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16.
Decisione sul dubbio delle ordinazioni.
Morte di De Jacobis: venerazione e funerali.
[p. 1] (inc.[ceptum) die 5. Junii 1882.)
questione sul dubbio del battesimo. L’arrivo di Abba Hajlù in Kafa mi obligò a pensare seriamente ai casi suoi. Il dubbio della validità del suo battesimo, dal quale nasceva di necessaria, conseguenza il dubbio sulla validità dell’ordinazione, era una questione già da me molto meditata ed esaminata in tutti i miei viaggi, nei quali espressamente, incognito e come semplice viaggiatore, soleva entrare in chiesa ed assistere alle funzioni, particolarmente nei piccoli paesi, dove il prete è più ignorante; il dubbio perciò non era solo di Abba Hajlù, ma anche mio, dubbio sulla forma sacramentale, o falsificata, o incompleta, o interrotta, oppure non pronunziata a tempo, non conoscendo il prete abissino in quale parte della liturgia consista la forma sacramentale. Io dunque non poteva in buona fede distruggere il dubbio di Abba Hajlù, ed avrei agito contro conscienza tentando di tranquilizzarlo.
grandi difficoltà in proposito. Io aveva gran bisogno di questo Sacerdote zelantissimo, e posso dire il più istruito frà tutti gli indigeni, e non poteva far [a] meno del medesimo senza un gravissimo scapito della missione, e delle anime, sopratutto in quel momento di gran movimento di un proselitismo sempre crescente. La reintegrazione del medesimo coll’amministrazione condizionale [p. 2] del battesimo, e ordinazione era una cosa molto semplice e facile, ma un’affare di una gran conseguenza sotto molti riguardi. inconvenienti da temersi Avanti tutto bisognava pensare, che non era [interessato] il solo Abba Hajlù, ma ve ne eano ancora altri nella mia stessa missione, ed una volta fatto questo ad uno sortiva il bisogno di farlo a tutti; nella mia missione erano pochi, e con facilità poteva rimediarvi, ma non così nel Vicariato del Nord, dove erano molti, anzi quasi tutti, ed avrebbe cagionato colà una crisi immensa, al primo momento che la notizia del mio operato fosse arrivata colà. Oltre a ciò bisognava pensare alle conseguenze del- /134/ l’opinione publica in tutta l’Abissinia, anche fra gli eretici. Sotto questo aspetto ultimo sarebbe stato un’affare nel quale occorreva consultare la S. Sede prima di agire, onde evitare dispareri e disordini. Questa ultima misura sarebbe stata meno difficile al Vicariato del nord, che nel mio, dove le corrispondenze domandano anni per un risultato, e sarebbe stata una vera desolazione.
risolvo la questione
[decreto: 11.3.1861];
spedito a Roma: 12.3.1861]
In questa situazione di cose, in una materia in cui non può suffragare il dubbio di qualunque genere; in un paese, dove il ricorso a Roma presenta delle difficoltà tali da considerarsi praticamente
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moralmente impossibile, ho deciso la questione io stesso risolvendo di convalidare tutti i Sacramenti coll’amministrazione condizionata dei medesimi, incomminciando dal battesimo, in modo secreto però, affinché la notizia privata non arrivasse al Vicariato del nord a turbare le conscienze dei Sacerdoti indigeni prima che il superiore del medesimo non avesse preso le sue misure per esaminare il caso ed intendersi colla S. Sede. I Sacerdoti del mio Vicariato, sui quali cadeva il caso del dubbio erano tre, cioè Abba Hajlù, Abba Jacob, ed Abba Fessah. I due primi si trovavano in Kafa, ed il terzo era stato caciato da Ghera per scandali, epperciò sospeso.
Ciò posto riferisco ora il modo tenuto da me nell’esecuzione di tutte le operazioni da me fatte, onde convalidare tutti i Sacramenti in questione all’insaputa della stessa nostra famiglia, affinché in caso che debba ammettersi come lodevole possa servire di norma ad altri in simili circostanze, ed in caso contrario, siano informati i superiori, affinché diano istruzioni più chiare in avvenire. il battesimo condizionato. Ho chiamato dunque Abba Hajlù ed Abba Jacob, e di notte ho amministrato loro il s. battesimo colla forma [p. 4] condizionale. Io era quasi risolto di amministrarlo economicamente senza l’osservanza dell’intiera liturgia, ma i due battezandi mi fecero osservare che nel battesimo degli eretici non trovandosi gli oli santi avrebbero bramato che si osservasse l’intiera liturgia per non andar privi di questi ed altri Sacramentali; così mi sono risolto di amministrano in forma solenne con tutte le forme, benché di notte e secretamente. ordinazione fatta sub conditione. L’indomtni parimenti di notte ho celebrato secretamente la Santa Messa, assistito dai due ordinandi in cotta, i quali ricevettero la Confermazione, la Tonsura, ed i quattro ordini minori, secondo il prescritto del Pontificale, ben inteso, sempre colle forme condizionali, e facendo [a] meno delle cerimonie secondarie che suppongono un clero compito. Otto giorni dopo ho conferito loro pure infra Missam il suddiaconato a norma del Pontificale medesimo, ma sempre in modo economico e secreto, e [con] forme condizionali come sopra. Così ho fatto per il dia- /135/ conato e per il presbiterato nei primi giorni di mezza festa che seguirono, sempre osservando lo stesso sistema.
in Tigrè si solleva il dubio.
[1857]
Per terminare questa questione vogli[o] riferirne quì l’esito della medesima, come è avvenuta contemporaneamente nel Vicariato del Nord dell’Abissinia sul fine del 1859. Anche là, a misura che gli indigeni Sacerdoti precedentemente ordinati senza ribattezzarli, aquistarono
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cognizioni sufficienti si sollevò un dubbio universale nel clero indigeno,
si spedisce a Roma; decisione.
a segno che Monsignore Dejacobis ancor vivente fu costretto [a] mandare a Roma alcuni di questi Sacerdoti indigeni, i quali essendo stati esaminati portarono in Abissinia un decreto di Roma col quale si provedeva per l’avvenire, ordinando che l’abissino convertito, accostandosi al confessore per ricevere i Sacramenti, questi primi di tutto nell’atto stesso della confessione prima di assolverlo gli amministrasse segretamente il battesimo condizionale, come nei casi di necessità. In Kafa ed in Ghera [non] si sapeva nulla di tutto questo, ma dobbiamo ammirare come la crisi del dubbio presso di noi ebbe luogo precisamente nel medesimo tempo che il medesimo dubbio si sollevava in Tigrè; e ciò che è più singolare il sogno di Abba Hajlù sopra citato ebbe luogo nell’epoca stessa in cui Monsignor Dejacobis faceva la spedizione a Roma a questo riguardo.
arriva il decreto
[del 2.5.1858].
morte di Dejacobis.
Io ho ricevuto in Kafa questo documento della S.[acra] C.[ongregazione] sopra citato unitamente all lettere che mi annunziavano la morte dello stesso Monsignore Dejacobis sul principio dell’anno 1861., e la morte di questo Santo Prelato avveniva
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nel deserto trà Massawah ed il paese di Halaj sul fine del mese di Luglio dell’anno precedente 1860.
lettere venute.
Il corriere portava ancora molte altre lettere, dalle quali ho potuto avere molti detagli interessanti, sia riguardo al rescritto sù indicato della S.[acra] C.[ongregazione] di Propaganda, e sia ancora riguardò alla morte di Dejacobis, la notizia della quale mi arrivò come un fulmine che mi feriva nel più vivo del mio cuore. Vennero pure alcune lettere scrittemi dallo stesso defunto pochi giorni prima della sua partenza da Umkullu, epperciò pochi giorni prima della stessa sua morte, nelle medesime da lui prenunziata. Le notizie concernenti il decreto suddetto essendo pocopresso le sopra espresse sarebbe una ripetizione, il ritornarvi. Interessa piuttosto moltissimo esporre quelle della morte del suddetto prelato, tali [e] quali mi vennero allora, parte dalle lettere, e parte dalle persone venute, come una riproduzione dell’opinione publica in tutto il nord dell’Abissinia.
detagli della morte di Dejacobis Dopo i lavori del tempo pasquale, secondo il suo costume, Monsignore Dejacobis, accompagnato da una quantità di Sacerdoti indigeni, è disce- /136/ so alla costa di Massawa per visitare i pochi cristiani che si trovavano colà, ed anche per mettere in ordine i Sacerdoti che dubitavano della validità della loro ordinazione, come luogo più a proposito per simile funzione, e meno esposto alle dicerie [p. 7] del partito eretico. Per tutto questo suo ministero rimase alla costa di Massawah una parte del mese di Maggio, tutto Giugno, e la metà di Luglio. sue lettere di congedo. Pendente questo tempo mi scrisse tre lettere, nelle quali mi parlò sul battesimo dei cristiani eretici, e dei dubbi nati nel suo clero e delle decisioni di Roma. Quindi in una lettera sua mi parlava di alcune sue pene relativamente ai materiali liturgici del paese, ed in specie della Messa. Finalmente con tutta semplicità si congedava da me, dicendomi senza ambagi che erano le ultime sue lettere, e che vedeva avvicinarsi a gran passi il suo fine.
Da quanto poi mi raccontavano altre lettere venute contemporaneamente, e da quanto dicevano le persone venute, Monsignor Dejacobis passò
[19.7.1860]
la festa di S. Vincenzo de Paoli ancora in Umkullu, celebrata da lui con gran solennità e con gran trasporto di spirito, a segno che nella Messa sua passò un tempo notabile come immobile, e come in estasi. Si trovava allora nella sua casa un monaco per nome Abba Saïfù che io molti anni prima, aveva ordinato diacono, ed era gravemente ammalato.
ordine di partenza
[29.7.1860].
L’indomani tutto all’improvviso radunò la famiglia, ed ordinò che nella giornata si organizzasse il viaggio, si preparasse una lettiga per il trasporto dell’ammalato, per la partenza nella mattina seguente. Partiti nel giorno
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seguente da Umkullu camminarono due giorni, in capo dei quali, arrivati in un deserto tutto arido, dove esistevano alcune mimmosi, là fece arrestare la carovana; si apparecchiò una piccola tenda con straccj e vesti per lui, ed un’altra per l’ammalato.
stazione, e profezia.
Visitò Abba Saïfù, e fattogli una breve esortazione, si congedò da lui dicendogli queste parole: frà poco ci rivedremo, e poi allontanatosi da lui, disse al prete più vecchio[:] Abba Saïfù fra un’ora non vi sarà più; e gli fece vedere il luogo dove dovevano seppelirlo, quale benedetto, si ritirò sotto la sua tenda dicendo al suo prete di amministargli l’estrema unzione, perché egli pure si trovava molto vicino al suo fine.
riceve l’estrema unzione
Il Prete al sentire questo stentava [a] persuadersi del gran fatto che andava a succedere; non fu che dietro un suo comando formale [che] si risolvette di amministrargli l’ultimo Sacramento. Ricevuto questo colla massima pietà e tranquillità, fatta un’esortazione al suo clero indigeno, ora, disse, andate ed occupatevi di Abba Saïfù, e lasciatemi riposare un poco. Come dall’apparenza non scorgevano in lui gravi sintomi, si ritirarono difatti, e si occuparono dell’ammalato, il quale esalava in quel momento il suo spirito. Si occuparono della sepoltura di questo, e per-
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dettero di vista il loro
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Padre amatissimo per qualche tempo;
lo trovarono morto
[31.7.1860];
gran pianto.
alla fine andarono per vederlo, e già era volato al suo Dio, tenendo da una mano il crocifisso, e dall’altra il novum testamentum. Appena si divulgò questa notizia, [si alzò] un grido universale dei figli lasciati orfani, il quale non cessò più per molti giorni. Mandarono subito un corriere al Console francese di Massawah, ed un’altro ai Cristiani dei paesi alti di Halai; non tardarono a radunarsi, in quel deserto tutti i nomadi di quei contorni, i quali, benché mussulmani, lo amavano come un Padre; tutta quella valle deserta perciò diventò un teatro di un pianto universale. Non tardarono a discendere a turme i cristiani dai paesi alti dell’Abissinia, e quindi gli inviati del Console francese di Massawah, e dello stesso governatore con soldati venuti per prendersi il freddo cadavere del nostro apostolo, ed allora il pianto si cangiò in questione di qualche serietà.
questioni per la sepoltura
I nomadi detti Soho padroni del terreno dove morì il Santo Prelato pretendevano che il cadavere rimanesse colà, e vi fosse sepolto, adducevano per ragione che molti frà loro già istruiti erano disposti a ricevere il s. battesimo, e pensavano a costruirvi un’oratorio. All’opposto i Cristiani discesi in gran quantità dai paesi alti del Tigre volevano ad ogni costo portarsi con loro il comune loro padre.
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Questi, come più forti e numerosi minaciavano di prenderselo colla forza. La scorta venuta da Massawah vedendosi impotente per eseguire gli ordini del governo rinunziò [al]le sue pretenzioni, e prese invece il partito di conciliare i due pretendenti. Così fu risoluto che i cristiani d’Abissinia se lo prendessero.
sepoltura e venerazione di Dejacobis
[3.8.1860]
Il cadavere dell’apostolo perciò, seguito da un’immensità di popolo, la sera del secondo giorno dopo la sua morte, lasciati quei deserti, e sulle spalle dei nostri cristiani cammina[va] tutta la notte per sortire dai paesi di estremo caldo, e raggiungere qualche luogo più alto, ed un poco più fresco, dove poterono riposarsi, e prendere un poco di ristoro. Solamente nel terzo giorno ha potuto arrivare alla prima Chiesa della missione, dove fu sepolto, e diremo anche venerato dagli stessi eretici.
Le notizie arrivatemi in Kafa non andavano più avanti; la stessa lettera di Monsignore Biancheri già coadiutore del defunto, e divenuto Vicario Apostolico titolare, il quale mi spediva tutte le lettere, non mi parlava di altro che della sua sepoltura; epperciò lascio quì la storia di tutte le conseguenze avvenute dopo la morte di questo grand’uomo fondatore della missione abissinese, e primo Vicario Apostolico della medesima. lettere e documenti perduti. Ho preso tutte quelle lettere, ed unitele ad altre già ricevute precedentemente, in specie di Monsignore Dejacobis, come documenti interes- /138/ santi per l’avvenire, ne ho fatto un pacco che ho tenuto sempre legato e sigillato presso di me, colla soprascritta[:] [p. 11] documenti risguardanti il Vicariato abissinese, ma questo sgraziatamente seguì la sorte di altre mie memorie nel mio esilio da Kafa. Intanto io ho fatto in Kafa preghiere per il defunto, e si fece un gran servizio mortuario per il medesimo, nel quale tutta la casa, e molti cristiani fecero la s. communione in suffragio della sua grand’anima.