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26.
Dimora a Kartùm:
le esperienze di un bey musulmano e le febbri.
Il P. Pedemonti era un P. Gesuita nativo di Napoli, uomo vecchio venerando con una barba bianca che gli arrivava alla centura, la quale avrebbe fatto bella figura nel coro dei Cappuccini al luogo del P. Guardiano; egli si pavoneggiava della sua barba più lunga della mia che io aveva un poco [p. 354] tagliata nella metamorfosi che ho dovuto fare per diventare Bartorelli quando sono andato a S.t Antonio. mio arrivo alla casa della missione. Non abbiamo tardato ad arrivare alla casa della missione, in quel tempo la più bella casa di Cartum, ad eccezione della casa del Pascià-Governatore; benché casa fabricata con semplice terra battuta, e di un solo pian terreno, cosa poco sana, attesoché i miasmi vicino [a] terra sono più abbundanti. sono presentato al p. Zara superiore. Il vecchio P. Pedemonti mi presentò al P. Zara superiore della casa molto più giovane, il quale aveva l’aria di fare tutto, ma io che conosceva un poco l’uso delle case della Compagnia, ho veduto subito, che il P. Pedemonti era uno di quei vecchi che l’amministrazione di questa colossale Compagnia suol collocare in tutte le case, come la bussola, che senza nulla fare è l’oracolo che tutto guida; egli faceva da giardiniere sotto gli ordini del P. Zara.
visita al governatore, accompagnato dal p. Pedemote, e da Fatalla. Col P. Pedemonte e con Fatalla Mardrus ho fatto subito verso sera la mia visita al Pascià Governatore, e quasi V.[ice] Re del Sudan; questi venne a riceverci alla porta del gran divano (salone di ricevimento turco) e mi condusse vicino a lui facendomi sedere alla sua destra. Come io era vestito all’araba, e molto semplicemente, il P. Pedemonti e Mardrus restarono stupiti vedendomi così ben trattato, ed ancor più stupiti quando sentirono dalla bocca del Governatore stesso che aveva ricevuto lettera dal governo di darmi un’aloggio e denaro quanto avrei domandato, mediente una sola mia ricevuta; la guida di Berbera era là che sentiva. La visita finì in cortesie di pura convenienza, e subito io mi sono congedato; il Governatore [p. 355] mi accompagnò sino alla gran porta del cortile, dove ci siamo separati. Questo ricevimento del Signor /223/ Bartorelli fù un’avvenimento in tutta la colonia numerosissima degli europei e greci della città; incomminciando dai nostri di casa tutti si domandavano[:] quis est hic e molti supponevano che io fossi una spia del governo, e forze lo stesso Governatore lo pensava.
Venne la sera, si preparò la cena, ed il P. Superiore mi assegnò il primo posto alla tavola, ma io ho preso lui per le mani e lo feci sedere, e mi sono seduto dopo in altro posto qualunque. Si mangiò si rise, si conversò un bel pezzo, e poi io mi sono ritirato nella camera che mi hanno dato. Dissi al P. Pedemonti all’orecchio che io aveva bisogno di confessarmi che l’avrei aspettato dopo qualche momento.
mi sono confessato da p. Pedemonte;
in confessione ho aperto il secreto;
egli solo mi portò sempre ostie e vino.
Venne diffatti, mi confessai, e dopo l’[ho] fatto sedere, e gli dissi che io assolutamente desiderava di mantenermi sconosciuto a tutti, anche al governo; lo pregai di portarmi il vino e le ostie secretamente, perché io contava di dire la messa sempre in stanza e di notte; per il serviente io ne aveva la dispensa. Egli si esibì di venire a servire la Messa, ed io ho acconsentito per qualche volta, ma in modo [che] la Messa fosse sempre in secreto e che io in famiglia e fuori fossi [ritenuto] come un semplice secolare; Egli mi portò il vino e le ostie, ed in sua presenza ho aperto la cassa per vedere se vi era tutto [l’occorrente per la celebrazione], e l’ho chiusa di nuovo.
Nella notte prima che venisse il P. Pedemonti io mi sono levato, ho chiuso la porta, ho preparato l’altare, ho celebrato, ho tutto rimesso [dentro], ho chiuso la cassa come prima, [p. 356] e quando venne il P. Pedemonte verso l’aurora tutto era finito. Rimase stupito ma io gli dissi, che me l’avrebbe servita l’indomani giorno di S. Francesco. Allora se ne andò, e poco dopo egli stesso mi portò il caffè che acettai con piacere, dicendogli però che in seguito intendeva di andarlo [a] prendere cogli altri.
Come io aveva mandato prima Mardrus con ordine di cercarmi una casa, nella conversazione si parlò di questo, andammo a vedere una casa molto vicina, ma non era commoda per tutti i miei bisogni, ed allora dissi, se non vi disturba io potrei restare dove sono, e non mancherò di compensare la missione quan[do] questa potesse darmi la penzione per qualche tempo, essendo io disposto a stare all’ordinario della casa; essi con molto piacete avendo acconsentito, non si parlò più di sortire.
venne il governatore a visitarmi.
Verso le dieci arrivò il Governatore in gran tenuta a farmi visita, cosa che naturalmente accrebbe lo stupore di tutti, tanto in casa, quanto fuori di casa. In seguito a tutto questo le visite si moltiplicarono all’infi-
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nito;
si moltiplicarono le visite di ogni genere;
il governatore m’invita a pranzo
non solamente la nostra colonia europea, ma i greci, alcuni armeni, ed anche molti mussulmani vennero a visitarmi. Il publico era molto precupato sulla mia missione, alcuni la dicevano [voluta] dal governo egiziano, perché questi aveva ordinato [di darmi] denari dovunque sul [conto del] governo, altri supponevano [trattarsi di] una missione francese per controllare le operazioni del governo austriaco, ed altri dicevano altre cose. Io ho reso qualche visita, ma renderla a tutti non mi è stato possibile. Il Governatore prima di partire mi invitò a pranzo per un dato giorno in compagnia del P. Pedemonti e di Mardrus; ma seppi poi che invitò molta gente;
a pranzo ho conosciuto il bey ex ministro successore di Clot bey,
stato educato a Parigi.
là è che feci conoscenza con
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[con] un Bey, il quale era stato educato in Francia, dove aveva appreso, oltre le lingue francese ed inglese, la filosofia e le matematiche. Nel tempi di Clot Bey, era un suo secondo [impiegato] nell’istruzione publica, giubilato Clot Bey lo ha succeduto per poco tempo, perché Abbas Pascià essendo entrato nel sistema di distruggere tutto quello che aveva fatto Mahumed Aly suo padre per la civilizzazione dell’Egitto, questo Signore Bey di sistema contrario fu levato, e fu esiliato nel Sudan ritenendo per il Sudan l’istruzione publica, impiego si può dire nominale. Questi conosceva il cristianesimo come lo conosciamo noi, ed era capace di rispondere anche ad una questione teologica, [ma] aveva tutta la cognizione del cristianesimo, ma da Dio non aveva ricevuto ancora la fede, e faceva ancora tutte le osservanze mussulmane, perché, diceva, io non sono ancora cristiano, ma non sono ateo, ed odio l’ateismo a morte. Io debbo ai cristiani delle grandi cognizioni, ma debbo dire pure che ho avuto da loro grandi scandali.
con questo ex ministro ho fatto molte conferenze. Tutto il tempo che io sono rimasto in Cartum, cioè quasi due mesi, quest’uomo [non] ha mai lasciato un giorno senza venir da me. Egli desiderava di parlare con me, ed io desiderava molto più di parlare con lui, sia per essergli utile un giorno all’anima sua, sia ancora per istruirmi relativamente all’islamismo per vedere da tutti i lati le debolezze ed i pregiudizii di questa razza di tutte le altre la più lontana dal Vangelo, sia per saperlo evangelizzare con parole, sia per ogni caso di dover scrivere. È da lui che mi sono acertato di certe cose, delle quali aveva sentito molto parlare, ma che poi in pratica [p. 358] dubitava sempre ancora che vi fosse un poco di esaggerazione.
dissertazione del bey sull’educazione religiosa dei mussulmani. Il mussulmano è teocratico in modo che si scandalizza, e si spaventa al meno[mo] segno di ateismo, e fugge come un mostro l’ateo; la sua teocrazia però, nella sua prima apparizione, nell’educazione mussulmana è talmente incarnata, collo sviluppo materiale del uomo nelle sue passioni, che, invece di sollevare la mente ed il cuore del uomo, [inve- /225/ ce] lo rende affatto incapace di occuparsi di oggetti metafisici, e tanto meno allegorici o mistici; per il mussulmano il paradiso stesso diventa una sala, o meglio un postribolo di lubrici piaceri; se tale è la stessa idea che hanno i mussulmani della vita futura è inutile dire poi l’idea che hanno della vita presente relativamente a Dio, ed alla morale. Qui appunto trà l’islamismo ed il cattolicismo avvi un caos frammezzo, che al mussulmano è impossibile surmontare, come ripugna persino al cattolico il solo rappresentarselo.
parla in seguito dei cristiani, e distingue i cattolici dagli eretici, tanto levantini che protestanti. Dico al cattolico, continuava egli, perché tutti gli altri che si dicono cristiani, tanto presso di noi orientali, quanto in europa i Protestanti, essi si avvicinano molto a noi, e non si curano affatto di morale. I nostri levantini cristiani nati ed educati fra noi, anche conservando la loro fede speculativamente, in pratica poi nelle idee e nel sentimento pratico hanno preso molto dai nostri; i protestanti invece hanno conservato più [di] educazione esterna, cioè il nobile capitale del pudore publico del Cristianismo da cui sono sortiti, ma nel loro interno si sono allontanati talmente da Dio [p. 359] a forza di ragionare, che si credono dispensati da ogni segnale di adorazione esterna, da crederli anche affatto indipendenti da Lui nella loro condotta. Motivo per cui noi mussulmani ci crediamo in diritto di credergli atei di professione, cosa orrida frà gli stessi selvagi.
seguita la sua dissertazione. Fin qui però non ho fatto altro che darle un’incompleta soddisfazione alle sue domande, mi soggiunse, ma conosco molto bene che non ho risposto direttamente a quanto Ella cerca. Per risponderle direttamente dovrei dirle certe cose che Ella non potrebbe soffrire ed io sono abbastanza educato per proporle. Per soddisfarla, racconterò la storia genuina della mia educazione, e ciò dicendo [esporrò] solo colla massima riservatezza il puro necessario per far conoscere la massima; da ciò si potranno tirare tutte le conseguenze pratiche sulla storia dei fatti sempre degni delle tenebre.
qui incommincia la sua propria storia dalla nascita. Io sono nato da persone di condizione ordinaria; il mio Padre aveva ancora una moglie, oltre la mia madre, e da quella aveva anche un’altro figlio più grande di me. Tutte le speranze della mia madre essendo sopra di me, mi amava molto, ma essa era una mussulmana tenace della sua fede, e delle prattiche popolari. Essa quindi incomminciando dall’età più [più] tenera teneva con me un certo linguagio di una vera idolatria verso la parte più sensibile della mia persona, le mani sempre erano là, non risparmiando neanche la sua bocca. Facio così, dicevami, perché questa, è la parte dove Iddio stesso ti farà delle carezze, e dove lo sentirai [a] parlare; questa è la lingua di Dio con cui ti parlerà, è la sua /226/ mano con cui crea gli uomini. primo grado di perfezione mussulmana. A misura [p. 360] che io cresceva, ed incomminciava a sentire il linguagio di questa lingua, e che essa guadagnava la favella per rispondere, la buona mia madre [non cambiò] modo di trattarmi, anzi aggiugneva qualche spiegazione dicendomi che il piacere stesso era [il] segnale della venuta di Dio, una vera sua carezza, a segno tale che il momento d’esaltazione incomminciando [a] manifestarsi da se, io da piccolo con tutta candidezza correva [d]a mia madre dicendo che Iddio era venuto, ed essa aggiungeva qualche carezza dicendo e pronunziando con grande sua soddisfazione il nome di Hallah (Dio) e baciando.
il secondo grado di perfezione A misura che la mia persona cresceva e si rendeva più capace di corrispondere, lascio a Lei dedurre tutto il rimanente, ed Hallah incomminciava [a] diventare una santa passione per me, e Dio sa, anche per la mia tenerissima madre. Aggiunga poi che in famiglia non essendovi che due o tre letti, occorreva di dormire soventi con essa e col mio Padre stesso vedendo, accarezzando tutte le storie nutturne senza nessun timore affatto; innoltre occorrendo di dormire soventi o col mio fratello, oppure con un garzone di bottega, che era poi il galante di mio Padre, il linguagio di Hallah [che] è venuto divenne il nostro linguagio quasi continuo, ed il garzone di bottega accostumato col Padre, fece passare anche a me la sublime lezione, ed io accostumato da piccolo raccontava tutto alla mia madre, la quale sentiva, lodava, ed aggiungeva, essendo questo linguagio di sua natura operoso.
il terzo grado di perfezione. Io non era ancora arrivato all’età di d[i]eci anni che [io] era arrivato al grado di perfezione, divenuto maestro; in una continua [p. 361] esaltazione, io era divenuto precoce nello sviluppo anche esterno, i miei occhj scintillanti e spiranti passione quasi continua. un ricco mussulmano mi ama, e la mia madre mi consiglia a seguirlo. Un gran ricco mussulmano vicino nostro in città, incomminciava a vaghegiarmi, e venendo soventi mi accarezzava, ed in mia presenza faceva anzi dei complimenti alla mia madre perché seppe allevarci bene. Essa vedendo così mi diede un consiglio: Se questo Signore viene, oppure andando tu da lui, quando ti accarezzerà, se Hallah sarà venuto, non temere e glie lo dirai. Così è arrivato, ed allora quel Signore mi condusse nella sua stanza, e dopo aver passato qualche bel quarto d’ora con lui mi ha posto in mano una bella somma di denaro, che io portai subito alla Madre dandogli notizia che Hallah era venuto anche là.
sono divenuto pagio di quel signore Quel Signore passò d’accordo col mio Padre e colla mia madre, e mi diedero licenza ampia di andare, di restare con quel Signore e poi ritornare a casa quando voleva, ma che essendo una gran casa, dove si trovava un mondo di richezze, di persone dei due sessi, mi guardassi /227/ prima di tutto dal rubare, e poi anche di abusare di Hallah anche con altri della casa, perché ciò avrebbe ingelosito il Signore della casa.
Io passava la maggior parte del mio tempo in quella casa, e sotto i consigli di mia madre, e l’orgoglio fece sì che mi sono allontanato un poco dal mio fratello e dal garzone di bottega, perché io era divenuto un Signore; straripamento d’amore colla mia madre la mia madre però non lasciò mai la sue carezze [p. 362] di prima, e subito che la mia persona fu capace, siamo arrivati anche più al di là, cosa che anche fra noi mussulmani non è ben veduta, come conobbi poi dopo molti anni, ma in quel tempo, almeno per parte mia tutto si passava come una cosa di Dio, ed io era arrivato ad avere una vera passione per essa, e con tutta semplicità andava io da essa a dichiarargli che Hallah era venuto, essa però col pretesto che quel Signore non avrebbe veduto questo bene, mi raccomandava il secreto, benché non cercasse di [di] allontanarsi, dicendo che Hallah quando viene deve essere sempre il benvenuto.
il fiore incommincia ad appazzirsi Io ho passato dopo i 15. anni ancora due anni circa sempre in fiore in una estasi continua con Dio, per servirmi del linguagio mussulmano, ma che con lei chiamerò esaltazione, o forze meglio surexcitazione quasi continua; ma siccome il fiore ha una vita corta, la mia persona incomminciava ad appazzire, ed inclinare un poco verso la parte passiva.
scuola del corano;
il mio signore mi da un discepolo per istruirlo nelle cose di Hallah.
Quel Signore essendo un mussulmano molto fervente già quasi da principio mi fece imparare il Corano, e mi aveva dato un maestro, ma il mio cuore non potendo attaccarsi allo studio, ho fatto poco profitto, e non studiava che per far piacere al Signore, benché avessi gran intelligenza. Quel Signore vedendomi un poco ap[paz]zito mi diede un compagno di 14. o 15. anni raccomandandomi di mostrargli tutte le cose di Dio, come io sapeva, ed io fui molto contento, perché essendo giovane tendeva alla vita attiva.
il governo cerca dei giovani per mandare a Parigi, io fui proposto ed acettato. In quel tempo si cercavano dei giovani per mandare in Francia per la scuola, ed il mio padrone, il quale già incomminciava [p. 363] ad appassionarsi al mio compagno novizio di Hallah, il quale aveva [ap]preso molto bene la mia lezione, senza però di[mi]nuire l’amore per me, mi presentò come alumno, e fui acettato. Dopo un mese io doveva partire per la Francia con altri undeci compagni. Per separarmi dal Signore non vi era difficoltà, come cosa preparata da lui; la gran difficoltà però era quella di separarmi da mia madre, colla quale l’amore materno diventò come passione religiosa. Prima di separarmi mi costò un mese di carezze spirituali tale, che quasi diventai pazzo. Ella tuttavia acconsentì alla mia partenza per l’avvenire favorevole che sperava a tutta la fami- /228/ glia, testamento di mia madre, e del signore nella separazione ma nelle ultime carezze che ebbero luogo fece il suo testamento con me dicendo queste parole = tu parti per un paese infedele, guai a te se ti fai cristiano, perché al sentire tal cosa io mi ammazzerò = Lo stesso dissemi il Signore l’ultima volta che ci siamo abbraciati con Hallah, mettendomi in mano cinquanta napoleoni per i miei minuti piaceri.
Venne intanto il giorno della partenza, e come il governo pagava tutte le spese, coll’aggiunta di 25. franchi al mese per i nostri minuti piaceri, io ho dato tutta la moneta che aveva alla mia madre, divenuta per me un vero idolo,
mia partenza per Alessandria;
undeci compagni.
e così sono partito per Alessandria, dove ho trovato gli undeci compagni, colla persona che ci doveva accompagnare sino a Parigi. Ancora non si parlava in quel tempo di bastimenti a vapore, e vi abbiamo messo 25. giorni per arrivare a Marsilia sopra un brigantino egiziano mandato quasi espressamente.
contratto e giuramento fatto tra noi compagni alla moschea;
vestiti all’europea.
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Prima di partire tutti [e] dodeci abbiamo fatto il nostro giuramento che chiunque di noi avesse tradito [al]la fede dovesse morire, chi si fosse solamenti [si fosse] accostato ad una donna o ad un uomo infedele fosse fuori della nostra società, epperciò [si stabilì] trà di noi società completa per ogni caso di essere richiesto dal suo compagno, quando il bisogno di Hallah sarebbe venuto. Questo contratto fu fatto alla moschea nelle mani di un Dervis. Ciò fatto ci siamo vestiti alla franca, come era ordinato dal governo. Ho spedito tutte le mie vesti arabe a mia madre, notificandoli il patto fatto coi compagni alla moschea, e pregandola di tutto significare al mio Signore. Non posso spiegare la ripugnanza che ho provato nel lasciare le vesti arabe: in quel momento ho creduto che mia madre al vedermi mi avrebbe ammazzato, così degli altri amici, e massime del mio Signore che amava come Padre. Dio stesso (Hallah) non ci sarebbe stato più famigliare come prima.
nostro arrivo a Parigi;
i professori poco contenti di noi;
ordini severi.
Arrivati a Parigi, da principio i professori non furono contenti di noi, vedevano che i nostri cuori non erano fatti per lo studio; lo stesso medico pagato dall’Egitto, che veniva mattina e sera a vederci conosceva la nostra esaltazione, ed anche [il] fisico deperimento; non tardò ad indovinare la causa: diede ordine di darci una stanza separata, e che di giorno fossimo sempre sorvegliati. Non è che dopo un’anno passato in molta divagazione, che abbiamo potuto dimenticare un poco le abitudini antiche, e trovare i nostri cuori un poco più disposti allo studio. Dopo un’anno due [di noi] si ammalarono, ed in fine morirono. Fù allora che io, animato dal consiglio del medico che mi faceva da Padre, viddi il bisogno di limitarmi un poco, e darmi più direttamente allo studio. In seguito poi mi sono persuaso di molte cose. A misura che
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diveniva
[p. 365]
più capace le letture dilatorono le mie idee, anche religiose.
molte confessioni sue.
Con tutto questo però confesso che sono stato vittima nella mia salute stessa, ma non [mi] sono corretto. Conto oggi 45. anni, ho letto anche molti autori di medicina, e di religione. La mia persona è divenuta uno schelletro, non mi sono maritato, ne sento il bisogno di maritarmi, ma pure l’inclinazione dei primi anni è sempre viva. Comprendo oggi che Cristo è il Sole, e Maometto è appena un miserabile lume vicino a lui; pure il pensiero di farmi Cristiano, è come il pensiero della morte: il poco di passione che ancora esiste in me, non [non] desidera [che] il mio sesso, e la vita passiva, perché l’attiva è quasi morta.
fù persuaso sulla verità della fede;
non ebbe la grazia di arrivarvi;
continuano le sue confessioni.
Dopo che ho conosciuto questo uomo, ed ho sentito tutto il fundo del suo cuore non ho cessato di pregare Iddio per la sua conversione, e non ho lasciato di ragionarlo, ma egli persuasissimo come era della verità, mancò della grazia. Egli in tutta la storia sua che mi racconto, della quale non ho potuto tutto riferire, unicamente perché scrivo in aedificationem, non lasciò di assicurarmi che sino dopo il quarto anno di [permanenza a] Parigi l’operato suo fù sempre con una tal quale persuasione di fare atti religiosi, perché certe cose passate in uso sotto [l’]aspetto religioso, diventò nell’islamismo come una seconda natura. La mia madre oggi è morta, [concludeva, e] fra le ripugnanze che tengo nel cuore [vi] è quella di pensare male di essa. Se non altro Iddio ha dovuto scusarla per la sua buona fede. Allora io gli ho fatto un’osservazione, sapete voi, dissi, la ragione per cui voi morirete senza figli? una delle principali è appunto per aver violato il rispetto dovuto alla vostra genitrice; questo lo ferì molto, e gli ho aggiunto che tutti questi disordini contro natura divenuti così abituali sono la causa
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per cui l’islamismo non ha figli, vive di schiavitù, ed è destinato a perire.
arrivò a piangere ma non si convertì;
Ogni qual volta io riscaldava un tantino il mio ragionamento arrivava anche alle lacrime, ma pure nulla risolse, ne mi risulta che siasi convertito dopo la mia partenza. Cosa vuole, mi diceva egli, per farmi cristiano dovrei fuggirmene in Europa, perché qui sarei ucciso, ed anche nel caso [di scongiurare questo pericolo] non mi sento il coragio.
da questa storia risulta il decadimento della razza, e la difficoltà di convertirsi. La confessione fattami da questo dotto [di religione] mussulmsna dimostra ad evidenza l’abbassamento di questa povera razza disgraziata, abbassamento in tutto, sia nell’intelligenza, sia nelle stesse leggi di naturale economia per la conservazione della razza, ma sopratutto nelle disposizioni relative per la sua conversione al Cristianesimo. Qualche paese mussulmano più lontano dalle influenza della Mecca sono forze un poco migliori, ma tutto l’oriente ne è molto infetto, e ciò che più rin- /230/ cresce ha esteso la sua infezione fra le razze cristiane dominate dall’eresia, motivo per cui anche queste sono difficilissime a convertirsi.
io mi ammalai di febbri;
fu chiamato il medico.
Io intanto dopo 15. giorni dal mio arrivo a Cartum ho preso le febbri, benché non abbia mancato mai di prendere le mie precauzioni. Contava appena dieci giorni dacché aveva preso il tamarindi ed il solfato di kinino, che fui preso dalla febbre. I Padri missionarii chiamarono subito il medico, un certo Dottore Penné Francese, Medico in capo di tutto il Suddan, Sennaar, Kordufan, e Fasuglu; questi venne subito, [mi] esamino bene, e poi mi disse = Signor Bartorelli facia coraggio. Ella seppe regolarsi bene, epperciò la sua febbre nel suo principio è di buona indole = mi ordinò di purgarmi due giorni di seguito col decotto di Tamarindo, poi mi diede una buona dose di kinino, e così in pochi giorni me ne sono sbrigato, benché non per sempre,
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poiché ogni dieci o dodeci giorni eravamo da capo, ed in viaggio era obligato a fare delle fermate, purgarmi per essere sicuro, [e] che [la febbre] non ritornasse ad ogni minima causa.