/128/

15.
Nel Beghemèder:
da Abba Desta e con P. Giusto da Urbino.

Passati che fummo, appena ebbimo il tempo per sortire dal primo letto dei fiume che già era notte epperciò fu forza riposarci in un piccolo villaggio, il quale non contava più di dieci case. Fiturari Ciuccul ritornando al [al] campo del Ras aveva portato con se la tenda, epperciò noi eravamo costretti [a] entrare in una di quelle casupole, oppure [a] dormire fuori alle belle stelle. Vi era una casa un poco più grande, ma vecchia; [p. 209] per forza siamo entrati nella casa più grande, la quale poteva contenere tutto il nostro mondo. Appena fatta un poco di cena mi posi sul mio grabato (specie di letto tessuto con corde, oppure con liste di pelle) per riposarmi, ma non fù possibile. una cattiva notte per causa di cimici e pulci Subito che il fuoco fù estinto, una vera pioggia d’insetti cadeva da tutte le parti, guai cercare, come è naturale, di amazzarli [perché si sprigionava] un’odore che eccitava al vomito; oltre di questo [c’erano] pulci che non lasciavano vivere; io non ne poteva più, e sent[iv]o che anche gli altri si trovavano nello stesso caso; si accese il fuoco di novo e si fece consiglio di sortire di casa e andarsene dormire all’aperto. Prese le nostre pelli che ci servivano di tappeto siamo sortiti fuori; [io] voleva far portare il grabbato per non dormire sulla nuda terra ma tutti mi consigliarono [di] lasciarlo, come pieno di cimici. Così, stesa la nostra pelle per terra in un luogo dove vi era un poco di erba, e colà abbiamo potuto riposare un poco.

L’indomani mattina quei bravi paesani ci portarono molto latte, e mentre gli altri facevano arrostire un poco di carne sulle bragie io ho fatto un poco di zuppa col cattivo pane del paese, e così ho fatta la mia collazione aggiungendo un bel corno di aqua.

[p. 210] Abba Emnatu, quello che io aveva mandato al Ras da Gondar, andando e venendo era passato da un monaco di un paese non molto lontano, dal quale aveva ricevuto molte cortesie: gli aveva promesso di /129/ farci passare in casa sua, epperciò abbiamo deciso di passarvi; ma vi era una buona giornata da camminare; al momento in cui scrivo non mi ricordo il nome del paese; e neanche del monaco; per arrivarvi abbiamo camminato quasi tutta la giornata, e vi siamo arrivati la sera. Dalla notizie che me ne dava Abba Emnatu era un vero santo, e tutto il paese lo considerava come tale: io era molto curioso di vedere simili individui, non fosse altro per esaminare a che grado di virtù può arrivare un’eretico privo d’istruzione, senza l’ajuto dei sacramenti, colla sola arma dell’ignoranza invincibile, e della buona fede; è naturale perciò che io mi era fissato di tutto esaminare per istruirmi

nostro arrivo a casa di Abba Desta.
cordiale ricevimento
Siamo arrivati diffatti verso sera, mentre egli si trovava ancora in Chiesa, dove passava per lo piu tutta la giornata. Trovammo in casa una monaca, ben inteso secondo il [criterio del] paese, come sarebbe [una] specie di terziaria nostra, la quale faceva come da padrona di casa; essa ci disse che l’Abba parlava molto della nostra venuta, e ci aspettava molto, benche non sapesse il giorno del nostro arrivo: questa brava monaca fù tosto tutta sottosopra [p. 211] per il nostro arrivo; due piccoli ragazzi di casa da dieci a dodeci anni ciascheduno corsero subito alla Chiesa per avvertirne l’abba; carattere del monaco abissino in preghiera;
chi più chi meno conviene in ciò cogli orientali, anche mussulmani.
il monaco abissino però, sia per onore della casa di Dio, sia [per] un santo orgoglio che domina, il fatto sta ed è che perlopiù non interrompe la sua preghiera in simili circostanze, e suol fare consistere tutto il merito dell’operazione spirituale nel compimento esterno dell’opera; egli non ha idea di quella certa santa latitudine con cui l’uomo di Dio, uso a star sempre in preghiera nel cuor suo, sa lasciare al uopo Iddio per Iddio, e sospende anche una sua divozione per dar luogo ad un’altra azione, qualche volta, anche solo per non contrariare una persona; l’abissino invece sia nella preghiera, sia nel digiuno, od [in qualsiasi] altra cosa spirituale, da molta, anzi tutta l’importanza al comp[l]imento dell’opera esterna; ciò sia detto per iscusare, non per far un demerito al nostra monaco. Fatto stà ed è che con tutta la crisi di casa sua che cagionò il nostro arrivo, anche molto desiderato, egli non si è mosso sino a sera, e neanche avrà cercato di dare una risposta a chi gli portò la notizia, tale essendo l’educazione del paese in questo genere.

Frattanto noi abbiamo gustato un corno di birra che ci aspettava, abbiamo preso possesso della sua casa, e fatta la nostra preghiera, quando egli arrivò quasi circa l’Ave Maria, che colà non vi è l’uso di dire. Arrivato, con tutta cortesia e calma nel tempo stesso si congratulò con noi [p. 212] del nostro arrivo, ci domandò del nostro incontro con Ras Aly, ed altre notizie del campo. Egli era ancora digiuno, e la sua mona- /130/ chella gli portò subito un bel corno di farina di linosa sciolta nell’aqua e miele, molto in uso ai monaci per rompere il digiuno. Io gli ho domandato se vi erano molti altri monaci nel paese, ma egli con una semplicità e tranquillità incredibile risposta poco umile di abba Desta, ma con gran se[m]plicità. mi diede questa risposta = nel paese monaci ve ne sono molti, ma perfetti monaci come sono io, una volta eravamo tre, ora due sono morti e sono rimasto solo io = allora essendo io ancor nuovo in Abissinia lo confesso che sono stato un poco scandalizzato di simile risposta ma oggi che conosco meglio il paese non mi scandalizzo più, anzi, avuto riguardo all’educazione loro, dico che una risposta simile in Abissinia potrebbe anche essere senza colpa, od anche solo diminuzione di merito, perché l’umiltà evangelica di perfezione è una cosa poco conosciuta, anzi nel poco bene che usano di fare si pavoneggiano molto, forze senza colpa.

abba Desta riceve molto, e da molto. Questo monaco [non] ha nulla, ma è richissimo di oblazioni spontanee che riceve dai facoltosi, come uomo di gran perfezione. Molti altri di questo genere lo fanno facilissimamente per speculazione, e lasciano per lo più di che [da] dubitare di loro: questo poi, avendo [io] veduto la carità che fa, e la facilità di dare anche ai forestieri senza bisogno, sono costretto a dire che avvi in lui qualche cosa di superiore per questa parte.

costumi dubiosi di abba Desta [p. 213] Piutosto un’anno dopo essendo passato di nuovo colà, e rimasto due giorni ho potuto in altre cose trovare di che scandalizzarmi di lui: quel buon monaco esercitava gran carità per i poveri, ma poi non dava un segnale di sentire il bisogno d’istruirli, avvisarli, e correggerli per la salute dell’anima loro; ho veduto anzi quei due giovanetti di casa sua medesima parlare non troppo modestamente e fare certi atti tendenti al turpe, e ciò in sua presenza stessa, e non solo non correggerli, ma ridervi sopra; come in queste cose è difficile aver la bona fede, ed un cuore ben fatto che dimora con Dio deve naturalmente sentirne ribrezzo, mi sono trovato imbarazzato per giustificarlo: come altresì si diceva che faceva bere per divozione l’aqua dopo lavatesi le mani.

Ho voluto esporre candidamente il ritratto di questo uomo per far conoscere dove è caduta la povera Abissinia, e quanto lo spirito evangelico sia lontano dalla medesima, paga della lettera esteriore, e dando un valore sacramentale di perfezione a tutte le esteriorità. Esiste piuttosto in Abissinia il Sanctificamini dell’antico testamento, a preferenza della vita interiore.

Dopo un giorno di riposo presso quel buon monaco arrivo a Beklòfellega;
di là in due giorni al Reeb.
siamo partiti per Beklò Fellega grosso paese appartenente ad Ozzoro Menen Madre di /131/ Ras Aly, [p. 214] dove eravamo particolarmente raccomandati. Ozzoro Menen non si trovava, e fummo ricevuti dal suo rappresentante. Camminava con noi un porta voce con lettere al governatore anche di Gondar, il quale d’ordine del Ras doveva darmi l’accompagnamento sino a Matamma, avendo [io] deciso col medesimo di passare per Matamma, e per il Sennar, onde schivare la persecuzione del Vescovo Salama, e sollevare nuove questioni in Tigrè, dove io era esiliato.

organizzazione del mio viaggio col P. Giusto misteriosa, pubblicamente per Gondar, secretamente per altra via. Da Beklò Fellega in due giorni siamo arrivati ad un villagio poco distante dal torrente Reheb, dove abbiamo passato la notte. Qui abbiamo fatto un complotto secreto col P. Giusto, nel quale abbiamo conchiuso che io con un solo servo che non mi conosceva sarei rimasto qualche giorno nascosto in un villaggio di Zellan, ricchi pastori semi pagani, i quali pascolavano milliaja di vacche presso la Chiesa dedicata a Dio Padre, chiamata Eghiabier Ab ad oggetto di bere del latte; egli sarebbe andato direttamente con tutta la carovana nostra ad Ifagh, ove avrebbe fatto provviste per viaggi ulteriori. Lo scopo di questa nostra separazione era quello prima di tutto di sottrarmi dalla voce publica in Ifagh, ed in Gondar. Egli in Ifagh avrebbe mandato a Gondar il porta voce del Ras al Governatore, affinché questi preparasse la mia partenza per il Sennaar, mentre io invece, accompagnato da due semplici servi che non mi conoscessero, al mio arrivo in Ifagh, di notte sarei subito partito per un’altra strada, che girando intorno a Gondar [p. 215] senza che nessuno sapesse, io sarei andato direttamente al Waggarà. Il Padre Giusto aveva due incombenze, prima quella di addormentare la nostra carovana dicendo che io doveva andare ad aspettare nelle vicinanze di Gondar l’accompagnamento del Governatore di Gondar in un luogo che il solo P. Giusto doveva sapere onde nascondermi al partito del Vescovo Salama in Gondar. In secondo luogo egli doveva farmi un piccolo carico contenente qualche provvista di viaggio, provvedermi un’asino, ed un servo, oltre a quello che già aveva. io rimango presso i zellan, il p. Giusto colla carovana partono per Ifagh. Quando tutto questo sarebbe stato apparecchiato avrebbe mandato a prendermi, per condurmi in un luogo che lui solo sapeva, ed egli solo sarebbe venuto per ulteriori combinazioni. Così P. Giusto partì con tutto il seguito per Ifagh, ed io sono rimasto coi Zellan di Eghiabier Ab sino al suo avviso.

Io ho passato cinque giorni in casa di un povero Pretocolo abissino che aveva casa vicino ai Zellan, dove non mangiava altro che latte quagliato e pane fresco che il prete mi dava ogni giorno. conversazioni coi giovani diaconi Io conversava con tre giovani diaconi dell’età dai 15. ai 20. anni, ed ho voluto interrogargli di molte cose per vedere la condotta di questa gente. Prima ho domandato loro se si confessavano, e mi risposero che non essendo ancora mari- /132/ tati non avevano ancora il confessore, ma, cari miei, dissi, io aveva più bisogno di confessarmi quando era giovane che oggi; [mi risposero:] noi siamo ancora giovani epperciò non ci accostiamo a donne maritate, se faciamo qualche cosa è con figlie giovani ancora pure. [p. 216] Ma fate voi la S. Communione? [incalzai io.] Siamo diaconi per forza bisogna farla, alcuni dissero; ma e come potete fare la communione senza confessarvi? nei nostri paesi, rispose un’altro, anche quando siamo per morire i giovani non si confessano: oh questa sì che è bella, io dissi; quando bene volessimo confessarci i preti non vogliono; un giovane cosa può dare al confessore [ribatterono essi]; certo, dissi, che non dovete rubare per dare al Confessore. Dopo ho domandato da chi avevano ricevuto il diaconato, io l’ho ricevuto a Devra Tabor da Abba Salama prima della prima guerra di Ubiè, disse uno; un’altro mi disse che l’aveva ricevuto da molto piccolo quando il mio Padre è stato fatto prete, ed appena mi ricordo. Volete sempre essere diaconi? no, rispose uno, che era il più grande, io mi mariterò presto, e poi dopo mi farò Prete: e non vi fate monaco? io dissi, he! sono troppo giovane per farmi monaco, nei nostri paesi si fanno monaci dopo che è morta la moglie, oppure che sono già vecchi e stanchi del mondo. Io, dissi, sono di un paese, dove quelli che si fanno monaci sono di 15. o al più 20. anni: allora tutti si misero a ridere; come è possibile? dicevano: alcuni abissini prendono medicine per la castità. nei vostri paesi avete molte medicine, io, disse il più grande dei tre, ho scritto un libro senza paga per un deftera, che mi aveva promesso una di queste medicine, mi [ci] volle tutto per averla, e dopo che l’ho avuta sono stato più indiavolato di prima, per questo ho lasciato di farmi monaco. (1a) [p. 217] Sortì fuora un’altro e disse: io non ho denari da /133/ pagare, ma farei anche il servo due o tre anni per avere questa medicina: dopo cosa guadagnerai, io dissi; egli rispose[:] cosa guadagnerò? mi facio monaco, e dopo che sono conosciuto come monaco che non cerco più queste cose, allora trovo [modo di] entrare in qualche gran casa; il padrone mi lascia colle donne, mangierò bene, beverò bene, e vestirò ancor meglio, e tutto questo, è poco?

vera conferenza spirituale a quei giovani Dopo tutte queste conferenze da me scritte unicamente per far conoscere nelle diverse risposte tutte le miserie del così detto clero abissino; allora ho creduto arrivato il momento di montare in cattedra, e senza dire che io era prete, e più che prete, ho fatto conoscere a quei giovani la vera medicina per aquistare la castità, ed aquistarla non per mangiare e bever bene, ma per guadagnare il paradiso. Incomminciai per dire che nel mio paese non era colle medicine che si otteneva la castità, ma colla viva fede, fede che ci mette alla presenza di Dio come giudice, fede che ci fa vedere l’inferno, come paga dei piaceri della came, fede che scopre il paradiso, il quale si chiama regno, perché non fatto per i pigri, ma per chi combattendo è arrivato a vincere tutte le tentazioni del diavolo, e tutte le lusinghe della carne. Quindi [mancanza di] speranza in Dio che ci da forza per combattere, e speranza di possedere il paradiso, che è una felicità eterna che non si perde più, mentre i piaceri [p. 218] durano un solo momento, e passati appena lasciano il cuore immerso nelle amarezze e fra i rimorsi. Il gran male è che qui non si trovano buoni confessori che assistano il povero giovane nella battaglia coi diavolo e colla carne; la confessione non è fatta solo per i maritati, ma è fatta ancor più per i giovani, perché più deboli. Finalmente la gran medicina è il vero Kurvan (eucaristia) il quale ci da forza, e stabilisce la carità ed il vero amor di Dio sopra tutti i piaceri del mondo, è il Kurvan ben ricevuto dopo una buona confessione, ed una vera conversione a Dio, altrimenti il Kurvan col cuore pieno di amori disonesti diventa come il Kurvan ricevuto da Giuda, veleno che ammazza. Coi giovani abissinesi, i quali [non] hanno mai sentito una parola di salute poco basta, il loro cuore è subito preso, in modo che se io non mi fossi trovato nella circostanza di dover sortire dall’Abissinia, frà i tre, i due più giovani mi avrebbero, seguito subito, ed anche il più grande, se non avesse avuto il suo matrimonio già come organizzato.

mie scuse sul sistema della conversazione precedente troppo libera. Alcuni potrebbero aver notato, come meno grave (1b) la maniera con cui /134/ mi sono introdotto con questi giovani, ma dopo lunga esperienza posso assicurare che il giovane abissino va preso in questo modo: se io mi fossi presentato con un’aria imponente, massime dopo che mi avessero conosciuto come uomo di Dio, mai avrebbero lasciato trasparire tutte quelle piaghe che avevano, ma tutto [p. 219] all’opposto avrebbero preso un carattere tutto spirituale, secondo il vento che tira. Qualche volta ho parlato anche coi due Preti, ma questi sono pezzi difficili a spaccarsi: non [è] che un lungo ministero che può fare qualche cosa dopo molta fatica, la più parte sprecata; perché in questa gente già abituata a fare un mercato, tutto è calcolo, e quando hanno minori disposizioni, allora paiono già frutti maturi. Non così il basso popolo anche adulto: questi presenta un poco più di sincerità.

mia partenza per il luogo convenuto con P. Giusto.
nostra separazione;
egli andò a Gondar, ed io ho girato intorno.
Frattanto passarono i nostri cinque giorni, ed ecco arrivarmi un messaggiere con una lettera del P. Giusto, il quale mi aspettava in un dato luogo vicino a Ifagh per la sera stessa. Partii subito, e sono arrivato al luogo indicatomi verso sera. Come aveva tutto preparato, prese le ultime intelligenze, egli se ne ritornò verso la sua famiglia, ed io l’indomani mattina colla luna sono partito, tenendo una strada più all’est di quella che va a Gondar. Ho fatto una specie di circolo intorno alla capitale percorrendo quattro villaggi, antico patrimonio del Vescovo eretico, il quale gli è stato preso nell’epoca della sua espulzione da Gondar, avvenuta, se non erro, nell’anno 1844. Nel tempo che quei paesi appartenevano al vescovo i soldati del governo [p. 220] non vi andavano, essendo riservati ai pochi soldati del Vescovo; epperciò quei paesani avrebbero desiderato il suo ritorno. arrivo a Doqquà;
parto per il mercato di Waggarà;
corriere di Gondar
Partiti di là il quinto giorno dalla nostra partenza da Ifagh siamo arrivati a Doqquà, dove già pernottammo venendo dal Semien. L’indomani invece di tenere più all’Nord-Est per andare al Semien, abbiamo tenuto invece il Nord-Ovest e siamo andati al gran mercato del Waggarà; strada facendo ho trovato alcuni dei nostri di Gondar, i quali mi dissero che il P. Giusto era arrivato felicemente in Gondar, dove si disponeva ogni cosa per il mio viaggio a Matamma e Sennar. Allora a questi per forza ho dovuto rivelare il mistero, e che si guardasse[ro] di parlarne, perché i servi stessi non mi conoscevano, e non sapevano ancora le mie risoluzioni.

/135/ lo sono andato al villaggio vicino al mercato dove abbiamo passata la notte; l’indomani, fatte alcune provviste, e preparata una lettera per Gondar che ho consegnato a colui che era venuto di là io ho preso la strada di Hammamò per discendere al Wolkalt. discesa per Wolk[a]ït, e Waldubbà Che orrida discesa è Hammamò! In due giorni siamo arrivati a Waldubà, dove arrivava in quel momento una piccola carovana di scuolari mandati da Abba Salama. Avrei voluto vedere quel famoso monastero dell’Abissinia, ma la circostanza dell’arrivo di quella carovana m’impedì di andarvi, ed invece sono andato [p. 221] a passare la notte in un villagio vicino che apparteneva al monastero. Come era un paese basso ed abbastanza caldo, sotto pretesto delle cimici non ho cercato di entrare in casa, e ciò per non espormi a parlare troppo. Ma più l’uomo si ritira e più è cercato, il padrone di casa venne a portarmi un poco di pane ed un poco di latte; nel medesimo tempo si sedette, e pareva molto disposto a discorrere. industria per declinare le interrogazioni di una spia di Abba Salama. Mi domandò dove voleva andare: eh! una persona che viene per far fortuna in questi paesi [– dissi –] si sbaglia: l’uomo che ha denari da spendere può cavarsela in Abissinia, ma chi viene per cercare denari non trova che miseria, e finisce per perdere la sua salute: ho pensato che è molto meglio ritornare nel mio paese. Ho preso questa maniera di parlare per declinare ogni discorso che potesse in qualche modo svelare il mio mistero; solamente io temeva dei miei servi per ogni caso che avessero penetrato il mistero: nel caso anche affermativo, che avessero saputo qualche cosa non lo danno a conoscere, piuttosto lo dicono in confidenza agli altri, ma a me fanno finta di nulla sapere. Io sperava che il Padron di casa con quel mio discorso di disgusto sull’Abissinia se ne sarebbe andato subito, ma tutto all’opposto, egli era venuto per discorre[re], e discorrere appunto di quello che io non voleva: [p. 222] egli si gettò direttamente sul discorso del Vescovo Salama molto in collera con Abba Messia, il quale dopo essere stato esiliato, ha trovato la maniera di ritornare, e passato a Gondar, partì, alcuni dicono per Scioha, alcuni dicono per il Gogiam, ed alcuni dicono ancora che deve ritornare in Gondar; io, dissi, senza scompormi, e come indifferente, io non posso dirvi altro se non che ho veduto un porta voce del Ras al Governatore di Gondar, il quale portava l’ordine di farlo accompagnare sino a Matammà, ecco tutto, e nel mercato di Waggarà una persona venuta da Gondar diceva che l’aspettavano colà.

Volendo io intanto troncar questo discorso, il quale mi esponeva troppo o a dire delle bugie, oppure a svelare il mistero, da Waldubba a Massawah quall’è la strada più curta? ho cangiato il discorso e gli ho domandato quale sarebbe stata la strada più corta per andare a Massawah. Se non avete affari in Adoa, disse, passato che /136/ avrete il Takazziè invece di prendere la diritta che conduce in Adoa, prendete la sinistra, e andate per la strada dell’Amassen; quella passa a Gondet, da Gondet a Cajakeur, e di là in quattro giorni siete a Massawah. L’ho pregato di farmi portare un poco di paglia per dormire all’aperto; egli fù ancor più cortese[:] mi fece portare un letto, e così coi miei due servì vicini mi posi a dormire. partenza per il Takazziè ho sca[n]dagliato i miei servi;
ho promesso qualche regalo
L’indomani mattina, appena spuntava l’aurora noi eravamo già in viaggio. Vedendo che il passo [p. 223] era molto pericoloso, e da quanto si diceva, Abba Salama mi dava la cacia, ho pensato di far coraggio ai miei servi, ed ho promesso di dar loro l’asino in regalo se frà otto giorni saremmo attivati a Massawah, dove [alcune] persone mi aspettavano; [dissi loro:] siate boni, siate arditi, e non temete; passeremo per l’Amassen, perche, da quanto mi dicono la strada è più curta, e strada facendo prendete tutte le informazioni affinché non accada di sbagliare la strada. Allora uno dei ragazzi mi disse che egli conosceva la strada di Adoa, ma non conosceva la strada dell’Amassen; [io incalzai:] se non conoscete la strada dell’Amassen domandate ai viaggiatori, perché io non voglio andare per Adoa, essendo la strada troppo lunga, e poi non volendo discendere la Taranta, dove l’asino istesso potrebbe soffrire: la strada dell’Amassen è più curta, più piana, epperciò non pensate ad altro se volete sperare la mancia; allora tutti [e] due si misero d’accordo e mi promisero di fare tutto il loro possibile per arrivare a Massawah in otto giorni.

lezione a chi viaggia fra i barbari. Per chi viaggia frà i barbari, sopratutto in cattive circostanze, ed in cattivi luoghi questo è il sistema da tenersi. Nei paesi cristiani e civili si può calcolare sulla moralità del uomo, sul timor di Dio, sulla publica onestà o onore che si voglia dire, ma non così frà i barbari, per calcolare sulla parola di una persona qualunque bisogna sempre lasciargli trasparire una certa speranza avvenire [d’interesse] secondo la circostanza, e la qualità [p. 224] della persona dominata da passioni più o meno in grande; a un povero la speranza di un franco può essere bastante per un piccolo servizio, ad un’altro non basterà il valore di uno scudo per un’affare un poco delicato; ad un gran capo per la riuscita di un grande affare non basteranno dieci, e qualche volta neanche cinquanta. Si rifletta qui che un gran capo raramente farà un cattivo affare egli stesso, ma ha tutte le sue tele tese, e può farlo fare secretamente senza compromettere il suo onore. Il cuore dei selvagi non è fatto per la riconoscenza, essenzialmente figlia dell’educazione religiosa: epperciò ciò che è dato non si calcola più dal selvagio, ma per calcolarlo bisogna che speri. Il viaggiatore saggio deve calcolare molto queste cose per non compromettere la sua vita, e qualche volta anche un grande affare.

/137/ In fatti quei miei due servi quando hanno sentito parlate di mancia hanno cangiato affatto natura e modo di trattare. Con tutto ciò io non ho osato esternare il mistero della mia qualità di Vescovo, perché la mancia promessa non sarebbe stata abbastanza per un’affare così grave, potendo sperare di più col tradimento dalle mani del Vescovo eretico.


(1a) Da ciò si vede che l’altezza angelica della castità evangelica non è sconosciuta affatto in Abissinia; non è sconosciuta nel basso popolo, il quale venera i monaci, e si può dire che un monaco gode tutta la stima, e la fiducia in questo genere. Non è poi neanche sconosciuta dalla gioventù, la quale si vede molto inclinata verso lo stato celibe, se foste coltivata, e possedesse il tesoro delle grazie da Cristo preparate, ma sgraziatamente ne è priva di tutto. Lo stesso cercare la castità per mezzo di medicine materiali è una prova di ciò che io dico. Se mi trattengo in questo soggetto, forze [in] un grado troppo minutamente è appunto perché ho dovuto lottare con alcuni dei nostri, i quali si manifestavano contrarii all’ordinazione dei monaci abissini. Che la Chiesa abbia approvato il matrimonio dei preti come indulgenza, e per i bisogni che vi possono occorrere, molto bene, ma poi la Chiesa conosce molto bene che non si può andare più avanti del limite segnato dal divin maestro, od arriverà mai al punto di legare le mani al divin Maestro, il quale può fare degli angeli anche fra gli uomini. Difatti io, sia nel Vicariato del Nord, sia nel mio del Sud tutti sanno [p. 217] esservi casi dei monaci veri tipi di castità e di apostolato. In ciò l’Abissinia non è all’Oriente inferiore, quando avrà trovato dei veri apostoli per far capire all’Abissinia ed all’Oriente il gran verbum che non tutti capiscono anche fra noi europei. Iddio largheggerà dei suoi doni, e si vedrebbero anche là miracoli di purità e di apostolato. Questo poi ha bisogno di uomini celibi che non hanno il cuore diviso per svilupparsi; i conjugati potranno custodire una posizione già fatta, ma per l’euntes, docete... sono ucelli colle ali legate... [Torna al testo ]

(1b) Io ho scritto queste mie memorie unicamente per obbedire ai miei superiori, risolto ad ogni costo di non publicarle colle stampe. Io pensava unicamente di lasciare queste mie memorie alla Chiesa di Dio per la sola utilità della medesima, e dei futuri missionarii apostolici. Scrivendo ho tenuto sempre secreto [p. 219] il mio lavoro; sono arrivato allora ad obligare alcuni giornali a /134/ ridirsi di certe espressioni che potevano in qualche modo sollevare l’opinione publica in contrario. Il mio lettore perciò non deve stupirsi nei vedere il mio stile poco misurato sopra certe materie, massime da principio. Ma le mie cautele per tener occulto il lavoro furono inutili, e dopo quasi 15. mesi mi sono veduto come trasportato dalla publica corrente a determinarmi a publicarlo. Fu quindi una vera necessità moderare un tantino lo stile per renderlo presentabile ad ogni ceto di persone. Io vecchio e stanco, non potendo risolvermi a rifarlo, l’ho consegnato a collaboratori maturi, pregandoli di purgarlo come conveniva al publico. [Torna al testo ]