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4.
Ad Anderàcia. Un re enigmatico e Negussiè.
Fervore penitenziale e lusinghe immorali.
partenza per la città reale: giorno di s. Francesco 1859. L’indomani mattina una pioggia torrenziale ci fece tardare un poco la nostra partenza. Era il giorno di S. Francesco 4. Ottobre siamo partiti verso le dieci; la strada era come impraticabile, di sopra pioggia, e di sotto aqua e fango a mezza gamba. Il viaggio di un’ora e mezzo ai fece in tre ore. Ci siamo fermati in una casa tutta vicina alla citta reale di [Anderacia], per rifarci dalla pioggia e dal fango, e rivestirci di nuovo. Quando [p. 738] ogni cosa fù in ordine solenne ingresso nostro alla corte. la carovana nostra in gran tenuta ecclesiastica ai mise in marcia verso la corte fra una folla immensa accorsa; il Re in gran tenuta stava ad osservarci in lontananza sulla porta della regia, e noi aspettavamo la parola d’ordine per avvanzare verso il Re, quando un grande da parte del Re con gran cortesia venne a dirci di continuare il nostro viaggio verso la casa destinataci, e che ci saremmo trovati in altro giorno un poco più tranquillo. Così invece di procedere verso il Re siamo andati in casa nostra, ed il nostro incontro fu [fatto] tardato e portato ad un’epoca indeterminata. Fu evidente perciò che il Re bramò di vederci alla lontana, ma non di parlare con noi, forze per superstizioni, oppure per fini a lui solo cogniti. abboccamento nostro fallito. La tanto desiderata decisione sull’affare principale che ci occupava è stata rimessa ad altra epoca; così [sì] il nostro martirio ai prolungò. Si noti che il P. Cesare era là alla corte, e ci guardava da lontano.
entrammo in casa nostra. La casa assegnataci era appena lontana cento mettri dalla gran porta della regia, ed in mezzo a quella gran folla di mondo la nostra processione si diresse a casa, dove entrati, appena ebbimo tempo a prendere posto, che ci seguiva un gran pranzo di lusso [p. 739] ad uso kafino, cioè pane, pietanze, e bevande in quantità, con dietro una mezza mandra di buoi e di pecore. ci segue una deputazione. Appena fummo seduti arrivarono in gran tenuta quattro consiglieri del Re con alla testa il Guccirascià capo dei Cristiani, mandati dal Re a complimentarci. Il Re, disse il Gucci-rascià ha avuto compassione di Lei venuto da lontano con questo cattivo tempo, /32/ e benché impaziente di parlare con voi, pure ha creduto meglio [di] sospendere l’incontro e portarlo ad altro giorno più libero. Tutto era pura menzogna; in realtà, o la questione non era ancora decisa, oppure qualche oracolo superstizioso del paese aveva consigliato di rimettere [ad altro tempo] il nostro incontro per motivi a loro cogniti, come suole accadere nei paesi, dove regnano i maghi. Il Guccirascia intavolò discorsi indifferenti, ma la questione principale fu lasciata intatta. Ho mandato i miei complimenti e ringraziamenti al Re, e così ci siamo separati.
disposizioni date dal Re; dubbia condotta sua. Dopo un breve riposo si fece il pranzo diplomatico, ma quasi tutto a uso di [di] Kafa. Dalla corte a noi messagieri andavano e venivano, ora portatori di complimenti delle diverse persone importanti della corte, ora di regali comestibili, ed ora di vasi e di atrazzi occorrenti [p. 740] ma tutte cose secondarie che indicavano un movimento, ma nulla d’importante; anzi, tutto all’opposto, un lavorio si stava operando per declinare la questione principale. Un’inviato del Re ci presentava il gogiamese Negussiè figlio del fu Prete Abba Dimtu, come dragomanno della casa per tutti i bisogni occorrenti; era questi un uomo con famiglia verso i 30. anni di età, persona polita, la quale fece sempre di Dragomanno sia al P. Cesare, che ad Abba Jacob. Egli abitava piuttosto in casa del P. Cesare, epperciò, lasciando da parte le qualità che noi non conoscevamo ancora, era certamente una persona molto a proposito per fare la spia di tutto ciò che si passava nelle nostre diverse case, per ogni caso di ostilità frà noi, così per seminarvi la discordia, oppure per lavorare in bon senso ad ogni evento. Come non si rifiuta una cosa che ancora [non] si conosce, ho ringraziato il Re. Fin là il Re non faceva altro che trattarmi, non in [qualità di] Vescovo, ma in [qualità di] Prete eguale agli altri; e come Negussiè era persona di gran confidenza della corte, col suo mezzo il Re poteva conoscere tutto, e maneggiarci come voleva. Simili persone [non] son mai tutte cattive, e mai tutte buone, tutto sta nel saperle utilizzare, e sapersene guardare nel tempo stesso. Come Abba Jacob al mio arrivo entrò decisamente in casa come semplice suddito, ed incorporò la sua casa alla nostra, [p. 741] così la casa nostra diveniva colossale, contando circa 40. persone, un vescovo e due preti. Negussiè perciò si trovava come obligato di tenersi con noi a preferenza del P. Cesare.
condotta conciliante di Negusiè Dimtu. Debbo però far giustizia a quest’uomo; a misura che lo conobbi, a fronte che fosse un uomo di mondo, figlio di un Prete scapestrato e senza fede, e come Padre di famiglia, di necessità dovesse pensare al suo interesse, pure teneva un fondo di fede, di onestà, ed anche di /33/ ataccamento alla casa. Egli nella questione presente del P. Cesare, invece di fare del male fece anzi del gran bene, perché invece di riferire sia al Re, che al P. Cesare le cose più leggeri che mai [non] mancano in grandi case, riferiva le cose più gravi ed edificanti, come le preghiere, le penitenze d’espiazione, il gran zelo che si trovava anche nei nostri giovani, divenuti tanti apostoli, e poi rapportava persino le mie prediche. Come quest’uomo aveva fede non tardò a sentire anch’egli il bisogno di pensare all’anima sua, e di mettersi in regola cristiana, cosa che diede molto buon’esempio, e fù subito di un’impulso allo sviluppo del ministero.
Vedendo io intanto che il Re, invece di tenersi alla parola data già prima ad Abba Baghibo, e poscia ad Abba Magal, tutto all’opposto incomminciava [a] barcheggiare, ed anzi secretamente unito al partito naturalmente ligio al P. Cesare per via della moglie nipote del Guccirascia [p. 742] e di altri, cercava [di] declinare tutte le questioni, e persino di trovarsi con me, mentre si teneva il P. Cesare, e [gli] s’impediva anzi di venire a me, da quanto si diceva, ho pensato perciò ad attaccarmi ancor più strettamente a Dio, e raccomandare alla famiglia nuove preghiere. sera di s. Francesco: conferenza La sera dopo la consueta preghiera ho fatto una conferenza diretta a questo proposito, incomminciando a toccare leggermente le difficoltà che andavano manifestandosi. Figli miei, dissi, oggi voi credevate di vedere il Re e non l’avete veduto, siamo arrivati alla porta della regia, ed abbiamo dovuto invece prendere altra strada e venire qui a prendere possesso della casa assegnataci. Per carità, non dite [che] il Re ha fatto questo, oppure quel tale altro, niente di tutto questo, è stato il diavolo che ha avuto spavento di noi, difatti bastava una nostra parola di pace al diavolo, e le porte ci sarebbero state spalancate, ma voi sapete che noi siamo venuti per far la guerra al diavolo, e questi ci ha veduto troppo ben armati per aprirci le porte. Persuadetevi però che la chiave sta nelle mani di Dio, e che di là deve venire [la grazia]. La conversione di un figlio traviato è un’atto di misericordia di Dio troppo grande che deve essenzialmente sortire da quel tesoro inesausto, la cui chiave è stata fabricata sul calvario, e non può fabricarsi, ne da un Re, ne da alcun grande di questo mondo. Vi dirò di più. catene di ferro, e catene di oro Se il Re di Kafa mi mandasse quì il P. Cesare [p. 743] incatenato, dicendo, fatene cosa volete, io non lo riceverei, perché la sua conversione sarebbe un’atto troppo basso e volgare; il diavolo solo è quello che incatena con catene di ferro proprio dei schiavi. La catena per il P. Cesare si sta fabricando in cielo, essa è tutta di oro soprafino purgato da Cristo sul calvario. Chi la fabrica siamo noi colle nostre preghiere moltiplicate, e /34/ col martello delle nostre discipline, e col fuoco delle nostre ortiche, col fuoco cioè delle nostre espiazioni, L’oro della nostra carità, e dell’amore per il povero nostro [di]sgraziato padre e fratello, non è ancora abbastanza purgato da certe velleità mondane, ed ha bisogno ancora di qualche giorno di espiazione o purgazione che vogliamo chiamarlo, affinche la nostra carità diventi talmente pura da salire in Cielo come un fulmine. Le nostre espiazioni non hanno solo per scopo di purgare il cuore del traviato e renderlo più disposto a ricevere le misericordie del Signore che si stanno lavorando in cielo, ma sibbene ancora, e forze più principalmente per purgare la nostra carità per renderla degna di unirsi a quella di Cristo che deve porvi il sugello. Non dimenticate che oggi è la festa di S. Francesco padre mio, e padre pure del nostro Cesare in lui doppiamente fratello; questa festa è di otto giorni, e spero in Dio che non passeranno, che tutto si compirà. È questo un gran mistero che non può comprendere, ne il Re, ne alcuni dei suoi grandi, i quali ci creano degli imbarazzi. Chi doveva spiegarlo era appunto il nostro [di]sgraziato Cesare; era egli un’angelo che Iddio spediva a Kafa per aprire un’epoca nuova, di cui egli doveva dissipare le nubi del paganesimo per lasciar trasparire il nuovo orizzonte. [p. 744] Venuto invece un turbine di Babilonia che gli ruppe le ali e cadde dal cielo e diventò un miserabile uomo di Kafa: oh angelo di luce che ci eri tanto caro, come sei caduto nel mattino del tuo nascere stesso, inviluppando nell’abisso tutto questo povero paese? Così è, figli miei, ma questa caduta non è che per dare a noi una sublime lezione, affinché siamo umili e cauti; del resto noi speriamo sempre che la morte sua spirituale sia per rendere più gloriosa la sua risorrezione. Figli miei, noi abbiamo incomminciato l’opera di espiazione, siamo costanti, siamo coragiosi, e vedremo a suo tempo la vittoria, e la corona del nostro pianto, ed il balsamo della consolazione risanera le piaghe dei nostri flagelli.
gran fervore nella famiglia La mia numerosa famiglia passò un giorno il più divagato; divagato dal viaggio della mattina, divagato dalle speranze fallite all’arrivo nostro alla città, dalla calca del popolo accorso per vederci, e divagato finalmente dalle visite pressoché infinite di ogni classe e condizione, visite miste di spionagio per parte della corte, e per parte dei diversi partiti interessati nell’affare nostro. Io temeva perciò [di] trovare al cadere del giorno uno scoragiamento nella gente nostra. Tutto all’opposto, a fronte della stanchezza che dovevano provare gli individui della missione, venne la cena, e molti vollero contentarsi di un poco di cattivo pane, ed anche quelli che non erano accostumati [p. 745] a mangiate il pane [di] cocciò del paese vollero mangiarlo per mortificazione, e benché la liberalità /35/ fosse stata molto grande, in birra ed idromele, Abba Hajlù volendo distribuire un poco d’idromele, nessuno volle gustarlo, e si contentarono di un corno di birra. Tutti d’accordo instarono per organizzare la preghiera continua di giorno e di notte per tutto l’ottavario di S. Francesco. Abba Hajlù fù costretto [a] dividere la famiglia in cinque drapelli, uno dei quali dovesse restare sempre in preghiere.
spettacolo notturno. Venne intanto la notte ed era un vero spettacolo il sentire continuamente qualcheduno sotto i flagelli, con queste brevi parole[:] perdonate perdonate o Signore a noi ed a questo popolo i peccati causa di tanto male, ripetute ora in lingua galla, ed ora in lingua kafina. Il poco riposo che prendevano a loro torno era[no] [di stare] corricati sopra un letto coperto di ortiche. Io stesso, benché cadessi per stanchezza, invece di precedere dovetti seguire l’esempio della famiglia. Tutta la notte [fu] un’andare e venire intorno al nostro cortile, di gente che veniva a spiare, il calpestio era continuo, e non sapevano darsi pace di una cosa così strana [e] mai veduta in Kafa.
[p. 746] Appena si chiusero le porte esterne del cortile Gabriele fu libero dal suo impiego di custode portinajo, e benché fosse anch’egli molto stanco, pure volle fare la sua disciplina prima di riferirmi le cose sentite nel giorno. Il povero giovane fece una disciplina quasi a sangue per dieci minuti, e poi si alzò; prima di questa disciplina, disse, io mi sentiva stanco, adesso sono fresco, come se avessi bevuto un bel corno d’idromele. Ebbene, cosa hai da dirmi figlio mio? Avrei tante cose da dire che non basterebbe la notte intiera: io custodiva la porta del recinto, e seduto là io faceva un poco la dottrina come poteva; io sono molto contento, perché gli altri compagni non sapendo la lingua io avrò molto da istruire qui; oggi un piccolo ragazzo ha quasi imparato la legge di Dio. Questo ragazzo mi disse che un giorno prima del vostro arrivo il P. Cesarè è fuggito al masserà del Re, e se ne sta colla Ghebrecio; egli vi teme molto, e come diceva questo ragazzo, il Re stesso, e tutta la corte vi teme molto. Ah, Padre mio, qui avremo molto da fare.
sistema mio nello scrivere Io qui mi troverei nel bisogno di aprire un diario di otto giorni, il quale, per quanto dello straordinario, che presenterebbe nella descrizione delle nostre preghiere, delle nostre penitenze d’espiazione, e delle conferenze continue da me fatte alla famiglia, onde mantenere il termometro del cuore della medesima sempre ad un’altezza di aumento [p. 747] anziché di diminuzione, non lascierebbe di presentare a queste mie memorie una pagina di monotonia da faticare il lettore, presentando tutti i giorni poco presso sempre la stessa leggenda. Penso perciò /36/ essere meglio descrivere in blocco le cose passate in questi otto giorni. lusinghe, e tentativi del re. Il Re, sempre cortese, e con parole inzuccherate, ma sempre lontano di presenza da un giorno all’altro prolungando il nostro incontro per non trovarsi obligato a dichiararsi, volle rinnovare tutti i tentativi già fatti con Abba Baghibo, tentativi che durarono anni intieri, quindi rinnovati con Abba Magal per il corso di quattro mesi continui; [inviò] quotidiani messaggieri a me con regali per trattenermi. Di reale non si vidde altro, se non che la spogliazione di molti suoi parenti, di una proprietà in Sap-Gabriel, dove si publicò la donazione di un gran terreno veramente principesco a me, e si stava preparando un’alloggio conveniente: mentre per dare una soddisfazione al partito del P. Cesare, s’impadronì della persona di questi, obligandolo a restare in corte, libero bensì, ma sorvegliato. Si parlava ogni giorno di un’abboccamento, nel quale si sarebbero sistemate le cose.
Le notizie venute di Ghera sui tentativi fatti colà da Abba Magal sulla mia persona, tentativi di ogni genere, sia con donne, sia con giovani, tutti riusciti con un risultato vergognoso al tentatore. La descrizione [p. 748] venuta da Ghera sull’entusiasmo svegliato dal ministero apostolico in tutta la razza Bosassi, e come tutti questi di pieno accordo rigettarono l’antico prete Abba Arassabo, divenuto un semplice cristiano come tutti gli altri. Al sentire come molti frà i Bosassi suoi parenti caciarono via le loro concubine e si sposarono con una moglie sola; tutto ciò lo impediva di fare nuovi tentativi di questo genere per timore di sortirne con disonore. invenzione di uno stratagemma. Egli studiò un mezzo termine un poco più mite, pensando di arrivare al suo intento per vie più dolci. Dopo qualche giorno mi mandò Negussiè divenuto nostro dragomanno e Procuratore, a farmi questo discorso = Voi avete una numerosa famiglia non ancora accostumata al pane del nostro paese; io per darvi tutti i giorni un poco di pane ho dovuto mettere in contribuzione tutte le mie mogli; ciò può servire per poco tempo, ma quando sarete a Sap non potrò più farlo; penso [di] mandarvi delle schiave, affinché la vostra vecchia madre monaca insegni a farvi buona farina e buon pane = Quando Negussié mi disse questo io risposi, molto bene, ma bada che siano schiave di un’età conveniente...
Ritorna Negussiè al Re colla mia risposta, ed un’ora dopo viene con cinque schiavette le più belle, ed imbellettate, tutte nuovamente vestite in lusso. il diavolo è venuto. Appena entrarono tutti i giovani chiusero la porta gridando, il diavolo è venuto...! allora io dalla finestra dissi a Negussiè: hai sentito? riportale al Re, dicendo che non mi ha capito; siano tutte vecchie, al di /37/ là di 30. [anni], allora le riceverò; altrimenti a preferenza mangeremo tutti il cocciò, oppure il neffrò (cioè semplice grano bollito) [p. 749] Negussiè ritornò colle schiave alla corte, e raccontò la storia genuina al Re stesso. Allora conobbe il Re che [che] [con me] non si burlava, e questa storia si seppe dapertutto, e preparò l’opinione publica in favore della missione. Allora il Re mandò Negussie, il quale prese la vecchia Waletta Mariam con se, ed entrato con essa nella mandra delle schiave, fece essa la scielta di sei o sette schiave, e le portò a casa le quali furono acettate. La Ghebrecio prese occasione per discorrere colla mia vecchia, e gli disse che la porta della casa reale era aperta, ed essa poteva andare quando voleva per qualunque bisogno che sarebbe occorso.
visite sataniche di ogni colore. In poi ho passato una settimana di visite [di persone] di ogni condizione e di ogni colore; alcune delle quali mandate dallo stesso Re. Lo scopo di queste visite apparentemente, era sempre quello di fare la mia conoscenza, e darmi il benvenuto di uso, ma poi discorrendo finiva sempre con [esprimere] un voto di pace dettato da un’ipocrisia satanica; come, dicevasi per lo più, voi uomo di Dio a miracoli, come già tutti sappiamo, non sappiamo capire come siate poi così duro con un vostro figlio a non voler sapere di pace col medesimo. Orsù bisogna venire ad un’aggiustamento, il quale sarebbe di una gran consolazione per il Re e per tutto il paese. io non sono l’offeso ma Iddio. Se voi non potete capire la difficoltà che passa tra me ed il Padre Cesare [p. 750] ciò non mi stupisce, perché voi non conoscete Iddio, ma il P. Cesare non dice certamente così. Domandate a lui stesso come io debbo fare questa pace, ed egli stesso sarà abbastanza sincero per dirvi che questa pace non può aver luogo nello stato presente di cose. O egli rifiuta la pace per una debolezza sua che confesserà, oppure egli stesso senza che io parli di necessità accorderà tutto quello che io pretendo, perché non sono io che lo pretendo, ma lo stesso Dio, ed a me non rimane altro che dichiarare questa pace fatta; il P. Cesare conosce tutto questo, e sono certo che egli non discorda da me. Se un ladro ruba a voi, ed io cerco di farvi fare la pace col ladro, mi direte senz’altro, che la sola via della pace è la restituzione. Il P. Cesare [non] ha niente contro di me, come io [non] ho mente contro di lui, anzi io sono venuto per la pace disposto ad abbraciario, egli conosce anche questo, perché l’offeso non sono io ma egli conosce molto bene che l’affare suo è con Dio medesimo, ed io in questo non entro che come semplice inviato di Dio, a cui debbo rendere conto dell’anima sua. Tutte le visite erano in questo senso, ed anche le mie risposte non potevano essere diverse.
/38/ offeso anche il paese. Le mie risposte andavano anche più avanti dicendo loro che il P. Cesare non aveva offeso solamente Dio ma aveva tradito solennemente tutto il paese di Kafa. Spero che verrà un giorno in cui egli stesso vi confesserà questo grande suo peccato, e [ne] domanderà perdono a tutto il paese del suo solenne tradimento. Egli è stato inviato qui da Dio stesso portatore della sua parola a tutto il paese, e per distribuire grandi tesori al medesimo; arrivato quì, invece di parlare francamente la parola del suo padrone [p. 751] taque e non parlò; invece di distribuire i tesori celesti li tenne chiusi per una passione personale; ecco il suo peccato. Il P. Cesare si metta in pace col suo padrone, ed io lo abbracierò come figlio carissimo da me molto amato. In ciò si vede che la questione del P. Cesare non è solo con Dio, ma anche col paese di Kafa; io perciò sono venuto non solo per rivendicare [i diritti di] Dio offeso da lui, ma per rendere giustizia al paese tradito. Spero, e lo ripeto, che un bel giorno il paese di Kafa sentirà dalla sua bocca stessa questa confessione, ed allora ci vedrà uniti nella più stretta e sincera affezione di Padre e figlio.