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21.
P. Luigi Gonzaga e collegio galla allo Scioa.
Hennoari, Escia e signoria di Uanenamba.
fatti contemporanei stati lasciati
Ho voluto seguitare l’ordine cronologico della storia relativa alla guerra etiopico egiziana lasciando indietro altri fatti, ai quali debbo ora ritornare, per non lasciare una laguna nella storia della missione che ci occupa. Questi fatti sono quasi contemporanei, ma pure per evitare la confusione debbo narrarli a parte.
il collegio galla
In queste mie memorie non ho più parlato del collegio galla stato fatto in Marsilia nel Convento dei Cappuccini. Io ho parlato sopra dei giovani stati comprati in Massawah e spediti a Marsilia nell’anno 1866. Questo collegio da me visitato l’ultima volta
[9.11.1866]
in Settembre 1867. nei due primi anni camminò molto bene sotto la direzione di due Padri[:] Emmanuele, e Luigi Gonzaga, ma non tardò a spiegarsi [negli aspiranti fin] dai primi anni certe malattie di petto da renderne dubbia la riuscita. Nel
[arrivati: 4.1.1867]
1866. io aveva spedito da Massawa 10. giovani. In seguito se ne aggiunsero altri 10, ed arrivò al numero di 20. Nei primi tre anni essendo morti alcuni, e moltiplicandosi sempre più gli ammalati
[p. 574]
dopo replicate relazioni dei direttori, e dei medici, d’accordo coi miei missionarii,
fu chiuso il collegio galla
[30.6.1870]
fu decisa la sospensione dei lavori in S. Barnaba sopra il terreno stato comprato a tale effetto. Mentre si pensava a ri[m]patriare i giovani, e continuar[ne] la loro educazione in Scioha, arrivò la caduta dell’impero, ed i disordini moltiplicandosi in Francia ed in Marsilia,
[partenza: 19.9.1870;
arrivo in Aden: 1.10.1870]
i giovani del collegio furono trasportati provisoriamente in Aden, accompagnati dai due direttori [i] Padri Emmanuele, e Luigi Gonzaga. Nel 1871. una forte epidemia in Aden
[† 6.2.1871]
[12.10.1871]
avendo rapito il Padre Alfonzo da Macerata, dovette surrogarlo il P. Luigi Gonzaga nella qualità di Vice Prefetto di quella missione, ma urgeva sempre il trasporto dei giovani nell’interno, perché anche in Aden morirono molti.
[6-7.1.1873]
[partenza-arrivo: 3-6.2.1873]
Appena arrivato da Roma il P. Geremia a surrogare il P. Luigi Gonzaga nella direzione della Missione di Aden i due Padri direttori del Collegio si misero in viaggio per Massawah con una quantità di giovani,
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dove, appena arrivati il Console francese di fresco reduce dall’Abissinia, dove aveva incontrato molta simpatia coll’imperatore Giovanni,
partono da Ade[n] i collegiali
gli fece partire con alcuni viaggiatori inglesi prima ancora della guerra etiopico egiziana, trovandosi ancora l’imperatore in Ambaciarra vicino a Gondar. Il P. Emmanuele non potendo partire per mancanza di salute,
[20.2.1873]
partì solo il P. Luigi Gonzaga coi suddetti
[p. 575]
viaggiatori, e coi suoi giovani. Iddio gli benedisse, [al punto] che arrivarono felicemente in Adoa, dove governava Ras Barjà, il quale gli ricevette gentilmente, e spedì subito un corriere all’imperatore in Ambaciarra, ed in meno di 15. giorni, ricevutane la risposta affermativa, hanno potuto proseguire il loro viaggio, accompagnati dal porta parola (detto calatie[:] dalla parola kal che significa parola, e atié che significa imperiale).
Padre Luigi gonza[ga] arriva al campo
[30.4.1873; stesso giorno partenza]
Arrivati che furono in Ambaciarra campo dell’imperatore furono ben ricevuto, tanto i due viaggiatori inglesi, quanto il Padre Luigi Gonzaga. Quest’ultimo ebbe una tenda a parte non molto lontana dall’imperatore medesimo, il quale lo ricevette in particolare, col regalo di un crocifisso dipinto e non scolpito (1a),
e sortita la questione del suo viaggio verso il regno di Scioha per unirsi a me, non presentò grandi difficoltà. La divina previdenza che voleva questo bravo Padre con me, unitamente ai suoi giovani del collegio, fece sì che arrivasse all’imperatore Giovanni in un momento di avvicinamento tra lui e Menilik, quando Giovanni sperava ancora che il Re di Scioha si sarebbe unito a lui nella guerra coll’Egitto; epperciò
sua partenza
[18.5.1873]
dopo una fermata di circa 15. giorni, munitolo di una lettera sua, ostensibile a tutte le autorità, e datogli per compagno un certo alaca Af Work (Grisostomo), poté partire e proseguire felicemente il suo viaggio sino alle vicinanze di Magdala, dove regnava il figlio di Amedì Bescïr, sotto la tutela di sua madre vedova di Amedì, la quale aveva ricevuto quella fortezza dall’armata inglese, come già se ne parlò a suo luogo. Qui il povero Padre coll’inviato Afwork furono arrestati.
[p. 576]
il p. Luigi a Magdala
[10.6.1873]
Arrestati dal governo di Magdala i nostri viaggiatore hanno sofferto molte avanie nel loro bagaglio. Tutto fu slegato e veduto, cosa molto penosa per il viaggiatore, perché in simili casi molte piccole cose, ed anche memorie manoscritte sogliono essere rubate o perdute; nel rimettere in ordine gli oggetti gli agenti del governo appena concedono
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il tempo di assoluta necessità, e ciò ex industria, appunto per far dimenticare qualche cosa, oppure per obligare il povero forestiero a calmargli con qualche regalo. Rimesse che furono le cose in ordine, gli oggetti del bagaglio resta[ro]no nelle mani del principe, e le persone furono condotte in prigione nella fortezza di Magdala, sotto pretesto che fossero fuggitivi dell’imperatore Giovanni, minaciandoli di catene. Fu spedita una staffetta all’imperatore per sapere la verità, e fino a tanto che la risposta non è venuta dovettero subire la prigione di parecchi giorni. Qualche volta simili dimarcie sono pure finzioni per avere motivo di rubare, o far pagare qualche cosa.
ed al campo di Menelik
[11.7.1873]
Venuta la risposta dell’imperatore Giovanni, o vera, oppure simulata, furono accompagnati sino ai confini, e consegnati ad altri galla confederati col Re, i quali gli condussero al campo di Menilik in Warra Ilù.
Il Re Menilik lo ricevette [il p. Luigi Gonzaga] con tutto il rispetto, e con tutta l’espansione solita [usarsi] con tutte le persone della missione, e lo fece rimanere per qualche tempo con lui trattandolo come se fosse stato io stesso. Dopo circa un mese lo consegnò ad un suo impiegato nostro amico che
[partenza: 15.7.1873]
suo arrivo a Gilogov
[18.7.1873]
lo condusse sano a salvo sino alla missione di Gilogov. Non si da festa,
[p. 577]
in simile paese e missione eguale alla nostra, come la festa che si prova nel cuore dal missionario nell’arrivo di un compagno missionario dalla nostra europa, quando sono già passati alcuni anni dacché [non] ha più veduto nessuno dei suoi fratelli.
festa di parentela e di famiglia
Ne una tal festa è solo del missionario, ma di tutti i suoi veri figli. Già si sa che il battesimo spiritualmente, ed anche in certo modo canonicamente parlando, equivale ad una nascita, e s’incontra col neo battezzato una vera parentela.
parentela spirituale
Se il prete si chiama Padre, e veramente perché lo è, ed i canoni lo riconoscono come tale, non solo il sacerdote nell’amministrazione dei sacramenti, ma negli stessi padrini e madrine del battesimo e della cresima, come ognun sa. Fra [di] noi questa parentela canonica diventa come una cosa semplicemente di uso, lasciando il vincolo [a] perdersi fra un mare di relazioni sociali che sogliono incontrarsi nella gran società europea.
Nella maggior parte delle missioni cattoliche, come quelle d’oriente, e dell’America, e simili, nelle quali il missionario cattolico passa da una gran società complicata di mutui officii sociali che si usa prodigare anche agli eretici ed infedeli, per una certa convenienza, che ha forza di legge, il vincolo di parentela spirituale di cui è questione, [p. 578] diventa meno sensibile; non così suole arrivare nelle missioni fra i barbari, come la nostra fra i galla, più ancora che in Abissinia. crisi della conversione Frà questi, a misura che l’indigeno si cangia nelle sue convinzioni religiose, dovendo /194/ riformarsi anche nella morale, è in certo modo obligato a sequestrarsi un tantino dai suoi connazionali, e si forma insensibilmente una crisi di trasformazione, la quale è un naturale effetto della grazia sopranaturale ricevuta, quella che gli ha dato la forza morale per lasciare, anzi dimenticare certe abitudini, e direi quasi [certi] bisogni antichi. Ora, a misura che il cuore del proselito cattolico si stacca dalle antiche affezioni dei suoi, sente di necessità la propria elevazione, e nasce il bisogno di attaccarsi ai suoi nuovi padri, per loro il missionario cattolico diventa un’essere superiore alla sfera comune, e direi quasi un’angelo disceso dal cielo.
un monito ai missionarii È questa trasformazione così reale, e visibile, che io soleva dire ai miei nuovi missionarii: io temo di voi fino a tanto che fra i barbari non avrete generato figli a Cristo, perché fin là voi sarete solo per battervi contro il demonio, e per vincere il peso delle vostra natura corrotta, affinché non si lascii vincere dall’attrazione che non mancherà di esercitare una pressione fatale [p. 579] sopra il vostro cuore materiale. Ma dal momento che voi avrete generato figli a Cristo, avrete nei vostri stessi proseliti cattolici, non solo dei figli ma dei compagni che vi sostengono. Da una parte il vostro stesso amor proprio è là che vi assiste facendovi sentire il bisogno di non mettervi in contradizione coi voi medesimo, mediante una condotta poco conforme alla istruzione data. gli angeli custodi Da un’altra parte poi il capitale delle preghiere dei vostri figli, e quello dei vostri meriti presso Dio, obligheranno, per così dire, Iddio stesso a sostenervi. Più ancora voi avrete per voi un reggimento invisibile di angeli tutelari guardiani; perché gli angeli stessi custodi dei vostri figli, i quali si rendono sensibili ai loro protetti col mezzo del vostro ministero, essi combatteranno il diavolo per voi, e vi difenderanno da tutti i loro assalti.
si estende l’argomento a tutti i sacerdoti
due generi di sacerdoti
Il discorso che io faceva ai miei missionarii in proporzione si può applicare anche ai nostri sacerdoti ancor giovani dei paesi cristiani. Fino a tanto che essi non hanno fatto brecia nel cuore dei popolo con un ministero vivo, e non di semplice forma esterna essi saranno sempre combattuti dal diavolo, epperciò in pericolo di cadere nella rete del nemico, il quale dal sacerdote non domanda sempre dei scandali tali da compromettere il suo onore esterno, ma
[p. 580]
si contenta di tenerlo nella bassa sfera di un sacerdozio di mestiere, perché un sacerdozio simile, privo di onzione apostolica, è alla Chiesa di Cristo una vera passività, e non risorsa per la salute delle anime da Cristo redente. All’opposto, dal momento che il sacerdote, col suo ministero apostolico rigeneratore, è arrivato a far brecia nel cuore del popolo, allora, egli
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dall’unzione dello Spirito Santo si trova sollevato in alto, fuori dell’atmosfera avvelenata del mondo; egli diviene padre di molti figli, coi quali divide i[l] capitali dei celesti tesori; egli diventa come un generale d’armata invisibilmente circondato da una corte di angeli, al demonio terribili, che difendono l’onore di Cristo che egli rappresenta. Quindi è che il sacerdote di una tale tempra poco lascia a temere, essendo anzi divenuto una rocca innespugnabile della Chiesa, terribile a tutte le potestà dell’inferno.
gran festa [a] Gilogov per l’arrivo di p. Gonzaga Ciò tutto presupposto, il lettore di queste mie memorie non stenterà più a formarsi un’idea aprossimativa delle feste, e delle contentezze provate, non solo da me, ma dal mio piccolo gregge, all’arrivo del M. R. Padre Luigi Gonzaga colla maggior parte dei giovani del collegio di Marsilia venuti con lui, alla missione, non solo di Gilogov, dove io mi trovava, ma ancora di Finfinnì, di Liccèe, di Fekerie Ghemb, ed altrove, dove esistevano dei nostri proseliti; i quali non tardarono a sentirne la notizia consolante. Nei 15. mesi circa passati in Liccèe quasi continuamente colla casa piena di gente, ed in continue conferenze, molti inclinavano [p. 581] a dichiararsi cattolici, e pochi ebbero il coraggio di farlo: oggi siamo qui con Abba Messias, ma nulla si è ancora deciso, dicevano molti, domani egli o morirà, oppure se ne anderà come ha fatto altrove, e noi resteremo qui con nuovi bisogni di conscienza e ci troveremo abbandonati nelle mani dei nostri nemici. i proseliti infervorati Quando poi viddero arrivato il P. Luigi Gonzaga, uomo pieno di affabilità, di buona grazia, e pieno di fervore, che già poteva spiegarsi sufficientemente nella loro lingua; accompagnato da una gran quantità di giovani etiopici sufficientemente istruiti, dai quali potevano sentire tante belle storie di Chiese, di stabilimenti religiosi, e tante altre belle cose atte a far loro conoscere la grande vitalità della Chiesa Cattolica nelle quattro parti del mondo; allora i nostri proseliti ripigliarono nuova lena; in molte case la conversazione al focolare di sera si raggirava sopra le cose nuove sentite dal P. Gonzaga e dai suoi compagni; ancora essi non erano arrivati che già l’eco delle cose sentite alla corte di Warra Ilù erano arrivate sino a noi.
arrivo del p. Prefetto da Finfinnì
[13.9.1873]
Arrivò intanto il P. Prefetto Taurino da Finfinnì con alcuni dei suoi. La S. Congregazione in Roma, sentite le replicate mie domande alla medesima per la nomina del M. R. P. Prefetto suddetto in Vescovo e mio secondo coadiutore, dopo la rinunzia di Monsignore Cocino, io ne riceveva avviso, che
[accolta la rinunzia: 16.2.1873; brevi di nomina: 21.3.1873]
la domanda era stata accordata, e si stavano preparando le bolle del Pontefice
[p. 582]
per la sua consacrazione in Vescovo. Si aggiunsero quindi festa a feste. In Finfinnì la casa, e tutto il resto era
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preparato per l’installazione del collegio venuto da Marsilia; tutto ciò coronava le speranze, e dava nuova vita alla missione.
spedizione di un corriere alle missioni antiche
Fatto perciò consiglio, si spedì un corriere a tutte le missioni antiche del Sud-Ovest, del Gudrù, Lagamara, Ennerea, Ghera, e Kafa, per rilevare anche là le speranze future di tutte quelle missioni, le quali si trovavano in una specie di scoraggiamento in seguito [in seguito] alla negativa del Re Menilik di lasciarmi partire a quella volta, come già è stato detto a suo tempo. Monsignore Cocino Vescovo di Marocco, e mio primo Coadiutore, il quale
[10.3.1862; nov. 1869]
da qualche tempo aveva dato le sue dimissioni per causa di salute, e sperava di unirsi a me, si vidde consolato. Anche il P. Leone in Ghera, ed il P. Hailù Michele in Kafa furono messi a parte delle nuove consolazioni nostre.
Presi tutti questi concerti concernenti il futuro della Missione, ritorno al Re Menilik. Questo Principe pretendente, che aspirava all’impero, mentre faceva le sue manovre frà i Wollo, e stava fabricando la città di Warra Ilù, come è stato detto sopra, non dimenticava la parte interna del suo regno per ogni caso di vedersi battuto nelle sue aspirazioni, ed attaccato dall’imperatore Giovanni. Egli incomminciando dal 1870. stava pure [p. 583] preparando la città forte di Hennawari una città forte, una giornatina più al Sud di Haman, e della missione di Gilogov, sopra un’alto piano chiamato Hennawari; nel caso di non poter prendere la fortezza di Magdala, e di essere tradito dai Wollo Galla, diceva il Re Menilik nei suoi piani strategici, se io mi ritiro nella fortezza di Fekerie Ghemb potrò di là custodire la città di Ankober, antica città dei miei Padri, potrò godere ancora l’altro benefizio di tenermi le corrispondenze aperte col mare; ma quella fortezza ha molte porte; ed in caso di essere vinto dal nemico non mi resterebbe altro che la fuga verso il mare, e mi troverei nelle mani del mussulmani, e dei denakil fuori del mio regno, e lontano da tutti i miei cari. Anche solo ritirandomi in Fekerie ghemb, io avrei fatto un gran torto al mio regno lasciandolo scoperto e senza diffesa nelle mani del nemico.
due decreti
uno fa e l’altro disfa
Per tutte queste ragioni surriferite il Re Menilik già nel 1870. aveva rivocato il decreto fatto nel 1867. col quale aveva dichiarato Fekeriè ghemb città reale, obligando tutti i proprietarii dei terreni a sgomberare, compensandoli con eguali terreni in Gurrabela nelle vicinanze di Ankober. Col medesimo decreto la fortezza di Fekerie Ghemb era stata data ad un Governatore militare incaricato di custodirla, e continuarne le fortificazioni. [In] Più collo stesso decreto era stata organizzata un’amministrazione per il vitto della corte, come in tutte le altre città reali. Ora col decreto del 1870. rivocando l’antico decreto, tutto fu
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rimesso nello stato antico: i proprietari dovevano riprendere i loro terreni di Fekerie Ghemb, ed il governo della fortezza [essere] rimesso all’amministrazione
[p. 584]
civile o municipale del paese. Il governatore militare, e l’amministrazione economica della casa reale, tutto fu trasportato ad Ennavari, dichiarata città regia in luogo di Fekerie ghemb.
descrizione di Ennawari Ennawari non è una montagna, ma è una semplice continuazione dell’alto piano galla, il quale si avvanza in mezzo ad un piano molto profondo e basso in forma di lingua o promontorio, lungo circa un kilometro verso il sud-ovest, unito dalla parte nord da un istmo di qualche centinaja di mettri; tutto all’intorno presenta un precipizio innaccessibile. Nel suo istmo che lo unisce all’alto piano, il Re Menilik l’ha fatto chiudere da un muro colossale, sopra il quale è stata fatta una batteria, o fuciliera. Oltre il muro colossale sono stati scavati dei gran fossi per impedire l’accesso dell’armata, massime della cavalleria. Benché non fosse una fortezza di primo ordine, era però tale da poter resistere qualche tempo ad un’assalto. Godeva il vantaggio di trovarsi più nel centro del regno dalla parte del sud, in contatto colle popolazioni cristiane, le quali occupavano il paese basso del circondario, ed al nord-Est si trovava in contatto colle popolazioni galla. Nei paesi bassi al sud-ovest, non molto lontano da Ennawari esistevano alcune altre fortezze naturali, [p. 585] fra le altre una chiamata Tammo, la quale era imprenabile, dove in caso di bisogno il Re avrebbe sempre ancora potuto rifugiarsi senza pericolo. Godeva ancora il vantaggio di grandi pascoli per i cavalli dell’armata. I tre punti, di Ennawari, di Ankober, e di Warra Ilù formano un vero triangolo, di circa 70. mettri da un’angolo all’altro. Ennawari al sud, Ankober all’est, e Warra Ilù al nord.
inaugurazione di detta città
[arrivo di M. e p. Taurino: 22.4.1871]
Quando furono terminate le fortificazioni di Ennawari, il Re Menilik, se non erro, prima della quaresima dell’anno 1871. volle celebrare l’innaugurazione di quella nuova città e fortezza con un’invito di tutti i grandi del suo regno. Volle che intervenissi anche io ed il P. Prefetto Padre Taurino.
una lettera venuta di Adoa
[inviata da Atanasios a Menelik e ricevuta a metà feb. 1871]
Fu in quella circostanza che arrivò un corriere da Adoa, mandato da missionarii protestanti indigeni, poiché in quel tempo non si trovavano più missionarii protestanti europei in detta città, stati costretti a partire dal governo dell’imperatore Giovanni. Lo scrivente era un alaca, di cui tacio il nome, perché morto probabilissimamente nella pace del Signore, avendomi prima dichiarato il suo cuore convertito, ma prevenuto dalla morte in guerra, prima di essere stato ricevuto fra il numero dei nostri veri credenti.
caduta di Napoleone
[4.9.1870]
Questi dunque ancor missionario protestante in Adoa mandò una lunga descrizione sopra la caduta di Napoleone III.
[p. 586]
tutta in senso protestante dicendo ad plagas contro
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Napoleone III., contro i cattolici e persino contro il papa: Napoleone voleva dominare il mondo, diceva fra le altre cose, i soldati cattolici della Francia, era[no] una turba di atei andati a combattere i veri credenti protestanti; il Papa poi ha radunati tutti i Vescovi per farsi adorare come Dio. Ma Iddio ha fatto giustizia, Napoleone con tutta la sua armata rimasero schiavi di Federico re di Prussia, e lo stesso Papa in Roma è divenuto suo [suo] schiavo. Oggi tutto il mondo manda tributi al grande imperatore Federico. In fine lo scrivente esortava il Re Menilik a mandare anche egli il suo tributo, almeno di mille scudi, come facevano tutti i gran[di] Re della terra.
impressioni della lettera Questa lettera, fatta leggere dal Re Menilik ad una gran moltitudine di grandi del regno di Scioha, non si può descrivere il cattivo senso che produsse. Questo uomo, risposi io allora al Re Menilik, ed a molti altri che parlavano di questo fatto, con tutta questa faragine di bugie, vorrebbe insaccare per se qualche milliajo di scudi, e nulla più; Io, che conosco gli usi di quei paesi, [dichiaro che] il regalo di mille scudi al Re di Prussia sarebbe all’opposto un vero affronto. Ciò non ostante, il piano di spedire una somma non fu abbandonato. Ma siccome il Re non conosceva altri più idonei per questa, e per altre commissioni, essa fu appoggiata al Signor Mekev; questi, partito, andò sino ad un certo punto, e fu obligato a retrocedere da circostanze politiche che [p. 587] intercettavano la strada. il missionario protestante Il missionario Protestante suddetto, come era un valente scrittore di lettere indigene finì per venire in Scioha, dove si guadagnò una posizione di capo scrivano presso il Re Menilik, ritenendo la sua posizione di missionario protestante. Fu quello che ottenne dal Re Menilik la facoltà ai missionarii protestanti di stabilirsi in quel regno. Il poveretto non era una cattiva persona; io frequentandolo ho potuto catechizzarlo abbastanza per guarirlo da una grave indigestione di bugie ed esaggerazioni prese dai Protestanti, e come già dissi sopra, la sola morte impedì di dichiararsi [cattolico], ma nella realtà nel suo cuore egli era convertito; partendo per la guerra col Re venne da me a prendere la benedizione, e certe parole che mi disse partendo han dovuto salvarlo.
parlo di un ritiro al re Ora ritornando a Fekeriè Ghemb, io parlando al Re aveva parecchie volte esternato [al Re] certi miei piani futuri di fare un monastero in qualche luogo deserto, dove io, a misura che la vecchiaja andava avvicinandosi, sentiva il bisogno di ritirarmi. Io parlava del mio ritiro, al quale sinceramente non lasciava di pensarvi soventi; ma il movente principale era ancora un’altro: il paese di Scioha, come tutto il resto dell’abissinia cristiana era piena di monaci, ma il nome di monaco equi- /199/ valeva ad indovino, a prestigiatore, ed in certo modo a quello di mago. Era questa una casta che aveva molta influenza, ma girovaga, oziosa, ed anche corrotta; [p. 588] una casta ignorante e superba, epperciò la più difficile ad evangelizzare; un piano di un monastero io perciò pensava di riservare quel pezzo di apostolato per la mia vecchiaja, servendomi di un mezzo tutto simpatico per loro, quello cioè di farmi un monastero in un luogo deserto, da poter dire, dopo alcuni anni, a tutta quella gente, ecco l’idea del vero monaco. A tale effetto io stava preparando soggetti di buona volontà che si unissero a me nell’esecuzione di tale impresa; già ne possedeva alcuni fra i due sessi, alcuni giovani cioè della casa, e le due vecchie vedove sopra citate, tutte persone di buona volontà. Il re Menilik simpatizzava molto per questo mio piano, e mi aveva promesso di prestarsi per quanto avrebbe potutto per parte sua. Solamente il luogo non era ancora fissato; il re inclinava per una montagna deserta chiamata Escia, la quale era inchiusa nella fortezza di Fekerie Ghemb, mentre io avrei bramato a preferenza d’incomminciare nei paesi bassi, sui confini del regno verso il fiume Awasce popolato dai Denakil detti Adal.
fondazione di Escia
[11.6.1873; visita di Menelik: 30.5.1874; presa di possesso: 25.9.1874]
Le cose si trovavano in questo stato quando il Re fece il decreto sopracitato di trasporto della città reale da Feker[i]e ghemb ad Ennawari. Allora fù che il Re col mio consenso dichiarò la montagna di Escia immediatamente sotto la dipendenza della missione, ed ordinò che i residui materiali della case reali di Fekerie Ghemb servissero per la costruzione della Chiesa e [delle] case per il futuro monastero da me ideato. [In] Più per il manteni-
[p. 589]
mento del monastero e per le costruzioni diede a me
signoria di Wanenamba
la Signoria di un villagio detto Wanenamba, situato ai piedi della montagna di Escia verso ponente. Il Re Menilik, non contento di questo, diede ordine al suo Procuratore generale, affinché la chiesa e le case di prima necessità si facessero al più presto dai lavoratori del governo secondo gli ordini da me ricevuti. Così in meno di sei mesi i lavori già erano terminati. Arrivato quindi il P. Luigi Gonzaga coi giovani del collegio, io ho potuto passare ancora alcuni mesi con lui in Gilogov, per metterlo al corrente del paese, e della missione, e poscia recarmi a Fekerie Ghemb, dove rimaneva sempre la casa e la cappella antica, e di là, organizzare anche quella di Escia lontana al più due kilometri, come si dirà poi in seguito.
(1a) L’Abissinia partecipa dei pregiudizii orientali, massime greci in materia di scultura del crocifisso. In oriente fra i scismatici il crocifisso è per lo più dipinto e quasi mai scolpito. In Abissinia poi, fra le molte imagini grossolane che si vedono nelle chiese, è caso rarissimo di vedere un crocifisso anche dipinto. Di questo se ne parlerà altrove. [Torna al testo ↑]