che il parroco d’Albugnano ritiene un’antichissima croce di bronzo dorato guarnita con delle piccole statue della Vergine e della Maddalena, la quale, servendo anticamente ai monaci di Vezzolano, portava nel suo interno un ben inteso orologio, indicante le ore mercé un globo che ritiene nella sommità ed una campanella nel suo piede, di cui si veggono ancora nella medesima alcuni ordegni, sebbene fuori d’uso.