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34.
A Lagàmara: ritiro penitenziale.
Analisi su interventi diabolici.

nostro passaggio del fiume Ghiviè Nel momento in cui scrivo, privo quasi affatto di memorie, o note, e debole anche di memoria, perché nel mio 15. lustro, non posso dire, ne il giorno del mese, ne tampoco fissare il mese in cui ho ripassato il fiume Ghivie nello stesso luogo [p. 308] circa tre anni prima nella mia andata a Kafa; mi ricordo però di una sola circostanza, che, cioè questo mio passaggio ebbe luogo la mattina di un giorno di Sabbato. Nella gran famiglia umana si può dire quasi l’unica tradizione rimasta immobile in quasi tutto il mondo è la distribuzione dei giorni della settimana. Un’europeo abituatosi all’estero avrà bisogno di determinare quale calcolo [usare], quando parla di anno o di mese, non così nei giorni della settimana, i quali sono sempre gli stessi in tutto il mondo, anche cangiando di nome. Epperciò dicendo io che era giorno di Sabbato fra i Galla, lo era anche in Roma, in Parigi, in Londra, ed in America. entusiasmo di quà e di là del fiume Una cosa però non posso dimenticare, perché si attacca vivamente alla sensibilità del cuore, ed è l’entusiasmo con cui la popolazione lagamarese mi accompagnava, quella del Ciau mi condusse frà gli evviva sino alla riva Sud del fiume con una quantità di Cavalieri che mi seguivano, mentre alla riva Nord una folla immensa di popolazione con cento e più cavalieri mi salutava cogli evviva o lilta a uso del paese.

incontro coi lagamaresi In quella dimostrazione una cosa più di tutto mi intenerì, ed è che prese parte, non solo tutta intiera la casta cristiana, ma anche molti [p. 309] oracoli della casta pagana, ed alcuni anche della casta mussulmana; in una parola si poteva dire che [vi] era tutta la popolazione del Tibiè Lagamara. Si trovarono al Ghiviè pure i messaggieri della costa spediti da Monsignore Cocino, il quale in Nunno non aveva ancora terminate le trattative della pace, ed i messaggieri di Gamma Moras venuti dal Gudrù. Questa giornata nel materiale compensò un tantino le pene sofferte dal mio esilio di Kafa sino a quel momento, benché poi nell’economia spirituale, tutte quelle esteriorità mi facessero tutto il be- /286/ ne che sogliono fare le mosche agli occhi; e la mia consolazione nell’intimo del cuore si cangiasse in cordoglio al pensare che di tutto quel mondo di cento uno sarebbe arrivato allo sposalizio con Cristo nostro Signore.

dalla casa al fiume Dalla riva del Ghiviè sino alla nostra casa della missione di Tullu-Lèca ai piedi della montagna si dovevano contare due buone ore di viaggio per i pedoni, ed io, benché avessi un mulo, pure ho camminato quasi sempre a piedi, secondo il mio solito; conversazione in viaggio frammezzo ai miei preti e frammezzo ai miei indigeni, camminando a piedi si può parlare e lavorare del ministero sotto pretesto di conversazione, all’apposto [p. 310] camminando a cavallo nulla si può dire; in mezzo alla folla camminando, molte cose che io non sapeva essermi accadute le sentiva raccontare col benefizio del fama crescit eundo; se tutto quello che io sentiva dire di me non era ben soventi la verità in confronto colla storia reale accaduta, era al certo una verità nell’opinione popolare. Era per me una vera delizia sentire il setacio della publica opinione. Ciò che più mi faceva piacere era potere gettare nel cuore una tenera parola ora all’uno, ed ora all’altro di quegli antichi amici o figli, anche con un certo benefizio e profitto di tutti, perché in una circostanza così tenera tutto era ben ricevuto, e ben soventi un tenero sguardo valeva un discorso ad un cuore ben fatto.

arrivo a tullu leca
[24.12.1861]
Erano circa le ore dieci del mattino, e tutte le popolazioni dei contorni facevano sentire in lontananza l’eco dei loro [dei loro] trilli o lilta di publica letizia; i nostri cavalieri saltellavano intorno facendo pompa dei loro cavalli; il sole incomminciava a riscaldarsi non poco, [p. 311] quando noi siamo arrivati alle falde di Tullu Leca, meno di mezzo chilometro dalla casa, sotto il poetico kilto (gran ficomoro), il quale poteva rinfrescare colle sue ali una popolazione di circa mille persone; se io entro in casa, dissi fra me, sono obligato a separarmi troppo bruscamente da questa moltitudine; mi s[i]edo sotto il gran sicomoro allora feci stendere ai piedi dell’albero delle pelli, e sedutomi ai piedi dell’albero ho fatto una tenera parlata ringraziando tutta quella moltitudine del grande onore fattomi, e dell’attaccamento che mi avevano dimostrato, ed aspettai là che si dileguasse [a] poco a poco tutta quella gente, perché, in simile circostanza, un momento di bel viso, ed una parola di riconoscenza vale una lapide eretta che parla al popolo per molto tempo.

entro in casa, visita alla chiesa Dileguatasi la moltitudine, io mi sono alzato, ed accompagnato dai nostri di casa e dai vicini, massime dal caro Dinagdè sono montato alla casa che ho trovato con uno strato di erba tutta fresca (tappeto ordinario del paese); sono entrato un momento [p. 312] nella Chiesa per /287/ ringraziare il Signore del felice ritorno a Lagamara. Dopo ciò in compagnia di tutti i miei chierici e catechisti sono andato al nostro piccolo cimittero per fare una breve assoluzione ai morti, e poi ci siamo seduti, non a tavola, ma per terra in circolo per gustare un semplice, ma generoso pranzo preparatoci da Dinagdè zio di Gigio nostri vicini. prima refezione in casa, e regali di uso. Mentre stavamo mangiando incomminciaro[no a portare] i regali di uso al forestiere: vennero alcuni bovi, qualche pecora, ed anche galline, ova, secondo la diversa condizione dei vicini; quindi birra, idromele e pane che poteva bastarci per otto giorni per una famiglia di circa 30. persone.

apertura delle lettere Il primo momento libero che ho potuto avere ho dovuto pensare ai corrieri. Secondo il mio uso, ogni qual volta veniva un corriere dalla costa, oppure da una missione lontana io soleva andare in Chiesa colle lettere in mano, Signor mio, diceva, siete voi che le avete mandato, datemi lumi e forza per poter conoscere la vostra volontà, eseguirla con tutta la fedeltà e prontezza di vostro servo. Ho aperto il piego venuto da Massawah statomi spedito da Monsignore Biancheri, contenente lettere [lettere] del Padre [p. 313] Gabriele da Rivalta Procuratore della missione, e molte lettere d’Europa e di Egitto. La prima preoccupazidne in simili circostanze di corrispondenze è sempre del generatio preterit et generatio advenit; molti Morti fra religiosi, frà Prelati, frà i parenti ed amici; per questi un requiem ed un’offerta a Dio. Quindi molti gravissimi affari, sia in Massawah che in Europa, che domandavano la mia presenza, ma doveva aspettare Monsignore Coadjutore per conferire con lui sul quid agendum?

si decide un ritiro di otto giorni. Fratanto, calcolando la mia assenza di tre anni, la presenza transitoria di un solo Sacerdote indigeno, obligato a visitare diverse altre missioni, e sopra tutto calcolando le stesse relazioni dei due catechisti che accusavano molti scandali dati, ho pensato che quella missione aveva bisogno di una scossa; tanto più che una gran parte se lo aspettavano e domandavano. Ho deciso perciò di non lasciare passare la circostanza del movimento che aveva cagionato il mio arrivo per publicare subito l’indomani Domenica, e giorno di gran concorso [per publicare] otto giorni di ritiro. conferenza privata ai penitenti venuti da Nonno Come erano venuti cinque penitenti da Nonno, non ancora assolti, perché avevano anche dato [p. 314] scandali in Lagamara, ho passato qualche ora della notte con loro per traciare una regola di condotta, affinché non mi arrivasse come in Nonno di essere prevenuto dal loro zelo indiscreto nel dare una publicità al di là di quanto avrebbe domandato la prudenza. Io gli ho detto di mantenere la loro posizione di penitenti facendo le loro penitenze in secreto, e intanto di /288/ fare intendere ai loro complici di venire da me. Veduto che avrei la maggiore o minore publicità dei loro scandali avrei pensato a finire il loro affare.

difficoltà contro il ritiro. L’indomani giorno di Domenica io sperava di potere dare principio al ritiro, ma si moltiplicarono tanto le visite che appena ho potuto fare due o tre conferenze, nelle quali non ho lasciato di publicarlo per l’indomani e raccomandare a tutti d’intervenire, ma intanto io era mancante di soggetti per fare una crisi. Io aveva tre Sacerdoti indigeni con me, ma Abba Paulos, ed Abba Jacob potevano fare catechismi, ma fare conferenze da scuotere i cuori, non potevano ancora; il solo Abba Joannes possedeva una parola per impadronirsi dei cuori. Così parimenti, catechisti per insegnare il catechismo alla lettera non mancavano, ma essendo rimasto Gabriele in Nonno, non mi restavano che i due capi scandalosi, i quali in Nonno fecero le mie [p. 315] meraviglie per il dono che manifestarono della parola; tutti gli altri potevano bensì fare il catechista, ma non erano fatti per aggiungere qualche parola diretta al cuore dei catecumeni per animarli. Ora volendo io servirmi dei Sacerdoti per aprire delle stazioni come in Nonno, e non potendo servirmi dei due suddetti, ancora legati da uno stato di penitenza, io faceva conto sopra di essi che mi avrebbero ajutato; ma mi sono ingannato.

i penitenti pretendono continuare la loro penitenza publica. Difatti avendo prevenuto uno di questi giovani di farmi da dragomanno, esso mi fece delle difficoltà. Perdonatemi, disse, ne io, ne il mio compagno abbiamo coragio di prendere la parola se prima voi non ci permettete di riparare i nostri gravissimi scandali con una publica penitenza, come abbiamo fatto in Nonno. Dopo una publica penitenza, quando tutti saranno persuasi della nostra conversione sincera, allora potremo parlare sicuri di fare del bene, altrimenti molti da voi scandalizzati avranno diritto di crederci ipocriti ed impostori. Questa sera, continuò egli, verranno alcuni dei nostri complici, e sono certo che voi vi persuaderete di questa verità, ed allora tutto si rimedierà. Difatti verso mezzo giorno di Domenica vennero alcuni dei loro complici, e venne con loro anche Gigio; io gli ho chiamati in disparte in presenza dei due. Ecco i vostri complici [p. 316] che voi stessi avete fatti chiamare, volete voi essere soli con loro? confessione e ritrattazione dei due ai complici. Padre, dissero i due, noi assassini, e questi da noi assassinati, qual diritto abbiamo noi di parlar loro in secreto? Se noi gli abbiamo pregati di venire, è forze per parlare con noi? è anzi per parlare con voi, affinché voi sappiate tutto il nostro scandalo dato, affinché ci permettiate di ripararlo. Quindi uno dei due, a nome anche del suo compagno, disse ai complici venuti: Fratelli miei, noi siamo perduti e vi abbiamo pregati di venire per salvarci dalla per- /289/ dizione, mi spiego: noi, ingannati dal diavolo, abbiamo guastato voi e molti altri, i quali non sono ancora venuti; per la grazia di Dio, noi oggi vogliamo convertirci davvero; per salvare le anime nostre. Ora noi non possiamo sperare il perdono da Dio senza riparare il mal fatto. In Nonno abbiamo fatto una penitenza publica per riparare questo male; si tratterebbe di farla anche quì, e l’Abuna non vuole per la ragione che le cose passate in secreto non devono passare al publico. Noi dunque vi scongiuriamo di far conoscere all’Abuna tutto ciò che si è passato, non solo i fatti, ma più ancora tutto ciò che abbiamo detto per ingannarvi e tirarvi nel precipizio; sappiate che le parole nostre, le calunnie, e le eresie ci pesano più dei fatti ancora.

[p. 317] confessione dei complici, e loro proteste Quando i complici sentirono tutta questa confessione dei due catechisti convertiti, confessarono tutte le loro turpitudini, le eresie da loro dette e le calunnie. Sia le eresie che le calunnie erano tutte collo scopo di giustificare i loro eccessi, facendo supporre gli altri, non esclusi i Sacerdoti, della stessa pasta, e di impedire che i loro eccessi fossero publicati, o anche detti in confessione, intaccando così la dottrina sull’integrita della Confessione sacramentale, aggiungendo a tale scopo persino minacie di vendicarsi con mezzi diabolici per sostenersi nella loro posizione di catechisti della missione. I complici suddetti, ed altri venuto poi dopo; non risultò però che avessero parlato del patto che avevano fatto col demonio, al quale erano arrivati a dare l’anima loro, colla sola condizione che il demonio non proibisse loro di continuare nella loro posizione di catechisti. Alla qual cosa il diavolo si prestò molto fedelmente, come già abbiamo notato altrove.

questioni fattemi dai complici Tutti questi complici o discepoli d’iniquità, i quali non erano pochi, sollevarono la questione sul loro proprio conto. Se i due catechisti si conoscono obligati a riparare a tutti i loro scandali per salvarsi, noi che, una volta imparato [p. 318] il mestiere, e presovi gusto, abbiamo, chi più chi meno, seguito i nostri maestri, e ci siamo serviti degli stessi mezzi affinché i nostri peccati non fossero conosciuti. In una parola, noi che abbiamo rovinato questa bella missione in modo che quasi più nessuno si confessa, oppure se si confessano non dicono i loro più gravi peccati, dopo tutto ciò, noi non saremo obligati a riparare tutti i nostri scandali? Se così è cosa serve fare il ritiro, e predicare, mentre noi abbiamo fatto credere ad una gran parte della gioventù dei due sessi, che i preti ed i catechisti predicano per mestiere mentre essi sono peggiori degli altri? La conversione e la confess[i]one fatta da loro, e fatta fare da noi ci gelò il cuore; se essi dicono di non avere speranza di perdono se non riparano il loro scandalo, noi ci salveremo restando /290/ tranquilli senza riparare i nostri scandali? Il giudizio sta a voi, decidete pure con libertà che noi siamo preparati a fare tutto ciò che direte.

povera missione di Lagamara. Al sentire tutto questo ho veduto subito che la missione di Lagamara in tre anni di quasi totale abbandono aveva molto sofferto, e stava pensando alla maniera di rispondere a tutti questi scandalosi sollevati dal demonio. In quel momento si presenta Gigio, di cui si è parlato, col più grande dei due catechisti, ed in presenza sua Gigio mi espone un fatto sorprendente che voglio riferire, perché è un caso molto raro. Dopo la sua partenza, disse Gigio, [p. 319] io ho sempre cercato di mantenermi come voi mi avete educato, amico con tutti, e lontano da tutti, e [non] lasciava mai le mie preghiere. Passati alcuni mesi questo catechista incomminciò a dimostrarmi una grande affezione, e lasciarsi andare con certe carezze e parole che io ancora non sapeva ben capire, ma intanto non lasciavano di sollevarmi certe immaginazioni di atti ai quali io non era accostumato. un’apparizione diabolica. Una bella sera io era quasi tentato di recarmi a passare la notte alla missione per vedere dove andavano [a] finire queste sue attrattive, così quasi risolto come io era, eccoti che egli arriva a notte avvanzata, mentre tutta [la famiglia] era già in riposo. Questa sera ho voluto venire a passare la notte con te, [mi dice,] e così incommincia a farmi delle carezze, alle quali io aveva una certa ripugnanza, ma poi esso disse tante stravaganze contro i preti ed in favore dei mussulmani, e mi rimproverava i miei timori come vili, a segno che mi lasciai come vincere.

Ma poi disgustato e preso dal rimorso ho preso il [viso] serio e mi volto dall’altra parte come sdegnato. Passato un quarto d’ora travagliato dai rimorsi, come era per me una persona che rispettava, ho creduto di averlo offeso e mi rivolto verso di lui, come per fare la pace, lo chiamo, lo cerco, e non lo trovo più, mi levo, accendo il fuoco, e trovo la porta chiusa; dunque se ne è partito disgustato, dissi, ed ho passato [p. 320] una notte con grande agitazione.

Gigio racconta la sua storia. La mattina parto sul fare del giorno e vado alla missione nell’ora della preghiera, e domando del catechista, e mi rispondono che non si trova da due giorni, [essendo] andato col suo compagno a fare il catechismo a Nonno; ho creduto una finzione, oppure una burla: jeri sera venne da me, dissi, e vi passò con me due ore e più, cosa vuole dire questo? ma poi ho dovuto convincermi della verità. Passata circa una settimana ritornò egli difatti a casa, gli parlai di questo affare, ed egli, grazioso come prima, trovai che [non] ne sapeva nulla, o almeno fingeva di nulla sapere. Ma l’affare non finì là, venne ancora altre sere a passare la notte con me, e mentre stavamo trescando insieme, e gli confermava i /291/ fatti precedenti, e poi trovato alla missione egli teneva sempre lo stesso linguagio. Io sono divenuto pazzo per lui e mi sono bevuto tutte le massime perverse che mi insegnava sino a perdere la fede, e ciò sino all’apparizione del mio fratello Gabriele: allora mi sono convertito, ed egli non ritornò più.

un’altra apparizione del diavolo
appreziazione delle due apparizioni
Finita la storia di Gigio, venne da me uno dei giovani venuti da Nonno con me, e racconto quasi la medesima storia, arrivata in Nonno coll’altro catechista più giovane. Dal calcolo che io ho fatto confrontando i fatti alla presenza dei due catechisti, supposti autori dei fatti [p. 321] moltiplicati anche in Nonno, sia nel tempo che i due catechisti erano in Nonno, sia ancora quando essi si trovavano in Lagamara, con una vera biocazione, mentre i due supposti autori stavano fermi nel dire che [non] ne sapevano nulla; allora mi sono convinto essere stata questa una vera operazione diabolica, tanto più che queste due storie misteriose incominciarono quasi nella stesso tempo, e cessarono parimenti nel’ tempo stesso. Si noti che questa cessazione cade perfettamente nell’epoca dell’apparizione del defunto Gabriele, come sopra è stato narrato; quando il catechista più giovane ha avuto un periodo di conversione, e quando il diavolo fece un secondo patto, con questi due catechisti, dopo il quale, il diavolo a loro istanza gli provedeva di personale per le loro passioni, per salvare la loro riputazione, perché d’allora in poi nulla si passò più di esterno con persone conoscute per circa due anni.

confronto delle medesime Questi due fatti confrontati in ogni cosa alla presenza dei due catechisti supposti autori, e di Gigio, e dell’altro di Nonno furono eguali negli eccessi immorali, nelle eresie, bestemie, e calunnie. In una cosa sola erano un poco diversi; quello di Gigio non ebbe precedenti all’infuori di un’affezione esaggerata per parte del catechista, cosa da lui confessata; [p. 322] invece il secondo fatto contava una passione spiegata con qualche atto, cosa precedente, e confessata da tutti [e] due. si ragiona sulle medesime. Questi fatti non essendo accaduti ad altri fuorche ai due catechisti, i quali avevano [un] patto col diavolo, io ho dedotto da ciò che questo spirito ribelle non possa servirsi di una persona per atti turpi senza un suo precedente consenso. Così parimenti lo stesso spirito immondo non fa queste operazioni di gran chiasso se non vi è stato qualche predisposizione dalla parte del soggetto passivo, come si ve[de] del fatto di Gigio. La tentazione per suggestione è una cosa ordinaria, ma simili operazioni non le fa che quando esiste grande interesse di guastare un’individuo per una causa grave come rovinare una missione.

controllo delle apparizioni diaboliche, In tutta questa storia di Nonno e di Lagamara figurano apparizioni diaboliche in quattro circostanze diverse. La prima è quando in Don- /292/ quorò ha incomminciato la rovina dei due poveri catechisti con apparizioni di spettri reali in forma umana dei due sessi per circa otto giorni continui, ma spettri senza nome, ed incogniti. La seconda fu quella di Gigio, e del giovane di Nonno sopra riferiti, l’unica volta in cui si servì di spettri che si riferivano a persone cognite, come i due catechisti riferiti sopra. La terza fu quando il più giovane dei due catechisti, dopo l’apparizione di Gabriele defunto suo padrino, volendo ad ogni costo convertirsi, allora fece il secondo patto coi catechisti di prestarsi [p. 323] a loro richiesta con spettri incogniti per circa due anni, diverso scopo delle medesime. affinché i due catechisti mentovati conservassero il loro prestigio nella missione per maggiore rovina della medesima. Questi due giovani, dopo la loro conversione sincera mi confessarono che il diavolo fu sempre di parola a prestarsi con spettri reali incogniti con forma umana dei due sessi e tali che servivano allo sfogo reale delle loro passioni. La quarta volta fu in Nonno quando il diavolo aveva tentato l’ultimo assalto di quella missione e la mia espulzione da quel paese. L’apparizione ebbe luogo in due luoghi distinti: una fu una sera verso notte dopo la preghiera; tutti i penitenti essendo sortiti per i loro bisogni, trovarono una turba di giovinastri che gli misero in ridicolo per le loro penitenze; diedero loro la falza notizia di Camo fatto mussulmano e maritatosi ecc; così del P. Hajlù in Kafa; in quel momento stesso i poveri giovani penitenti si trovarono ossessi e posseduti dal diavolo. Un’altra apparizione di persone a molti Galla della frontiera, le quali riferivano che l’armata del Re di Ennerea veniva sopra Nonno per causa mia.

manegi del diavolo contro la missione nostra. I lavori satanei contro l’opera di Dio della missione nostra sono stati diversi secondo i diversi paesi. Nei paesi organizzati sotto un governo monarchico, o comunque chiamato, il diavolo lavora colla diplomazia o politica, le quali valgono qualche volta come milioni di demonii, come arriva nei nostri paesi, dove il demonio impadronitosi della diplomazia europea [p. 324] costringe contro volontà lo stesso soldato cattolico a entrare nelle file dei nemici per perseguitare il clero, i vescovi ed il papa stesso. industria del diavolo diversa in diversi paesi. Così in Abissinia, in Kafa, in Ghera, ed in Ennerea, facendoci la guerra non si vidde costretto a discendere così [in] basso a fare da servo nella latrina delle passioni più brutali del uomo, delle quali egli non ne sente lo stuzzico infelice, ma tenendosi più alto nel rango della più alta società poteva lanciarci i suoi dardi micidiali. Invece frà i poveri galla liberi di Nonno, di Lagamara e simili, il povero diavolo non sapeva dove attaccarsi per organizzare qualche rovina alla missione cattolica, per mancanza di un grande Oriente oppure [di] un gran Maestro massonico, vederlo obligato a mendicare i pantaloni della povera /293/ umanità fatti ad altrui misura, per essere all’ordine di uno disgraziato catechista per servire alla passione brutale di un momento e poi essere caciato come un vile al suono tremendo di un’esorcismo in nome di Cristo vincitore. Così finì nella nuova missione di Nonno, e così doveva finire anche in Lagamara, missione guastata da lui, ma non morta ancora.