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17.
A Massaua e ad Aden.
Il greco Stefano e lo schiavo liberato.
L’indomani siamo partiti dopo la nostra collazione, e la guida portava due vasi di latte per bere in strada e dopo cinque ore circa di buon cammino siamo arrivati ad un’altro accampamento di pastori, lontano appena mezza giornata da Umkullu.
arrivo a Umkullu
[7.3.1850]
il sacerdote indigeno don Gabriele.
Resta inutile riferire le accoglienze fatteci, per non ripetere poco presso sempre lo stesso. Là conobbi l’arrivo del P. Leone in Massawah, e scrissi subito un biglietto che uno dei pastori si incaricò di portarlo della stessa sera a Umkullu, dove si trovava in quel momento il P. Gabriele sacerdote indigeno, ed allievo di Propaganda, il quale l’avrebbe mandato a Massawah.
Così l’indomani, partiti di buon mattino poco dopo mezzo giorno siamo arrivati a Umkullu, dove ci venne incontro il P. Gabriele suddetto impaziente di vederci. Monsignor Dejacobis non si trovava in Massawah, ma era andato ad Alitienà.
arrivo di padre Leone da Massawah
[8.3.1850].
Della stessa sera venne il P. Leone da Massawah, e vennero altri amici a vederci; fra gli altri un certo Stefano Greco, che io alla mia partenza aveva lasciato molto disposto a convertirsi, volle portarmi la mia cena da Massawah.
incommincia la storia del greco Stefano mio antico proselito [p. 239] Più di tutti questo neofito era fuori di se per il mio arrivo, quasi presago di quanto doveva accadere. Egli aveva una casa non molto lontana dalla casa di Degoutin, dove restava ordinariamente la missione, ed appena finirono i convenevoli di uso se ne andò in casa sua. Io doveva passare la notte a Umkullu, ed il P. Leone se ne ritornò a Massawah. Nella notte [mi] vengono a chiamare dicendo che Stefano era ammalato; il Padre Gabriele abissino non volle disturbarmi, ma andò egli a vederlo. Il povero Stefano era molto ammalato, ed io sono andato, lo viddi, e gli dissi che sarebbe stato bene andare a Massawah, ed i suoi servi l’indomani mattina subito lo fecero trasportare. Io poi detta la S. Messa, e preso un poco di caffè sono partito pure per Massawah.
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mio arrivo a Massawah.
Visite, molte lettere di Aden, e dell’Europa;
penso a Stefano
Appena arrivato a Massawah vennero molti a vedermi ed io ho passato la giornata senza più pensare a Stefano. Le notizie dell’Europa, le notizie dei due missionarii nuovi PP. Leone e P. Gabriele da Rivalta nuovamente venuti, le notizie di Aden ci occuparono tutto il giorno, le sole lettere dell’Europa, segnatamente di Roma, di Aden, ed altre bastarono per occuparci tutto il giorno. Ho detto a Fr: Pasquale di andare a vedere Stefano, ma egli mi disse che quella casa non era più una casa per noi, poiché Stefano essendo divenuto Procuratore di Abba Salama, ed agente consolare inglese, la casa era piena di abissinesi mandati dal Vescovo eretico Salama per i suoi affari, e questi
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come era naturale, non ci vedevano più volontieri dopo tutte le storie avvenute in Abissinia contro di me, e si mandò invece un servo.
L’indomani prima disse la Messa il P. Leone, e poi la dissi io, e vennero a Messa la famiglia di Degoutin, il quale non era più Console; perché in tempo di mia assenza era venuto un nuovo Vice Console M.r.[...].
Stefa[no] ammalato, tradito dai suoi,
fugge e viene alla Messa.
consigliato se ne ritorna.
Mentre io diceva la Messa mi sono accorto che Stefano vi assisteva, e dai gemiti suoi viddi subito che il poveretto era molto ammalato. Appena terminata la Messa questo povero uomo si mise publicamente a piangere dicendo che non voleva morire eretico, ma che voleva confessarsi. Io lo persuasi dì andarsene in casa, e che mi facesse chiamare, che io sarei venuto; mi ascoltò e se ne andò; ma il poveretto non era tranquillo e tutta la giornata passò in questa fissazione, ma le persone di casa non volevano chiamarmi. Passò la giornata così agitato, e nella notte seguente peggio ancora, ogni momento si levava di letto, e voleva venire da me.
pubblicità per venire.
sono chiamato.
vado.
Per forza le persone dovettero venirmi [a] chiamare. Fra Pasquale temeva per me che vi fosse qualche cosa di ordito dalle persone di Abba Salama, e volle seguirmi armato di pistola.
Strada facendo una torba di gente nella contrada tumultuava, cosa è[?], domando. Stefano [era] sortito di casa per venire da me e volevano impedirlo, dicendogli che mi avevano chiamato, ma egli ben conoscendo tutta quella gente non credendo che veramente mi avessero chiamato, si [di]batteva per venire, molti della città lo trattavano da matto: io arrivo [p. 241] apponto in mezzo a quella confusione, ed appena mi vede si getta ai miei piedi; lo prendo per la mano e lo conduco in casa sua. I mussulmani che viddero questo cangiamento, non potendo capire quanto può, e dove arriva il desiderio di un’anima cristiana, che si vede morire, per avere il Sacerdote, han creduto che io avessi fatto un miracolo, ma niente affatto, piuttosto il miracolo era la sua conversione, tutto frutto della misericordia di Dio.
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Lo [ho] portato in casa, ho fatto sortite tutto il mondo, l’ho confessato, e dopo averlo tranquillizzata, mi sono congedato assicurandolo che sarei ritornato, e che o io, o il P. Leone, oppure Fr. Pasquale, uno vi sarebbe sempre stato presso di lui. Diffatti non l’abbiamo più abbandonato.
Il p. Leone gli amministra i sacramenti,
e spira nelle sue mani
[11.3.1850]
Il P. Leone della giornata gli amministro l’estrema unzione, e la benedizione papale, e nella notte seguente morì. Monsieur Busson Capitano della Granouille, bastimento mercantile dell’Armatore Regis di Marsilia, rappresentante del nuovo console Francese, appena sortita il cadavere dalla casa, mise il sigillo alla casa, perche Stefano era un negoziante avente beni proprii, quindi era agente consolare inglese lasciato dal Signor Plauden andato in Abissinia, poscia era anche Procuratore di Abba Salama.
viene la Vittoria,
il capitano inglese ordina la sepoltura cattolica.
Appena morto Stefano arriva la Vittoria bastimento da guerra inglese, e [il capitano] sentendo la morte dell’agente consolare venne da me; gli ho raccontato tutta la storia passata; le deposizioni
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fattemi prima di morire; quindi essendo egli ancora insepolto bisognava pensare a fargli una sepoltura conveniente ad un’agente consolare inglese. Come i Cristiani morti in Massawah si seppelivano in una piccola isoletta a parte il Capitano della Vittoria mandò tutto l’equipaggio del bordo coi loro canotti ornati di bandiere per l’accompagnamento.
Il P. Leone [e] F. Pasquale con croce inalberata,
accompagnati dagli uomini dei due bastimenti lo portano al cimitero cristiano.
Il P. Leone e Fr. Pasquale in abiti di chiesa con croce inalberata lo accompagnavano. Quando il cadavere sortì dall’isola e fù posto in mare si sparò una canonata. Quando lo misero nel sepolcro tutti i soldati pure spararono i fucili. Così finì il povero Stefano, ed io ringraziava il Signore di essere arrivato dall’Abissinia proprio nel buon momento per salvarlo.
Frattanto io scrissi subito a Monsignore Dejacobis, che essendo io ritornato dall’Abissinia, e dovendo partite per Aden, e quindi per Roma, avrei desiderato di abboccarmi prima con lui. Egli non tardò a venire, ma si trovava abbastanza lontano per ritardare almeno dieci giorni prima di arrivare, epperciò non avrei potuto partire col ritorno del bastimento inglese. Ma Iddio non tardò molto a mandarmi un’altro bastimento mercantile di Maurizio, venuto per caricare muli.
L’affare del nostro Stefano mi aveva impedito di conferire col P. Leone sopra tutti gli affari occorsi in tutto l’anno 1849. Fu allora che ho avuto molti detagli
[† 24.5.1847]
[21.5.1847]
sulla morte del Cardinale Micara; sul Capitolo Generale nostro, in cui fù eletto Generale il P. Venanzio. Ho pure avuto allora la consolazione di sentire che Pio IX. aveva passata la brutta crisi
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di Gaeta,
[12.4.1850]
e che poté ritornare a Roma, e molte cose simili, appartenenti alla storia della nostra povera Europa.
/150/ Venne intanto Monsignor Dejacobis da Alitiena, ed anche egli poté raccontarmi le sue vicende: Abba Salama, una volta ottenuta vittoria sopra di me, la persecuzione non si arrestò là, [esilio: 9.10.1848] ma fece provare anche a lui molte contrarieta principalmente nella Missione di Gualà e contorni. Aggiustati con lui tutti gli affari, io ho potuto pensare al mio viaggio di Aden.
storia molto interessante sulla tratta dei neri arrivata nel 1846. Prima però di partire, debbo raccontare qui una storia molto curiosa. Mentre io stava aspettando ancora Monsignor Dejacobis il Console di Gedda mandava di là un ragazzo nativo del Gogiam, figlio di una schiava di Degiace Gosciò, il quale era stato fatto schiavo, e condotto da un mercante alla Mecca; la storia che mi raccontò questo ragazzo era accaduta l’anno stesso del mio arrivo a Massawah nel 1846.
un prete abissino raccoglie giovani per Gerusalemme.
arriva a Massawah si fa mussulmano e gli vende.
modo strano del suo tradimento.
Un Prete abissino, aveva, sul principio di detto anno, girato parecchi paesi del Beghemeder e del Gogiam, e radunati una quantità di giovani abissini, ed alcune giovani figlie allestì una piccola carovana per Massawah col pretesto di condurli a Gerusalemme. Arrivarono a Massawa stettero molti giorni aspettando la partenza di barche. Un bel giorno il prete naturalmente capo della carovana, disse a tutti questi giovani che la barca
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era aggiustata, pagato il prezzo, e le provviste di viaggio preparate, che perciò era arrivato il momento di partire; gli condusse tutti al mare e si imbarcarono. Quando tutti furono sulla barca, io ho dimenticato qualche cosa, disse, vado un momento in città e subito ritorno, perché la barca parte stassera verso notte. In buona fede questa povera gente aspettavano che il loro capo venisse, ma ebbero bell’aspettare e non veniva. Il Capitano della barca levò l’ancora e spiegò le vele dicendo che cangiava solamente posto: i poveri giovani si lagnavano che il loro capo non era ancor arrivato, ma il Reis della barca facendo credere che sarebbe venuto si allontano dal porto.
Una volta allontanati dal porto, e che la voce non si poteva più sentire continuò il suo viaggio, in principio ingannandoli con promesse, che sarebbe venuto, ma poi arrivata la notte disse loro chiaro che erano tutti schiavi; il prete non era un prete ma era un mussulmano che gli aveva portati a vendere a Massawah, e che erano stati tutti venduti; in mare dove si va[?], povera gente[!] convenne rassegnarsi. Col tempo seppero poi che il Prete si fece mussulmano in Massawah.
furono tutti venduti a Gedda.
il gogiamese fu comprato da un’indiano e regalato alla Kaba
Tutta questa povera gente fu trasportata in Gedda e colà fu venduta e dispersa. Il nostro giovane fu comprato in Gedda da un Pellegrino venuto dalle indie, il quale per qualche giorno lo trattò bene pro-
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mettendogli di farlo suo figlio: così partirono per la Mecca, dove
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arrivati, fù dato di regalo alla Kaba (1a), ed unito ad una turba di giovani quasi tutti abissinesi; alcuni, divenuti già mussulmani fanatici, lo catechizzavano per farlo mussulmano, e non tardò anche lui ad unirsi nei medesimi sentimenti degli altri, [che] come mi diceva, [erano] più di 300.
Per dar un’idea dello scopo per cui [questi giovani] si tengono al così detto gran santuario mussulmano della Caba bisogna sapere un’uso introdotto frà i pellegrini mussulmani, divenuto come una cosa sacra, o almeno religiosa presso di loro. Il corano comanda il Pellegrinagio della Mecca a tutti semel in vita (2a), e proibisce a questi pellegrini di non accostarsi alla donna dalla partenza loro sino al loro ritorno. Dicendo di non accostarsi alla donna hanno conchiuso che non è proibito di non accostarsi al uomo, poiché in tutto il corano non si trova proibita la sodomia; il Pellegrino perciò ha preso l’abitudine di portare con se per lo più un giovane di suo gusto, quasi sempre uno schiavo, il quale gli serve di servo. [A] Questo uso una volta introdotto e divenuto come osservanza quasi religiosa, si aggiunge un’altro uso, massime per le persone facoltose, le quali arrivate alla Mecca, sperano di avere una guida presa alla Kaba per andare e venire a Medina, dove esiste il sepolcro di Maometto. Per avere questa guida danno un tanto al Santuario della Kàba, oltre alla mancia fissa alla guida medesima. Quelli che hanno potuto avere questo onore, in tutto il viaggio [p. 246] da Mecca a Medina, e seguente loro ritorno alla Mecca non si avvicinano più al loro compagno di prima, ma si servono del loro Santone di guida, come una persona benedetta recandosi [ciò] a grande onore.
/152/ come finiscono questi santoni della Kaba; Questi giovani Santoni dopo dieci o dodeci anni, e sono un poco passati, non essendo più vagheggiati, o comprano la loro libertà, oppure la fanno comprare da qualche ricco pellegrino, e se ne vanno con loro, e sono poi predicanti fakïr nei luoghi dove vanno. Molti però non possono resistere a questa vita, e si amallano o per stanchezza organica, oppure [che] guadagnano qualche malattia, come è arrivato al giovane sopra detto che mi raccontò tutti questi detagli. In questo ultimo caso sono come abbandonati, come arrivò a lui.
cosa arrivò al nostro gogiamese. A questi ritornando, egli trovandosi ammalato ed abbandonato ritornò a Gedda e si consegnò al Console Flesnel, il quale lo curò dal suo male. Dopo quasi un’anno trovandosi molto bene in salute, essendo riconosciuto come Santone della Mecca, i mussulmani minaciavano di legarlo e spedirlo alla Mecca; per questa ragione il console l’ha dato ad un bastimento europeo, accompagnato da una lettera a Monsignor Dejacobis, affinché lo rimandasse al Gogiam sua Patria. Non essendovi Monsignore Dejacobis toccò a me riceverlo, e rima[ma]ndarlo al suo paese.
schietta confessione del giovane gogiamese. Posto che la storia mi gettò sopra questa materia debbo aggiungere ancora alcune cose che mi disse questo stesso giovane. Dopo essermi molto affaticato per farlo ritornare al Cristianesimo, egli un giorno [mi parlò] con una schiettezza che mi stordì: ecco poco presso le sue paro- [p. 247] le, quali meritano molta riflessione, ed anche confesso, che furono per me stesso una sorgente di molti calcoli fatti sull’islamismo = io sono cristiano, egli mi disse, e sono venuto con ferma volontà dì essere cristiano; conosco però che il cristianesimo del mio paese [non] potrà mai farmi buon cristiano e salvare l’anima mia; vorrei farmi cattolico ma trovo una gran difficoltà; quando sono partito dal mio paese per andare a Gerusalemme io ave[va] già un’età sufficiente, seguiva Degiace Gosciò, che io teneva per mio padre, come un piccolo soldato, già dato a tutti (1b) i vizii, massime delle donne, ma appena mi sono dato al vizio innominato dei mussulmani, questo mi fece dimenticare affatto la passione delle donne, alle quali non vi penso più affatto, invece quasi dispero di potermi correggere di questo; se dovessi restare nelle loro case /153/ io stesso dovrei consigliere il superiore di tenermi lontano dagli altri, ancora per molto tempo, perché sarebbero per me di gran tentazione, ed esporrei gli altri ad essere guastati da me = Una confessione così schietta di quante riflessioni non è madre?
Una confessione così schietta, unita a tante altre storie che non posso onestamente scrivere mi aprirono un nuovo orizzonte rapporto all’islamismo, sia dal lato economico sociale e generativo, sia ancora dal lato religioso, come inconvertibile al cristianesimo.
ragioni per cui le popolazioni musulmane diminuiscono Dal lato economico sociale generativo troviamo qui la ragione per cui le popolazioni mussulmane sono sempre in diminuzione, e tutto l’Oriente, anticamente paese il più popolato del mondo, oggi è pieno di deserti, a fronte del compenso di schiavi, i quali secondo un calcolo che aveva preso da diversi luoghi [p. 248] sia dalla parte del Sennaar, sia ancora da parte della costa orientale d’Africa passavano nel 1850. i venti mille schiavi che sortivano dall’Africa per l’impero mussulmano, calcolo oggi certamente diminuito, ma che nel 1878. il solo regno di Schioha ne dava ancora due mille ogni anno. A fronte ancora delle grandi emigrazioni europee che hanno presto riempito tutte le città d’oriente, pure siamo sempre ancora in diminuzione. La ragione è che corrotto il senso naturale del uomo verso la donna, le nascite si diminuiscono ogni volta più, massime per certi paesi, e per certe classi; e mentre l’europa cristiana dopo aver riempito il mondo di popolazioni [si è moltiplicata], l’oriente riceve sempre e non si sazia mai.
ragioni per le quali il mussulmano non si converte al cristianesimo. Dal lato poi religioso il mussulmano soddisfatto nel suo bisogno naturale di una religione, e di un sistema teocratico da un’osservanza puramente esteriore, la quale, non solo non è di freno, e regola alle passioni, ma ancora le consacra con un’aspetto religioso, il suo cuore diventa incapace di sollevarsi all’altezza del vero cristianesimo, e di comprenderne la sua dupplice missione, temporale sull’equilibrio dei costumi, e dell’economia generativa, ed eterna che attrae l’uomo per il bene che spera nel[l’]avvenire. Per questa ragione in tutto il mio ministero esercitato nelle missioni estere, di mussulmani non ne posso contare dieci guadagnati.
partenza mia con p. Leone per Aden
sopra un bastimento di Maurice
[24.4.1850]
Facendo ora ritorno alla nostra storia il Bastimento di Maurizio venuto a caricare muli aveva come terminato il suo carico, ed io non poteva lasciar passare quella circostanza, altrimenti mi sarei trovato imbarazzato per il mio viaggio di Aden, dove mi aspettava il P. Sturla: io ho aggiustato il passaggio col Capitano del bordo, ed il P. Leone incaricato del bagaglio e di tutto il resto, abbiamo lasciato Fr. Pasquale a Massa-
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wa, ed io col P. Leone siamo partiti per
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Aden, dove dopo sei giorni di felicissimo viaggio siamo arrivati a consolare il buon P. Sturla, il quale ci aspettava colle bracia aperte; il piacere fù ancor più per tutta la colonia cattolica, la quale sperava così di celebrare la pasqua con noi un poco più con solennità.
miglioramenti introdotti da Sturla nella missione di Aden. In quindeci mesi di assenza ho trovato quella colonia affatto cangiata. Il P. Sturla in tutti i quartieri dei soldati aveva stabilito i suoi catechisti per i soldati pagani delle indie: un bravo soldato cattolico che non mancava dovunque faceva da catechista e maestro di cappella facendo fare le preghiere agli altri soldati mattina e sera in un piccolo oratorio fatto nello stesso quartiere; altri soldati si trovavano destinati per visitare gli ammalati all’ospedale e preparargli a confessarsi; alcuni altri [erano] accostumati a servire in Chiesa nelle funzioni; altri poi facevano un poco di flebottomi, e venivano quando potevano ad aiutare il Padre quando medicava gli ammalati poveri; aveva pure destinato altri a fare la via crucis il venerdì in Chiesa. Anche fra gli Irlandesi aveva stabilito la Società della temperanza del P. Mattia [= P. Matteo], e vi aveva destinati i sorveglianti; così molti altri esercizii.
battesimi e cresime ne[l] Sabato Santo.
limosine raccolte per la fabrica della chiesa.
Per la solennità del Sabbato Santo si trovavano preparati circa dieci battezzandi adulti, e molti cresimandi. Per la funzione del Giovedì Santo aveva già tutto preparato per la funzione dell’olio santo; i cristiani tutti erano divenuti zelantissimi per il culto. Per fare la Chiesa, aveva fatto i collettori a domicilio, e collettori in Chiesa, i quali davano il conto al cassiere; al mio arrivo
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sono rimasto stupito di vedere parecchi milliaja di rupìe in cassa che aspettavano la costruzione della Chiesa. Per la manutenzione del missionario poi [era destinato un fondo] a parte, e lo stesso governo vedendo come il missionario aveva preso molta influenza sui buon[i] costumi dei soldati, al menomo segnale di bisogno dava a titolo di sussidio; temendo io che il P. Storla avesse terminata la somma che io gli aveva lasciato per il mantenimento della casa, [egli] mi fece vedere invece che l’aveva moltiplicata.
funzioni della settimana santa in Aden. Venne intanto la Settimana Santa, per la quale una ventina di portughesi di Goa, quasi tutti impiegati nello stato civile, si incaricarono del canto delle profezie, [mentre] un solo di noi assisteva al coro. Il Giovedì Santo si cantò la Messa Solenne Pontificale, nella quale vi fù la benedizione degli olii santi, ed un numero soddisfacente di comunioni. Nel Venerdì Santo fece la funzione il P. Sturla. Nel Sabbato Santo io ho amministrato il S. Battesimo a dieci soldati, e cantò la Messa il P. Leone, nella quale i neo batezzati fecero la loro communione. Nella Domenica di Pasqua vi fù gran Pontificale, per quanto fù possibile in quella /155/ nuova missione, e dopo vi furono circa 15. cresime. L’impresario locandiere di tutti gli uffiziali militari, il quale era un Portoghese volle incaricarsi del nostro pranzo e della nostra cena per i tre giorni di Pasqua.
Così passarono le feste di Pasqua del 1850. con grande entusiasmo di tutta la colonia nostra cattolica. Io aveva promesso di andare a Roma, in Francia, ed in Inghilterra per domandare soccorsi per la fabbrica della Chiesa, e della casa dei missionarii[;] fù duopo dunque [p. 251] pensarvi per partire [con] la prima partenza del vapore. Mentre aspettavamo il vapore, abbiamo sistemat[emat]o il regolamento della casa: sia rapporto all’abito dei missionarii, il quale doveva essere da Cappuccino, di stoffa però la più leggiera che si potesse trovare; il P. Sturla l’aveva già vestito l’anno precedente, quando incomminciò il noviziato del terzo ordine, ed il P. Leone anche egli si addattò, affinche tutto fosse uniforme; sia ancora per tutto il resto della casa, e dell’amministrazione. Rapporto all’esercizio dei ministero, il regolamento era già fatto; e come ho riferito sopra l’ho trovato eseguito a puntino al mio arrivo.
padre Sturla riceve la patente di vice prefetto
e mio vicario generale.
padre Leone è mandanto alla chechelles
Il P. Sturla mi parlò, che per ben due volte essendo venuti bastimenti dalle isole chechelles, dove si trovavano circa 300. famiglie cristiane senza preti da 25. anni, mi domandava se questi bastimenti rivenendo, o egli, oppure il P. Leone avrebbe potuto andarvi per vedere [di svolgere il ministero]; allora ho detto al P. Sturla che in qualità di mio Vicario l’autorizzava a mandare il P. Leone, ed autorizzarlo a restare qualche mese per vedere, ed amministrarci sacramenti, come luogo abbandonato, ed appartenente a nessun’altra giurisdizione, a condizione però di ritornarvi col primo bastimento che avrebbe trovato, perché allora si sarebbero prese risoluzioni stabili.
(1a) I mercanti musulmani, venuti dalle indie e dall’Africa orientale usano (di) regalare uno schiavo giovane, per lo più cristiano d’Abissinia, stato comprato nei diversi porti dell’Africa orientale, oppure venuti dal Suddan, dove non mancano mercati di schiavi cristiani nei confini ovest dell’Abissinia. Dal Santuario della Kaba sono molto desiderati i schiavi cristiani, sia, perché sono un vero trofeo per quel Santuario musulmano, il primo del mondo di quella religione; sia ancora di più, per il loro tipo e bellezza superiore a quella degli arabi stessi per la vivacità delle loro passioni materiali; sopra tutto poi, perché convertiti all’islamismo, diventano fanatici propagatori della loro religione. Nelle tradizioni primitive maomettane si parla di un futuro impero musulmano in Abissinia, cosa che aggiunge valore a tali schiavi. [Torna al testo ↑]
(2a) Questo precetto del Corano gelosamente osservato dai pellegrini musulmani, fa sentire naturalmente il bisogno di un compenso nelle loro passioni materiali. Se il Corano fosse un codice morale, almeno nella sostanza, e circa i precetti naturali, non mancherebbe di mettere un freno ad altri disordini peggiori che nascono da se per la natura corrotta del uomo. Ma tutto all’opposto il corano è un codice affatto vuoto nella morale, anche la più essenziale; anzi tutto all’opposto, nelle stesse sue pochissime cerimonie esterne della cognita purificazione comandata sei volte al giorno, è un vero culto religiosa della proprio sensualità, ed un’eccitazione quasi diretta agli sfoghi della medesima, come non stenta a persuadersene chiunque ha viaggiato fra i musulmani. [Torna al testo ↑]
(1b) Quel giovane era figlio di una schiava di Degiace Gosciò; come figlio di schiava era probabilissimamente figlio naturale del padrone; con tutto ciò, come figlio di schiava, se il padrone non ha dichiarato libera la sua madre, e publicamente riconosciuto il figlio, egli non lascia di essere schiavo di casa, secondo gli usi del paese. In questo caso però, tanto il figlio che la madre possono essere sicuri di non essere venduti ai mercanti. Il rubarizio di questo giovane è succeduto nel tempo in cui dimorava Arnou d’Abbadie, detto in Abissinia Ras Michele, [dimorava] in casa di Degiace Gosciò; il giovane in discorso mi parlò molto di lui. [Torna al testo ↑]