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32.
In Ifagh
durante il periodo delle piogge.
siamo partiti per Iffagh.
Dopo tre giorni di fermata in Enferas siamo partiti con una guida, e raccomandazioni per Iffag, città di gran mercato centrale d’Abissinia, e luogo che io aveva fissato nella mia lettera al Padre Giusto per passarvi qualche giorno insieme.
arrivo in Iffagh;
entro in casa del doganiere
Arrivati in Iffag siamo andati direttamente alla casa del Nagaradas, dove il suo rappresentante
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ci ricevette molto bene, e mi fece subito aggiustate una bella capanna per me, la quale sarebbe stata bastante per celebrare anche qualche volta la S. Messa di notte.
L’operazione però domandava un poco di tempo per essere terminata. Eravamo circa la metà di Giugno, le pioggie erano già dirotte, e le aque ingrossavano ogni giorno più, dimodo che la mia dimora in Iffag sino alla fine di Agosto era divenuta come una necessità. Per fortuna io mi trovava in buon luogo per passare l’inverno. Il messelenié ato Maquonen era una brava persona, e la sua moglie era divota abissinese, la quale una o due volte la settimana riceveva a pranzo il suo confessore, segno grande e quasi unico di pietà in Abissinia. Questo suo confessore era un’eunuco, ed una tabula rasa solenne, ed era pure il confessore di quasi tutte le grandi signore del paese, come persona confermata in grazia, di cui i mariti possono fidarsi. (1a)
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arrivo del p. Giusto da Betlem;
gran festa
[lug. 1852]
Passati alcuni giorni ecco un bel giorno comparirmi il caro P. Giusto quasi solo, per essere sicuro del segreto da me raccomandato. Fu per me una gran festa, ma per altra parte poi un gran pensiero, perché questo Padre incomminciava [a] prendere un’affezione smoderata per l’Abissinia, e mi dava pochi segnali di volersi disporre a partire per i paesi Galla nostra vera missione (2a). Invece di studiare Galla si era [invece] posto a studiare la lingua sacra abissinese, nella quale aveva fatto molto profitto, e si era sviluppato in lui una vera passione che lo alienava dall’apostolato, e lo metteva troppo in contatto colla casta dei deftari, o dotti abissinesi, e la più cat-
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tiva e perversa, che già l’aveva ben dissipato, e minaciava di guastarmelo affatto.
conferenze col p. Giusto sul viaggio.
Come si è parlato della loro espulzione da Tedba Mariam, io ho preso motivo da questo per persuaderlo che non gli conveniva restare in Abissinia, dove immancabilmente doveva attendersi una seconda crisi simile; ma è poco quello che ho potuto ottenere. Nel poco tempo che siamo stati divisi aveva già preso molto gusto del mondo abissino, e soleva camminare con gran lusso. (1b)
Avuto riguardo alla circostanza che io ancora non era entrato frà i Galla, ho voluto usar prudenza, sperando che quando mi avesse veduto là al ministero in detaglio, si sarebbe deciso di venire: gli ho permesso di continuare i suoi lavori etiopici già incomminciati, a condizione di occuparsi delle corrispondenze con Massawah.
P. Giusto [che] conosceva Iffagh più di me fece venire del vino; Come egli rimase con me tre o quattro giorni abbiamo eretto la nostra piccola cappella secreta, e là abbiamo fatto un poco di ritiro nella nuova capanna non ancora finita, epperciò non ancora abitata, il P. Giusto che conosceva Ifag meglio di me col mezzo di amici ha trovato [a] comprare del vino, che dopo Kartum non aveva più gustato.
A proposito del vino debbo far conoscere una piccola storia. Ifagh era l’unico paese di tutta l’Abissinia, in cui si trovava del vino a comprare. /277/ Carroda paese del vino Sulla montagna sopra Ifag esisteva un paese chiamato Carroda, dove si coltivava la vigna, e Ras Aly soleva far comprare l’uva a Carroda e si faceva fare il vino, dimodoché in casa sua egli ne faceva uso, e ne dava ai forestieri europei. (2b)
Venuto Teodoro dichiarò il vino di sua proprietà;
così seccò la vite e mancò il vino;
col tempo mancò anche il pane...
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Appena ha regnato Teodoro questi ha dichiarato il vino [di] sua proprietà, ed appena arrivata la stagione dell’uva egli mandava a Carroda le guardie incaricate di sorvegliare la raccolta. I poveri paesani che coltivavano la vite erano obligati a mantenere le guardie, e ciò che più era loro odioso, divenuti vittima di infinite vessazioni per questa ragione; così trovarono la maniera di fare in modo che tutte le viti poco per volta fossero seccate, di modo che da allora in poi mai più si trovò vino. Quello che è arrivato del vino è arrivato anche del pane col[l’]andare del tempo, a segno che Teodoro negli ultimi anni del suo impero non trovava più pane per vivere, malattia che ancora si trova oggi sotto l’impero dell’Imperatore Giovanni per le sue grandi vessazioni fatte ai popoli.
ciò che è avvenuto a Teodoro avverrà anche a noi a forza di moltiplicare i tributi e disgustare gli agricoltori vera ricchezza del paese Ciò che è avvenuto all’Abissinia non mancherà di arrivare a molti dei nostri paesi della stessa europa, e dell’Italia, dove le emigrazioni si vanno moltiplicando tutti i giorni per la moltiplicità dei tributi. La prima richezza di un paese sta nell’agricoltura; il commercio non è che secondario, e a misura che si generalizza, si farà sempre meno importante, perché oltrepassa la proporzione delle consummazioni, e le consummazioni si diminuiscono a misura che i popoli s’impoveriscono.
Io ho conosciuto l’Abissinia incomminciando dal 1846. Nel momento che scrivo, l’Abissinia del Nord veduta ultimamente, secondo il mio calcolo, nell’agricoltura ha diminuito dei tre quarti; la milizia [ha] è cresciuta dei tre quarti. Nel nord il soldato non trovando più di che vivere unicamente per vivere si stanno moltiplicando le spedizioni militari al sud, dove esistevano le popolazioni più numerose, e l’agricoltura era in fiore; quando il sud sarà tutto distrutto, allora la necessità di emigrare si farà più imponente, ed il paese diventerà un deserto.
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l’europa cammina di pari passo con l’Abissinia per vie opposte;
questa per mancanza di organizzazione; laddove quella per troppa complicazione.
[p. 435]
L’europa cammina di pari passo coll’Abissinia, benché per diverse cause e per diverse vie, l’Abissinia per mancanza totale di organizzazione sociale, e per mancanza di cognizione e di principii che ne sono la base; l’Europa poi all’opposto per un’organizzazione sociale troppo complicata e per la creazione d’infiniti bisogni di ogni genere che rendono la vita del uomo molto costosa. La scienza, le arti, il commercio, tutte cose ottime alla vita sociale, ma con moderazione e proporzione, perché altrimenti tolgono le bracia, ed alienano il cuore dall’agricoltura, cosa di pura necessità alla vita.
Ras Aly uomo molto limitato nei suoi bisogni,
e pochi soldati gli bastavano;
non così Teodoro.
Ras Aly era un principe molto limitato nelle sue passioni anche di dominare; pago egli di mantenere in pace il paese dei suoi Padri, poca truppa bastava per lui, e l’Abissinia viveva tranquilla nella coltivazione primitiva dei suoi terreni, e nel paese vi era una vera abbondanza di tutti i generi necessarii alla vita, io stesso nei primi anni ho comprato dieci gran sacchi di grani con uno scudo, ed allo stesso prezzo 18. piccole pecore, sei grossi vasi di miele, allo stesso prezzo, e quattro di butirro per lo stesso valore, in Tedba Mariam, come già credo d’aver notato più avanti. Mentre oggi a Devra Tabor mentre io era prigioniere, per uno scudo non si trovavano tre kilò di grano, e così degli altri articoli summentovati.
il p. Giusto mi portò in regalo un saggio dei suoi studii sulla lingua etiopica. Il Padre Giusto venendo a trovarmi dopo quasi tre anni di separazione mi portò come saggio del progresso fatto nello studio della lingua etiopica [p. 436] [mi aveva portato] in regalo la traduzione di un fascicolo scritto da un missionario francese intitolato Les soirees de Chartage, dialogo trà un Mofti, un Kadi, un Prete, ed una mon[a]ca della carità, fascicolo che io aveva trovato in Propaganda, e che gli aveva mandato ad oggetto che si traducesse, pensando che sarebbe stato utile in Abissinia, dove l’islamismo stava facendo molto male; la traduzione di questo libro chiamato in Abissinia il mufti, fu talmente amato, che già a quel tempo se ne erano fatte molte coppie.
Oltre a questo libro mi portò ancora la traduzione del libro del battesimo in due colonne, una etiopica e l’altra latina per l’uso della S. C. di Propaganda, onde sapesse pronunziare un giudizio al uopo sopra questo libro liturgico. Se Iddio l’avesse conservato in vita, questo missionario, forze meno atto per il ministero apostolico in detaglio, non avrebbe lasciato di prestare gran servizii alla Chiesa. Difatti io l’aveva già incaricato di tradurre l’intiero messale abissinese, per sottoporlo al giudizio della Chiesa; lavoro che il P. Giusto aveva già incomminciato all’epoca del suo esilio; ma Iddio troncò il filo di tutti questi lavori colla sua /279/ morte avvenuta in Kartum, mentre ritornava da Roma alla missione, con eccellenti disposizioni, come mi consta da lettere sue che mi scrisse strada facendo. (1c)
premura di partire per padre Giusto. Il Padre Giusto non poteva stare di più con me senza pericolo del mio incognito in Abissinia dopo l’esilio, e neanche sarebbe stato prudente fermarsi ancora qualche giorno di più senza esporsi al pericolo di non poter più ritornare in Betlem, dove aveva lasciata tutta la sua famiglia, perché le aque minaciavano di chiudere tutte le strade, non essendovi in Abissinia [p. 437] ponti per passare i fiumi, ed in certi luoghi questi fiumi o torrenti sono molto pericolosi. Egli perciò dopo circa quattro giorni partì per Betlemme, ma mi ricordo di un’accidente arrivato la notte precedente la sua partenza. (1d)
fatto curioso arrivato al p. Giusto l’ultima notte che stette con me Dormivamo ancora tutti nella casa di Maquonen, perché la mia capanna non era ancora finita. La sera avanti prima della cena arrivarono tre soldati, del Nagadaras a dividere la nostra cena; il padron di casa fece cercare della birra in quantità per trattare [bene] questi forestieri. Tanto più che il P. Giusto doveva partire l’indomani. Questi forestieri passarono la sera chiacchiarando e bevendo, a segno che ci stancarono molto. Io ritiratomi sopra il mio letto, una specie di grabato, e fatte alla meglio le mie preghiere, mi sono posto a dormire, ma non trovandosi un posto a parte per il P. Giusto [questo] si corricò per terra, e dopo di lui si corricarono tutti vicini anche quei soldati mezzi ubbriacchi. Nella notte tutto all’improvviso sento il P. Giusto alzarsi in collera, mi alzai subito, ed il padre Giusto aveva già acceso il lume ed aveva tutta /280/ la testa che gli colava, cosa è cosa non è? Quel porco infame, disse, alzatosi orinò sopra la mia testa; ciò che più mi irritò in quel momento fù il vedere quel villano corricato ridere ancora, e neanche dare un segnale di dispiacere.
decadenza dell’abissino a differenza del galla. Racconto questa farza, non per far ridere, ma per dare un’idea del soldato abissinese, come è grossolano; quindi per far conoscere la miseria e l’avvilimento di quella povera popolazione, la quale suole dormire per terra come i cani, caduta più basso di tutti i paesi Galla, e di Kafa stesso, frà i quali nessuno dorme per terra di notte, e di giorno non mancano di una sedia per sedersi.
il mio domestico Giuseppe ed il portatore Toccò andarono a Gondar. [p. 438] Partito che fù il P. Giusto, anche il mio domestico Giuseppe mi domandò la permissione di ritornare a Gondar per passare un mese coi suoi parenti; lo stesso mi domandò il portatore Tokò, ed ho accordato loro tale permissione a condizione di ritornare subito dopo l’assunta per poter partite al più tardi sul fine di Agosto. Come io riceveva il vitto dalla casa di Maquonen, diminuita così la famiglia non aggravava tanto quella casa.
in tutto il tempo delle pioggie ho frequentato le chiese per esaminare le funzioni liturgiche d’Abissinia. Rimasto solo ho fissato di passare quei due mesi a regolarizzare le mie memorie o diario del viaggio, a studiare un poco la lingua coll’ajuto di alcuni schiavi Galla, dei quali la casa abbondava, ed in terzo luogo [a] studiare ed esaminare la pratica delle funzioni abissinesi frequentando le Chiese. Il prete confessore della padrona di casa passava tutti i giorni qualche ora con me, e mi conduceva egli stesso alle funzioni delle diverse Chiese. Fu allora che ho potuto sentire parecchie volte la messa abissina, non per sentirla in communione di quegli eretici ma per giudicarla per ogni caso di bisogno. Fu allora altresì che ho assistito più volte all’amministrazione del Battesimo; ed ho potuto vedere io stesso il dubbio della validità del medesimo, in un coll’immoralità nel modo di fare le unzioni.
Un bel giorno volendo conoscere l’olio santo ho domandato al mio prete dove lo trovavano, e come lo benedivano. Egli mi rispose che un mussulmano che andava e veniva da Gerusalemme lo portava di là e lo vendeva. ho mandato il prete a comprare dell’olio santo per esaminarlo. Un’altra volta gli ho domandato se poteva andare a comprarmene: egli mi fece [p. 439] aspettare qualche giorno e poi un giorno venne da me, mi domandò alcuni sali e partì. Restò circa tre giorni fuori, e poi venne e mi portò dentro una canna un poco d’olio con molti misteri di secretezza, e me lo diede, raccomandandomi di nulla dire, perché è una cosa che si vende solamente alle Chiese. Io poi ho /281/ esaminato quell’olio, ed ho veduto che era un’olio di sellit (1e), cioè di un grano dei paesi caldi del Suddan, di cui se ne fa un gran commercio alla costa dai Suddan all’arabia: ai fondo della canna ho trovato persino un grano dell’olifero, da cui è stato cavato.
un giorno il prete mi portò dalla Chiesa due «abèst» o pagnotte della chiesa copta Un bel giorno essendo andato alla Chiesa con lui, rivenendo a casa mi diede due pagnotte (cioè due ostie) dei pane della Messa, e mi disse che era la sua porzione (2c); gli ho dato un sale di paga, e secretamente me ne portava poi quasi tutti i giorni. E un pane fatto alle chiese dai diaconi, e mi raccontò come si faceva e si distribuiva nel Betlem dopo la Messa a tutti gli inservienti; mi raccomandò però gran secreto. E questo un pane molto bono che non si trova altrove. Questo pane, mi diceva, quando incomincia la Messa e si dice il Besma Ab, Wold, Menfes Kedus [in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo], diventa la carne di Cristo.
Così parimenti [sul battesimo] ho voluto esaminarlo sulla forma del battesimo, ed egli la faceva consistere nella benedizione dell’aqua che fà il prete prima facendo colla croce un segno di croce sopra il vaso dell’aqua, mentre dice[:] Besma Ab, Wold, Menfes Kedus. Questo Prete non passava nel paese come un uomo istruito, ma era un Prete molto venerato, a cui tutti baciavano la mano.
desiderio di questo prete di essere dichiarato mio confessore a condizioni incredibili [p. 440] Questo brav’uomo desiderava molto che io lo dichiarassi mio Confessore, ma io rispondeva a questa questione dicendogli che [io] ne aveva già uno. Era curioso di sapere cosa io dava al mio confessore; così qualche volta mi tratteneva con lui, ed ho potuto conoscere tutti gli usi del paese, i quali poi sogliono variare nei diversi paesi. Mi raccontò pure come aveva preso, e da chi aveva preso le ordinazioni ecc. ecc. Egli mi confessò d’aver dato un sale per il diaconato, e quattro sali per il sacerdozio. [Aggiunse:] ma poi come di sangue Galla per essere Prete ho dovuto dare cinque sali; poscia come eunuco ho dato un talle- /282/ ro. Dopo tutto questo ancora vi era la questione di dichiararlo mio Confessore, e come forze credeva che io rifiutassi per timore di confessare certi peccati è arrivato al di là di tutto quello che poteva arrivare dispensandomi dal confessarmi dei peccati, e protestare persino che non mi avrebbe proibito di farne altri, e che si rimetteva alla mia generosità per tutto quello che gli voleva dare, tanto era l’ardore di salvarmi.
dichiara del motivo sincero per cui scrivo queste storie Chi leggerà queste cose crederà una mia esaggerazione, ed io stesso non avrei creduto prima di [avere] questa prova; ho veduto coi miei occhi fin dove arriva la venalità e l’abbassamento del prete eretico d’Abissinia. Era quella la prima volta che esaminava simile questione, ma poi dopo ho veduto [di] peggio. In altra circostanza in cui poteva spiegare la mia qualità, e che mi sono creduto in dovere di predicare la verità, qualcuno venuto da Gerusalemme si giustificava colla pratica di quanto si fa in Gerusalemme stesso dai Greci.
la stessa pianta fuori dalla vigna diventa selvagia, e lambrusca si accoppia anche colle spine. Se facio tutte queste osservazioni non è già [per] leggerezza, ma [per] un puro desiderio di far conoscere che la stessa pianta piantata [p. 441] da Cristo, essa fuori della vigna, ed emancipata dalla vigilanza del vignajuolo, diventa subito selvagia, e non produce più frutti di vita eterna. Questa verità è tanto evidente, che gli eretici frà di loro si lasciano in pace, ma tutti si armano contro la Chiesa cattolica. L’ultima e la più terribile di tutte le eresie che è la massoneria odierna lascia in pace tutte le eresie, perché non gravitano più sul cuore del uomo, e divenute esse stesse tutte creazioni provenienti dallo stesso padrone: tutto l’odio della massoneria è contro la Chiesa Cattolica, e contro questa immensa armata piena di vita che forma l’apostolato del giorno, cioè il Sacerdozio Cattolico.
miei sforzi per studiare la lingua galla. Come subito passato l’inverno io contava [di] partire per il Gogiam, e di là immediatamente passare in Gudrù, ho voluto occuparmi della lingua Galla, e per questo mi servì anche molto il mio buon Prete, benché l’avesse molto perduto [quel linguaggio], essendo sortito dal suo paese molto giovane. Vi erano in casa due schiavi di quattrodeci o quindeci anni, i quali lo parlavano bene, ma questi erano così divagati e viziosi che diffidilmente poteva interessarli; per ottenere il mio scopo avrei dovuto secondarli nelle loro inclinazioni, ma con simile gente guai incomminciare, prendono poi troppo libertà, tanto più che essi non sapendo ancora bene la lingua abissinese non poteva ragionargli. Una volta avendogli cercati si rifiutarono, e per accapparrarli ho voluto fare qualche facezia, e subito m’aviddi che non conveniva, perché si lancia- /283/ vano subito come scimmie. Qualche vicina di casa [p. 442] gli aveva molto guastati, e neanche poteva avvicinargli senza che quella [persona] cercasse di venire. Ho dovuto perciò limitarmi al prete per imparare la lingua Galla.
Iffagh suo clima,
sua richezza del suolo,
sua fertilità,
sua abbondanza di viveri;
sua posizione che lo faceva centro di tutto il commercio d’Abissinia.
Ifag al tempo di Ras Aly, era il centro di tutto il Commercio d’Abissinia. La sua posizione geografica obligava[no] tutte le carovane del Sud a passarvi, sia quelle del Sud-ovest che venivano dal Gogiam portando i prodotti dei Galla più verso l’ovest, che quelli del sud-est the venivano dallo Scioha [e] per forza dovevano passarvi. Così al contrario le carovane che venivano dall’estero per la via della costa di Massawah, come quelle che venivano dall’ovest dalla parte di Matamma e del Suddan, la loro grande stazione era Iffag. Il suo clima poi [era] di una altezza temperata; dava una temperatura la più bella, la più eguale di tutta l’Abissinia. La richezza del suo terreno in tutti i generi invitava[no] lo straniero a restarvi, perché trovava la abbondanza di grani, di erbe e di bestiami, cosa tanto necessaria allo straniero, il quale non può camminare senza gran quantità di bestiami per il trasporto. La vicinanza del lago di Tsana gli aggiungeva una vaghezza che allettava, e nel tempo stesso una richezza di pesca molto commoda per i digiuni, ed anche per la varietà [di cibo]. Oltre di questo si trovavano i così detti Zellan, popoli pastori, i quali nei contorni ad una certa distanza possedevano centinaia di mille bestiami, epperciò [somministravano] latte, butirro, e carne in abundanza. Si aggiungeva a tutto questo che il governo trattava questo paese come un luogo d’immunità, dove i soldati non potevano restare,
[p. 443]
cosa molto importante in Abissinia, dove il soldato è la prima piaga del paese. Per questa ragione, in Iffag vi era una gran popolazione, la quale in quel tempo poteva calcolarsi [a] otto o dieci mille [unità].
La sola popolazione flottante di Iffagh poteva senza sbaglio calcolarsi almeno [a] quattro mille [unità]. Io dimorava in casa del capo doganiere, e questi mi disse che in quel momento esistevano più di due mille schiavi registrati in dogana.
visita di un gran stabilimento di schiavi col prete,
e col figlio di Maquonen.
storia curiosa.
Sentendo questo io ho voluto un giorno visitare una delle più grandi case di schiavi, dove esistevano da sei o sette gran mercanti. Era questo un gran recinto, dove vi erano capanne di tutte le grandezze. Si trovava con me il Prete, ed il figlio maggiore del mio Padron di casa. Come l’abissinese è molto furbo e vizioso, prima che io entrassi hanno parlato al Padrone in secreto, non so cosa abbiano detto, ma ho dubitato che abbiano detto che io voleva comprare [degli schiavi]. Dopo [aver] preso un buon Caffè mi conducono in una stanza, o meglio capanna interna, dove si trovavano sei o sette
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schiavette, ed il mio buon Prete si accostò a ciascheduna, accompagnato dal figlio del padrone, e le visitavano una per una da capo a piedi con tutta gravità, come per farmele vedere; io non ho amato un simile procedere, come è chiaro, ma vedo il giovane mio padrone che ne prende una e si ritira in altra capanna.
Io sono sortito da quel luogo poco conveniente a me, e mi seguì il prete conducendomi da una parte; mi spiegò ogni cosa, quasi facendomi certi inviti che non oserei dire. Da quanto mi disse il Prete ho potuto capire che tutti quei mercanti [p. 444] in tutto il tempo che [vi] restano fanno un dopp[i]o negozio, vendono a chi vuole comprare e prostituiscono [gli schiavi] pagando il [prezzo] convenevole; mancomale la prostituzione è utriusque [sexus].
in Ifagh gran commercio, e gran corruzione. In Iffagh vi era un gran movimento di commercio, per l’Abissinia si poteva dire cosa unica, ma vi era altresì gran corruzione. Una popolazione mista di cristiani di nome, di mussulmani, la più parte arabi fanatici e coruttissimi, e di pagani, con tanta commodità di peccare, commodità tale, che lo stesso Clero era ingolfato sino agli occhj, lascio considerare qual corruzione. La povera città fu intieramente distrutta da Teodoro. Povero Iffagh; fù poi distrutto intieramente da Teodoro, e nel 1880. essendo passato io di là non trovai più segnale dell’antica sua esistenza; le sole chiese esistevano quasi abbandonate.
(1a) in Abissinia è poco conosciuta la legge che dichiara gli eunuchi irregolari; accade perciò di trovare, anche frequentemente sacerdoti eretici eunuchi. La masse popolari abissine, massime fuori dei gran centri, professano generalmente una gran venerazione per l’uomo nubile, casto, e per il monaco; essi però non hanno un’idea categorica e giusta di questo gran fiore evangelico. Come si crede da molti in Abissinia di poter ottenere la castità con certe medicine materiali; così per questa stesso ragione hanno una venerazione anche per il prete eunuco. Chi però ha conosciuto e meditato [sul]l’eunuco abissino, vede subito la gran sapienza nella legge della Chiesa che dichiara gli eunuchi irregolari. Abbiamo nella storia fatti di eunuchi arrivati ad alte dignità, i quali han fatto del gran male. Se io perciò dirò qualche cosa di troppo di questo prete, è per fare comprendeve che l’eunuco è in realtà incapace di governare la Chiesa, e di diriggere le anime; egli manca di carattere, di morale e di fermezza. [Torna al testo ↑]
(2a) Il P. Giusto era travagliato da due passioni, una era il timore dei paesi galla, i quali in Abissinia passavano per paesi barbari e crudeli. L’altra passione poi, molto più efficace sul suo cuore, era la passione della scienza filologica, per la quale bisogna confessare che aveva una grande attitudine, ed aveva già fatto gran profitto, ed anche alcuni lavori interessanti. [Torna al testo ↑]
(1b) L’Abissinia è povera, ma pure non manca nella sua povertà di avere un certo mondo esterno, sia nella lingua parlata, sia nelle vesti, e sia nella cavalcatura. Il lusso di cui è questione in questo lungo è di questo genere, se pure non si vuole aggiungere l’accompagnamento di molti servi. Sono tutte cose leggiere in Europa stessa, ma ridicole in Abissinia, massime per un europeo, e peggio per un missionario. [Torna al testo ↑]
(2b) Dicendo che Ras Aly faceva del vino, deve intendersi una piccola quantità unicamente per se; chi avesse voluto farne molto, avrebbe mancato di vasi per contenerlo. Per conservare il vino in Abissinia non si trovava altro che corni di bue della capacità anche di dieci littri. I vasi di terra cotta in uso nel paese, non essendo verniciati, non servono per conservare il vino, perché assorbono, ed in certo modo traspirano. Si trovava a comprare vino in piccola quantità, e non in tutte le stagioni. [Torna al testo ↑]
(1c) I lavori del P. Giusto da Urbino, parte si trovano in Roma nell’archivio della S. C. di Propaganda Fide, dove furono spediti i manoscritti stati trovasi presso di lui in Kartum dopo la sua morte; un’altra parte che si trovava presso di me andarono perduti in Kafa nel mio esilio da quel paese nell’anno 1861., quando furono perdute tutte le mie note e memorie. In questo modo sogliono finire i sudori del missionario apostolico fra i barbari, quando egli si affatica per aggiungere un granello alle altezze della scienza, la quale si innalza, come la torre misteriosa di Sennaar per far la guerra a Dio, invece di affaticarsi a spargere il nome della divina parola nel cuore del uomo. Questa è il solo lavoro benedetto da Dio padrone del campo, e questo è il solo lavora, il cui risultato, o tardi o tosto non mancherà mai. [Torna al testo ↑]
(1d) Fu l’ultima volta che viddi il P. Giusto; [26-30.4.1855] egli due anni dopo, [fu] chiamato da Abba Salama, orsù, gli disse, o giurate di non insegnar più, oppure partire; P. Giusto rispose, fin qui [non] ho mai insegnato, Iddio mi perdoni, ma se rimango vi giuro che insegnerò. Dopo questa risposta fù esiliato, arrivò a Roma, dove trattandosi di rimandarlo come Vescovo mio coadjutore, no, rispose nettamente, io ne sono indegno; io voglio ritornare ai piedi del mio Vescovo per riparare le mie ritrosie passate, e consolarlo. Venne, [† 21.9.1856] morì in Kartum, mi arrivarono le sue lettere un’anno dopo piene di proteste e di sentimenti consolantissimi; peccato che le sue lettere mi siano state perdute...! Veda il mio lettore quante vicende in questa piccola storia...! [Torna al testo ↑]
(1e) Dico sellit chiamandolo col nome stesso col quale è chiamato in Abissinia, dove è conosciuto in molti luoghi, benché non conoscano il modo di cavarne l’olio. È un olifero molto comune nel Sennar, e nel Sudan, dove se ne fa un gran commercio. Le carovane di Gadaref che discendono alla costa portano questo grano olifero a Soakim, di dove passa nell’Arabia Felice, ed anche in Egitto. Si mangia il grano arrostito con gusto dagli arabi, e se ne cava un’olio per i lumi, o per mangiare. In Massawah è l’unico olio che si vende sul mercato per l’uso comune. [Torna al testo ↑]
(2c) In Abissinia questo uso di fare il pane per la Messa, e di distribuirne a tutte le persone di servizio della Chiesa, e un’uso venuto dai Copti d’Egitto, come ho notato altrove nella storia [del monastero] di S.t Antonio. In Abissinia però la distribuzione e lo consummazione di questo pane si fa con gran secretezza; è una cosa affatto invisibile al popolo; si fa, e si consuma nel Betlem, luogo riservato e più sacro dello stesso Sancta Sanctorum della Chiesa. [Torna al testo ↑]