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15.
Notizie e problemi di mons. Biancheri.
Arrivo di Le Jean e La Garde.
arriva Monsignore Biancheri
[1.12.1863]
Appena si ebbe tempo a finire l’operazione suddetta, che ricevo l’avviso da Massawah essere arrivato Monsignore Biancheri dal suo viaggio d’Europa. Il suo arrivo era da me molto desiderato; perché sperava [di ottenere] da lui molti schiarimenti relativamente ai nuovi missionarii
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dei quali già ho parlato, ed altre notizie di Roma e di Francia, dove io aveva affari da trattare.
mia visita a monsignore
Della [stessa] sera gli mandai il benvenuto, e la mattina dopo il caffè sono partito col P. Gabriele, e con Abba Ghebra Mariam. L’ho trovato che sortiva di Casa, [io] passava dal Governatore, disse, e poi aveva deciso di prendere il viaggio di Umkullu, ed Ella è già quì;
faciamo insieme la visita al governatore
molto bene, proseguì, anderemo insieme dal Governatore che ancora non conosco, ed Ella mi farà conoscere. Strada facendo gli dissi, credo che sia un brav’uomo, per quanto lo può essere un mussulmano, solamente non bisogna credere di ottenere minaciando, ma quando avrà bisogno di dirgli [delle] verità che lo feriscono di più allora bisogna acarezzarlo; sono esseri materiali che non agiscono per amor di Dio, e bisogna trattarli come i ragazzi: facendogli delle [carezze si] cava anche un dente ad un bambino, così sono questi poveri mussulmani.
conversazione col governatore Siamo entrati [nella sua abitazione] e ci ricevette molto bene, e come non era ancora abbastanza sazio di conversazione sopra la corte e la politica di Teodoro, l’ho soddisfatto in tutte le domande; fece portare più volte il caffè ed anche qualche altra bevanda, e dopo più di un’ora [p. 778] di conversazione ci siamo licenziati; allora il governatore diresse la parola a Monsignore, senta, disse, quando avrà bisogno di qualche cosa, sia [di] carne quando manca al mercato, sia [di] caffè, sia [di] butirro, oppure che i miei impiegati non faciano il loro dovere, Ella non ha che [da] venire, oppure mandare [da me], e stia certa che farò sempre tutto ciò che potrò per la sua casa; nelle cose ché possiamo /132/ aggiustare noi, perché ricorrere ai consoli? perché moltiplicare le questioni? questo non è buono, ne per Lei, e ne per me. Ciò detto siamo sortiti. conversazioni con monsignore. Camminando io aggiunsi: i turchi, dissi, non amano minacie o ricorsi; queste cose non fanno che irritare, anche i nostri protettori d’Europa. È raro che io facia ricorso in Europa, e mi aggiusto come posso nel paese manovrando gli uomini secondo la loro capacità, e tirando il colpo secondo la preda. Mi sono convinto che abusando dei ricorsi in Europa finiscono per stancarsi anche i nostri amici di là.
notizie dell’Europa e dell’Egitto Ho passato quella giornata con Monsignore Biancheri. Si fecero lunghe conferenze sopra gli affari d’europa, e singolarmente di Roma e di Parigi, dove io aveva affari. Mi parlò dei tre missionarii dei paesi Galla, dei quali uno già vecchietto è Prefetto, ma non si ricordava [p. 779] del loro nome; [arrivo ad Aden: 4.11.1863] essi sono partiti per Aden pochi giorni prima che io partissi dal Caïro, disse, e mi pare che vogliano passare per la via di Zejla. Monsignore poi desiderava molto di parlare di Teodoro, e gli ho raccontato tutta la storia del nostro incontro, dell’amicizia fatta, e di alcuni cattolici fatti alla corte dell’imperatore, dei quali gli ho data la nota. In quanto a Lei, mi disse, è stata divulgata la notizia della sua morte, ma alcuni dicevano che era morto in Kafa, ed altri dicevano che era morto in Lagamara. Nel momento pero che io ho lasciato il Caïro la notizia del suo prossimo arrivo alla costa era già arrivata, e Monsignore Pasquale Wicice ne scrisse a [a] Roma ed io scrissi a Parigi ad alcuni amici.
arrivo dei due frances[i] Lejan e Lagard
[nov. 1863]
Finite le nostre conversazioni, egli mi promise che sarebbe venuto ad Umkullu a passare due giorni con me, ed io col P. Gabriele siamo ritornati in terra ferma, perché alcuni mercanti ci riferirono che i due inviati francesi avevano già passato Adoa e sarebbero discesi per la via
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dell’Amassen, dunque il nuovo Console Francese col Dottore La Garde verranno per la via dell’Amassen, ed all’improvviso ci arriveranno ad Umkullu, dissi io, epperciò abbiamo affrettato il viaggio; non ci siamo sbagliati, essi non erano arrivati, ma avevano mandato un bedovino a dirci di aspettargli l’indomani a pranzo in Umkullu. Difatti avevano passato la notte non molto lontano, e l’indomani mattina prima di mezzo giorno già erano con noi. I poveretti, benché viaggiatori venuti di recente dall’Europa, erano tutti straciati, e pieni di vermina; acettarono perciò molto volontieri una camicia, e qualche altra veste che si è trovata per cangiarsi. Io sono arrivato vestito alla moda indigena, e la povertà faceva meno cattiva figura in me; laddove essi vestiti all’europea straciati, nei pantaloni e vestito, con certi insetti che giravano, facevano triste figura. Io era venuto a piedi [e] aveva conservato meglio le
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mie vesti, ma [per] essi venuti a [dorso di] mulo fra i boschi e [le] spine non [fu] così.
Come io aveva ricevuto da M.r Le Jean dieci talleri, la prima cosa fu [di] pagare il mio debito per poter mangiare il nostro pranzo in pace, e discorrere delle molte facende abissinesi. [p. 781] notizie del campo di Teodoro Come io era avido di sapere le notizie, domando loro[:] quale fù il risultato dell’aboccamento dell’imperatore col Vescovo eretico Salama? Questi stette tre giorni al Campo, risposero, due [volte] si trovarono [insieme], e poi Salama fù obligato a ritornarsene sulla fortezza di Magdala. Di Scioha quali notizie, aggiungo io? R.[isposta:] Notizie di rivolta, ma si tenevano secrete; persone venute di là dicevano che quel Vice Re rifiutò il tributo. Dopo la mia partenza, dissi, siete stati voi chiamati subito al Campo? R.[isposta:] Siamo stati chiamati due settimane dopo; quando il Vescovo Salama era già partito, noi siamo arrivati al campo. Teodoro come vi ha ricevuti? R.[isposta:] Molto bene; le cose nostre passarono pacificamente, e subito [set. 1863] ci congedò con questo piego per Lei. Era questa una lettera [diretta] a me; ed un’altra da presentare all’Imperatore Napoleone.
il resto delle notizie
Mentre stavamo mangiando, di quando in quando io continuava a domandare; e mi rispose[ro] che dopo la loro partenza, strada facendo avevano inteso che il Signor Stern aveva avuto qualche questione coll’imperatore,
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ma nulla di certo e di chiaro, mi diceva[no]. Il Console inglese M.r Cameron
[ott. 1863]
[set. 1863]
era partito per fare un’escursione al basso Dembea, disse[ro], e che il Francese Signor Bardel era stato chiamato dall’imperatore. Avendogli finalmente domandato notizie del Tigrè, mi rispose[to] che si temeva molto, perché Waxum Govesiè aveva già un’armata rispettabile e minaciava di discendere per impadronirsene; per questa ragione noi, dissero, abbiamo afrettato il passo per sortirne. Ringraziamo il Signore del vostro arrivo, dissi io, per tutto il resto essi se la caveranno.
ho finito l’affare co[n] Ghebra Mariam, e parte Passato il pranzo i due viaggiatori partirono per Massawah. Abba Ghebra Mariam avendo inteso che il Tigrè temeva l’invasione di Govesiè voleva partire per ritornarsene a Gualà, ma io[:] aspetta, gli dissi, verrà quì Monsignore Biancheri, parlerò con lui dell’affare tuo, e dopo potrai partire. Difatti non tardò molto Monsignore a venire, ed egli con tutta la sua commodità poté parlare con lui dei suoi affari; anche io avendo aggiustato con lui i miei affari per alcune [p. 783] spese fatte a mio riguardo, se ne partì molto contento. conferenze intime con monsignore Partito che fù questo Prete, Monsignore Biancheri sollevò la questione mia con Teodoro, e non sapeva darsi pace, come io avendo trovato la stima ed affezione con quel prin- /134/ cipe, non avessi acettato il partito di restare almeno un poco di tempo con lui per il bene che avrei potuto sperare. Caro Monsignor mio, gli risposi io[:] l’abissino è come un ragazzo, il quale piange per avere una cosa, ed ottenuta che l’ha la lascia cadere dalle mani, e la disprezza. Prima di tutto l’Abissinia non era la vigna che il Signore mi ha dato [d]a coltivare, epperciò io doveva pensare avanti [a] tutto ai miei affari. Ma supponga ancora che l’Abissinia fosse stata la mia vigna sono intimamente convinto che avrei commesso un grande errore a rimanere più di quanto sono rimasto per forza condottovi in catene. Cosa avrebbe potuto farmi Teodoro? cosa avrebbe fatto? Sono queste le due grandi questioni da vedere.
perché non sono rimasto con Teodoro In Abissinia non è, ne l’imperatore, ne il popolo [che contano], è il mercato dei Deftari e dei monaci uniti col Vescovo eretico; ne in questi [c’]è un[o] zelo religioso che gli guida, ma uno spirito di partito [p. 784] e di contradizione, come ognun sa. Ora Teodoro, anche supposto ben disposto per me, cosa poteva fare contro tanti diavoli furiosi contro di lui? Ma Teodoro non ha ancora ricevuto il Sacramentale effeta, esso è ancora tutto materiale nelle sue operazioni, cosa perciò avrebbe fatto per me? parte per ignoranza, parte per orgoglio, e parte per prudenza governativa, mi avrebbe al più confuso di cortesie, mi avrebbe collocato in un luogo rimoto, pregandomi di restarmene quieto e tranquillo, per non sollevare questioni, lusingandomi da un giorno all’altro, ecco tutto ciò che avrebbe fatto. Ora aggiungiamo ancora [un’] un’altro quesito: cosa avrei fatto io in simile posizione? La mia sola presenza conosciuta avrebbe sollevato tutti i partiti, senza poter nulla fare, e neanche parlare; perciò avrei fatto male a me stesso, alla missione mia e vostra, e dato disturbo a Teodoro medesimo. Tutto ciò oltre le questioni politiche sue che mi avrebbe fatto, senza neanche ascoltare il mio parere; questioni in verità che io temeva sopra tutto il resto.
il missionario cattolico alla corte Caro Monsignore, si persuada di una gran verità ed è, che alla corte dei Re poco vi è da guadagnare e tutto da perdere. Il ministero del missionario che sta alla corte del Re, [p. 785] prende una natura più civile che religiosa ed apostolica, e per questo solo titolo diventa un soggetto preso di mira da tutte le passioni umane, non solo in Abissinia, ma persino nei nostri paesi, e ciò oltre tanti altri pericoli che diminuiscono il merito ed oscurano la santità dello stesso ministero. La ragione per cui il cristianesimo in Abissinia non si stabili bene da principio [341] all’epoca di S. Frumenzio fù perché incomminciò alla corte coi mezzi umani, sortì allora un cristianesimo misto di paganesimo, e di ebbraismo. Per la stessa ragione la ristorazione tentata all’epoca dei portoghesi andò in /135/ rovina, perché incommincio alla corte coi mezzi umani. La Chiesa di Cristo all’opposto ha potuto sollevarsi ad un’altezza colossale da dominare il mondo, perché ha avuto come fundamento il fuoco della persecuzione di tre secoli che la purgarono nei suoi primordii da tutte le passioni umane. Dai Principi poi non dobbiamo sperare altro che la semplice libertà d’azione.
carattere essenziale dell’apostolato La promulgazione del Vangelo deve essere [to]talmente opera di Dio, e non opera del uomo, che, a misura che l’industria, la forza, o la passione del uomo entra[no] in scena nella sua intrinseca azione, Iddio non la benedice [p. 786] più, ed entra nella sfera delle opere umane; non solo deve essere opera di Dio, e benedetta da Lui, ma deve essere visibilmente come tale conosciuta da tutti. Nostro Signore disse a S. Pietro: beatus es Simon Bar Jona, perché non sei stato istruito per via umana, ma il mio Padre celeste è quello che ti ha rivelato il gran mistero della mia divinità. Ma andiamo più avanti: Iddio per la sua onnipotenza avrebbe potuto per vie più economiche convincere tutti i gran[di] potenti del mondo, e col mezzo di esso in un baleno fare il mondo cristiano, ma no, perché alla fine si potrà dire che la fede è un’opera del mondo, epperciò ha voluto che costasse a preferenza tre secoli di continua contradizione, che si versassero fiumi di sangue, e vittima fossero tutti gli apostoli di questa fede. Andiamo ancor più avanti: Iddio che aprì gli occhj ai tre apostoli sul Taborre, [e] a Stefano per vedere il Figlio del uomo seduto alla destra del Padre, non potrebbe egli in un baleno fare [un’]altrettanto a tutti noi? Ma no[;] questa fede deve costarci una continua guerra con noi stessi.
Iddio pe[r]mette l’eresia per i suoi fini Caro Monsignor mio, ecco un saggio delle ragioni per cui, ne Teodoro doveva entrare troppo direttamente a questa conversione dell’Abissinia, ne io doveva [p. 787] servirmi di lui; perché la futura Abissinia [non] possa mai dire che il bracio di Teodoro ha fatto questo; perché la fede è un dono così grande, che l’Abissinia futura deve guadagnarselo con una guerra di secoli e con fiumi di sangue. Ma lasciamo l’Abissinia e meditiamo [su]i nostri paesi, e pensiamo a noi stessi: noi nati da Padri cattolici dopo una serie di generazioni fedeli a Dio, abbiamo perduto l’abitudine di ringraziare Iddio di questo gran dono della fede, e se pure lo ringraziamo lo faciamo con parole imparate dai nostri antichi senza [l’impulso di] un vero bisogno del nostro cuore; di quì nasce la gran ragione, per cui alla sua volta, al passare dei secoli si apre l’inferno e un vulcano getta fuori i maometti, gli arii, i nestorii, i Dioscori, i Luteri, i Calvini, e via dicendo tutta la schiuma dei sedicenti filosofi, così detti rigeneratori, massoni, republicani, socialisti, comunardi e nichilisti, e /136/ tutto ciò perché? perché Iddio è nell’impegno di far conoscere che la fede è tutta opera sua, ed i suoi veri fedeli devono sortire da mezzo il fuoco purgati, ut manifesti fiant.
Monsignore Biancheri era più vecchio missionario di me, ed avevamo passato 18. anni in missioni limitrofe, e di 18. io ne aveva passati due nella loro missione, come già si disse altrove, eppure non ci conoscevamo ancora di persona ma solo per relazioni. Lascio considerare [p. 788] perciò quante cose noi non avevamo bisogno di dire per intenderci in certe operazioni comuni alle due missioni. i preti indigeni maritati e non maritati Monsignore aveva qualche opinione particolare sul matrimonio dei preti indigeni, che egli inclinava a favorire, ma non tardò a persuadersi perfettamente. I sacerdoti maritati sono tollerati dal canoni per alcuni paesi orientali, e noi dobbiamo tenersi là, quando non si può fare diversamente; ma dobbiamo convenire che sono materiali deboli nelle mani della Chiesa, massime in tempo di persecuzione. Nelle ordinazioni [da me] fatte in Gualà pochi sono i preti maritati che si sono mantenuti fermi; mentre all’opposto si mantennero quasi tutti i monaci o celibi. La ragione è chiara: per un sacerdote maritato con famiglia è una brutta tentazione la persecuzione. La stessa missione è imbarazzata per un prete con famiglia esiliato, ma non per un monaco.
il signor don Giovanni Stella ancor giovane Monsignore Biancheri arrivato recentemente d’Europa, era molto in pena per causa di un giovane missionario, il quale aveva fatto parlare molto di se, e del quale si dovrà parlare più tardi, quando non si potrà più tacere un fatto divenuto publico. Il Prelato mi fece vedere tutte le lettere e documenti a questo riguardo, ed [p. 789] avrebbe bramato di sentire il mio sentimento sopra la questione delicatissima. Caro Monsignore, dissi io, io ho conosciuto questo giovane nel 1849. nel mio viaggio allo Scioha, pendente il quale, stette con me quasi sei mesi, e posso assicurarla che non ebbi altro che a lodarmi di lui. Ma il Signor Stella [n. 15.8.1822] aveva allora appena 26. anni, e si trovava ancora sotto la pressione delle massime avute nella sua educazione; nessuno più ubbidiente e più rispettoso di lui, nessuno più zelante nel poco ministero che mai si lasciava tutti i giorni; bellissime maniere nel conversare, e nell’istruire gli indigeni; Iddio, io diceva, ha dato tutto il necessario a questo giovane per divenire un’eccellente missionario, dopo aver fatto qualche anno di pratica sotto qualche veterano che sappia guidarlo: Con simili espressioni io l’aveva commendato in una mia lettera al fù Monsignore Dejacobis di Lei predecessore di venerata memoria.
Ma le agitazioni del paese, e le persecuzioni della missione furono tali che il Santo Vicario Apostolico Dejacobis, ed altri veterani missionarii /137/ ebbero altro [d]a pensare, che occuparsi del giovane missionario. i parassiti della zona L’albero intanto che era giovane con una vernice lucida e quasi dorata, passando gli anni, incomminciando ad ingrossarsi [p. 790] per l’abbondanza degli umori spiegò le crespe, o, rughe, nelle quali, ossia il vento, ossiano gli ucelli depositarono il seme di parassiti micidiali molto frequenti nei deserti della zona (1a). Il Signor Don Giovanni Stella, [1851-1869] tutto solo nel ministero fra i Bogos per molti anni, spiegò delle passioni, le quali si impadronirono del suo cuore, e divennero alberi da cangiarne affatto la natura, di missionario apostolico. Caro Monsignor mio, di tutti quei 15. anni passati dai Signor Stella cosa ne so io[?] venuto di fresco dal Sud? Monsignore Biancheri, venuto anche egli di fresco dall’Europa, dove rimase due anni per ultimare un suo lavoro sopra l’apocalisse, non fu in caso di ultimare il giudizio, e prendervi delle risoluzioni opportune ed energiche, come esiggeva la gravità della malatia. Rimase perciò la questione insoluta, ed il Signor Stella se ne ritornò fra i Bogos, invece di partire per l’Europa, operazione che sarebbe stata l’unico rimedio per lui e per quella missione.
consegna a monsignore Biancheri. Io intanto ho finito tutte le mie operazioni con Monsignore Biancheri. Ho passato a lui un’atto di Procura generale per tutti gli affari ed interessi della costa. Gli ho rimesso uno dei due inventarii fatti e sottoscritti, con le istruzioni per le relazioni per l’interno, e consegnate anche le chiavi della casa, io mi sono ritirato nell’isola nella casa del Consolato inglese [p. 791] col Padre Gabriele, il quale pure fece la sua consegna della sua rappresentanza consolare al Signor Delmonte Superiore della Casa dei Lazzaristi. Fatto ciò e fatta la visita al Governatore, noi eravamo presti a partire per il primo vapore che si sarebbe trovato. consigli di partenza con Lagard Il Signor Le Jean console francese, egli doveva restare in Massawah, il Signor La Garde suo compagno era risolto di partire con noi. Abbiamo passato le feste del nostro Natale latino tranquilli; ma io aveva dato parola a Teodoro che non sarei partito da Massawa prima delle feste del S. Natale, /138/ ma queste nel calcolo abissino sono sempre nello stesso giorno della nostra Epifania, altrimenti un bastimento Inglese di ronda venne la vigilia di Natale, e passò la festa con noi, e sarebbe stato disposto a prenderci per depositarci o in Gedda, oppure in Aden ad un giorno incerto, motivo [cui] lo lasciammo partire.
(1a) Chi conosce quei paesi, deve sapere la gran quantità di questi parassiti di ogni genere, massime nei luoghi più caldi. In Lagamara non molto lontana dalla casa della missione [cresce] un’albero chiamato Wanza, il quale è di alto fusto, il di cui legno [adatto] per i lavori si può paragonare alla noce nostra. Questo albero germogliò sopra un sicomoro della specie detta Worka, all’altezza di circa due mettri, s’impadronì dell’albero suo ospite; la Wanza arrivo ad un’altezza e fusto straordinario, e la sua padrona impoveritasi, il suo tronco col tempo cadde a pezzi, ed era appena visibile. Alcuni di questi parassiti, semplici arbusti, non vegetano sul suolo, ma solo sopra gli alberi; questi per lo più sono presi in considerazione dagli empirici o maghi, e danno ai medesimi un valore medicinale per lo più arbitrario, ed anche diverso secondo i paesi, e ne fanno anche dei talismani. Io mi era specialmente ocoupato di alcuni, seminandogli in terra e seminandogli sopra gli alberi, ed ho veduto il loro sviluppo. [Torna al testo ↑]