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22.
Preparativi e viaggio festoso
con Aviètu-Gulti e due «Angeli».

conferenze rapporto al viaggio; misure prese. Fratanto bisognava prendere le debite misure per il viaggio futuro di Gombò e di Lagamara. Dopo una conferenza, sortita la sua sposa abbiamo chiamato Negus, e tutti [e] tre uniti abbiamo fatto una conferenza a questo riguardo. Essi pensavano a farmi prolungare la mia dimora presso di loro, ma ho fatto loro conoscere che la mia dimora non poteva prolungarsi al di là [di là] di otto o dieci giorni. Gombò, dissero essi, [p. 327] è un paese non accostumato ai forestieri, massime della vostra condizione, e non possiamo mandarvi senza prendere tutte le misure necessarie, affinche non accadano inconvenienti. Tanto io che Avietu abbiamo parenti in Gombò, manderemo [inviti] affinché vengano, e si combinerà ogni cosa con loro. Fratanto parleremo anche con Gama, essendo bene che egli pure conosca ogni cosa. Ad ogni evento noi stessi vi accompagneremo, e non vi lascieremo se non con totale certezza che tutto anderà bene.

Difatti l’indomani spedirono [inviti] a Gombò, e dopo due giorni vennero di là due capi loro parenti, persone di gran riguardo e di molta influenza da quanto si diceva. Passarono il giorno in Loja, e l’indomani, accompagnati da Negus andarono da Gama, il quale gli ha ricevuto molto bene, e gli fece restare un’intiera giornata. Ritornarono di Assandabo intusiasmati del principe novello. Gama promette di venire; Nel congedargli disse queste parole = prima che parta il mio padre verrò a vederlo l’ultima volta =

preparativi. Questa parola di Gama ha fatto una impressione di entusiasmo in tutto il villagio. La casa di Negus, e quella di Avietu fecero preparativi per riceverlo. Frattanto uno dei forestieri di Gombò e partito per dare alcune disposizioni a proposito del nostro viaggio. Da quanto pareva le cose del medesimo presentavano buone apparenze.

[p. 328] mie scuse. Io avrei potuto fare la strada che hanno fatto i miei facendo il /188/ giro a levante per andate a Lagamara; ma [per] il gran bisogno di scoprire nuovi paesi, e fare nuove conoscenze ho fatto il giro a Ponente intorno a Nunnu, andando a Gombò; più difficilmente avrei potuto fare queste [vie] per mezzo di altri meno conosciuti, e con minore influenza. In questo viaggio aveva preso molte note per mandarle al Signor d’Abbadie, come luogo che egli non ha potuto visitare, ma sgraziatamente queste essendo state perdute in Kafa nel 1861. oggi mi trovo obligato a scrivere così a memoria; ma siccome è stato un solo passagio, e sono rimasto pochissimo tempo, ho perduto la parte principale dei nomi, sia dei fiumi, che dei luoghi o montagne meritevoli di essere nominate.

communioni e sacramenti. Intanto, sulle previsioni della venuta di Gama, cosa che avrebbe distratto i miei due sposi, ho pensato di sollecitare le cose loro spirituali, fatta perciò la loro confessione, una mattina di notte ho celebrato [la S. Messa], e fecero la santa comunione gli sposi e tutti que[i] di casa. Della stessa giornata, verso mezzo giorno, ho amministrato il s. battesimo ad alcuni bimbi [p. 329] dei due sessi, ed a due giovanetti schiavi di Avietu, riservando alcuni altri per una ulteriore funzione che immancabilmente si sarebbe fatta prima di partire; perché, tanto Avietu che la sua sposa stavano preparando uno schiavetto, ed una schiavetta del loro interno, dei quali essi volevano essere padrini. Rapporto a questi due giovani battezzandi voglio notate una cosa molto bellina. storia di due angeli custodi. Lo schiavetto era un giovanetto di Avietu [che] da piccolo aveva sempre tenuto con se, e dormiva con lui, chiamato il mio angelo di compagnia, e conosceva tutta la delicatezza di condotta del suo padrone, il quale gli custodiva persino le mani nella notte, affin[ché non] le stendesse verso l’albero proibito in mezzo al paradiso. La schiavetta poi era venuta da Assandabo colla sposa, ed era stata sempre la sua compagna indivisibile anche nella notte, chiamata pure la sua angeletta. Era un patto che avevano fatto i due sposi due o tre anni prima, in un momento che [si] trovarono di passagio, per avere un custode e testimonio della loro integrità. I due sposi pensavano all’educazione strettamente cristiana di questi due angeletti, e poscia [di] maritarli per formarsi una famiglia cristiana per l’educazione della loro prole futura; che bella idea! ma il ragazzo tendeva allo stato religioso...

[p. 330] venuta di Gama a Loja. Passarono appena 5. giorni dal ritorno di Negus da Assandabo, che un corriere secreto arrivò alla sposa, spedito da Dunghi madre di Gama, il quale gli annunziava che l’indomani, Gama sarebbe arrivato con una sufficiente comitiva. Difatti l’indomani prima delle nove i trilli delle popolazioni circonvicine già ne davano il segno, e qualche minuto /189/ dopo Gama con una comitiva di circa 30. cavalieri arrivava alle porte di Negus, e tutto il villagio era in feste. Negus era fuori di se per la contentezza, vendendosi onorato dal novello principe. Una ventina della comitiva erano fucilieri di Gama, gli altri poi erano Signori di Assandabo venuti ad accompagnare il loro principe, capitanati da Gosciò Gabriele figlio di Gama, e nostro antico allievo e cristiano. Questi, salutato Negus, ed abbraci[at]o Avietu suo cognato, senza entrare nella gran casa di Negus, accompagnato dal cognato sposo vennero subito da me, mi baciarono la mano, ed io risposi al bacio della mano, abbraciandoli strettamente tutti [e] due; dopo il cangio di poche parole, entrambi volarono verso la sposa, la quale era tutta in facende per ricevere il suo amato Padre. Gosciò fece un bel complimento alla sorella, ed indirettamente al suo sposo per l’avvenimento così precoce d’essere già divenuta madre. Ciò fatto, si riunirono alla comitiva.

visita di Gama a me. Bevuto che ebbero un bichiere, dico bichiere, benché in quei paesi sia uso di bere nei corni, perché presso i grandi non manca una provisione di bichieri [p. 331] e di caraffe di cristallo di diversi colori, ed anche dorate, i quali si mettono fuori in grandi circostanze, come vasi molto preziosi, attesa la gran difficoltà di trasporto, ed il gran numero [di quelli] che si rompono in strada, bevuto che ebbero tutta la comitiva venne da me, ma pochi hanno potuto entrare, perché la mia casa era molto piccola. Mentre Gama stava seduto vicino a me, la comitiva poco per volta entrava a complimentarmi, e sortiva per lasciar il posto agli altri. Finirono i complimenti e sortirono tutti, restando il solo Gama, col quale ebbi una conferenza sul viaggio, e rapporto alla missione, prima di tutto di Assandabo, e poi anche di Cobbo, che ho voluto raccomandargli. In proposito di Cobbo sono già avvertiti, disse, parto di quì per andar là ad assistere ai commizii del Bukù; non dubitate che continuerò l’operazione da voi incomminciata; il mio Gosciò farà le loro parti presso di me.

visita di Gama agli sposi. Ciò finito sortì, e fece la sua visita agli sposi in gran forma. Come è chiaro, io non sono andato, ma vi andò Abba Joannes, e mi raccontò tutta la storia. La gran casa, detta di Hada Gulti nonna di Avietu, la gran casa di ricevimento, era stata preparata in modo particolare; per Gama era stato preparato una specie di trono, coperto con un gran tappeto di Persia, cosa molto preziosa colà.

[p. 332] Seduto Gama sopra il suo trono, si accostarono a lui i due sposi, e gli baciarono la mano, ed in contracambio egli gli abbraciò, e poi fece un complimento allo sposo dell’avvenimento di [essere già] /190/ padre, e così alla sposa; ciò udito, tutta la comitiva di Gama ad alta voce fece [risuonare] gli evviva. Allora Gama prese la parola. bella parlata di Gama agli sposi. Sentite una cosa nuova, disse: fin qui noi eravamo matti a cercare donne, oggi Abba Messia ci ha insegnato la medicina per aver figli; dietro il suo consiglio [questi sposi non] ha[nno] mai voluto sapere di queste cose fino alle loro nozze; il primo giorno che si sono trovati sono divenuti padre e madre, e l’amore loro reciproco è un vero spettacolo. Io dalla prima mia moglie ho avuto figli, dopo che ho moltiplicato le mogli [non] ho trovato più niente che discordie in casa mia. Conosco oggi la vera strada, ma sono troppo vecchio; ciò detto gridò egli stesso[:] evviva Abba Messias, evviva gli sposi, e tutti ripeterono[:] evviva evviva. Gama in questa sua parlata non fece menzione diretta della religione cattolica, ma la fece indirettamente, facendo chiaramente vedere dove inclinava il suo cuore; più delle parole, i fatti parlarono, essendo venuto per vedermi.

Avrebbe voluto partire per Cobbo, ma vedendo che erano stati fatti [i] preparativi, si lasciò indurre a restarvi la notte. Il pranzo fù nella casa di Negus, e la cena in casa degli sposi. La sera poi dopo la cena venne a passate [alcun tempo] [p. 333] presso di me in compagnia di Gosciò, di Avietu e di Walde Ghiorghis capo della guerra. Questi tre ultimi passarono la notte con me, come tutti [e] tre cristiani. ho passato la notte in conferenze. Ho passato la più parte della notte in conferenze spirituali prendendo motivo dalle parole di Gama; Waldeghiorghis ed Avietu erano tutti [e] due sposati cattolicamente, ma Gosciò figlio di Gama mi lasciava ancora temere a questo riguardo, perché dopo il vajvuolo per più di sei mesi si era un poco guastato, ed aveva già incomminciato a camminare per le vie universæ carnis del Gudrù; ma coll’aiuto dei due compagni l’abbiamo preso tanto alle strette che ci promise di mettersi in regola: io parto, dissi, ma ti lascio nelle mani di questi due compagni; quando questi mi assicureranno che hai fatto profitto io verrò a benedire il tuo matrimonio, del resto non verrò. L’ho minaciato di questo, perché sapeva che era questo un’argomento che molto lo interessava.

L’indomani pani Gama con tutta la sua comitiva, e vi rimase il solo Walde Ghiorghis Capo della guerra, perché desiderava [di] confessarsi, e fare la S. Communione. D’altronde Gama l’aveva destinato per accompagnarci in compagnia di un’altro suo soldato sino alla frontiera. Partito Gama, si ritardò un giorno di più la nostra partenza per la Funzione che ancora ci restava a fare. Si passò perciò [p. 334] a preparare la cappella ed il cuore dei battezzandi e dei communicandi, i quali, comprese le persone di casa, erano almeno dieci. Ci siamo alzati circa /191/ le tre dopo mezza notte, e ci volle più di una mezz’ora per vestirsi tutti da festa, e vestire i battezzandi; i battezandi si vestirono da angeli. questi furono vestiti con tutto il lusso possibile nel paese; presero dal mio bagaglio delle ali di angeletti venute d’europa, e seppero legarle così bene, che veramente parevano angeli reali e non fittizii. Arrivarono in processione dalla casa privata dei sposi, e fui chiamato per vedergli quando venivano alla testa di tutti, ed il piccolo venticello che spirava dava un tal movimento alle ali, che si sarebbe detto, [che ad] ogni momento stavano per prendere il volo: [se] prima del battesimo siete angeli, dissi, cosa sarete dopo?

battesimo di due angeli. Si incomminciò subito la funzione del battesimo; Avietu fece da padrino al ragazzo, e la sua sposa fù madrina della ragazza. Vollero che si metesse il nome di Angelo, al ragazzo, e di Angela alla ragazza, ma naque una difficoltà; il nome di Angelo in lingua del paese non ha il genere feminile, di modo che in caso di pronunziare questo nome nella loro lingua, di tutti [e] due il nome sarebbe stato identico, anche in paradiso, dissi, gli angeli non hanno che un genere solo; per distinguerli si chiameranno sempre col nome latino Angelo, ed Angela, e così [p. 335] finì la questione. La funzione riuscì un poco lunga, perché si amministrò il battesimo degli adulti, e ad ogni parte della liturgia se ne faceva da Abba Joannes una breve spiegazione in lingua galla, spiegazione in cui era stato abituato da me. Riuscì però la funzione molto tenera, e lasciò un’impressione molto viva nei pochi che assistevano. Finito il battesimo si celebrò la Santa Messa, nella quale [si] comunicatono prima di tutti i neo battezzati, e poi i due sposi, e quindi tutti gli altri. i due angeli divennero serafini. Abba Joannes prima e dopo della santa communione fece una breve preparazione e ringraziamento in lingua galla, in cui era abituato, e seppe talmente impadronirsi dei loro affetti, che di angeli i due battezzati diventarono due serafini. Finì la funzione che incomminciava l’aurora, ed ebbero appena tempo a ritirarsi prima che sortisse il mondo pagano. I due sposi avrebbero desiderato che si mantenesse la cappella, e che si celebrasse la S. Messa ancora l’indomani, ma la scarzezza del vino non permetteva tanta liberalità. Così sul momento tutto fu disfatto.

Così lungo il giorno si poté pensare ad assestare ogni cosa per il viaggio dell’indomani. La sposa volle prepararmi il necessario nutrimento per tutto [p. 336] il viaggio sino a Lagamara. In quei paesi non si trovano alberghi, non pristinai, non rivendoli, e nessuna cantina per comprare del vino, ma ciascheduno deve portarsi il suo pabatico in proporzione delle persone, e della lunghezza del viaggio. viatico dei poveri in viagio. I poveri portano in un piccolo otre una quantità di ceci abrustoliti, e cammino facendo di /192/ quando in quando ne prendono un pugno, ed uno per uno lo fanno passare per il molino dei proprii denti, e gli mandano in pancia; arrivati a qualche fontana o fiume si prostrano per terra come i soldati di Gedeone, e bevono, e questo è tutto il loro pasto: io stesso me la sono passata così sino a tanto che i denti hanno potuto reggere, ma il molino dei denti si consuma, ed allora il povero se la cava come può.

viatico dei ricchi in viagio. Nel caso di cui è questione io veniva da una ricca famiglia, e sopratutti la sposa di Avietu non volle lasciarmi partire come un povero, ma mi preparò un viatico suntuoso da signore. Prima di tutto mi preparò una buona quantità di bessò, cioè una certa pasta fatta con farina di orzo abrustolito, ed impastato col miele purgato, cosa buonissima, e che si mantie[ne] molle per molto tempo. Questo serve di pane e di companatico; se poi si scioglie nel corno con dell’aqua, diventa una bevanda che nutrisce e rinfresca [p. 337] nel tempo stesso. Dopo di ciò mi preparò un’altra pasta di colore caffè fatta col seme di lino abrustolito, e pestata nel mortajo sino a che l’olio incommincia [a] spiegarsi, poi si aggiunge del miele e si seguita [a] pesta[ta]re fino a tanto che sia ben mescolata, Questa si scoglie nell’aqua, un poco più liquida, se è per bere, ed un poco più consistente, se deve servire come pietanza per bagnare il pane, quando si trova. In terzo luogo mi preparò il così detto scirò, cioè farina di carne secca pestata, e farina di fave abrustolite. Quando si trova un piatto con un poco di butirro, allora si mischiano le due farine suddette, si fa bollire coll’aqua con poco di sale e pepe con butirro si fa un piatto bonino per bagnare il pane quando si trova; in mancanza di questo, la sola farina di carne secca impastata con un poco di aqua, sale e pepe si può anche mangiare, e nutrisce molto. Anche le mogli di Negus mi fornirono di suddetti [cibi] in quantità, ed alcune mi mandarono salami di carne di bue sufficientemente buoni, e biscotti di fromento impastati con butirro e miele, cotti due volte sulla piatta forma del pane.

partenza dalla casa di Negus Sciumi. L’indomani mattina, preso qualche ristoro, ecco tutto il mondo in movimento che viene a salutarci; anche le mogli di Negus, le quali prima si contentavano di salutarci dalla porta come ucelli nella gabbia, oggi sono tutte là intorno a noi; io le ho ringraziate molto cortesemente, e così siamo partiti. Sia Negus, che Avietu [p. 338] erano a cavallo del loro cavallo di lusso, ed avevano dietro di loro un mulo sellato che mi pregavano di montare, ma io, secondo il mio solito, ho rifiutato, e amai meglio camminare a piedi. mie ragioni per non camminare a cavallo. Oltre la ragione personale che mi consigliava di andare a piedi come religio[so] figlio di S. Francesco, aveva poi anche delle altre ragioni molto gravi che mi raccomandavano questo /193/ sistema. La missione andava crescendo, ed incominciavamo ad avere qualche sacerdote indigeno; ora se il missionario europeo incommincia [a] spiegare una passione per la cavalcatura, e che voglia avere un mulo per se, questa passione non tarderà a manifestarsi anche negli indigeni che noi dobbiamo calcolare molto deboli; il mulo poi domanda servi in proporzione per pascolarli, per tagliar l’erba, per portarli a bere, cosa molto notabile per le spese maggiori, ed anche per i viaggi; un uomo solo con un compagno non è una persona che [s’]imponga, e può entrare in tutte le case, laddove una persona con mulo, e con molti servi non tutti osano riceverli, sia per mancanza di luogo, sia per mancanza di mezzi per riceverlo come si conviene. La passione del mulo sveglia la passione cavalleresca, e poco per volta senza avvedersene [il sacerdote] cammina verso le gran passioni del mondo con gran discapito dello spirito apostolico ed evangelico.

Patto conoscere queste mie ragioni, ritorno in compagnia di Negus e di Avietu. Quest’ultimo dove[va] accompagnarmi sino alle frontiere del Gudrù, [p. 339] ma Negus si era licenziato da casa sua per andare ai commizii di Cobbo, dove era aspettato, e mi seguiva unicamente per onorarmi; io andava verso ponente, ed egli doveva andare a levante; l’ho pregato perciò di non allontanarsi di più; acettò il partito, e ci siamo separati. Appena partito egli, Avietu discese da cavallo e si mise [a] camminare a piedi con me, ed il nostro Angelo gli camminava dietro portando il suo scudo. ultime conferenze con Avietu. Egli prima di tutto mi occupò molto in questioni concernenti la morale per lui molto più complicata, attesa la sua posizione di persona di alta categoria, obligato qualche volta a trovarsi inviluppato in questioni ambigue che potevano compromettere la sua conscienza. Quindi abbiamo [parlato] molto della Missione, per la quale io confidava molto in lui ed in Gosciò suo compagno, in favore del quale gli ho fatto molte raccomandazioni, onde assicurarmi che arrivasse ad un matrimonio cattolico, unico rimedio per salvarlo.

arrivo alla stazione. Tanto era il bisogno di parlare come per l’ultima volta con questo fervente cattolico, che senza accorgerci ci siamo trovati molto vicini al luogo dove dovevamo passare la notte. Dalla nostra partenza abbiamo quasi [p. 340] sempre camminato sopra terreni, e fra bestiami appartenenti a Negus, e ad Avietu per lo spazio alme[no] di cinque ore. Siamo entrati tutto vicino alle frontiere del Gudrù, villagio tutto di proprietà dei medesimi. Appena arrivati siamo entrati in una casa di Avietu, abitata dai suoi schiavi pastori e coltivatori nel tempo stesso. Vicino a lui si trovava la casa di Negus con moltissima gente; gran quantità di piccoli ragazzi di tutte le età, epperciò un bellissimo campo per l’apostola- /194/ to, ma sgraziatamente io aveva già speso parole di quà e di là, e mi sarebbe stata molto difficile una fermata notabile a tal proposito.

passegiata com Avietu. Dopo aver gustato un poco di cibo, e bevuto un poco di latte, unica cosa che la si trova, erano circa le tre dopo mezzo giorno, e con Avietu ho fatto due passi verso la discesa, prendendo la direzione Ovest, qualche grado verso il Nord, ed appena un kilometro lontano, siamo arrivati al bordo dell’alto piano, e si presentò al nostro sguardo verso il Nord una bella vallata, marcata di un fiumicello che verso il nord andava [a] gettarsi nel Nilo, ad una distanza appena visibile, ed al Sud la vallata era troncata da un precipizio di 40. e più metri, con una cascata [p. 341] bellissima, interrotta a metà da un[o] stretto ripiano, dopo il quale continuava sino al fiume. Noi abbiamo continuato la nostra paseggiata tenendo il bordo dell’alto piano verso il sud, e domando ad Avietu il nome del paese al di là della vallata, mi rispose che era il paese degli Hurru Galla; camminando circa mezz’ora sulla stessa direzione, veduta di una bella cascata, e del paese Hurru galla. siamo arrivati al luogo dove, più basso, partiva la cascata; dall’altra parte del fiume si presentava un piccolo gruppo di montagne che separavano gli Hurru Galla dal paese detto Gombò, dove noi dovevamo andare, e camminando sempre sulla stessa direzione siamo giunti sulla strada che discende al basso del fiume medesimo, dove l’indomani noi dovevamo passare, ma invece del fiume si presentava all’occhio un magnifico piano tutto verde di bellissima erba, che bel piano dissi! altro che piano, è un lago coperto, e domani passando lo vedrà [mi soggiunse Avietu].

Angelo piange ai miei piedi. Come si faceva tardi abbiamo ripreso il cammino verso il villagio per una strada più diretta; il nostro Angelo neo battezzato camminava dietro del suo padrone, mentre questi si allontanò un poco per qualche suo bisogno, egli depose il suo scudo, e venne [a] inginocchiarsi ai miei [p. 342] piedi, e si mette a piangere; facio segno ad Avietu di aspettare un momento, e domando al ragazzo cosa aveva trovato? piangendo mi dice Angelo vuole venire con me; chiamo Avietu. = voi andate, io voglio venire con voi, del resto sono perduto =, quando è così, dissi faciamo venire il tuo padrone, e dirai tutto quello che ha[i] da dirmi in presenza sua, e si combinerà ogni cosa; Avietu è il tuo padrone, venga egli e senta tutto, e intanto gli facio segno di venire, viene, si siede vicino a me, e poi dissi al ragazzo di dire tutto quello che pensa. Allora questo buon ragazzo prese i piedi di Avietu gli stringe gli stringe, e gli abbracia, pregandolo di lasciarlo venire con me. Per qual ragione vuoi abbandonarmi, gli domandò Avietu? Voi mi avete sempre [insegnato] delle belle cose, [rispose,] ed è da voi che ho conosciuto Iddio, ma in casa vi sono delle persone che mi fanno fare dei peccati, ed io non voglio fare più peccati, ma se sto qui sono per- /195/ duto; io voglio farmi prete come Abba Joannes, e qui mi fanno fare peccati, e mi vogliono maritare con Angela; queste cose mi producono cattive cose; jeri sera per non fare peccati sono fuggito, e sono andato a dormire con Abba Joannes, il quale mi parla sempre di Dio. Allora Avietu prende gravemente la parola, e gli dice [p. 343] di far[si] coraggio, e che intanto ci penserà, va ed io combinerò ogni cosa col nostro Padre. Il ragazzo si allontana, ed allora prende la parola Avietu, e mi dice = io conosco tutto ciò che vuoi dire questo ragazzo; chi lo guasta è la mia nonna, la quale, come voi sapete, ha fatto tanto per guastarmi; oggi dormo colla moglie, non potendo farla dormire con me la vecchia lo fa dormire con se, lo so, perché ha questa debolezza, ed è matta per [per] questo. Cosa devo fare[?]. non posso gridare la vecchia, come persona troppo di rispetto per me; dovrò proibire questo ragazzo di andare con voi, mentre il mio cuore lo vorrebbe per se stesso[?]; vada perciò in santa pace, e parte con voi il mio angelo.

Avietu decide di lasciarlo venire. Chiamò Angelo, e venuto, gli disse: figlio mio tu piangi per andare col nostro padre, posso negartelo, mentre io stesso vi anderei? va, che Iddio ti benedica; se ti farai prete mi assisterai alla mia morte; se poi cangierai intenzione, potrai sempre ritornare, ed io sarò sempre tuo Padre. Or dimmi schiettamente, chi potrei prendere in luogo tuo? tu devi conoscere i ragazzi più di me, dimmi chi devo prendere per portarmi lo scudo. Allora il ragazzo fuori di se per [la] contentezza, stassera stessa gli farò vedere il ragazzo che deve prendere, egli è migliore di me: [p. 344] quando io veniva quì con voi, io gli contava sempre quello che voi mi dicevate, egli custodisce le sue mani come facio io di giorno e di notte, e qualche volta avendo veduto alcuni suoi compagni che si divertivano colle capre gli ha battuti ed hanno fatto baruffa; per questo tutti gli altri lo temono molto. Avietu avendo sentito tutto ciò fu tranquillo, ed appena arrivammo in casa Angelo andò [a] chiamare il ragazzo, ed avendoglielo presentato, gli diede subito lo scudo, segnale del suo nuovo impiego; così Angelo passò subito alla nostra casa, ed io lo consegnai ad Abba Joannes, affinché lo istruisse. Questo lo custodirò e lo instruirò io stesso e poi me lo battezzerò. Per maritarlo a suo tempo con Angela, come avevano divisato era meglio questo che il primo; perché di età passava di qualche anno la ragazza, mentre Angelo era un poco più giovane della medesima.

sorte la questione d’inoculare il vaïvolo. La sera quando tutti i paesani e pastori si ritirarono fecero consiglio frà [di] loro, e pregarono Avietu di non lasciar passare l’occasione propizia per fare inoculare il vaïvolo a tutti quelli del villagio che non l’avevano ancora avuto. Avendomene parlato io dissi che se erano pochi io poteva /196/ farlo, ma se erano molti [ciò] avrebbe fatto ritardare troppo la nostra partenza: si fece [p. 345] subito il giro del villagio per contargli, e mi dissero che non erano più di 20. o 25., si decide di restare un giorno. ed ho acconsentito colla condizione che si trovassero pronti tutti di buon mattino, ma nella notte avendo fatto correre la voce ad altri villagi vicini, la mattina prima del giorno ve n’erano già più di 30. venuti da lontano senza quei del nostro villagio. Vedendo così, come faciamo, dissi ad Avietu? di tutti questi ne ho sino a mezzo giorno, senza quelli che ancora si aggiungeranno. Allora cosa farci? manderà qualcheduno a Gombò per avvertirgli affinché non ci aspettino, e passerete qui la giornata, disse egli.

Ho detto ad Avietu di avvicinarmi prima di tutti quei del nostro villagio, ed erano 30. Quando questi furono tutti inoculati mi sono riposato un poco, e poi ho incomminciato gli altri, e sono arrivato sino a 40.[:] in tutto 70.; io non ne poteva più, eppure [ve] n’erano altri molti, e di quando in quando ancora arrivavano altri. Mi sono ritirato un poco in casa e mi sono corricato per riposare. Dopo circa mezz’ora di riposo sono sortito, e ne viddi circa una quarantina. ho inoculato 108. persone. Mi sono messo di buona volontà per vedere se poteva finirgli, e passati i venti era già stanco, ma ho voluto fare uno sforzo, e ne ho fatto passare altri 18. ed ho finito circa [a] mezzo giorno.

Mi aspettava[no] a pranzo da molto tempo, abbiamo pranzato, cioè ho mangiato cinque ovi aggiustati da Abba Joannes in forma di frittata con un poco di pane, ed ho bevuto un bicchiere di latte, [p. 346] tutti gli altri trovarono carne, pane, e latte a petizione. Finito il pranzo mi sono posto a dormire un poco per rifarmi dalla stanchezza. Dopo riposato un’ora mi alzo per dire un poco di preghiera, e vengono a dirmi che altri 12. mi aspettavano, venuti da lontano, e mi sono posto di nuovo al lavoro. Finiti questi che facevano 120. in tutto, ho avuto la consolazione di vedere i contorni della casa sgombrati di tutto quel mondo.

Seduto sotto un’albero con Avietu ed Abba Joannes, verranno ancora altri, io dissi, e domani mattina ne avremo ancora una quantità; non credo, disse Avietu, perché tutti i più vicini sono venuti, e quelli che sono partiti hanno portato la notizia che domani si parte di notte, epperciò nessuno verrà. chiamo in rassegna tutti i miei giovani. Allora io ho det[to] ad Abba Joannes di chiamarmi tutti i giovani. Mentre questi radunava i giovani di casa io dissi ad Avietu, voglio un poco domandare conto di quello che hanno fatto essi, mentre io stava lavorando, egli mi rispose che non avevano fatto altro che istruire, e vi assicuro che lo stesso Angelo non ha perduto tempo.

Venuti i giovani, ho separato i tre che mi aiutarono, e poi ho detto agli /197/ altri = io ho inoculato il vajvuolo a 120. persone [e] voi cosa avete fatto, non avete inoculato la fede a qualcheduno? Allora ciascheduno disse ciò che aveva fatto, molto bene, dissi, e tu Angelo cosa hai fatto? rendiconto di Angelo. Io, rispose, non sono ancora capace ad istruire bene, ma quando trovava un piccolo ragazzo di mia età io mi compiaceva a raccontargli tutta la mia storia, raccontava i miei cattivi costumi antichi, ma Iddio [p. 347] avendomi portato alla casa di Gofta Avietu, da lui ho imparato le cose di Dio, ed ho lasciate tutte quelle brutte cose, e come egli mi [s]gridava se mi vedeva mettere le mani in certi luoghi del mio corpo e toccare il frutto proibito, ed anche di notte mi sorvegliava: diceva loro che io aveva preso un grande orrore per tutte queste cose, e che perciò ho promesso a Dio di dargli il mio corpo, e tutti i piaceri della carne; bravo! gli dissi, confessare i proprii peccati, e far conoscere il pentimento dei medesimi, quella è la prima di tutte le istruzioni; chi pianta i cavoli gli pianta piccoli, perché i grossi, o seccano, o non fanno fortuna; così tu che hai scielto i ragazzi l’hai indovinata forze più che gli altri che han cercato i grandi; ma dimmi un poco, non hai guadagnato qualche cosa? un ragazzo mi ha contato tutto quello che era accostumato di fare e poi mi ha giurato che [non] l’avrebbe mai più fatto; un’altro avrebbe voluto restare con voi, ma è schiavo, ed il suo padrone non è come Gofra Avietu, egli è povero. Che bella semplicità, che invidiabile schiettezza! esclamò alle mie orecchie Avietu, voi me lo rubate, ma Iddio me lo renderà divenuto tutto oro.