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19.
Al Cairo per ferrovia.
La procura di Mons. Guasco. Dal Viceré.

partenza da Suez per il Cairo
[17.1.1864]
mie riflessioni sopra le trasformazioni subitanee del mondo esteriore
Ciò fatto, e congedatomi dagli amici di Suez, ho preso la ferrovia per il Caïro in compagnia del P. Venanzio, di Fatalla Mardrus, e dei miei compagni [p. 845] soliti, meno il Dottore, il quale era già partito prima. Nel 1846. io sono venuto dal Caïro a Suez in tre giorni sopra i cameli, diceva trà me, oggi vi ritorno in tre ore, che cangiamento! quasi io non credeva a me stesso; se in questo mondo materiale l’uomo nel breve giro dei suoi giorni arriva a vedere simili trasformazioni, cosa non sarà nel mondo invisibile che ci aspetta? i miei giovani venuti d’Abissinia mi guardavano attoniti e credevano di sognare. Per loro era già una gran novità il mare, ed il viaggiare sopra le aque in una barca eguale ad una città, ora è una città colle sue case che cammina come il fulmine, portata non si sa come. Bisogna confessare che l’imaginazione del uomo selvagio al vedere simili salti di trasformazione prova un senso talmente violento, che diventa quasi stupido; io mi accorgeva che i poveretti avrebbero voluto parlare, ma la lingua loro era divenuta come paralitica. Ciò che accade al uomo che nasce, il quale non sa esprimersi al vedere il mondo esteriore che si apre ai suoi occhi, e si accostuma poco per volta; in certo senso arriva lo stesso in queste trasformazioni subitanee.

dificoltà nel spiegare materie scientifiche Tanto io, quanto i miei due giovani abissinesi passammo tutto il tempo del tragitto trà Suez ed il Caïro in una specie di atonia (1a) ed anche facendo io dei sforzi per dare a quei giovani qualche spiegazione [p. 846] ma non mi fu possibile, perché la lingua, o meglio le lingue etiopiche, mancano di termini che devono servire di base alle stesse parafrasi. Un simile imbarazzo l’ho provato sempre ogni qual volta ho voluto spiegare agli indigeni etiopici materie di pretta scienza anche teologica.

/169/ Io non posso dire quanta fatica ho dovuto fare per tradurre un piccolo trattatello di teologia, quello degli atti umani, essenziale base della teologia morale. Per venire a capo di questo lavoro ho dovuto farmi un piccolo dizionario di termini teknici essenzialissimi, dei quali abunda simile materia, con rispettiva parafrasi, perché mi mancavano anche i termini di base per parafrasare, dovendo, ben soventi servirmi di storia per far capire un termine. Per me la fatica non era nel concepire l’idea intellettualmente, ma solo per esprimerla in lingua etiopica. Per gli indigeni poi lo sforzo era non solo nell’esprimere l’idea esternamente, ma nel concepirla intellettualmente, e mi accorgeva che era un vero trionfo mentale, subito che arrivavano a capire. Così mi arrivava nei piccoli sforzi di lavori scientifici di qualunque genere essi fossero.

illuminazione a gaz ai due giovani I miei due giovani avevano veduto l’illuminazione a gaz; ora in tutto quel viaggio non mi riuscì di far entrare nella loro testa l’idea del gaz; essi mi tormentavano per capirla, e ne sentivano tutto il bisogno a misura [p. 847] che si internavano nei paesi nostri; così è dell’elettrico, cosa che entra oggi in tante idee nostre; difficoltà per spiegarla. quanta fatica per fare entrare il filo di queste idee nell’intelletto loro! quanta fatica in questo! Dopo molta fatica, quando quei poveri bimbi arrivavano a comprendere, cioè a formarsene l’idea, allora era un vero trionfo come il bimbo quando incommincia [a] dire babba, e mamma; come la madre, dopo tanti dolori del parto è arrivata a vedere coi proprii occhj la nuova esistenza del neonato che gli costò tante pene. Ora in tutte queste fatiche ho veduto, e quasi toccato con mano, come nel uomo, ed anche diremo nel bimbo neonato esiste la facoltà intellettuale subiettivamente, come la luce per gli occhj nostri.

nostro arrivo alla capitale dell’Egitto Io quì non posso perdermi in dissertazioni filosofiche senza dimenticare il filo del mio viaggio. La strada ferrata da Suez al Caïro non durò che sole tre ore, ed il fischio del vapore ci annunziò il nostro arrivo a quella gran capitale del mondo mussulmano, la quale, benché non arrivi ad essere un terzo di Parigi, o un quarto di Londra, pure calcolato il prestigio che esercita il Caïro sopra tutte le popolazioni dell’Africa, ed anche di una parte dell’Asia, in certo senso il Caïro si può dire maggiore di Parigi e di Londra medesima, perché l’europeo che arriva a Parigi ed a Londra ha già calpestato una quantità di altre città grandi [p. 848] che preparano l’individuo per formarsi un’idea di un’altra città maggiore; mentre il forestiere che viene dall’Africa, ed anche da una parte dell’Asia manca di tutto questo, ed arriva all’improvviso alla presenza di quella capitale, la quale è un vero mondo nuovo per tutta quella povera gente usa a vedere niente altro che capanne. il Caïro musulmano e i suoi monumenti. Centinaia di moschee coi /170/ loro altissimi minaretti (specie di campanili) danno una [una] maestà incredibile al culto mussulmano; di modo che il solo Caïro coi suoi monumenti religiosi, benché ordinarii e di semplice stile arabo, ma molto più visibili, perché non superati da altri fabricati civili di qualche importanza, basta per predicare col suo prestigio l’islamismo a tutta l’Africa ed ad una parte dell’Asia, più di quanto predichi[no] il cristianesimo Parigi, Londra, od altra capitale d’Europa Cristiana.

impressioni dei due miei abissinesi I miei due giovani avevano già provato una certa quale impressione grandiosa in favore dell’islamismo in Gedda, dove esistono parecchie moschee con superbi minaretti; ma colà la cosa era in piccolo, e d’altronde si trattava del luogo santo dei musulmani, dove qualche cosa bisognava accordare. In Suez, città nuova quasi senza chiese e quasi senza moschee, la loro preoccupazione si spiegò verso il gaz, il telegrafo, e la strada ferrata. influenze del Cairo musulmano. Arrivati che furono in Caïro, [p. 849] al trovarsi in presenza di una città immensa seminata dovunque di belle moschee, e superbi minaretti, i quali orgogliosi si innalzavano sopra tutto l’orizonte dei fabbricati, fù per loro una vera sorpresa, Padre, mi domandarono con grande entusiasmo, sono quelle tutte le ch[i]ese? ah figli miei, risposi candidamente, esse sono moschee mussulmane; al sentire questo i poveretti caddero dalle stelle e rimasero molto mortificati; come, dicevano, i musulmani che noi poveri abissinesi disprezziamo come vili mercantelli che girano il mondo per mangiare del pane, sono poi così ricchi e superbi nella loro religione? non sapevano darsene pace nei loro cuori!

Alcuni potranno opporre che queste mie osservazioni hanno piuttosto [hanno] del puerile, e sono dettate da uno spirito di partito religioso più che altro. A chi parlasse in questo modo io dichiaro che non è mio sistema fare la guerra ai miei nemici, oppure ai nemici dichiarati del cattolicismo, ma piuttosto bramerei di salvargli, o almeno d’impedire il male per quanto mi è possibile. La sola prudenza di missionario cattolico mi obliga a tacere una gran quantità di fatti, i quali sarebbero più che sufficienti per giustificare ciò che dico. Per ora perciò mi limito ad un solo avviso, il quale potrebbe [p. 850] [essere] molto utile a molti, i quali sperano di civilizzare l’Africa. Io non parlo dell’Africa occidentale, e di altre parti da me non abbastanza conosciute, ma in quanto all’Africa orientale sarà inutile ogni sforzo di civilizzazione fino a tanto che esisterà la Meca ed il Caïro con un governo puramente musulmano. alcuni fatti in prova In quanto alla Meca, come missionario io nulla dico, ma si può interrogare il residuo della Spedizione geografica italiana di ritorno dal naufragio, se un’inviato della Meca per nome Haggi H.[aman] non ha preceduto /171/ con missione di troncare la strada ai poveri viaggiatori; lo scrivente ha già fatto [† 2.8.1879] il sacrifizio di un missionario dopo 20. anni di pace in Ghera morto vittima come [† 5.10.1879] il povero giovane Chiarini, e sepolto con lui senza riconoscenza. In quanto al Caïro l’ultimo fatto basta per tutto: l’Europa c[h]iaro veggente che ancora rimane, ringrazii i cannoni della nazione inglese, del resto nessun europeo sarebbe più ritornato a far fortuna in Egitto. Io rideva quando i nostri liberali portavano alle stelle il nuovo conquistatore egiziano, come un secondo Garibaldi... un mussulmano fanatico sarà un liberale sincero? sarà un Massone fedele? ah corbellerie...!

stazione di Cairo
gran variazioni
ricevimento alla stazione
Io sono dunque arrivato in Caïro mentre Berta filava ancora, e filava grosso; allora l’Egitto era popolato di ricchi europei [p. 851] miei amici antichi ed il mio arrivo fece una crisi, e moltissimi vennero ad incontrarmi alla stazione; ho trovato là alcuni religiosi del gran Convento di terra santa, alcuni Fratelli delle Scuole Cristiane, il Segretario di Monsignor Delegato che già mi aspettavano, ma arrivando io col P. Venanzio sono andato con lui al Convento Piccolo, come già aveva promesso. Quando io aveva lasciato il Caïro l’ultima volta [24.6.1851] nel 1856. non si trovavano vetture in Caïro, ma si camminava a cavallo dai così detti boricchi [= asini] cavalcatura unica ed onorata in, quei tempi, al mio ritorno invece si trovava un mercato di vetture che aspettavano alla stazione come in Europa. La stazione, ed i contorni di essa, tutto era un nuovo Caïro per me; novità di palazzi, novità di contrade, novità di piazze, tutto era nuovo in Caïro per me; e mi riconobbi solamente al Morki, antico quartiere degli europei, visito il sepolcro di m.re Perpetuo; nuova chiesa
[6.5.1851-1854]
dove ho trovato una magnifica Chiesa di Terra Santa, detta del Convento grande, dove, appena arrivato, mi sono recato a salutare il sepolcro di Monsignor Perpetuo [Guasco].

molti morti, e molti cangiati.
[Vuicic: el. 7.9.1860; Abukarim: † 28.9.1855]
In Caïro ho trovato un nuovo Delegato Monsignore Pasquale Wicice, era morto pure Monsignore Teodoro [Abukarim] Vescovo [p. 852] Copto cattolico, e conobbi il suo successore; trovai morto pure Monsignore Basilio Vescovo greco Cattolico, come pure il Vescovo armeno parimenti Cattolico, e conobbi i loro successori venuti a visitarmi. Anche i Consoli delle diverse nazioni tutti erano nuovi; il solo Signor Vernoni antico Console Sardo di Caïro si trovava ancora, ma non più Console, e semplice privato rimasto in Caïro come ricco proprietario europeo. Quanti cangiamenti nella Città, e quanti nelle persone degli amici! 15. anni di assenza da un paese bastano per convincere un viaggiatore sulla versabilità di questo povero mondo, e per convincersi che il mondo di oggi non è più il mondo di jeri. Non parlo dei governi e dei principi, tanto dell’Egitto, quanto dell’Europa, tutto morto, tutto can- /172/ giato. [Abbas Pascià: † 13.7.1854;
Said Pascià: † 18.1.1863]
In Egitto [era] morto Abbas Bascià ucciso, morto Saïd Bascià, e si trovava Vice Re Ismaele Bascià. Circa le notizie d’Europa, ad eccezione del Papa Pio IX. e della gran Regina dei mari la Vittoria d’Inghilterra, tutto il resto [rappresentava] una vera scena da teatro stata cangiata...

gran visite passive ed attive. Arrivato in Caïro ho passato tre giorni a ricevere visite, e poi non bastarono altri tre giorni per renderle. Come era stagione d’inverno, sia il Governo [p. 853] siano i Consoli generali delle diverse nazioni, e siano anche la maggior parte dei Vescovi, tutti erano in Caïro e non in Alessandria, molte perciò furono le visite tanto passive che attive. conoscenza col nuovo Delegato Prima di tutto ho passato un giorno nel gran Convento di Terra Santa, dove si trovava il nuovo Monsignor Delegato Pasquale Wicice, il quale si trovava Vescovo titolare in Albania, ed è stato traslocato di là in Egitto dopo la morte di Monsignore Perpetuo Guasco. Egli era ancora giovane vescovo, appena aveva incomminciato là a conoscere la mia diocesi, egli diceva come lagnandosi, mi hanno trasportato quì in un Vicariato molto difficile, dove dovrò fare un secondo noviziato, ed imparare di nuovo le lingue; conobbi pure allora il P. Elia suo Vicario venuto con lui dall’Albania, persona di gran valore, che ha giuocato un gran ruolo in Egitto in seguito.

i conti della [della] procura nostra Il P. Alessio antico Vicario di M.r Perpetuo Guasco, divenuto Guardiano del gran Convento di Alessandria, fu chiamato e venne, per l’assestamento di tutte le partite appartenenti alla Procura della Missione Galla, stata amministrata molti anni da lui; furono [riveduti] i conti di circa 15. anni; si fece uno scaricamento generale per tutto il passato, ed il nuovo Monsignore Delegato ricevette colla Procura [p. 854] il caricamento di tutti gli affari come si trovavano, e Monsignore incaricò in presenza mia il suo Vicario P. Elia suddetto. Era questo uno dei miei grandi affari in Egitto, il quale molto mi preoccupava dopo la notizia della morte di Monsignor Perpetuo [Guasco]. In Giugno 1846. trovandomi in Alessandria, e prevedendo che io, una volta arrivato nell’interno dell’Africa sarei divenuto come un pupillo, affatto incapace di occuparmi degli interessi del Vicariato, io aveva passato a Monsignor Guasco suddetto una Procura generale, perfettamente come alter ego, e preso il necessario per il viaggio, ho depositato ogni cosa nelle sue mani. una mia lettera providenziale
[Asàndabo: 27.5.1855]
Molti anni dopo trovandomi in Lagamara, e pensando ad ogni caso di morte che poteva succedere, mi sono preso la libertà di fargli una raccomandazione per impegnarlo a tenere i conti in regola per ogni caso di morte. Qui sta un bel fatto che voglio narrare tale [e] quale l’ho /173/ trovato, sia per la gloria di Dio che provede ai suoi apostoli; sia ancora in [lode] del suddetto defunto prelato [suddetto].

La sua lettera (sono parole del P. Alessio summentovato) gli arrivò due settimane prima della sua morte, me la fece vedere, eravamo invitati al Caïro per la distribuzione dei premii dalle Suore del Buon Pastore, partiamo qualche giorno prima, [24.8.1859] mi disse monsignore e voglio aggiustare [p. 855] i conti della Procura Galla in presenza dei due Procuratori auxiliarii datimi da Monsignore Massaia, perché son già passati molti anni dacché questi conti non son stati riveduti; voi scrivete ad Anna Messarra, ed a Fatalla Mardrus affinché ci aspettano il tal giorno per questo affare. Io scrissi subito, e l’indomani siamo partiti da Alessandria per il Caïro. monsignore aggiusta i conti in presenza dei procuratori Abbiamo passato un giorno coi suddetti, si ripassò ogni cosa, e si fece un’inventario segnato da Monsignore, da me, e dai due suddetti. Finito questo, sono contento, disse Monsignore, oggi ancorché venisse la morte sono tranquillo. L’indomani vi fù la distribuzione dei premii, eravamo nei gran caldi dell’estate, Monsignore volle ancora fare delle conferenze spirituali alle religiose ed al convitto; la sera si trovò stanco ed un poco ammalato; morte di monsignore Guasco
[26.8.1859]
passò una cattiva notte, e l’indomani venuto il medico, l’infermo, disse è minaciato alla testa, e si amministrino i sacramenti; appena ricevuti questi, del giorno ha perduto la cognizione, e l’indomani morì.

Qui interrompo il racconto del P. Alessio, perché se io volessi narrare tutto ciò che ho sentito sopra la desolazione generale che cagiono la morte di questo Prelato a tutta la cattolicità dell’Egitto, e le dimostrazioni che ebbe nei funerali anderei troppo fuori dell’argomento mio; mi tengo perciò alla storia mia, e dico unicamente [p. 856] ciò che mi è indispensabile di dire [co]come dovere di riconoscenza a quel venerando Prelato, il quale fece a me ed alla missione da vero Padre. mio elogio a monsignor Guasco Egli comprese tutta la nostra situazione più di qualunque altro, e trattò sempre, non solo le persone, ma gli interessi della missione con un zelo tale che nessuno di noi avrebbe potuto fare altrettanto: Monsignore Massaja nel luogo dove si trova non può occuparsene, [argomentava quel vescovo:] egli è un vero pupillo, a cui tocca a noi pensarvi; egli trovandosi in bisogno non può andare in Europa per raccomandarsi ai benefattori, epperciò confida in noi, e noi dobbiamo aver cura, e fare anche fruttare il deposito che ci ha lasciato; così mi riferiva il P. Alessio, e partendo da questo principio impiegò il piccolo capitale che restava nelle sue mani in maniera, che al suo tempo [non] mancarono mai le spedizioni, i missionarii in viaggio trovavano in lui un vero Padre, e dopo tutto que- /174/ sto nella mia venuta trovai il capitale cresciuto più della metà. Ciò, se non altro stia scritto come monumento di riconoscenza.

visita in Caïro con m. Delegato Finita questa operazione, Monsignore Delegato soleva passare l’intiera giornata con me, quasi tutti i giorni mi voleva a pranzo con lui nel gran Convento, e soleva invitare ben soventi il Dottore La Garde per farmi compagnia, e volle accompagnarmi egli stesso [p. 857] in tutte le visite più essenziali, incomminciando da quella del Viceré Ismaele. conferenza col Viceré. Con questo Principe ebbe luogo un dialogo che sarebbe troppo lungo il riferirlo. Egli mi fece una gran quantità d’interrogazioni, a molte delle quali non ho creduto bene [di] rispondere direttamente per timore di tradire al paese della mia missione; perché il missionario, anche perseguitato, ed esiliato, come era io, è obligato a considerare il paese della sua missione come paese suo proprio, e deve amarlo ancorché ingrato, come il Padre ama la sua casa, benché qualche volta divenuta per lui un vero calvario di dolori. Il Viceré non nascose il suo piano di tentare un giorno d’impadronirsi dell’Abissinia; cosa ne dice? dieci mille uomini non bastano per [occupare] l’Abissinia[?]; nemanco 30., dissi io, quando si trattasse di una guerra con mussulmani tutta l’abissinia sortirebbe, e persino le donne non resterebbero a casa. Egli si mise a ridere, e lasciò la questione, ed io non ho creduto di dire di più.

visita ai fratelli delle sc[h]uole cristiane. Dopo il Viceré siamo andati a visitare i Fratelli delle Scuole cristiane, i quali ci fecero vedere tutto lo stabilimento. Bisogna confessare che quel solo stabilimento era un gran trionfo cattolico. La sola fabrica ha dovuto costare una somma immensa; poteva contenere più di 200. giovani. Le scuole esterne dai medesimi dirette contavano molti scuolari, forze centinaja. [p. 858] Il Fratello direttore dello stabilimento ha voluto schierarci tutti i giovani convittori dello stabilimento, e passavano i cento. molti eretici, ed infedeli sono educati Di essi più di 50. erano cattolici; gli altri poi nella maggior parte erano eretici, cioè alcuni protestanti europei, e la maggior parte eretici levantini delle diverse sette; vi erano anche alcuni ebrei, ed alcuni mussulmani. Questa fusione di cristiani eretici l’ho amata, perché sono in fondo tutti figli della Chiesa, e non vi può essere tanta differenza nei dogmi fundamentali da temere un guasto nei cattolici; per gli altri poi mi fece pensare più seriamente, sopratutto per i musulmani; però [non] ho detto nulla, solamente ho domandato se tutti andavano alla Chiesa insieme, e se i parenti avevano permesso che andassero, e mi dissero di sì. Mi invitarono a celebrare la S. Messa un giorno e sono andato; ho veduto che realmente tutti facevano le loro preghiere in comune. Come io conosceva già precedentemente il sistema di sorveglianza notturna e diurna in uso frà i Fratelli, i quali [non] lasciano mai i giovani soli fra /175/ loro, meno male, dissi, del resto questa fusione in Levante è terribile, principalmente per i costumi.

visite ai monasteriUn’altro giorno abbiamo visitato i monasteri di educazione, i quali in Caïro in quel tempo erano tre; i due principali erano quelle del buon Pastore, e le terziarie clarisse; in tutti [e] due i luoghi [p. 859] esistevano molte convittrici, e molte scuole per le esterne. le diverse sette infedeli Nel sesso feminile la fusione delle varie sette eretiche ed infedeli era ancora molto più abondante che nel esso maschile. Nel sesso feminile i pericoli della fusione sono eguali in materia di dogma, e di dottrinale, non però in materia di costumi. Nei primi anni di questi stabilimenti la fusione abbundava di più, mi dissero gli stessi direttori e direttrici, ma coll’andare del tempo moltiplicandosi le conversioni al cattolicismo, [si] sollevò delle difficoltà per parte degli infedeli, e degli eretici, ed andavano diminuendo. Si mantiene di più negli orfanotrofii, dove i parenti mancano. Nella sostanza però confesso di aver provato [in] allora una gran consolazione nel trovare questi veri tronfi del cattolicismo, e crebbe la mia consolazione quando ho esercitato un tantino di ministero in tutti questi stabilimenti.


(1a) noi diciamo attonito un uomo, il quale vede un fatto oppure un’oggetto, affatto sconosciuto, del quale è affatto estraneo, ed incapace di dare ragione, sia della sua origine, sia della sua natura. [Torna al testo ]