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13.
Missione apostolica e morte di P. Cesare:
Il pianto mortuario. Zelo di Gabriele.
Il P. Cesare dovendo fare un escursione con Abba Jacob, abbiamo dovuto anticipare la funzione, nella quale furono confermati molti, ed ho dato la Tonsura ad alcuni giovani, fra gli altri a Gabriele. Dopo questa funzione dovendo partire i suddetti ho dovuto aderire al loro desiderio parecchie volte esternatomi di lasciare partire con loro il nuovo chierico suddetto, sperando che avrebbe fatto del gran bene, come difatti avenne. [fine gen. 1860] Partirono con loro [p. 868] alcuni altri giovani per la missione medesima. Le cose camminavano molto ben; il nuovo chierico Gabriele faceva mirabilia, e camminava per le vie del defunto colla sola differenza che il defunto possedeva un capitale più vasto di materiali imparati in molti anni, mentre questi contava solamente pochi mesi, e poteva dirsi ancora egli stesso semplice catecumeno; ma faceva giuocare le proprie sue battaglie col diavolo. calcoli ammirabili della divina provvidenza. Iddio però, nell’impegno, in cui lo dobbiamo supporre, di far vedere che il vangelo è tutta opera sua, e nullamente parto di industria umana suscita degli esseri dalla cloaca dell’iniquità stessa, dove meno noi speriamo, per farne degli oracoli, lasciando noi quasi da una parte, dopo che abbiamo occupato la metà della nostra vita ad imparare con un cuore diviso, metà per Dio, e metà per il nostro stesso amor proprio. Io debbo confessarmi molte volte umiliato da certi stessi catechmeni miei fatti istromenti di grandi grazie, mentre io me ne restava da un canto, come semplice custode della lettera morta.
calcoli nostri andati in fumo. Mentre Iddio stava operando prodigi col mezzo di questi esseri ancor vergini, stava pure disponendo le cause seconde per una gran crisi nella missione di Kafa. Il P. Cesare convertito con un gran [p. 869] miracolo della sua misericordia infinita, come ho narrato poco sopra, facendo dei voli sopra tutte le montagne dei poteri, e dei calcoli umani, anche miei, volgeva verso il fine dei suoi, giorni proprio nel momento in cui io incomminciava [a] sperare in lui, e nel suo nuovo ministero. Già ho /104/ detto sopra, come questo povero convertito, trovatosi in presenza di un popolo intiero creditore verso di lui per la sua solenne bancarotta, intrapprese un sistema come insostenibile di gran penitenza, e di un ministero senza pari nella sua attività, onde liquidare presto il capitale dei suoi debiti, prescio [cioè presago] quasi direi della sua vicina morte. Appena poté compire la sua decina [di giorni] di missione, nella quale fece molti battesimi, che trovandosi molto stanco ha fatto la chiusa della missione, e [lui e Abba Jacob] vennero a casa.
suo ritorno a casa ammalato
[12-13.2.1860].
Io me ne stava cucendo una coperta mortuaria mentre faceva la scuola ai giovani dopo il pranzo del 21. Febbrajo 1860. quando all’improvviso arrivò tutta la sua carrovana. Il P. Cesare vedendomi [a] cucire quella coperta distesa per terra e quasi già finita con una gran croce bianca, prima di salutarmi ancora disse queste parole = come Ella sta cucendo la mia nuova veste? = io presi queste parole come un comp[l]imento senza rispondervi: mi sono alzato per abbraciarlo, e domandandogli come stava mi disse che non stava bene,
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difatti sedutosi a tavola per gustare qualche cosa non ha potuto mangiare, ed amò meglio corricarsi e dormire.
carattere misterioso della malatia.
Avendogli tastato il polzo, questo si presentava con un carattere tutto misterioso come il polzo di una persona di esaltazione nervosa, senza una consistenza regolare. Egli che si conosceva, accusò il bisogno di prendere il così detto quassò (rimedio del verme solitario); la mia vecchia monaca gli preparò questo rimedio secondo l’uso del paese, e produsse il suo effetto ordinario purgandolo leggiermente, ed in infine sgravandolo dell’immondo insetto. Così noi speravamo di vederlo meglio dopo un poco di riposo. Ma tutto questo non fù che una vana lusinga, perché un poco dopo avendogli presentato una minestrina, nulla poté gustare. Quando l’ammalato non si trova bene nel giorno, spera nel riposo della notte, ma anche questa speranza fu vana, perché l’indomani mattina essendo venuto a vederlo ho trovato che passò una notte molto agitata.
Era questo il terzo giorno della sua malatia, ed ancora [non offriva] nessun segnale di crisi caratteristica. Come accusava un dolore alle reni si fece fare un’operazione col corno aspirante, equivalente alle nostre coppette scarnificate, ma [non] ebbe nessun risultato; egli volle ad ogni costo prendere una seconda dose di quassò, ma anche questa non fece altro che agitarlo di più, lo purgò un tantino, e produsse una scarica quasi insignificante [p. 871] di tenia. Io era ancora troppo straniero al paese per conoscere le malattie indigene in un paese di carattere tutto diverso, ed amava piuttosto di lasciarmi guidare da lui stesso a preferenza di dominarlo. Il suo polzo era sempre per me ancora un mistero /105/ indicando piuttosto una forte crisi nervosa che altro. Verso sera si spiegò una sonnolenza accompagnata sempre da inquietudine, ed una ripugnanza quasi totale per il cibo. domanda con grandi istanze i sacramenti. Egli incomminciò [a] sentire il bisogno di ricevere i Sacramenti; per secondario ho voluto sentire la sua confessione, pendente la quale incomminciai ad essere fortemente inquieto: egli nodriva in cuore una persuasione di morire frà [frà] tre giorni al più, e mi parlava della sua morte colla massima certezza; i suoi occhj prendevano un lucido marmoreo, e la pupilla sempre un poco dilatata indicava un gran lavoro nervoso. Per appagare i suoi desiderii si decise che l’indomani avrebbe ricevuto il SS. viatico; domandandomi [il] permesso di fare una parlata alla famiglia, ho aderito colla condizione di somma brevità e tranquillità. Ciò fatto l’ho consegnato ad Abba Jacob, ed abba Paolos, affinché per turnum l’assistessero, accompagnati da qualche giovane, ed io mi sono ritirato per ascoltare alcune confessioni, e quindi prendere un poco di riposo.
Vennero molti giovani, e le confessioni si moltiplicarono tanto che ne ebbi sino a mezza notte; alcuni giovani ai quali Iddio soleva spiegarsi in modo tutto speciale per la loro semplicità mi parlarono chiaro della sua morte, ed il Gabriele in specie [p. 872] arrivò persino a notificarmi il giorno, e quasi l’ora di questo disastro della missione; come questo giovane aveva preso un gran prestigio sopra tutti i suoi compagni, mi disse che già la notte precedente dormirono tutti sulle ortiche per implorare da Dio la Sua misericordia sopra la missione, [e dichiarò apertamente:] ma io nel sogno viddi il defunto Gabriele, a cui soglio diriggermi nelle afflizioni, ma egli mi disse chiaro come sopra; però è nel sogno che si passò la cosa e non oso dirlo ai compagni. Questa notte, oltre le ortiche abbiamo detto di aggiungere la disciplina. Domani pensiamo di far tutti la santa communione; questo uomo, soggiunse il giovane, è impossibile che possa vivere colle fatiche che fa, e colle lacrime continue che sparge; io dormiva vicino a lui, e mi obligava tutti i giorni a fargli il letto di ortiche, ed almeno due volte nella notte faceva la disciplina. L’ho congedato raccomandandogli il secreto; mi posi a dormire, ma che sonno?
Mi sono levato al canto del gallo, e mi sono recato subito a vederlo; mi dissero i custodi che passò la notte sempre dormiglioso, ma sempre inquieto; gli ho tastato il polzo, ma sempre poco presso lo stesso, egli accusava un’occupazione allo stommaco, ma pure non aveva segnali d’indigestione. Alcuni giovani mi aspettavano per confessarsi, e terminato ogni cosa ho fatto chiamare la famiglia ed ho celebrato la Santa Messa, ricevette il ss. Viatico; sua parlata. dopo la quale gli ho portato il SS. Viatico con tutta la solennità /106/ possibile nell’interno della casa senza [p. 873] avvertire il publico; nella parlata che fece domandò perdono a tutti, come il suo solito, e pregava tutti di far sentire il perdono che domandava a tutto il paese dello scandalo dato, in caso di sua morte. Quindi di far conoscere a tutti la sua preghiera al paese di farsi istruire e ricevere il battesimo; vedendo intanto che incomminciava a commoversi gli ho commandato di lasciare, e mi ubbidì. Ricevette il SS. Viatico con profusione di lacrime, e benedicendolo siamo ritornati in cappella. Nel giorno quarto, invece di migliorare si aggravò di più, e non fu più possibile di fargli prendere altro che qualche tazza di brodo consummato, e purgato di ogni umbra di grasso. Negussiè, persona da lui molto conosciuta, fu destinato a custodire la porta con ordine di non lasciare entrare [nessuna] persona senza mio ordine, per timore di affaticarlo troppo. riceve l’estrema unzione; nuova parlata. La sera volle di nuovo confessarsi e ricevere l’estrema unzione, nella quale fece una nuova parlata molto commovente, a segno che ho dovuto proibirlo di parlare. La notte fù pessima, e nella mattina ebbe qualche soffocamento allo stommaco, a segno che io mi sarei lusingato ancora di dargli qualche dose di emetico, se egli non avesse avuto sempre una ripugnanza assoluta al vomitivo.
benedizione papale.
Nel quinto giorno si aumentarono questi attacchi allo stommaco, e domandò la benedizione papale che gli ho amministrato a condizione di non parlare più alla famiglia; fummo costretti [a] ridurre il brodo consummato ad un cucchiajo di quando in quando per non provocare
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gli attacchi allo stommaco; anzi due giorni prima [io] aveva fatto fare delle piccole palline grosse come una fava, di farina di orzo abrustolito e farina di muscolo secco pestato impastate con del butirro e miele, fu questa l’ultima cosa che poté ancora sostenere in quel giorno, e la notte seguente; curando altri ammalati di neuralgia, aveva provato già altre volte che [con] queste palline si sostenevano a preferenza di minestrine. Qualcheduna di queste palline tenuta in bocca di quando in quando, ed inghiottite come saliva fu l’ultimo suo nutrimento in tutto il quinto giorno, e la notte seguente.
agonia e morte del p. Cesare
[21.2.1860].
La mattina del sesto giorno entrò in agonia, ed appunto circa mezzo giorno all’ora indicatami da Gabriele rese la sua anima a Dio placidamente, e riposò. Cosa strana! non arrivò il quarto d’ora [dalla morte] che dalla sua bocca incomminciò [a] sortire vermi [dalla bocca], e conobbi la sua malattia, cosa che mai ho pensato; eravamo in Kafa, ed egli mangiò sempre cocciò! da lui ho aquistato quest’esperienza a beriefizio di altri!
cerimonie di pianto. In tutti i paesi dell’Etiopia la morte di una persona di riguardo è la più triste crisi di una famiglia; In Kafa poi è una cosa direi quasi da morir- /107/ vi. Appena morto il P. Cesare si batté la conca della birra, [p. 875] (la conca della birra è un grosso tronco di albero scavato, dove si mette la birra a fermentare. Un’istromento simile, appeso agli alberi nel regno di Kafa serve come di Telegrafo per far pervenire all’estremità del regno un’ordine reale), ed appena si ebbe il tempo materiale per aggiustare il cadavere, vestito di sottana e cotta, e metterlo convenientemente sopra un’alga (letto o grabbato), che già la casa era inundata di mundo e si dovette aprire [l’ingresso] per lasciare entrare il mondo desideroso di vederlo, non tanto per pregare per lui, quanto per pagargli il tributo del pianto di uso in tutta l’alta etiopia, ma più che altrove in Kafa, dove si va a gara per dimostrarsi amico con certi segni esterni e cerimonie che fanno orrore. Si voleva da alcuni che il cadavere fosse sepolto nella Chiesa più vicina di S. Giorgio; ma come nel nostro recinto è stata fatta una sufficiente cappella, io ho voluto che fosse sepolto proprio là vicino, non molto lontano dalla capanna dove io soleva passare il giorno, confessare e dormire.
Fino a tanto che il cadavere non è sepolto, nessuno di casa osa gustare una briciola di pane, oppure una goccia di aqua, gli stessi amici e parenti del defunto hanno questa specie di obligazione. Appena si vidde vicina la catastrofe [p. 876] si mise un poco di pane da una parte per i piccoli ragazzi, onde farli mangiare segretamente, altrimenti neanche i piccoli ragazzi sono accettuati. scavo della fossa, e sepoltura ecclesiastica. Fratanto si scavò la fossa alla profondità di un mettro e mezzo abondante; quando la fossa arrivò a questa profondità nel più basso di essa si fece una specie di loculo da un canto a modo dei loculi delle catacumbe di Roma, e fattovi in esso un letto di foglie di cocciò col suo capessale. Preparata quindi una [una] porta di legno ben legato ed impiastrato di fango, quando tutto fù in ordine si vestì il clero, e con croce inalberata [ci] si recò alla casa del morto, dove fatta la levata del cadavere, [lo] si portò alla cappella, dove si fece l’assoluzione, ed arrivati all’in Paradisum si andò al sepolcro, e, finita la liturgia nostra, fu disceso il cadavere nella fossa, dove due persone lo introdussero nei loculo, e chiuso questo si riempì la fossa di terra. Nella discesa del cadavere ancora i vermi si vedevano sortire [dalla bocca].
gran pianto.
inaugurazione, e legge di esso.
Sepolto che fu il cadavere s’innaugurò subito la cerimonia del gran pianto, il quale durò tre giorni intieri. Fu spiegata la mia tenda in un vasto prato fuori del recinto, e tirate le corde tutto intorno di questo prato si fece come un recinto di telerie
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di diversi colori vagamente disposti, e dentro questo recinto entravano per ordine le diverse deputazioni del Re e dei grandi per il pianto. In Kafa regna un’uso tutto particolare, e diverso da tutti gli altri paesi dell’alta Etiopia, ed è
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il lusso nelle circostanze del pianto. In questa circostanza la casa stessa del morto mette fuori tutto ciò che ha di più bello, ed occorre che certe case povere prendono anche in imprestito a questo effetto per non scomparire nella società. Quelli poi che vengono al pianto, se non vengono i padroni, mandano i loro muli, cavalli, e servi o paggi tutti riccamente adobbati. Quando tutto fù in ordine, all’ora indicata venne il pianto della corte, cioè del Re e di tutte le regine, e quello della Ghebrecio madre del Re. Il Re fa per lo più l’apertura di questi gran pianti, e quando egli manda la sua corte è come un’obligazione a tutti gli impiegati o grandi del regno di andarvi o mandarvi [qualcuno]. Se nel pianto del Re il pianto fu sino al sangue, in proporzione deve essere tale negli altri.
cerimoniale pratico del pianto. Ciò posto, ecco l’ordine con cui si eseguisce questo pianto di cerimonia. Il cortegio reale annunzia la sua menuta [= venuta], le persone principali vanno a riceverlo, e l’introducono nel recinto, dove arrivato il capo del cortegio è introdotto nella tenda a fare i complimenti [p. 878] per parte del Re e di tutti gli altri della parentela reale. pianto officiale dei grandi Dopo [ciò] nel recinto si fanno alcuni giri, nei quali alla testa sono condotti i muli e cavalli in gran gala di tutte le persone reali; questi però non hanno il dono di piangere officialmente, ma alcuni piagnoloni destinati dal Re piangono officialmente a nome del Re, ed [essi] si grafiano a sangue la facia, se pure colle mani unte di sangue di un’animale non ne fanno la finta. Fatto ciò se ne sortono, e fanno ritorno alla corte. Dopo il pianto reale è introdotta la rappresentanza del pianto dei sette consiglieri del regno, condotto dai loro figli o dignitarii, dai quali, fatti i complimenti a me nella tenda, si fanno i giri e pia[n]gnistei a sangue, o finto o reale. Così dopo si succedettero altri dignitarii poco presso quasi sempre nel modo stesso. Nella sera il Re mi mandò la cena per tutta la casa. Il suono lugubre della conca mortuaria giorno e notte non si lasciò più.
Nel secondo giorno vennero molti dell’aristocrazia di Kafa, una gra[n] parte degli impiegati, e tutta la casta mercante di Bonga. In questo giorno vi fu una vera confusione: il pianto fu grande e più sincero, e si viddero molti [a] fregarsi le tempia con delle spine, e spargere vivo sangue. pianto officioso del popolo. Nel terzo ed ultimo giorno comparve il popolo, e non posso esprimere [p. 879] la confusione, le grida, ed il sangue sparso. Passato che fu il pianto officiale, incomminciò l’officioso, cioè quello dei veri amici, e principalmente dei nostri cattolici. pianto religioso ed ecclesiastico. Questi si dividevano in gruppi [con] ciascuno alla testa un catechista che raccontava loro la storia della malattia, [e] tutto quello che disse il defunto. Questo pianto durò circa otto giorno, pendenti i quali la mattina si celebrava la Messa /109/ Solenne dei morti, nella quale molti fecero la santa communione, massime nel giorno Settimo. Bisogna confessare che la missione fece una gran perdita in questa morte, ma fece altresì un gran guadagno nell’opinione publica. L’esempio, e le ultime parole del Padre Cesare in questa circostanza si può dire che fù [un cibo] digerito e passò nella bocca di tutto il popolo di Kafa.
arriva da Ghera il p. Leone
[mag. 1860]
coi cristiani al pianto.
Arrivò a Ghera la notizia della morte del P. Cesare mentre di fresco era arrivato colà il P. Leone des Avançer, ed i cristiani si trovavano in una crisi di missione che fece questo missionario, unitamente al P. Hajlù Michele. Col P. Leone vennero molti cristiani nostri di Ghera al Pianto
[p. 880]
e lo stesso Re di Ghera Abba Magal mandò alcuni dei suoi giovani al pianto. Nel giorno duodecimo dalla morte del Padre Cesare si fece un gran catafalco sopra lo stesso suo sepolcro, e si celebrò una Messa Solenne da requiem.
apostolato di Gabriele.
Fu allora che il nuovo Gabriele fece un grande apostolato sopra i cristiani di Ghera che lo conobbero come mussulmano. Egli parlando a quei di Ghera, volendo giustificare il suo passagio al Cristianesimo incomminciò sempre le sue prediche con queste parole = io schiavo di Abba Magal mio padrone non ho parole sufficienti per ringraziarlo di avermi fatto schiavo di questa gente di Dio; Così, divenuto schiavo dell’Abuna, ho potuto farmi Cristiano, ah fratelli, diceva, dunque è falso che i cristiani siano nemici dei mussulmani, come è falso che i mussulmani siano nemici dei Cristiani, io spero anzi che un giorno saremo tutti fratelli =
spiegazione di queste parole. Per comprendere queste parole per se stesse un poco avvanzate, è necessario sapere alcuni secreti i quali stavano nascosti nel suo cuore: 1. Egli prima fanatico mussulmano, doveva mitigare la piaga della sua conver- [p. 881] sione al cristianesimo per renderla meno odiosa allo stesso Abba Magal che la favorì, onde evitare una crisi dei mussulmani di Ghera contro il Re stesso e contro i cristiani. 2. Egli in quel momento stava esercitando un grande apostolato secreto con alcuni suoi antichi compagni venuti al pianto, raccontando ai medesimi tutti i miracoli occorsi nella sua conversione, e voleva spianare loro la via alla conversione. 3. Nel suo ultimo viaggio a Ghera aveva [ottenuto] delle promesse secrete dal Re, che avrebbe dato alla missione i giovani di casa sua che avessero spiegato un desiderio di farsi cristiani. motivi meditati da Gabriele. Le suddette espressioni dunque non erano dettate in lui da uno spirito di conciliazione dogmatica e religiosa coll’islamismo, cosa affatto impossibile, ma sibbene da uno spirito di conciliazione semplicemente politica, essendo proprio della parte debole l’umiliarsi col potente per evitare una crisi, e guadagnare terreno per la conquista religiosa.
/110/ partenza della carovana di Ghera Difatti venuto il momento della partenza del pianto di Ghera alcuni giovani mussulmani avrebbero voluto restare ad ogni costo con noi, ma io stesso ho avuto di che lavorare per impedirli temendo di compromettere il re stesso, [p. 882] ed i nostri cristiani coi partito fanatico mussulmano dominante in Ghera, e non vi sono riuscito di calmargli se non [che] promettendo loro di domandargli come miei schiavi, unico mezzo termine per ottenerlo, essendo un’uso introdotto che i schiavi seguono la religione del loro padrone; se non altro, diceva loro Gabriele nella loro partenza, spero che cangierete condotta e convertirete ancora i vostri compagni per lasciare tutte quelle infamie insegnate dai nostri Santoni; oh, dissero quelli, abbiamo già molto cangiato; perché prima il rifiutare era un disonore, come sapete, oggi quelli che resistono sono onorati dal Re, e non se ne parla più di accademie lubriche alla presenza del Re, lo stesso Said schiavo del Santone è con noi.