/216/

26.
Padre Leone e Abba Matteo spediti al Ghera.
Confidenze reali di turpitudini a corte.

conferenza col p. Leone sulla sua e mia partenza. Dopo la visita alla regina madre fù conchiusa la questione della mia partenza per Lagamara, secondo le circostanze [descritte] come sopra. Restava quindi da conchiudersi l’affare di Ghera rimasta senza Sacerdoti colla partenza del P. Leone, e quindi di Kafa, dove rimaneva il solo Abba Hajlù, e dove io era obligato a rispondere a quel Re dopo la spedizione dei due Sacerdoti Abba Joannes, ed Abba Jacob. Il P. Leone dovendo ripartire per Ghera in compagnia del Lemmy venuto di là con lui, andarono tutti [e] due dal Re Abba Gommol per congedarsi. Questo Re di Ennerea era stato molto vessato per le minacie di Abba Magal re di Ghera sul fatto del mio esilio, epperciò nel congedare il P. Leone col Lemmy disse loro: voi direte ad Abba Magal [p. 169] che tutto è stato aggiustato, ma direte che rapporto al mio fratello Donoce potrà mandarlo quando vuole, perché io sarò sempre pronto a riceverlo. una seconda scena arriva a corte. Allora il Lemmy di Ghera, uomo vecchio ed abituato nel linguagio diplomatico di quei paesi, vedendo nella risposta al Re di Ghera una certa quale gravità equivalente ad una provocazione di guerra avendo voluto fare qualche osservazione pacifica, allora il giovane Re montato nelle furie intimò ai due la partenza sul momento. La regina madre, avertita, corse subito, e presi sotto la sua protezione il Lemmy ed il P. Leone, gli fece entrare in casa sua, ed in pari tempo fece chiamare alcuni vecchi impiegati dei più rispettabili. Così si ottenne per grazia un ritardo di due giorni per la loro partenza, e nello stesso tempo il giovane Re ebbe anche tempo a calmarsi dalle sue furie per spedire un poco più politamente i due viaggiatori.

La sera ritornò il P. Leone dalla corte raccontandomi tutta la storia avvenuta, e non tardò egli stesso a convincersi del bisogno di allontanarmi prudentemente dall’Ennerea per non espormi ad un’altra scena simile alla prima. Quindi ancora per un’altra ragione più potente anco- /217/ ra, quella cioè di tenermi lontano [p. 170] nelle rivoluzioni che minaciavano l’Ennerea con quel Re fanatico e furioso. disposizioni per il p. Leone, e per Ghera Lo stesso P. Leone fu impaziente di partire e dispose tutte le cose sue. Dovendo io allontanarmi sempre più da Kafa e da Ghera ho dovuto rilasciare una patente di mio Vicario per le due missioni di Kafa e di Ghera sino al mio ritorno, oppure sino alla venuta del mio Coadiutore Monsignore Cocino. Dovendo innoltre il P. Leone pensare a spedire di quando in quando un confessore al Padre Hajlù Michele rimasto solo in Kafa, ho dovuto far partire con lui anche un Sacerdote indigeno nella persona di Abba Matteos.

lettera al re di Kafa. Dopo Ghera ho dovuto pensare a Kafa. Prima di tutto ho scritto una lettera al Re ringraziandolo per aver messo in libertà i due Sacerdoti Abba Joannes, ed Abba Jacob. Questi due Sacerdoti, aggiungevagli, sono arrivati felicemente a me per la grazia di Dio, e mi rapportarono tutte le sue parole di pace, e domande di Sacerdoti. I due Sacerdoti venuti per il momento dovevano restare con me per imparare ancora molte cose che loro restavano ad apprendere; ma anche nel caso che potessero venire non potrei mandarli, se la pace già incomminciata non sarebbe terminata con una legge che dichiari liberi i Sacerdoti, tanto indigeni che europei, [p. 171] di entrare e sortire di Kafa secondo gli ordini dei loro superiori. Fatta che sarà questa legge, il Vescovo penserà a mandare quanti Sacerdoti occorreranno, ed il Re non avrà più [d]a pensare [ad] altro, che [a] dare il necessario per vivere, lasciando al Vescovo ogni altro pensiere sulla condotta dei suoi Sacerdoti. Nel restante della lettera io ho parlato ancora di alcune altre cose secondarie relativamente alle chiese di Kafa, ed ai terreni accordati alla missione. In fine, fatte alcune lagnanze per le cose state organizzate dai maghi e dai mussulmani di Kafa contro di me, io perdonava tutto il passato, e benedicendo il Re, ed il paese terminava la mia lettera.

una seconda lettera ad abba Hajlù. Dopo la lettera al Re ne ho fatto una seconda al Sacerdote Abba Hajlù, nella quale io traciava al medesimo una regola di condotta relativamente al suo ministero apostolico, come pure sulla maniera di trattare gli interessi spirituali e temporali della missione col Re e col governo di Kafa. Quindi lo avvertiva che il P. Leone restando in Ghera era incaricato da me per tutte le cose che potevano occorrere in seguito, e che egli nei suoi bisogni di qualunque genere poteva ricorrere a lui [p. 172] come [a] mio Vicario e rappresentante munito di tutte le facoltà di mandare qualche volta come incognito Abba Matteos per il bisogno personale suo di confessarsi, oppure di venire egli stesso, previo l’accordo coi due governi di Kafa e di Ghera. Fattogli quindi coragio, gli /218/ impertiva la mia benedizione per se e per tutti i Cattolici, e chiudeva la mia lettera.

partenza del p. Leone e di abba Matteo per Ghera
[27.10.1861]
Ciò fatto, consegnate al P. Leone queste lettere, e finite tutte le conferenze nostre con lui e con Abba Matteo, si aspettava il permesso dal nostro giovane Re Abba Gommol per la partenza. Ma questo povero Re, ritornato dalle sua furie, avrebbe voluto ancora fare nuove conferenze col Lemmy, e col P. Leone, ma la sua madre, per evitare nuove imprudenze e collisioni s’incaricò essa di congedarli con tutte le raccomandazioni opportune; così hanno potuto partire per Ghera in Santa Pace.

Partiti che furono P. Leone, ed Abba Matteos per Ghera, io pensava d’incomminciare dolcemente le mie trattative colla regina madre la quale, dopo le crisi narrate, aveva preso un poco più di potere sul Re suo figlio; [p. 173] essa, io diceva fra me stesso, ammaestrata dall’ultima crisi col Lemmy di Ghera, si ricorderà del consiglio datomi, e mi assisterà nell’organizzare una sortita onorata dal regno di Abba Gommol. sono chiamato dalla regina madre. Mentre io stava pensando alla visita che contava di fargli a questo scopo, essa stessa all’improvviso mi fa chiamare; parto subito, ed arrivato già mi aspettava con un caffè preparato a modo di Kafa, cioè col caffè raccolto sull’albero, come già ho narrato altrove. Preso il caffè io incomminciai subito a parlare del mio affare, ma essa subito mi troncò il discorso dicendomi di lasciare quell’argomento per un’altra volta, perché mi aveva chiamato per consultarmi di un’affare molto secreto; per il quale voi dovrete venire ancora altre volte, [disse,] e forze anche trovarvi col Re stesso; allora più a bell’agio potrete parlare del vostro affare. Oggi voglio raccontarvi solamente la storia genuina, come un gran secreto; voi vi penserete, e poi mi direte il vostro parere un’altra volta.

una storia curiosa narrata dalla madre del re. La storia era questa: era venuto uno straniero il quale si diceva nato in Mecca di razza Scierif, cioè discendente di Maometto (1a) Arrivato questi in Ennerea fù ricevuto con grandi onori dai Santoni, [p. 174] i quali lo presentarono al Re come una persona che aveva un gran secreto da partecipare al Re medesimo. Introdotto difatti, salute, disse, o gran Sultano fra tutti i re della terra il più amato dal Profeta per il tuo zelo nel /219/ distruggere gli infedeli; il tuo figlio regnerà di quà e di là dei mari, e libererà la mia schiatta (detta Scierif) dalla schiavitù della razza (turca) che ha invaso il mio regno; ecco la medicina per avere questo figlio. un ritiro misterioso del re Dopo [aver] ricevuta questa medicina, continuava la regina madre, il Re passò circa dieci giorni in misterioso ritiro col supposto messaggiero del profeta. In questo frattempo si suppone che il suddetto applicasse al Re la medicina, mentre faceva i suoi interessi, apparecchiando il tributo per la mecca. Il poco capitale di talleri, di, muschio, e di avorio che si trovava nell’erario del re, quasi tutto fu consegnato agli agenti del uomo misterioso. L’unico porta parola in tutto questo frattempo era un Santone di confidenza del Re; tutti gli altri non potevano avvicinarsi, epperciò anch’io era esclusa.

la moglie del re incinta La moglie defunta ultimamente, è sempre la regina madre che parla, in tutto il tempo di quel ritiro era la sola chiamata a passare la notte, non per essere a parte dei secreti, ma piuttosto, o per ricevere anche essa la medicina, [p. 115] oppure per altri affari del suo sesso. Fatto stà che nel tempo di quel famoso ritiro, essa si accusò incinta, da chi dei due è un gran mistero che nessuno poté mai penetrare; solamente essa qualche volta lasciò travedere ad alcuni che il Re era sempre come fuori di se, ed una volta mi disse che stava in conversazione continua col profeta, e provava dei piaceri che aveva mai provati in vita sua; io stessa, appena entrata colà, e gustato un poco d’idromele, [e] non poteva più distinguere con chi mi trovava. Questo è tutto quello che si è potuto penetrare di tutti i secreti di quel ritiro.

una storia antica che spiega il mistero. Per comprendere la storia di questo messaggiere misterioso del Profeta Maometto, debbo lasciare un momento la storia dell’Ennerea per ricordare un fatto più antico arrivato in Mecca dieci o dodeci anni prima, quando io dopo il mio primo esilio dal Tigre soleva andare e venire da Massawah a Aden per i lavori che stava facendo in quei littorali. il gran scierif della Mecca. Allora si trovava in Mecca un gran Scierif, uomo irrequieto, il quale mandava simili messaggieri a tutti i capi mussulmani di quei tempi e predicava una specie di guerra santa mussulmana contro le invasioni della Porta ottomana a carico del gran Scierif, della Mecca, considerato dalle tradizioni mussulmane, come [p. 176] vero successore di Maometto. In quel tempo io aveva trovato alcuni di questi messaggieri misteriosi mandati dal Gran Scierif suddetto a nome del Profeta arabo. Lo stesso Abbas Pascià allora Vice Re d’Egitto, arrivato alla successione di Mahumed Aly per le brighe, probabilmente criminose, del partito religioso della Mecca, per la morte prematura di Hibrahim Pascià, si diceva accusato di connivenza col gran Scierif della Mecca suddetto. Come ognun sa, /220/ questo Gran Scierif della Mecca con industria fu preso in Gedda, e portato a Costantinopoli, e surrogato da un’altro di maggior fiducia della Porta ottomana. Fu allora che il governo di Costantinopoli fece la spedizione, e si impadronì dell’Arabia Felice, come già ho citato altrove.

si scopre il mistero del mio esilio Ora ritornando alla nostra storia, dalle rivelazioni avute dalla regina madre, quali furono poi continuate in altre conferenze, ho potuto conoscere molte cose, e fra le altre il vero stato della questione del mio esilio così fulminante. Io non fui accusato di magia contro il Re, ma sibbene contro la defunta sua moglie, la quale portava con se nell’altro mondo il famoso figlio, concepito per miracolo del Profeta, come da loro si supponeva, il quale doveva distruggere tutti i cristiani, e regnare di quà e di là dei mari. Io poi conosceva [p. 177] abbastanza il mondo della Mecca, e di tutta l’Arabia per non scoprire subito che il famoso messaggiere del Profeta ha dovuto essere un famoso cavaliere d’industria apoggiato da altri cavalieri d’industria non meno furbi di lui, i quali fecero con lui causa comune nei pericoli e negli utili. La morte della moglie era un passo verso il disinganno di molti sulla storia misteriosa che costò tanto all’erario regio. Dovettero perciò i Santoni studiare un mezzo termine per prevenire il Re, e l’opinione publica, onde mantenere il prestigio della matassa secreta da loro organizzata; il mezzo termine fu appunto la solenne calunnia contro di me.

La vecchia madre del Re, accostumata con Abba Baghibo, uomo furbo e meno credulo (si ricordava di una simile storia, avvenuta molti anni prima, di un messaggiere venuto dalla Mecca, forze mandato dall’antico gran Scierif, al quale Abba Baghibo diede poca importanza, e rispose come soleva rispondere a simili [individui], che egli, dopo Dio, confidava nella sua spada), non aveva approvato la condotta del Re suo figlio nell’affare del messagiere misterioso precitato; quando morì la moglie crebbe il dubbio suo, e vidde con sdegno l’affare del mio esilio. conseguenze della medicina famosa Ma il disinganno suo passò più avanti quando il Re stesso incomminciava [ad] accusare certi suoi incommodi misteriosi che non osava [p. 178] manifestare, perché doppiamente misteriosi; misteriosi cioè, perché [si verificavano] nei luoghi secreti; misteriosi ancor più, perché forze nati dalla famosa medicina del Profeta. agitazioni ed incertezze del re. Il Re sentiva il bisogno di manifestarsi, perché i suoi incommodi crescevano ogni giorno; ma a chi manifestarsi? ai Santoni fo[r]ze complici? alla madre già tanto afflitta, e contrariata? all’abuna da lui condannato quasi a morte come omicida? I gran piaceri provati nel famoso ritiro col profeta maometto, incomminciavano [a] diventare indigesti al povero Re. La medicina che costò /221/ tanto cara, e pareva quasi miracolosa, dopo avere forze uccisa la moglie, minaciava anche il Re. Il gran medico così venerato, aveva messo in sicuro la testa colla preda, e lasciata dietro la coda del serpente micidiale, se ne fuggì. Il povero giovane Re era afflitto, e non sapeva a chi diriggersi per esalare le sue afflizioni, e per trovare chi lo compatisse e io ajutasse. L’idea della madre è sempre l’ultima a sparire nel cuore di un figlio vergognoso, come quella della Chiesa per un’eretico incerto, e quella della Madonna per un Cristiano timido di conscienza.

Il lettore di queste mie memorie sarà annojato vedendo tanti giri e tante storie prima di vedere comparire il risultato della causa che le ha messe [p. 179] in campo, eppure è la semplice storia di ciò che è accaduto. La madre del giovane Re mi aveva chiamato per consultarmi sulla malatia del suo figlio, ma essa non poté subito spiegarsi con me per due ragioni. La prima, perché era vergognosa di dovere arrivare a quel punto dopo tante storie accadute; la seconda, perché la poveretta prevedeva tutto, ma non aveva ancora la chiave del mistero. il re si spiega colla madre. Alla fine il Re fu costretto a spiegarsi con essa, ed essa poté in parte levarmi la cortina che copriva tanti misteri di miserie, e d’iniquità; dissi in parte, perché la vergogna dal figlio passava alla madre, la quale cercava di farmi inghiottire la pilola poco per volta, per non spaventarmi. Alla fine essa avrebbe voluto determinare il Re a lasciarmi vedere tutto il quadro cogli occhj miei, ma io l’ho dissuasa per due ragioni, prima, per evitare la vergogna del povero Re; la seconda, perché forze sarebbe stato inutile, non potendo probabilissimamente incaricarmi di farne la cura.

due specifici usati. Difatti la cura per se era difficilissima per me, non conoscendo i specifici stati usati. Da quanto la madre mi diceva, due erano i specifici usati dal prestigiatore, il primo era per ubbriaccare la persona, e si inghiottiva bevendo un poco d’idromele, e fumando; questo specifico era facile [p. 180] a spiegarsi, sapendo che gli arabi fanno uso dell’estratto di oppio in bevanda, e dell’oppio in natura per la pippa; ma di questo, supponendolo puro, si sa che l’effetto è transitorio, e non lascia conseguenze permanenti; meno un grandissimo abuso per lungo tempo. Il secondo specifico usato era un’unguento nerastro, il quale dall’odore pareva un misto di muschio, e di balzamo, cose conosciute e molto usate dagli arabi coltivatori del [piacere del] senso; ma poi cosa vi fosse unito non si sa; da quanto mi diceva la regina madre, effetto dei due specifici. questa pomata in pratica aveva un’azione così istantanea sopra le parti genitali che appena arrivata, in contatto, come per incanto, in un minuto secondo già produceva il suo effetto: [e così concludeva la sovrana:] io feci l’esperienza parecchie volte in giovani schiavi mentre dormivano uno lontano /222/ dall’altro di notte all’oscuro, e senza che nulla sapessero, in meno di due minuti erano già insieme; dopo due ore circa di esaltazione si trovavano di nuovo al posto loro; di modo che io ho giudicato che la virtù non era fisica, ma diabolica.

mie risoluzioni di partire. Al sentire tutte quelle storie, e certi sintomi della malatia del Re, io dissi chiaro che non conosceva simile malatia, e che assolutamente non poteva prendere parte alla cura del Re. La pregava quindi di occuparsi della mia domanda per la partenza nel senso che già le aveva parlato. La povera regina aveva tutta la fiducia in me per la guarigione [p. 181] del suo figlio, epperciò fù molto afflitta per la mia risoluzione. Per fortuna che essa non si era ancora sbilanciata col Re nel dargli speranza sopra di me, epperciò era ancora padrona di occultare ogni cosa. la regina madre sente i miei consigli, e si persuade. Io spero, dissi io alla regina madre, che il vostro figlio guarirà, al più non potrà più avere figli, ma vi assicuro che di questa malatia non morirà. Solamente vi consiglio una cosa per salvare il suo regno: guardate di prendere voi dolcemente e poco per volta la chiave degli affari. Ottenuto questo, tenetegli lontano tutti questi Santoni e giovani, i quali gli montano la testa, e gli sollevano tutte le passioni brutali; per qualche tempo sarebbe bene che stessero lontane anche le donne, affinché trovi un poco di riposo in queste cose. Ora sappiate che fino a tanto che starò quì io [non] potrà far nulla, perché avrò sopra di me tutta la gelosia di questi fanatici mussulmani. Arrivato che sarò in Lagamara farò ogni mio possibile; voi potrete allora mandare anche ogni settimana un [un] corriere di vostra fiducia ed io farò come se fossi quì.

Come era una donna di buon senso ricevette tutte queste mie dichiarazioni e consigli, e restò persuasa. In quanto alle donne, disse, egli non ci tiene molto, e sarà facile allontanarle, [p. 182] ma non potrò levargli d’intorno il suo favorito, quello che fa le preghiere con lui, dorme con lui, e lo favorisce in tutte le sue follie. Questo è quello che m’imbarazza un poco, perché è come un Santone, tutto unito cogli altri, e col partito mussulmano, contro il partito Galla. Dopo le ultime pazzie il povero Re è caduto molto nell’opinione publica, anche delle corti, epperciò mi lasciano fare; a misura che la sua malatia cresce, il re stesso mi dice di fare, e manda gli affari a me. la madre mi accorda la partenza. Rapporto all’affare vostro io vi dichiaro di lasciarvi in perfetta libertà; se veramente siete risoluto di andare, disponete le cose vostre, e quando sarete pronto io vi farò accompagnare a condizione che siate di parola in ciò che mi avete promesso.

si prendono le disposizioni per partire.
vado per il congedo;
limosina ai corvi.
Ottenuto il permesso di partire, ho mandato subito Abba Joannes come precursore ai cristiani di Nonno Billò per incomminciare un poco di /223/ catechismo prima del mio arrivo, riservandomi di fissare il giorno del medesimo. Passati alcuni giorni, le disposizioni principali per la partenza erano come finite [perciò] sono andato dalla Regina madre per congedarmi se era possibile; era un giorno di mercordì mattina verso le otto, e la regina stava seduta nel cortile sopra una sedia circondata da alcune giovani schiave, le quali [p. 183] tagliuzzavano della carne di bove in liste lunghe circa due palmi e le porgevano ad essa che [le] distribuiva al corvi; come era questa una specie di funzione religiosa, mi fece segno di sedermi per terminarla. Terminata che l’ebbe, lasciò quel luogo, ancora circondato dai corvi, e fece trasportare la sua sedia nel luogo dove era io: come, dissi io, voi siete mussulmana e fate ancora queste cose? era questa, ripose essa, un’osservanza di famiglia, il mio marito [non] la lasciava mai ogni mercordì mattina [mattina], e morendo mi raccomandò di continuarla. Si paga questo tributo ai corvi, affinché essi non mangino i nostri soldati sul campo di battaglia. Noi facendoci mussulmani aggiungiamo la preghiera comandata dal profeta, in tutto il resto continu[v]iamo tutte le nostre pratiche antiche dei Galla. l’islamismo senza codice morale. Così è, l’islamismo, benché teoricamente sia nemico di tutte le superstizioni pagane, tuttavia mancando di un codice d’istruzione si innesta sopra tutte le osservanze pagane.

un consiglio alla madre del re. Dopo ciò prese essa la parola: dunque voi siete venuto per congedarvi dal re mio figlio, disse? volete voi, dunque partire senza fare qualche cosa per la guarigione del Re? [p. 184] appunto a, questo riguardo ho una, cosa da dirvi: avete voi tolta dalle sue mani quella certa medicina del profeta? oh Padre, risponde essa, chi avrà il coraggio di tentare un’affare simile? egli metterebbe tutta la casa sottosopra, e forze amazzerebbe qualcheduno; d’altronde è come impossibile, perché sta nelle mani del suo fido; io stessa ho dovuto pregare quello per [averla e] far qualche prova in alcuni ragazzi. essa mi presenta due giovani A proposito di prova, un dopo l’altro facio chiamare due ragazzi, i quali sono stati unti questa notte al canto del gallo, e sarà appena un’ora che sono ritornati in loro, i quali stanno ancora dormendo; noti che uno non sa dell’altro. esame dei due giovani. Ecco che viene un giovane ancor mezzo addormentato; come a quest’ora dormi ancora? [domanda la regina;] ah Signora mia, rispose; ho passato la notte col Profeta, ora [non] ne posso più tanto sono stanco. La padrona gli alza la, veste affinché io veda la prima lettera dell’alfabeto sensuale, e veggo un ritiro quasi completo di tutto, come se fosse un ragazzino di otto anni, mentre ne aveva 17. almeno; egli si mette a ridere, e dice[:] si è ritirato stanco, ma se ritorna il profeta non è più così, dice con tutta semplicità. Ma dimmi, la padrona riprende, non ti fa male? ah Signora /224/ mia, risponde, tutto al contrario, è mortificato perché il profeta si è ritirato ed aspetta il profeta. [p. 185] Ma che profeta, riprende la padrona, io so che hai passata la notte con un compagno? ah cosa dice, Signora mia, [è venuto] proprio il Profeta, ah che con lui si sta bene; ma il profeta è un uomo? riprende essa, tutto come si vuole, egli risponde... allora, basta, io dissi, e fattolo partire, [e] andò a dormire. Poco dopo viene l’altro, al quale furono fatte poco presso le stesse interrogazioni, e diede le stessissime risposte; solamente a questo secondo fece seri rimproveri di essere partito dal suo posto; io ti ho veduto dove eri, con chi eri, e cosa facevi: ah Signora mia, egli rispose, voi vi siete ingannata, perché io non ho lasciato il mio posto, e me ne stava col profeta tutto consolato... Questo secondo era un poco più giovane, e pareva molto più stanco del primo, egli stesso finì per dire che cadeva di sonno, e domandava di dormire, perché aspettava ancora il profeta che doveva venire.

Sappia, mi disse la padrona, che essi non sanno di essere stati unti, perché l’unzione è una piccola cosa, ed è stata fatta mentre dormivano; se vuole potrei farglielo dire da chi l’ha fatta. Sappia ancora che è la prima volta che furono così unti, e sanno nulla delle storie avvenute. Come voi, dissi io, mi avete fatto vedere tutto questo affinché io potessi formare [p. 186] un giudizio sopra la malatia del re vostro figlio, io vi ripeto ciò che già vi ho detto, fate di tutto per cavare dalle sue mani quella famosa medicina, se volete salvare il vostro figlio ed il suo regno; quel profeta che viene, è il diavolo in persona, il quale finirà per rovinare il vostro figlio e tutta la vostra casa; ecco la cosa unica che vi posso dire adesso, arrivato che sarò in Lagamara, allora vedrò quello che potro fare di più. Io non avendo veduto il Re non posso fare un giudizio esatto della sua malatia, ma calcolando ciò che ho veduto nei due giovani sopradetti, i quali fecero una sola unzione, cosa non sarà del Re?


(1a) Questa razza Scierif gode una gran venerazione trà i mussulmani, massime in paesi lontani; basti di dire che un così detto Scierif gode il titolo arabo Saïdna, il quale è un vero equivalente di Monsignore che frà noi si da ai Vescovi; i nostri vescovi orientali dai loro cristiani sono chiamati Saïdna. Questo nome Scierif, o dignità che si voglia dire, oggi si ottiene mediante qualche retribuzione; se ne da la patente in Mecca. [Torna al testo ]