/86/

11.
Da Ubiè sovrano del Tigrè
ai principi musulmani del Sud.

Liberatomi da questo imbarazzo, e da quello che l’ubbidienza mi imponeva per la missione del Tigrè, mentre il mio rendiconto andava a Roma per aspettarne gli ordini ho creduto bene di [p. 146] fare un viaggio all’interno per vedere i compagni cosa facevano, tanto più che era venuto un corriere dallo Scioha, nel quale il P. Felicissimo mi invitava a andarvi (1a) Per andarvi, però, vi erano due difficoltà, quella cioe del mio esilio, e quella di Aden per cui avrei avuto bisogno di andare in Europa. Avendone conferito con Monsignor Dejacobis, questi non solo era contrario ma si mise subito in alarme dicendo che io avrei compromesso la stessa sua missione, oltre a ciò che sarebbe avvenuto a me. mia decisione stravagante, ma benedetta da Dio
[1.6.1849].
Vedendomi così contrariato ho fatto silenzio, ma nel tempo stesso riflettendo seriamente ai miei doveri ho preso la risoluzione di partire senza moltiplicare troppo i consigli; mentre in facia al publico io prendeva tutte le misure per ritornare in Aden, senza che nessuno sapesse ho dato il necessario per le proviste di viaggio ad una persona fida coll’istruzione di fare tutti i passi necessarii per un certo Signor Antonio (era mio secondo nome di battesimo), e quando tutto sarebbe stato in ordine me lo dicesse. [partenza: 8.6.1849] Un bel giorno a piedi sono partito con lui senza salutare nessuno, eccettuato Fr: Pasquale, a cui ho raccomandato gran segretezza fino a tanto che io avessi passato il Tigre.

montata la Tarenta, abboccamento con amarie kenfù.
piano organizzato da lui.
partenza per Uzien
Partito di notte senza che neanche lo sapessero quei della casa, in quattro giorni sono arrivato in cima della famosa Taranta. La mi sono fer- /87/ mato in un luogo scartato dalla strada, ed intanto coi portatori che non mi conoscevano essendo rimasto colà ho mandato il mio fido a chiamare [p. 147] Amarie Kenfù, la cui casa era vicina, persona amica di Degiace Ubie, e cattolico nostro. Questi essendo subito venuto gli ho esternato tutto il mio piano, di passare incognito da Degiace Ubie per domandargli il passaggio: ditemi come la pensate, dissi, e se convenite con me mi direte come debbo fare, e mi scriverete una lettera da presentare al Principe, affinché sappia egli solamente chi io sono, e quello che desidero.

Amariè Kenfù lodò molto il mio piano di presentarmi incognito al Principe Ubiè, ed era questa, disse, l’unica maniera di calmare la piaga del suo cuore afflitto per il sancito esilio prima ancora d’avermi conosciuto. Mi fece intanto venire da casa sua un pranzo di campagna bellino con alcune provviste da viaggio; quale finito, mi diede tutte le istruzioni occorrenti affinché ogni cosa riuscisse bene; scrisse tutte le lettere di raccomandazione, e specialmente quella del Principe Ubiè fatta a mio nome, cercò una persona di sua confidenza, la quale non mi conosceva, e sotto la [sua] guida sono partito. mio passaggio vicino a Gualà Nel quinto giorno eravamo un miglio lontano da Gualà, e lo stava contemplando, quante dolci rimembranze! ma bisognava dissimulare e passare avanti per andare ad alloggiare in luogo abbastanza lontano in casa di un’amico di Amarie Kenfu, dove arrivati fummo ricevuti e ben trattati. L’indomani partiti di notte, arrivo al campo di Degiace Ubiè
[18-19.6.1849]
e circa le tre di sera siamo arrivati in vicinanza del campo di Ubiè: qui fissatomi [p. 148] in un luogo appartato, dove abbiamo gustato qualche cosa, l’uomo di Amarie Kenfù andò avanti al campo per preparare ogni cosa, e verso l’imbrunire rivenne per prenderci. Siamo entrati nel Campo o città di notte, e fummo ricevuti da un’impiegato appartenente all’interiore della casa del Principe. Al nostro arrivo già ci aspettava la cena venuta dalla casa stessa di Degiace Ubiè, cena abbastanza generosa, ma non troppo per non destare [troppo] l’attenzione della corte, poiché il Principe stesso già era avvertito che si trattava di un forestiero che avrebbe presentato una lettera, dalla quale ogni cosa sarebbe stata svelata a lui solo. Tutto già era aggiustato per un’udienza secreta prima del giorno, e che tutto sarebbe stato terminato prima che entrassero i cortigiani.

conferenza segreta con Degiace Ubiè Diffatti l’indomani mattina di notte fui chiamato ed introdotto direttaniente nel suo casino particolare, dove egli già mi aspettava: gli ho dato la lettera scrittami da Amarie Kenfù, la lesse ridendo, e congedato anche il ragazzo di sua confidenza, mi disse ridendo, non teme di essere legato? risposi rotondo di no; jeri sera senza che, nessuno me lo dicesse, /88/ io gia aveva sospettato ogni cosa, disse, e poi mi fece le sue scuse per l’esilio ecc. Ella, disse, ha interpretato proprio quello che io pensava, ne sia lodato Iddio; oggi la stimo l’amo davvero. Si parlò delle cose nostre più sostanziali, e poi io stesso gli dissi che conveniva congedarmi subito, perché io pensava a non compromettere la sua tranquillità; Egli disse[:] ci siamo compresi a vicenda, sì, alla corte non mancano persone che la possono conoscere, epperciò Ella partirà subito accompagnata da una mia persona fida, e anderà a riposarsi in casa di un’altra mia persona fida lontana circa due ore dal campo; frattanto io stassera [io] Le spedirò le persone che devono accompagnarla domani [p. 149] con tutte le lettere di raccomandazione a tutti i capi luoghi sino a Gondar: ciò detto io, secondo l’uso del paese ho lasciato nelle sue mani un pacco di preziosissimo satino, che in paese poteva valere anche cento scudi, e così me ne sono sortito ritornando alla casa, dove aveva passato la notte; là già stava preparata una piccola collazione spedita dal principe stesso, e gustato qualche cosa, venne quasi subito la persona che doveva accompagnarmi; mia partenza
[20.6.1849]
i miei portatori già avendo mangiato, siamo partiti subito, e prima che il sole sortisse già eravamo fuori del campo. La persona che mi accompagnava, lo stesso padrone di casa, dove aveva dormito, aveva ordine di non lasciarmi fino a tanto che fossero arrivate le lettere e le persone che dovevano accompagnarmi nel viaggio sino a Gondar; egli strada facendo con me cercava di sapere chi io era, ma io non dissi altro se non che io era un certo Signor Antonio, arrivato da poco tempo a Massawa, e che desiderava di andare a Gondar; mi domandò se conosceva abuna Messias, di [gli] risposi di sì, senza però dar molta importanza, e gli domandai per qual motivo l’avevano caciato: cosa vuole, disse, quello, da quanto si dice, era un vescovo di abuna Jacob, quelli son tutti santi, e noi siamo tutti diavoli; il nostro Vescovo Salama è come un gallo che non vuole vedere altri galli, e cose simili, io mi son messo a ridere, e dissi, già [si tratta] un poco di gelosia di mestiere; così discorrendo siamo arrivati verso le otto alla casa dove eravamo destinati.

arrivo al villaggio fissato vicino al campo. Il padrone di casa, sentita la parola di Degiace Ubiè, ci ricevette molto bene, fece subito ammazzare un bel castrato, che se lo mangiarono le persone di seguito con quei di casa, io ho domandato un poco di latte, e bagnando nel latte un poco di pane, ecco tutto il mio pasto. Per non moltiplicare parole, e non espormi a violare il secreto, ho domandato un luogo a parte per [p. 150] [per] riposarmi un poco; così ho potuto fare le mie preghiere. arrivo del «kalatie» o porta parola di Degiace Ubiè con lettere di raccomandazione.
l’indomani nostra partenza.
Verso sera arrivarono le lettere di raccomandazione di Degiace Ubiè, ma essendo tardi convenne passare la notte; però /89/ ritorno subito quello che mi aveva accompagnato coi ringraziamenti al Principe.

Di là partiti l’indomani di buon mattino, in tutti i paesi che abbiamo pernottato abbiamo sempre trovato accoglienze e trattamenti di carne e di birra per il seguito, ed idromele per me, che è quanto si può trovare in Abissinia. Nel nostro secondo giorno siamo arrivati in un paese detto Abba Garima dove il mio K[a]latie mi fè entrare in una casa appartenente ad un’Amgiar (domestico intimo del Vescovo Salama); il padrone non vi era, ma vi era la sola moglie sua tutta amica del mio Kalatie: nella notte si passarono molti misteri che qui non si devono dire. Io figurava come un forestiere che nulla capiva: quanti discorsi contro di me e di Monsignor Dejacobis...! ma tutto doveva passare per me che nulla doveva capire; quanto l’abissino è infido...! quanto ipocrita...! non solo di me, ma del povero Salama ne ho sentito delle belle: nessun dubbio sulla mia persona, perché io passava colà per [il] Singore Antonio, tutta mercanzia con bollo reale... ! Una cosa è bene notare quando un forestiere cammina con un porta parola del Principe, per lo più questi suol fare un traffico, o accorciando le tappe per moltiplicare le stazioni. Arrivato in un villagio si ferma e finge di voler pernottare, allora viene il capo del paese e da una mancia alla guida per far[la] passare avanti; oppure pernottando riceve qualche regalo per dispensarsi dal dare qualche cosa che dovrebbe dare. arrivo al fiume Takazzè
[6.7.1849],
e passaggio di esso;
entrata nel Semien.
Nel quinto giorno abbiamo passato il fiume Takazzè il quale era ancora molto basso. Passato il fiume e salita la montagna siamo arrivati ad un villaggio [alle] frontiere del Semien, dove abbiamo passato notte. L’indomani abbiamo lasciato il basso Semien per salire le grandi altezze di questo paese, le quali sono le prime altezze dell’Abissinia, erano tutte bianche, e di lontano credevamo che era la neve, ma arrivati là trovammo che non era neve (1b) ma deposito di grandine. altezze del Semien;
alcune osservazioni.
In queste altezze non ci sono più alberi, /90/ [ma] molto liken, ed i paesani non seminano più altro che orzo; [p. 151] il quale è quasi l’unico prodotto di queste altezze, fuori dei bestiami di ogni genere in abundanza, perché le erbe, benché non crescano molto, sono poi molto sostanziose ed aromatiche; avvi poi anche una quantità di api, perché le erbe anche solamente alte due dita abundano molto di fiori nelle stagioni secche. Quando noi siamo arrivati sulle altezze del Semien eravamo sul principio di Giugno, e le pioggie già erano stabilite, perché nelle altezze anticipano, e nel loro principio sono sempre in forma di temporali accompagnati da grandine piccola, la quale si conserva anche molti giorni. Sopra le altezze dell’Abissinia io [non] ho mai veduto la neve quidquid dicant alcuni antichi scrittori. Abbiamo passata la notte sul bordo nord dell’altezza del Semien in una povera casa molto economicamente fatta per mancanza di legni, e coperte di paglia di orzo. per mancanza di legna il fuoco si fa collo sterco di bue secco, il quale da un fumo quasi insopportabile per l’europeo non accostumato; del resto il popolo di quelle altezze è forze il migliore di tutta l’Abissinia, perché meno in contatto cogli stranieri, come arriva anche nei nostri paesi in proporzione.

arrivato a Maitalo capitale del Semien. L’indomani siamo partiti per Maitalo città capitale del Semien, e come Patria di Degiace Ubie, dove regnava prima che conquistasse il Tigrè. Essendo arrivati in Casa di Ubiè il suo rappresentante ci trattò molto bene, cioe [ci offrì:] carne, latte, birra, ed idromele. [p. 152] Qui ci siamo riposati un giorno, come in casa nostra, (1c) [e] partiti da Maitalo abbiamo camminato una buona giornata verso il Sud per arrivare all’estremità dell’alto piano del Semien, dove trovasi la città del Governatore generale di tutto il Sem[i]en, e contorni, specie di Vice Re per nome Scialaca Walde Kidan parente di Degiace Ubiè, un vecchio Venerando, il quale in certo modo aveva fatto da Padre al Principe quando era giovane. In questo luogo, di cui non mi ricordo più il nome Degiace Ubiè aveva incomminciato una Chiesa, nella quale doveva porvi la campana che il Papa Gregorio XVI. aveva mandata a questo principe, ed [era] arrivata colà due anni prima del mio arrivo in Abissinia. (2a) Anche qui siamo rimasti un giorno prima di discendere nel Waggarà.

/91/ Per comprendere le altezze relative di questi paesi bisogna distinguere. L’alto piano ordinario d’Abissinia conta da due mille a tre mille mettri; quando poi si parla di grandi altezze vuol dire che sone dai tre ai quattro mille, come il Semien; bisogna poi sempre calcolare, sia le grandi, sie le ordinarie altezze, come non sempre piane ed eguali, ma montuose, motivo per cui diciamo da due a tre, oppure da tre a quattro mille [metri].

Partiti dalla casa di questo governatore, dopo circa un’ora siamo arrivati al bordo dell’altezza del Semien, di dove si scopre un nvovo orizzonte; si presenta sotto il Waggarà, al di là [p. 153] in gran lontananza si scopre un pochino Gondar, come fra le nubi, e tenendo sempre l’occhio al Sud un poco più verso ponente qualche tracia del gran lago di Tsana. Per discendere al Waggarà avvi un gran precipizio quasi perpendicolare di 500. e più mettri; avvi un sentiero orribile, ed in qualche luogo fa venire le vertigini a chi non è accostumato; pare vicino, ma per discendere a piedi vi [ci] vuole due o tre ore.

dis[c]esa al Waggarà. Arrivati al Waggarà si presenta un bel piano undeggiato di collinelle deliziose, ma quasi disabitate, perché è il luogo centrale delle guerre, quel luogo appunto dove si sono battuti Degiace Ubiè con Ras Aly nell’epoca del nostro arrivo in Abissinia. Dopo la discesa abbiamo passato la notte in un piccolo villaggio distrutto, dove i soldati per mancanza di legna hanno abbruciato tutte le case; abbiamo trovato appena qualche capanna per riposarci la notte. L’indomani arrivo a Doqqà. siamo arrivati a Doqquà, dove avvi un villaggio, ed una Chiesa fatta per mani europee, chiesa di muri a calce, con colonnati e volta, ma di gusto mezzo abissinese; è tutta rovinata, è la prima che si vede di questo genere di lavori fatti dai Portoghesi; nei contorni di Gondar se ne trovano molte, alcune delle quali sono ancora in buon stato. l’Abissinia razza stazionaria, nemica dei progressi Frà i lavori Portoghesi fatti tre secoli prima [p. 154] [vi] sono, oltre le Chiese, tre o quattro palazzi imperiali, due a Gondar; ed uno di Vileggiatura a due piccole giornate di Gondar; oggi si trovano quasi tutti rovinati ed inabitabili, perché gli abissinesi dopo queste costruzioni non hanno ritenuto una sufficiente industria per mantenere lo statu quo di simili lavori. Lo stesso si deve dire dei ponti, ve ne saranno ancora dieci o dodeci tra piccoli e grossi, ma la più parte rovinati ed inservibili. Questi monumenti basteranno /92/ ancora per secoli per attestare la presenza degli europei chiamati e venuti in ajuto [all’Abissinia] contro il potere mussulmano che stava per dominarla; quindi attesterà l’ingratitudine degli Abissini contro gli europei stati poi caciati; ma più di tutto attestano lo spirito stazionario nemico di ogni avvanzamento; e questo spirito stazionario per dirlo che è una malattia antica del paese vi sono gli obelischi di Axum nel Tigrè i quali contano una data molto anteriore al cristianesimo e vicina a quella dei faraoni.

nostro arrivo a Gondar
[2a metà di luglio 1849]
Partiti di Doqquà in un giorno siamo arrivati a Gondar, la gran Capitale dell’Abissinia, la quale ha la sua origine dopo la caduta di Axum in Tigre, quando la razza antica etiopica si è fusa colla razza amarica, razza straniera venuta dalla costa asiatica o arabica del mare rosso, e la famiglia imperiale da etiopica è divenuta amarica; allora fù che si trasportò [la capitale] dal Tigre al Beghemeder, come più centrale dell’impero, [p. 155] perché in quell’epoca l’impero abissino essendosi ristretto molto al nord e all’ovest si è molto dilatato al sud, dove la razza amara ha dominato [per] secoli sino al di là di Kafa; in quell’epoca aveva fatto la sua città capitale quasi sulle rive del fiume Awaz (1d) in un paese chiamato ora Antotto (2b), dove restò la capitale fino all’irruzione degli arabi guidati dal famoso Gragn, il quale costrinse l’imperatore a ritirarsi sempre verso il Nord sino al Tigre, dove ancora in seguito fù costretto [a] ritirarsi sopra una montagna chiamata oggi Devra Damò fino all’arrivo dei Portoghesi che inseguirono l’arabo Gragne (3a) sino alle vicinanze di Gondar, dove fù ucciso; allora definitivamente Gondar diventò la capitale di tutta l’Abissinia.

Gondar nel primo mio arrivo contava circa cinque mille abitanti, un buon terzo dei quali erano mussulmani; un’altro terzo apparteneva alla casta sacerdotale composta d’inservienti di Chiese, in numero di circa 15. dentro la città, ma si calcolavano 40. compresi i contorni.

Arrivato sulle vicinanze di Gondar ci viene all’incontro il missionario Stella.
tranello ordito in Gondar dal vescovo Salama contro di me.
venne ad incontrarmi il P. Giovanni Stella lazzarista missionario di Gondar, e con lui sono entrato nella casa /93/ della missione medesima, dove ho passato la stagione delle pioggie. Dopo quindeci giorni di dimora mi arrivò un bell’affare. Il Vescovo Salama caciato di Gondar tre anni prima, avendo inteso il mio passaggio per il Tigre, ed il mio arrivo [p. 156] a Gondar spedì ai suoi amici [un messaggio] ordinando loro di studiare il modo di cogliermi e legarmi. Ras Aly non si trovava in Devra Tabor sua città ordinaria ma [si] trovava in Gogiam più ad sud, e non potendo agire colla forza del governo, perché Ras Aly era suo nemico, quello che l’aveva caciato, studiarono un’altro stratagemma, e fù quello di fare agire il Nagadaras capo delle dogane, il quale mi prese in contravvenzione, accusandomi di avere forzato con minacie i doganieri. Non potevano prendermi colla forza violando il domicilio, perché la casa della missione si trovava nell’Ecciecchè biet, circondario di immunità, come casa del capo dei monaci di tutta l’Abissinia, e persona più potente dello stesso Vescovo: mi fecero chiamare e mi constrinsero [ad] andare, perché mi chiamavano col nome dell’Ecciecchè; arivato [io] fecero una finta di giudizio, e mi legarono (1e). Fratello Filippini, un fratello lajco falegname molto venerato in Gondar, quello che aveva fatto la casa della missione, e che la governava anche colla sua influenza più del P. Stella, si maneggiò in modo che mi fece slegare pagando 200. talleri, quali poi da Ras Aly furono fatti restituire, più tardi.

spedizione di Abba Emnatu a Ras Aly. Dopo il mio arrivo a Gondar la prima cosa che ho fatto è stata quella di mandare Abba Emnatu che mi aveva seguito dal Tigrè con qualche compagno in Gogiam a Ras Aly, e pensava aspettare la risposta, ma dopo il fatto narrato sopra ho creduto più prudente lasciare Gondar, e recarmi a passare qualche tempo [p. 157] in altro luogo, ove avrei aspettato che il fiume Bascilò fosse passabile per andare a Tedba Mariam, dove si trovavano [i] PP. Giusto e Cesare; quindi di là passare allo Scioha, ove mi aspettava il P. Felicissimo. arrivo a Devra Tabor.
indi a Guradit
Partito da Gondar in compagnia del missionario P. Giovanni Stella, benché in cattivissima stagione, alla meglio siamo arrivati a Devra Tabor, antica città [di] permanenza dei Ras (capo del governo) anche in tempo degli imperatori; arrivati là abbiamo visitato la moglie del Ras figlia di Degiace Ubiè, la quale ci trattò con molta cortesia, e ci fece dare una casa col così detto dorgò (pranzo e cena fissata); ma restare molto tempo presso la moglie del Ras da qualcuno potendo considerarsi come cosa meno grave per /94/ un Vescovo, ci siamo quasi subito congedati per andare a Guradic sulla strada di Tedba Mariam.

Arrivati a Guradit in tre giorni ci siamo presentati a Degiace Bescïr zio materno di Ras Aly (1f), il quale ci trattenne due giorni, e poi noi non potendo trattenerci molto presso quel principe mussulmano fanatico, l’abbiamo pregato di mandarci in qualche luogo per passare le pioggie, per diriggersi a Tedba Mariam; ci assegnò un villagio noto abbandonato da cristiani perseguitati (2c), dove abbiamo trovato belle case da stabilirsi vicino ad un gran mercato. Degiace Bescïr nel congedarci ci promise che ci avrebbe mandato qualche cosa per facilitare la nostra dimora colà, come poi fece con molta generosità. ruine di una chiesa lavoro dei portoghesi. Non molto lontano dalle nostre case [p. 158] esisteva una chiesa in rovina fatta dai Portoghesi; ci sono ancora la maggior parte delle colonne in piedi, doveva essere un bellissimo lavoro; in mezzo alla chiesa caduta vi era un grand’albero, prova che la rovina passa di un secolo; i paesani dicevano che detta chiesa è stata distrutta da una guerra tra i cristiani e mussulmani dei Wollo. (1g)

Avendo passato qui più di un mese con tutta libertà potevamo celebrare la S. Messa catechizzare i nostri di casa e qualcheduno che veniva dai paesi circonvicini, e battezzare anche qualche ragazzo; passato intanto il mese di Agosto ed una parte di Settembre, incomminciando ad abbassarsi il Basslò Degiace Bescïr mandò l’ordine ai paesani di farci passare, e, se non erro, passaggio del fiume Bascilò il 10. Settembre siamo partiti da Guradit, e con una piccola giornata di viaggio siamo [saliti] sulle altezze che guardano il fiume, dove l’indomani, radunati i paesani, disposero ogni cosa per farci passare sulle così dette tanque composte di molti legni legati insieme, sopra i quali mettono gli uomini col loro bagaglio; il fiume era ancora abbastanza alto e rapido. Qui, da quanto dicevano vi sono cocodrilli, epperciò prima di incomminciare l’operazione passarono forze un quarto d’ora a schiamazzare, gridare e gettare pietre nel fiume per allontanare questi mostri, e poi messi questi nostri grabati sull’aqua con molta erba sopra siamo montati sopra e quattro nuotatori ci spingevano dall’altra parte, dove felicemente siamo arrivati; arrivati dall’altra parte, data una piccola mancia, gli abbiamo congedati.

/95/ alcune osservazioni sulla regione del Bascilò Il basso fondo del flume Bassillò è un luogo di febbri per chi vi passa la notte in qualunque luogo più basso di 200. mettri; quantunque fosse già un poco tardi, pure abbiamo dovuto partire subito per montare [p. 159] sino ai primi villagi. I due lati di questo fiume sono tutte boscaglie di specie particolari; ve ne sono che producono una specie di gumma che manda un’odore delizioso. Le due rive sino a due kilometri circa hanno dei blocchi di cristallo di rocca. Si trovano dei globi di cristallo limpidissimi di diversa grossezza, del diametro anche di un palmo e più, e qualche volta spaccati si trova nel centro una pietra, che un nostro indigeno in Massawah l’ha venduta a un mercante bagnano a un prezzo straordinario.

ci vennero incontro i padri Giusto e Cesare con proviste da mangiare. Arrivati al primo villaggio abbiamo inteso che [alcune] persone erano state incaricate dal P. Giusto di avvertirgli subito che avrebbero inteso il nostro arrivo, e che perciò la notizia già era loro arrivata. L’indomani difatti strada facendo gli abbiamo trovati che venivano all’incontro con delle provviste sufficienti per fare un piccolo pranzo. Ci siamo abbraciati e salutati in lingua abissinese che essi meglio di me avevano già appreso. Abbiamo fatto il pranzo sotto un’albero verso le undici, e ci siamo riposati per lasciar passare un tantino il sole verso il suo occidente; arrivo a Tedba Mariam. dopo partiti siamo arrivati a Tedba Mariam verso le cinque di sera. Tedba Mariam è una montagna tagliata a picco da tutte le parti, ma grande forse circa tre kilometri per attraversarla. [p. 160] Conta come fortezza del governo, e nel tempo stesso come città forte, dove il Principe Tokò Brillè aveva la sua abitazione; era nel tempo stesso come un santuario, santuario e sue reliquie insigni visitate dal p. Cesare. nel quale si venerava, un libro di una scrittura incognita supposto disceso dal cielo, ed un tabot (pietra sacra) della medesima provenienza. P. Cesare che l’aveva visitata mi disse che il libro era una carta gloria stampata a Venezia, ed il tabot era una pietra sacra latina, probabilmente reliquie dei Padri della Compagnia [di Gesù] stati caciati. La città conta al più mille abitanti, la più parte [della] casta sacerdotale, perché oltre il santuario, il quale conta centinaja d’inservienti, vi sono poi quattro altre Chiese secondarie.

visite al principe Tokò Brillè e conferenze con lui L’indomani del nostro arrivo siamo andati a fare una visita al Principe Tokò Brillè; il quale da due giorni era venuto in Tedba Mariam: l’abbiamo trovato che stava dicendo il salterio, [che costituisce] piuttosto una vera ambizione di tutti i grandi d’Abissinia, come fra breve avrò la commodità di descriverlo altrove. Ci ha ricevuto molto rispettosamente levandosi in piedi al nastro arrivo: ebbe luogo una lunga conferenza sulle cose accadute in Tigrè, e che egli già sapeva. Mi ha esternato un gran piacere di avere i missionarii nel suo paese. Avendolo pregato /96/ d’interessarsi per stabilirgli nei paesi Galla di sua dipendenza, egli mi promise che l’avrebbe fatto subito che avessero [ap]preso un poco di lingua. Finita la conversazione siamo ritornati in casa; appena avevamo fatto una piccola seduta già arrivavano [p. 161] i regali del Principe, vale a dire un bel bove, die[c]i pecore, cinque grossi vasi di miele, e due vasi di butirro, che noi abbiamo ricevuto con umile ringraziamento. La sera, appena recitato il nostro officio veduta dei paesi galla al sud-ovest di Tedba Mariam abbiamo fatto una passeggiata sui bordi della fortezza a ponente ed a mezzo giorno, e confesso che mi fece gola la veduta di tutti quei paesi Galla che coprivano tutto l’orizzonte visibile, e provai nel mio cuore la consolazione che provarono gli Ebbrei nel deserto pensando alla terra promessa, ma mi sono accorto che essi [gli altri due missionari] erano troppo invaghiti dei paesi cristiani, [per] mancanza di esperienza, accalappiati da certi ipocritoni, i quali speravano con menzogne di mangiare qualche cosa, fingevano [di mostrare] loro di amare quello che odiavano, come poi l’esito [h]a provato.

in nessun paese dell’Abissinia ho veduto tanta abundanza come in questo paese Bisogna però confessare che in tutta l’abissinia non vi è un paese eguale a questo principato di Saint, di cui Tedba Mariam [ne] è come il centro, in quanto alla vita materiale: in quell’epoca si compravano 18. pecore ordinarie per uno scudo, con uno scudo si compravano da dodeci a quindeci carichi di grano, si compravano cinque grossi vasi di miele, e tre grossi vasi di butirro. Oggi è stato più volte spogliato dalle guerre, certamente che non è più così, ma non manca di essere meglio di tutto il restante del paese abissino.

[p. 162] stato religioso di questo paese. In quanto alla religione regna colà la setta delle tre generazioni, detta in paese sost ledet oppure di Devra Libanos, la quale è la più vicina alla fede cattolica, perché confessa che Cristo è vero Dio, e vero uomo, benché non vogliano dire due nature, credendo con ciò di dire due persone, perché non hanno un’idea catecorica delle voci natura e persona, ma nel resto la fede sull’incarnazione è come la cattolica. In quanto poi alla pratica è forse caduto questo paese più [in] basso di tutti gli altri dell’Abissinia Cristiana, perché ho veduto là che indifferentemente i cristiani sposano le mussulmane, e separati poi dal marito se ne ritornano alla fede di prima; cosa che non si trova generalmente in Abissinia.

Festa della croce in Tedba Mariam Abbiamo passato in Tedba Mariam la festa della Croce di Settembre la quale si celebra ai 15. del loro Settembre, il quale ritarda [di] dieci giorni dal nostro. La festa della Croce in Abissinia è una festa più nazionale che religiosa, forze perché è come la chiusa dell’inverno e l’apertura dell’estate, ed è la stagione in cui tutto è fiorito. Sono incredibi- /97/ li i fuochi popolari [che ci accendono] la sera avanti, [con] dimostrazioni di canti e cose simili.

nostra partenza per i Wollo Dopo dieci giorni dal nostro arrivo siamo partiti col P. Stella, prendendo la via sud est dei Wollo Galla, paese più alto e più piano di Tedba Mariam. La via più diretta per lo Scioha sarebbe stata quella di Legamba, [p. 163] dove regnava allora un certo Abba Salama Principe mussulmano, ma essendo questi in guerra con Tokò Brillè, abbiamo dovuto tenere un poco più l’est, e passare per il paese di Degiace Daud, che noi non abbiamo veduto, e vi pernottammo in casa di un’amico di Tokò Brillè. quattro principati galla, cioè Legambo, Wollo, Horro-hajmanò, Worrokallo, fatti mussulmani.
ponte del diavolo.
L’indomani tenendo sempre l’est abbiamo passato il ponte del diavolo, un ponte naturale formato dal fiume stesso, il quale scavando si è aperto una strada sotterranea per sboccare in un precipizio, lasciando sopra uno strato di pietra che serviva di ponte. Ci siamo avvicinati verso Horro hajmanò, dove regnava un certo Aly Babola, anche questi zio materno del Ras, che parimenti non abbiamo visitato, passando la notte in case particolari; arrivammo ad un grosso villagio di gran mercato, dove la popolazione era quasi tutta cristiana, chiamato Tuotala, dove abbiamo passato un giorno. Di là siamo entrati nei Worro-Kallo, dove regnava Berrù Lubò, un terzo zio di Ras Aly. Come era questi l’ultimo Principe Galla che confinava poi collo Scioha, siamo entrati da lui.

Dopo sortiti da Tedba Mariam tutti questi principi erano principi mussulmani, ed i loro paesi nella maggior parte [p. 164] erano mussulmani; la parte cristiana dalla corrente politica era portata all’islamismo. storia di Ras Aly, e di Teodoro Ras Aly, principe di eccellenti qualità, il quale oggi ancora si fa desiderare, era di sangue Galla, il suo Padre era Cristiano nativo, oriondo piuttosto degli Eggiu, e la sua Madre di razza mussulmana fatta cristiana, ma tutti i suoi parenti essendo mussulmani, la sua casa, e la casa del Ras era piena di mussulmani. Ras Aly, ed anche sua Madre erano cristiani sinceri, ma non di convinzione, perché non istruiti, e benché essi non fossero propagandisti mussulmani gli impiegati suoi parenti, e quelli che frequentavano la sua casa erano per lo più propagandisti fanatici. In questo senso Ras Aly, benché uomo molto amato, e principe di ottime qualità ha fatto all’Abissinia un gran male; Teodoro che si è fatto poi imperatore, uomo crudele, e di un dispotismo orribile, pure ha fatto un gran bene sradicando tutta questa schiatta mussulmana che aveva regnato più di mezzo secolo.

I principati riferiti sopra nella maggior parte erano già prima per metà mussulmani, ma lo sono divenuti intieramente sotto questa dinastia. Per /98/ questa ragione Teodoro, benché non buon cristiano, come lo sono tutti gli altri abissinesi, pure per un’amor proprio di razza e nazionale più che religioso, ha fatti dieci anni di guerra continua a tutti questi principati mussulmani, ed ha tutto rovesciato.

Berrù Lubò, Worro-Kallo, e confini di Scioha:
preti abissinesi apostati
[p. 165] Ritornando alla nostra storia dirò che da Totala siamo andati ad Ainamba, dove stava il Principe Berrù Lubò, ed abbiamo trovato là una casa di fanatici mussulmani, i quali neanche ci degnavano di guardarci in facia. Berù Lubò prevenuto da questi fanatici per parlare con un’europeo parlava dietro una tendina per non essere ne veduto ne vedere un Frangi ([così si chiama] per disprezzo l’europeo) e soleva dire che sarebbe morto senza vederne. Abbiamo passato la notte in una casa particolare, dove ci mandò una bella cena, e l’indomani ci diede una guida e siamo partiti [per] lo Scioha, il cui confine era distante due buone giornate. Strada facendo parlavamo colla guida, persona appartenente alla casa di Berù Lubò: vedete, disse tutti questi che avete veduto col turbante alla corte del nostro principe sono tutti preti fatti mussulmani, i veri vostri nemici sono quelli, se fossero dei nostri mussulmani non sarebbero così cattivi.


(1a) Io aveva mandato il P. Felicissimo allo Scioha per interessare quel Re ad aprirmi la strada di Zejla. Io credeva ancor vivente [† 25.10.1847] Sela Salassie, ma questi era morto da molti mesi, ed avendo regnato Hajlù Malacot suo figlio, questi rispose che tutti i vecchi del paese erano contrarii all’apertura di quella strada; che perciò avrebbe preso tutte le dovute intelligenze con Ras Aly per farmi venire dalla parte di Massawah. [19.1.1839] Dopo che gli Inglesi han preso Aden tutte le popolazioni dell’interno si misero in riguardo da quella parte, ed i mussulmani per mantenere il loro monopolio del commercio collo Scioha non favorivano l’apertura di quella strada, anzi con certi falsi racconti cercavano di mettere in sospetto i governi. [Torna al testo ]

(1b) Alcuni scrittori (che) parlano di neve sopra le altezze del Semien, ed altre simili dell’alto piano etiopico, io penso che essi abbiano confuso la neve colla grandine, la sola che io abbia veduto in tutto il tempo che io sono rimasto in quei paesi. In conferma di ciò la lingua stessa, sia amarica popolare, e sia ancora la lingua sacra etiopica mancano del nome particolare: esse hanno il nome della grandine, e del ghiaccio, ma non della neve. Benché in fondo si risolvano tutte [e] tre in aqua, pure la loro formazione è di natura molto diversa, come ognun sa; in Etiopia il ghiaccio è rarissimo; la grandine molto frequente, benché non molto [p. 151] grossa a dannosa; la neve poi credo che non esista. Nelle altezze del Semien (questo nome Semien è nome proprio di un paese, ma nel tempo stesso significa anche Nord; perché il paese detto Semien si trova al Nord relativamente all’alto piano etiopico); nelle altezze del Semien, forze le più alte dell’Etiopia, la grandine è molto frequente, e se ne fanno dei depositi. Io vi sono passato parecchie volte; una volta in particolare in un solo luogo dei più alti, era alta un palmo, a segno che io non trovava luogo da riposarmi, e mi sono seduto sopra la stessa grandine. Questa deve aver dato motivo ad alcuni antichi viaggiatori di chiamarla neve, perché forze non l’hanno veduta da vicino. [Torna al testo ]

(1c) Come qui il mio Kalatie era come di casa, mi divertiva a sentire le sue conversazioni coi Padrone e con quei di casa. In bocca sua io era diventato qui un messaggiere straordinario mandato dal nuovo Re di Francia a Degiace Ubiè ed a Ras Alyy: era una cosa veramente deliziosa il sentire con quale facilità quella creatura creava delle storie tutte particolari per dare risalto alla mia missione politica. L’Abissino ha in ciò un’abilità tutta particolare; solamente bisogna sempre aspettarsi delle storie che hanno per base gli usi dei loro paesi, non potendo creare ciò che [non] han mai veduto. [Torna al testo ]

(2a) Detta campana, se non erro, [del] peso di circa 300. libbre più che meno, dopo fabbricata la Chiesa, e fabricato il campanile dal naturalista Scimper, fù inaugurata, e vi rimase a suo luogo /91/ alcuni anni. Più tardi l’imperatore Teodoro avendo conquistato il Semien ed il Tigre, fu distrutta la Chiesa suddetta, come monumento di Degiace Ubie stato fatto prigioniere. La campana fu fatta trasportare a Devra Tabor, dove Teodoro aveva fatto fabbricare una gran Chiesa dedicata al Salvatore del mondo. Nel 1879. essendo io prigioniere a Devra Tabor con Monsignore Cahagne attuale Vicario Ap.o e Monsignor Lasserre Luigi Gonzaga suo coadiutore, essi han potuto vederla ancor per terra in Chiesa. [Torna al testo ]

(1d) Questo fiume ha la sua origine fra il nono e l’ottavo grado di latitudine, o altezza polare, al sud-ovest di Ankober; da quell’alto piano gira al sud-est il regno di Scioha segnandone i confini, e discende nei piani delle tribù Denakil sino al lago di Aussa, dove si perde, a dieci leghe circa dal mare rosso, e dalla baja di Assab. [Torna al testo ]

(2b) Vicino ad Antotto avvi una sorgente termale, la quale da il nome ad un paese detto Finfinnì, dove Monsignore mio coadiutore Taurin Cahagne nel 1868. ha incomminciato una missione, la quale fece molti progressi sulle sponde del fiume Akaki, e dove si trovano molti nostri stabilimenti. [Torna al testo ]

(3a) Questo Gragne, [era] nato e cresciuto in Harar, paese allora tributario dell’impero abissinese; si rivoltò, salì sull’alto piano, 28.10.1531
[21.2.1543]
vinse l’imperatore abissino, portò le sue conquiste sino al nord dell’Abissinia, e fù ucciso dai Portoghesi nelle vicinanze di Gondar, come si vedrà altrove. [Torna al testo ]

(1e) Trovandomi in piedi avanti [a] quel sinedrio composto di deftari, (cioè dottori del paese) e monaci, aventi in mezzo di loro il Nagadaras mussulmano. In questo stato passivo ed accusato, una persona si avvicina a me, e mi dice[:] cosa ne dite voi[?]; gli risposi narrando il vangelo, dove rapporta nostro Signore alla presenza di Pilato, accusato dai principi e sacerdoti ecc. ecc... [Torna al testo ]

(1f) Questo Degiace Bescïr era un mussulmano fanatico, il quale per forza faceva proseliti; fu come causa della rovina di Ras Aly. Fu ucciso alcuni [anni] dopo dai soldati di Teodoro. Parlo di ciò più a lungo altrove. [Torna al testo ]

(2c) perseguitati da Degiace Bescïr come sopra. [Torna al testo ]

(1g) Questa chiesa si trova descritta altrove, epperciò questa nota si consideri per nulla. [Torna al testo ]