/110/

13.
Nel Goggiàm:
al campo di Ras Aly sovrano dell’Abissinia.

Ora essendo arrivato il momento di partire, eccoci in viaggio lasciando il Nilo per entrate nel Gogiam. In Abissinia per lo più non si dorme vicino a questi gran fiumi, come luoghi di cattivo miasmo, ove regnano per lo più le febbri; abbiamo disceso circa cento mettri dall’altra parte per arrivare al letto del Nilo, dunque bisognava montarne altri cento circa per sortirne; la strada però era migliore, e la salita più commoda, passando per collinette [p. 182] o meglio dividendosi il precipizio in varii ripiani. Il paese dove entravamo si chiamava Meccia, provincia del Damot, parte occidentale del Gogiam, che in quel tempo era governato da Degiace Gosciò Zaudiè (il signore di Arnou d’Abbadie, fratello del nostro Antoine d’Abbadie). A misura che salivamo incomminciavano [ad] apparire chiesuole e piccoli villaggi, perché in Abissinia i luoghi più scossesi son quasi gli unici abitati, invece dei piani, i quali sono per lo più il teatro delle guerre. La sera verso le quattro siamo arrivati in un basso, dove si trovava aqua, erba, e qualche campo coltivato. Là si fece alto, e ai piantò il campo, a dirimpetto di una chiesa chiamata Devra Neghest. (1a) un grido generale dei paesani rubati dai soldati. Eravamo sul fine di Novembre, stagione che le fave sono ancor tenere e mangiabili: il nostro campo, appena finito il solito lavoro d’installazione, si gettò sopra due o tre campi di fave vicini, ed in meno di un’ora i campi furono nettati affatto; i poveri paesani ebbero ben di che gridare pietà e misericordia, ma il nostro Gabrù Wandiè /111/ recitava il suo salterio e non aveva tempo per ascoltare i poveri agricoltori che le avevano seminati.

La mattina seguente verso mezzo giorno siamo arrivati sull’alto piano, dove a sinistra sud-est si estendeva il vero Gogiam, ed a mano diritta al sud ovest il Damot; che bel paese! tanto a sinistra che a diritta, uno spazio almeno di 15. leghe tutto piano leggierissimamente undeggiato di colline...! due piccoli regni[:] il Damot apparteneva a Degiace Gosciò Zaudiè, ed il Gogiam a Berù-Gosciò dove si trovava Ras Aly. Degiace Gosciò Padre, essendo in pace con Ras Aly, si batteva di necessità col suo figlio Berù, il quale si era rivoltato (2a). Noi intanto essendo chiamati da Ras-Aly dovevamo prepdere la sinistra per andare in Gogiam. una donna partorisce in viagio, storia curiosa. Ora, [p. 183] mentre camminavamo, un gruppo di donne avevano messo a terra i loro atrazzi che portavano, e ritirate un poco longi dalla strada erano in gra[nde] facenda, cosa è arrivato colà[?], io domandai al vicino, forze qualche donna ammalata mi rispose, uno si distacca e và là e domanda, e ritorna dicendo che una donna si divincolava dai dolori del parto, oh bella, le donne partoriscono in strada! [esclamai;] così attonito me ne andava cogli altri. Abbiamo camminato la giorna[ta], ed arrivati alla stazione verso sera, quando il campo era già tutto assestato, e noi avevamo già fatto le nostre preghiere di uso sotto la nostra tenda, sortiamo col P. Giusto a fare due passi discorrendo sulle bellezze del paese. un truppo [= gruppo] di donne veniva ancora, eh le povere donne cariche come asini, stanche ancora arrivano, disse il P. Giusto, domandate, dissi io, forse sono donne le quali hanno assistito una loro compagna che ha partorito in strada. La sera dopo cena parlando col P. Giusto mi raccontò tutta la storia della partoriente, tal quale l’aveva sentita da uno dei nostri. La donna da un giorno avanti si trovava negli imbarazzi e voleva fermarsi a Quarara, ma una compagna ed alcune altre avendola sgravata da quanto portava sulle spalle, si mise in cammino, e tutto ad una tratto senti il bisogno di sgravarsi; si chiamarono altre donne per assisterla, ed il viaggio stesso da quanto pareva aveva coadiuvato a sgravarsi molto facilmente senza spargimento di sangue, /112/ fuori [di] quel poco e inevitabile sempre; si fece un poco di fuoco per riscaldare un poco di aqua, colla quale è stata lavata la creatura, e la madre; il neonato è stato posto in un canestrino ben aggiustato con straccj, ed al più [dopo] un’ora di riposo furono in caso di continuare pian piano il loro viaggio sino al campo: ecco tutto. Bisogna dire [p. 184] che in Europa il cibo molto sublimato, le bevande, il clima freddo, che favoriscono molto lo stato pletorico abituale rendono così difficili ed anche pericolosi i parti; anche fuori del caso di una combinazione poco favorevole alla sortita, cosa che può accadere in tutti i paesi, le amorogie devono essere molto più comuni fra noi che in Abissinia, dove il clima molto eguale, ed il nutrimento semplice dispen[sano] da certi bisogni e precauzioni.

arrivo a Dembecià santuario di s. Michele L’indomani partiti di buon mattino [siamo partiti], e con una buona giornata di cammino siamo arrivati a Dembecià città quasi capitale del Damot, e gran Santuario rispettato dai soldati; il Santuario è di S. Michele, per il quale gli Abissini hanno una grande venerazione, quasi unica fortezza che conserva certi centri di rifugio, perché per lo più avvi l’immunità; all’infuori di questi Santuarii in tutto quell’immenso piano del Gogiam e Damot non si trovano più villaggi affatto. Arrivati a Dembecià, invece che l’arrivo dei soldati sarebbe stato in tutt’altra circostanza un cattivo augurio, tutti gli abitanti ci hanno molto ben accolti, ed eccone la ragione: un l[e]opardo accostumato al sangue umano. da circa due settimane in quella città mancava tutti i giorni qualche persona mangiata da una bestia feroce, cosa che mise lo spavento nel paese, in modo che più nessuno osava sortire. Tutta la città pregò Gabrù Wandiè di rimanervi qualche giorno per dare la cacia a questo animale; allora Gabrù volendo farsi un merito presso tutta questa gente aderì alle loro domande, e si passò colà da due a tre giorni. Sortirono i soldati coi loro fucili accompagnati da quasi tutta la popolazione capaci di portar armi, e si diede una cacia tale, che la povera bestia sentendo una schioppettata [p. 185] quasi continua ebbe direi l’imprudenza di sortire: appena fù veduta fù ferita da molti, i quali fecero una scarica simultanea sopra in modo che fù gravemente ferita, ma non essendo morta si lanciò ancora sopra qualcheduno che lasciò malconcio, ma concentrandosi tutti in un luogo la finirono subito. era un grosso leopardo sgraziatamente accostumato al sangue umano. Il leopardo fino a tanto che non ha gustato il sangue umano, non si da esempio che cerchi l’uomo se questi non gli da motivo, come io stesso l’ho sperimentato parecchie volte, ma poi guai se gusta il sangue umano, allora non vuol mangiar più altro, e nelle tradizioni del paese si supponeva che fosse un’altro animale, chiamato con /113/ altro nome; (1b) di ciò io ho avuto l’occasione di convincermi ancora un’altra volta alcuni anni dopo in Lagamara, dove si manifestò un simil caso, e l’animale si era fissato sopra il terreno stesso della missione; quando fu ammazzato fu trovato che era un leopardo: Tutta la città di Dembecià fu in festa per questo fatto, e diedero alcuni bovi di regalo ai soldati, e così si passarono due giorni in feste.

Finita la festa si levò il campo, e siamo partiti per il Gogiam. Sortiti dal Damot ebbimo ancora tre giorni di cammino con bellissime strade, nei quali nulla arrivò di rimarchevole, solamente la sera, appena si faceva notte, le jene, ed i buda del Gogiam. [trovammo] una quantità di jene, le quali non lasciavano [p. 186] dormire: questo animale è commune in tutta l’Abissinia, ma è pauroso, e [non] si avventa mai al uomo; in Gogiam è proprio il suo paese; attacca molto di preferenza gli asini o i muli, motivo per cui i viaggiatori devono guardare le loro bestie da questo animale.

Sulla jena in tutta l’Abissinia vi sono dei pregiudizii, anzi superstizioni: si crede che la jena sia un budda (budda in Abissinia suona strega del nostro medio evo) e si contano delle storie ridicole; per l’abbundanza delle jene che si trova in Gogiam, i gogiamesi in tutta l’Abissinia passano per budda. (1c)

Sortiti da Dembecià poco dopo siamo entrati sui confini del principato di Degiace Berù figlio di Degiace Gosciò, come sopra ho già notato; e dopo tre giorni di viaggio per quel delizioso alto piano, quasi affatto /114/ vuoto, ma molto ricco di bestiami che pascolavano siamo arrivati in vicinanza di Devra Work, dove non molto lontano si trovava accampato Ras-Aly: come era di sera ci siamo fermati per non entrare al campo in un’ora impropria, e mentre si stava preparando l’accampamento noi abbiamo voluto vedere la città. il santuario di Devra Work. Devra Work è un pane di zuccaro, in cima del quale avvi la chiesa del Santuario, e tutto all’intorno, sino quasi al piano avvi la città. Siamo montati [per] vedere la chiesa, una delle belle Chiese del paese; arrivati la dopo aver visitata la Chiesa alcuni inservienti ci presentarono all’Alaka. L’Alaka non è Prete, ma è un Deftera (Dottore), il quale governa la Chiesa, ed è superiore ecclesiastico civile di tutta la casta sacerdotale, la quale in simili gran santuarii è numerosissima, arrivando anche a parecchi[e] centinaja. [p. 187] ci ha ricevuti nel cortile, seduto egli sopra un modesto tappeto, e noi sopra alcune pelli distese per terra. Cercò di fare qualche questione, alle quali noi non abbiamo molto corrisposto per mancanza di lingua. Domandò frà le altre cose se nei nostri paesi si trovavano chiese simili alla sua, abbiamo risposto di no, e che simili chiese non si trovavano neanche in Roma; non era un’esaggerazione, perché quella Chiesa per quel paese era molto bella, ma era sempre una gran capanna coperta di paglia.

Giovanni Bel venutoci all’incontro mandato da Ras Aly.
suoi avvertimenti per la visita del Ras.
Ras Aly già aveva inteso il nostro arrivo a Devra Work, e la mattina seguente veniva mandato da lui il Signor Giovanni Bel maltese nato da una cattolica e da un Protestante, epperciò di una fede anfibia, benché affezionato ai cattolici, come sono per lo più i maltesi, ma poi un poco guastato in un collegio Protestante. Questi ci portò i saluti di Ras Aly dicendo che era impaziente di vederci. Abbiamo lasciato il campo, e siamo partiti con lui. Strada facendo mi avvertì di molte cose. Se il Ras le domanderà come sono i nostri Re d’Europa, non bisogna dire che sono più grandi di lui, disse; quindi mi avvertì pure che essendo morto un suo grande amico qualcheduno gli aveva dato ad intendere che un Vescovo poteva risuscitarlo. Riferisco ingenuamente queste cose per far conoscere la semplicità e l’ignoranza di quel principe.

complesso del campo di Ras Aly.
[arrivo: 11.12.1849]
In meno di un’ora siamo arrivati al famoso campo, il quale si estendeva [per] parecchj kilometri seminati di tende e di capanne; suddiviso poi in diversi [p. 188] altri campi separati: quello è il campo di Degiace Gosciò Zaudiè, diceva, quello è il campo di Degiace Kassà (futuro Teodoro) principe del Dembea, quello è il campo di Alygaz Berù principe degli Eggiu, quello è il Campo di Waksum Ghebra Medin, principe degli Agau, e così via dicendo. Così discorrendo siamo entrati nel Campo centrale di Ras Aly, il quale già ci aspettava dentro una gran Capan- /115/ na di Paglia, circondata da parecchie tende, e da molte, capanne, l’insieme delle quali formavano la corte del Ras.

carattere del confessore dei grandi in Abissinia, e di Ras Aly. Ras Aly, era una persona di circa 40. anni, non molto grande, grasso ma non pingue, [di] belle fattezze, molto simpatico; la sua casa presentava molta semplicità, minore etichetta delle case dei principi suoi subalterni, uomo amico di cavalli che teneva nella stessa sua casa di ricevimento, amico di animali, come cani, gatti[,] scimmie, soprattutto amico di ragazzi, i quali gli giravano intorno senza molto temerlo (1d), aveva anche egli il suo confessore, ma a dir il vero il confessore d’abissinia è piuttosto una cosa signorile che altro, è piuttosto una specie d’indovino e mezzo mago, e si occupa molto poco dei costumi essenziali dei supposti suoi penitenti, i quali forze mai si confessano, ma hanno piuttosto la missione di provare il dogma della Confessione, affinché il cristiano d’Abissinia non si possa chiamare protestante, come arriva molto anche in Oriente, essendo l’apertura del cuore al confessore frutto del ministero essenzialmente cattolico assistito dall’unzione dello Spirito Santo.

Ras Aly vero amico delle missioni. Del resto poi passò la nostra prima conferenza sui costumi dell’Europa, essendo Egli molto simpatico per gli Europei, in modo particolare per i missionarii cattolici che proteggeva di vero cuore, e per quanto la prudenza gli permetteva in un paese di grande ignoranza di un’orgoglio religioso indescrivibile.

ingordigia dei principi abissinesi. [p. 189] Il principe abissinese per lo più è una vera jena che [non] si sazia mai di regali, e l’Europeo in Abissinia non è che regalando, che può ottenere qualche cosa; Ras Aly non era di questa natura, se gli davano qualche cosa lo riceveva con molta cortesia e riconoscenza fosse anche molto o poco, ma poi il regalo non era per lui la misura della sua benevolenza ed amicizia; era anzi generoso e dava più di quello che poteva: questa è poco presso l’idea che mi sono formato di lui nei due mesi che sono rimasto presso di lui.

carattere intimo di Ras Aly. In quanto alla religione aveva un misto di cristianesimo e di islamismo, rispettava gli uni e gli altri; si raccomandava indifferentemente alle preghiere dei fachïr mussulmani, come dei Preti e monaci Cristiani. Sentiva /116/ volontieri le cose spirituali, più disposto a sentire racconto di miracoli che ragionamenti teologici o mistici; confesso però che ho potuto dire a lui certe verità, anche concernenti la sua condotta esterna, in certe cose che erano molto notate dal publico, e ciò con tutta la libertà senza pericolo di offenderlo. Sgraziatamente, come principe molto in grande, con grandi affari, dotato poi di un cuore popolare ed affabile, era molto difficile poterlo avere da solo per esercitare un ministero più diretto al suo cuore; del resto sarebbe stato una persona da potersi sperare qualche cosa per l’anima sua, e per il bene del suo paese. Io lo vedeva quasi tutti i giorni, e quando aveva qualche momento libero veniva anche egli a trovarmi, ma quasi mai solo, ed il suo carattere era così poco imponente a quei di casa ed agli amici che venivano a lui, che gli sarebbe stato molto difficile congedare una persona per avere un momento libero da solo.

ragioni del mio passaggio al campo di Bel [p. 190] Sono rimasto circa dieci giorni presso di lui nel suo piccolo campo ma la sua casa era così poco disciplinata che finì per stancarmi. I servi, i soldati[,] le donne [trascorrevano] tutto il giorno e tutta la notte [in] un cicalio continuo ed immorale che finiva per annojare; epperciò ho pensato di combinare col Signor Bel per passare al suo piccolo campo, luogo chiuso, più tranquillo e più lontano dal centro per sortire qualche volta a fare due passi. Il Signor Bel ne ebbe molto piacere, perché i suoi servi e soldati un poco affamati potevano partecipare dei nostri avvanzi che erano molti così colà sarei stato più libero, sia per dire qualche Messa, sia per fare qualche preghiera, ed anche [per] istruire un poco. Il Signor Bel s’incaricò egli di parlare e subito la cosa fù fatta: i servi e soldati di Bel che molto ci desideravano si prestarono molto per aggiustarci ogni cosa. Colà potevamo anche avere molte visite di più per esercitare un poco di ministero.

fede del Gogiam Il Gogiamese è religioso più di tutto il resto dell’Abissinia: essi appartengono alla setta detta Kevat che vuoi dire unzione; sostengono che Gesù Cristo è stato unto: io credo che da principio han voluto dire che è stato unto nella sua umanità dallo Spirito Santo, ed in questo senso converrebbe colla fede del paese di Scioha setta di Devra Libanos, la quale sosti[e]ne giustamente che G. C. ha ricevuto lo Spirito Santo come uomo, perché questa setta, non di nome, ma di fatti riconosce le due nature, e si chiama la setta delle tre generazioni, perché [p. 191] contano come terza generazione la ricevuta dello Spirito Santo. Ma il Gogiam dei nostri giorni obligato dai Copti eutichiani a riconoscere una sola natura in Gesù Cristo contro i cattolici, essendo G. C. solamente Dio sono obligati a respingere la ricevuta dello Spirito Santo nella sua umanità, e così si /117/ vedono obligati a dire che G. C. è unto nella sua divinità dalla divinità stessa, cosa che neanche loro comprendono.

In questo brevissimo quadro ho voluto far conoscere la natura specificamente diversa di queste tre sette abissinesi. Delle tre sette quella di Devra Libanos chiamata delle tre generazioni è la più prossima a noi, perché riconosce in G. C. le due nature, benché non voglia dire due nature, riconosce però Gesù Cristo perfetto Dio, e perfetto uomo, e solamente come uomo ha ricevuto lo Spirito Santo; cosa che non confessano le due altre sette.

ignoranza della distinzione filosofica trà le parole natura e persona Tutte queste questioni dipendono dalla grande ignoranza filosofica sulla distinzione della natura dalla persona. Noi leggiamo nelle storie che Dioscoro, fuggito dal Concilio di Calcedonia, e ritornato ad Alessandria prima della chiusa del Concilio per coprirsi in facia del suo clero e del suo popolo, accusava S. Leone come eretico passato alla fede di Nestorio, perché riconosceva in Gesù Cristo due persone; e questa calunnia si sente ancora ripetuta oggi dai copti e dagli abissinesi contro S. Leone e contro di noi; e noi in prattica [p. 192] abbiamo grandissime difficoltà a superare per risolvere certi individui a dire che in Gesù Cristo vi sono due nature, e ciò per mancanza d’idea categorica che passa trà queste due parole natura e persona; quando in prattica cerchiamo di spiegare questa differenza, siamo obligati ad entrare in speculazioni filosofiche, le quali non sono alla loro portata; epperciò resta sempre ancora il gran pericolo che ritornino al vomito, quando si trovano in contatto colla corrente del paese, sopratutto armata dei pregiudizii seminati dai Copti contro dei Cattolici accusati di nestorianismo, cosa molto grave.

caso pratico in materia di fede, o meglio di confessione esterna. In pratica resta a vedere, se per salvate un’anima, il missionario cattolico dopo aver ottenuto una certezza che quell’anima riconosce G. C. perfetto Dio e perfetto uomo, possa passare sopra [a] questa confessione esplicita delle due nature; dico questo, perché mi sono trovato molte volte alle strette in questo senso. Secondo me bisogna distinguere la verità dogmatica, dalla parola che spiega questa verità; la verità è eterna ed immutabile, epperciò non vi è a ripetere, bisogna crederla, altrimenti siete eretico; la parola poi nel suo senzo dipende dall’instituzione umana, ed il suo valore è sempre relativo all’idea che esprime nel uomo in individuo; la parola può avere un senso diverso in diversi paesi, come praticamente si vede; la Chiesa obligando ad una confessione con certe espressioni materiali, prima intende la verità, non la parola, la quale in certi individui potrebbe anche significare un’errore.

questione fattami da Ras Aly. /118/ A proposito di queste tre sette abissine un giorno Ras Aly mi domandò quale era [p. 193] la migliore? gli ho risposto che erano tutte [e] tre fuori di strada, perché tutte [e] tre erano fuori della Chiesa, cioè fuori della vera famiglia di Cristo, per la ragione che non ubbidivano al suo rappresentante il Sommo Pontefice successore di S. Pietro, ma che nella fede quelli di Devra Libanos erano più sulla buona strada, perche credevano Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Dunque voi amate Devra Libanos? [domandò.] Io amo tutti, dissi, purché siano disposti a sentire la verità. il santuario di Dima Ghiorgis. Quando è così, egli riprese, noi abbiamo qui la più grande Chiesa di tutto il Gogiam, la quale è qui vicina, e che dice come voi, e professa la Fede di Devra Libanos, io ve la farò conoscere. Dopo qualche giorno in quella Chiesa vi si celebra la festa di Abba Tekla Alfa un santo nativo proprio di Dima Ghiorghis, quando sarà arrivata questa festa vi farò dare una casa in Dima vicino alla Chiesa e così potrete vedere quella gran festa.

Difatti venne il giorno, ed il Ras fu di parola, ordinò al Signor Bel di condurmi là, e di farmi dare la casa ed il vitto convenevole per un giorno che [si] resterà là. Siamo partiti la sera avanti per assistere ai primi vespri e restarvi tutto l’indomani. Arrivati rimasi stupito in vedere una bella cittadina situata sul bordo del precipizio che guarda il Nilo; descrizione della chiesa, e della festa di abba Tekla Alfa andiamo a vedere la Chiesa, e sono rimasto ancor più stupito al vedere una gran Chiesa a padiglione rotondo con muri abbastanza solidi e ben fatti, e con intorno una galleria [p. 194] molto ben fatta che si direbbe un lavoro fatto da europei. Ho voluto misurare la circonferenza della chiesa non fuori, ma dentro la galleria, ed ho contato 400. passi ordinarii di commoda passeggiata. Intorno a quella chiesa vi era radunata una popolazione immensa venuta da lontano per quella festa. Siamo quindi ritornati nella casa per cenare, e dopo, accompagnato da Abba Emnatu nostro cattolico che mi aveva accompagnato dal Tigrè, ho voluto passare la notte in Chiesa per vedere la funzione, la quale dura quasi tutta la notte.

Mi hanno posto un tappeto in un luogo più appartato, e la mi sono seduto in compagnia del mio prete indigeno suddetto disposto a fare un poco di preghiera, ma mi fu impossibile: una vera taverna: chi va, chi viene, chi parla, chi grida, chi questiona; tutto quello che si faceva, in un luogo un poco lontano vi era un letturile e uno che leggeva la vita di Tekla Alfa in lingua gheez che nessuno capiva. Di quà e di là[:] chi seduto, chi coricato[,] chi dormiva, chi faceva l’amore, e chi faceva ancora qualche cosa [d’]altro peggiore, perché, come mi assicurò qualcuno molte donne vengono da lontano colla speranza di aver figli, cer- /119/ tamente non per miracolo. Il fatto sta ed è che avvi in quella confusione una promiscuità di persone molto giovani d’ambi i sessi, e dentro quella Chiesa non si trova l’illuminazione a gaz.

descrizione dei deftari e dei preti in funzione Verso le tre dopo mezza notte incommincia la Messa; il San[c]ta Sanctorum è chiuso epperciò non si vede quello che fanno i Preti; poco lontano da noi vi era il coro dei Deftari cantori (la razza più corrotta dell’Abissinia) circa una cinquantina, tutti messi in gran lusso del paese con gran turbanti; avanti [p. 195] [a] tutti quei deftari cantori una turba di donne giovani tutte messe in lusso donnesco [a] fare publicamente dei segni di approvazione e di lode: con una certa voce effeminata qualche volta esclamare, come canta bene quel tale! un vero teatro! tale è la storia dei cantori; vediamo quella dei preti: Sortono quei del San[c]ta San[c]torum, se non erro tre volte con gran pompa ad incenzare facendo tutto il giro esterno del medesimo, vestiti in gran lusso di funzione con vesti di velluto broccato di oro, regali antichi di Re e di principi con [delle] corone imperiali d’argento dorato in testa: questi poveri tappini che vestono straccj fuori di Chiesa, come si pavoneggiano! anche qui donne che fanno complimenti all’uno ed all’altro!

Al vedere tutto questo spettacolo scandaloso, se avessi ascoltato il mio cuore non mi avrebbe bastato fare un flagello de funiculis come nostro Signore, ma avrei dato il fuoco alla chiesa: oh cattolicismo dove sei, in te solo si trova il regno interiore della compunzione e dell’amore; veramente le tue chiese sole sono la vera anticamera del paradiso piene di publicani che piangono e di serafini che ardono! il cattolico che è penetrato naturalmente [da questa interiorità] deve aborrire simili postriboli col nome di chiese.

Finita la Messa si faceva giorno [e] me ne sono sortito, e rientrato in casa a dormire un poco, perché tutta la notte non mi fu possibile dormire, vinto non so se più dall’ira o dalla curiosità. Verso le nove venne Ras-Aly con gran seguito ed in gran treno di lusso con tutti i suoi generali; io non sono sortito a vederlo. [p. 196] egli dopo [aver] visitata la chiesa se ne partì, e noi siamo partiti dopo pranzo, lascian[do] di vedere la grotta famosa di S. Giorgio, detta dei miracoli. giudizio e sentenza con[tro] il famoso uccisore di sua moglie Siamo arrivati che Ras Aly stava giudicando la questione di quello che aveva ammazzata la sua moglie, e della sera abbiamo sentito la sentenza di morte contro il medesimo, accordando tre giorni ai parenti del condannato per radunare la somma necessaria per il riscatto, quando la figlia pretendente l’avesse ricevuta. L’indomani vennero anche da me, e mi sono segnato per due scudi. Passati due giorni i parenti avevano trovato persone segnate per circa 300. scudi, cioè 100. scudi di più di quanto l’uso /120/ o legge del paese domandava. questua e presentazione del prezzo del sangue Si presentarono alla figlia, col prezzo del sangue, disposti ad aggiungere, accompagnati dal clero di una chiesa vicina colla croce in mano, ma non [ci] fù verso[:] quella ragazzacia fu ferma nel sostenere il suo diritto di schiacciare la testa con una pietra a chi l’aveva schiacciata alla sua madre.

barbara esecuzione della sentenza L’indomani [l’indomani] tutta la popolazione del campo era spettatore di questa scena crudele di una figlia che dopo avere mangiato il pane tre anni di quel disgraziato [patrigno], ebbe coraggio di farlo [fuori]. Molti la lodavano strascinati dall’uso inveterato del sangue, terribile in tutti quei paesi cristiani di nome, ma non mancavano dei buoni che si stupivano, come una figlia, la quale in Abissinia poteva essere una signora con quella somma avesse tanto coraggio sopra uno, il quale aveva sopra di essa anche un poco di diritto paterno! il delitto era grave, ma aveva molte circostanze attenuanti che il paese non è solito calcolare. Questa figlia si è vendicata, ma la poveretta ammazzò se stessa, come si vedrà per quanto una storia modesta permetterà di dire.

la legge barbara del taglione Bisogna poi dire, che in quei paesi barbari, dove la religione non è forte abbastanza per correggere questa gran piaga del sangue commune in tutti i paesi barbari, dove anche [p. 197] il governo locale non è ne abbastanza forte ne abbastanza organizzato per imporre un’argine a questa corrente, questa specie di taglione quasi naturalmente introdottosi (1e) per impedire maggiori mali è un gran ritegno anche ancora attualmente, benché cosa affatto opposta alla legge di Cristo che comanda l’amore dello stesso nemico. Qui appunto si vede come il vangelo per una via molto più armonica arrivò ad incatenare lo sfogo delle passioni private di tanti altri Caini contro gli abeli.


(1a) Devra Neghest, cioè Santuario della regina. Era quella una chiesa dedicata alla SS. Vergine, epperciò ho creduto naturalmente che il nome di Santuario della regina dovesse interpretarsi per Santuario della Madonna, come regina dei cieli, e tale era creduto volgamente. Tuttavia alcuni spiegavano diversamente questo nome, cioè Santuario della regina, perché di proprietà di una regina di Gondar, come [chiesa] stata fatta fare da essa in onore della Madonna SS. [Torna al testo ]

(2a) Il regno del Gogiam in quel tempo era diviso in due principati, cioè Gogiam, e Damot, cioè Gogiam la parte a Levante, ed il Damot a Ponente. In origine tutti [e] due i principati appartenevano [p. 183] a Degiace Gosciò, presso del quale si era fissato qualche anno prima il Signor Arnau d’Abbadie. Degiace Gosciò Padre aveva dato il principato dei Gogiam a suo figlio maggiore Degiace Berù, ritenendo per se il Damot. Padre e figlio erano sudditi di Ras Aly, ma il figlio Berù essendosi rivoltato a Ras Aly, indirettamente ti rivoltò anche al suo Padre Degiace Gosciò, il quale rimase fedele [al ras]. In questo modo ti deve spiegare il caso strano dl vedere il figlio Berù in guerra col suo stesso Padre. In altra nota posteriore dirò la ragione di questa guerra accanita trà Ras Aly e Degiace Berù. [Torna al testo ]

(1b) Il nome che si suole dare a simile animale, è Obbo Sciammani, nome popolare dato in Gogiam a questo terribile animale. Obbo è un nome di rispetto, che frà i galla vicini vorrebbe dire Signore, e che suole darsi in senso appellativo a qualsiasi persona di rispetto. Sciammani poi vuole dire tessitore, nome che suol darsi in Gogiam, anzi in tutta l’Abissinia, ai fabricatori della tela. Come in Abissinia le arti non sono onorate, e certi artisti in particolare sono infami, come fra gli altri i tessitori ed i ferraj, supposti budda (stregoni, detti in francese loup garù), i quali mangiano gli uomini, come presso di noi nel medio evo; così in Gogiam con questo nome Obbo Sciammani dato a quell’animale terribile, intendevano onorarlo, non per rispetto, ma per timore, chiamandolo il Signor tessitore. Dietro tutto ciò invalse nel paese l’opinione che simile animale, fosse non un leopardo, ma un’animale di altra specie. Il naturalista Scimper in qualche sua lettera ha dovuto seguire questa opinione. Il nostro Antinori mi domandò parecchie volte detagli a questo riguardo, e cercava questo animale più favoloso che reale. [Torna al testo ]

(1c) In tutta l’alta Etiopia questa superstizione dei budda così dominante da potersi dire che nella procedura stessa criminale è legalmente calcolata, sopra tutto nel Gogiam. Il principe Degiace Berù, contro cui il Ras faceva la guerra, sopra la sua fortezza di Tsomma, deve si trovava rinchiuso in quel tempo, aveva condannato a morte otto persone taciate di essere budda. Lo stesso principe, prima ancora aveva condannato uno stato abbruciato vivo dentro la sua capanna. Io nei paesi galla aveva alcuni gogiamesi emigrati dal loro paese per causa di questo; i poveretti fuggiti fra i galla furono anche la perseguitati dai loro fratelli goggiamesi, di ciò ne ha parlato a suo tempo. [Torna al testo ]

(1d) Il povero Ras Aly sul rapporto di simili ragazzi fu molto criticato dal publico. Io ho conosciuto dei Padri di famiglia, i quali si guardavano molto gelosamente di mandare i loro figli alla corte del Ras per questa ragione. Io non ho lasciato di sgravami di un certo dovere che mi pesava, di avvertirlo; come era di un carattere molto buono, non ho che lodarmi di lui per il modo rispettoso con coi si degnò [di] ascoltarmi. Questa sua debolezza, unita alla taccia d’islamismo che gravitava sopra di lui, furono causa della sua rovina. [Torna al testo ]

(1e) Nei luoghi dove il governo non è più sufficiente per garantire la vita dei privati, nasce naturalmente la concentrazione delle caste, e quindi la vendetta del taglione, come unica risorsa per assicurare la visa dei privati. Bisogna confessare [esservi] questa [legge] in tutta l’Etiopia, sia frà i galla, e sia fra i così detti Cristiani, divenuti pagani in pratica. È questa una lezione da meditarsi nella nostra stessa Europa, dove i costumi cristiani si abbassano, e si va abbassando in proporzione il prestigio governativo per la punizione in materia di sangue. Io veggo già attualmente le caste [a] formarsi nelle diverse associazioni liberali. Ancora qualche tempo e poi si batteranno fra loro; e poi nascerà anche il taglione, anzi già veggo questa [legge] nata frà i socialisti per vendicare il loro sangue. Avviso ai governi... [Torna al testo ]