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6.
Considerazioni politiche e religiose.
Visita e tributi di Menelik a Joannes.
ritorno alla storia Ma il mio lettore sarà annojato di questa mia digressione, e vorrà sentire il corso della storia: ai lavori pertanto della grotta sumentovata solevano correre non solo i vicini, ma anche i lontani, ed i stranieri accorsi in gran quantità, non tanto per l’inoculazione dei vaïvuolo, quanto per sentire la continuazione del catechismo. Mentre si lavorava ognuno diceva la sua; la sera poi i miei giovani mi trattenevano raccontandomi tutto quello che è stato detto nel giorno. troppo zelo nei nostri A misura che il partito anticattolico [p. 946] spargeva delle notizie, la più parte esaggerate, i nostri, invece di scoraggirsi si animavano ancor di più in modo quasi minacioso: Se Ati Joannes, prima che si trattasse la pace, diceva uno di quei giovani ai suoi compagni, si fosse presentato a questa fortezza per prendere il nostro Padre avrebbe veduto un vero spettacolo: tutta questa montagna e contorni di sarebbero riempiti di mondo per prenderne la diffesa; e se mai per l’avvenire occorresse un caso simile, [con] un piccolo segnale, i musulmani stessi e le donne nostre non resterebbero indietro. Non domandiamo altro al Re che di lasciarteli fare: gli stessi grandi impiegati non ci sarebbero contrarii.
Questi e simili discorsi, moltiplicandosi ogni giorno più, confesso di aver avuto un poco di paura, che la questione religiosa passasse in questione politica, come poco edificante, e contraria allo spirito del missionario, che deve essere fatto all’esempio di Cristo. una mia conferenza Un bel giorno quindi ho radunato tutta quella gente, ed ho fatto loro una bella e buona conferenza. Figli miei, dissi loro, io vi ringrazio di tutte le vostre simpatie ed attaccamento alla missione cattolica, ma dobbiamo intenderci bene, affinché non accada poi di pentirci a vicenda: io non sono venuto qui per fare la guerra e per guadagnarmi un regno, ma sono venuto unicamente per insegnarvi il Vangelo di Cristo. Per questo solamente, e per salvare le anime vostre io facio tutto ciò che facio per ubbidire a Dio ed a Cristo mio unico padrone. Io non ho bisogno di soldati ma solo di figli. il vero sistema di Cristo Qui ho portato loro l’esempio di Cristo ed il rimprovero fatto a S. Pietro nel Getsemani. Se Gesù Cristo è morto, non è morto /61/ perché vinto, ma all’opposto [p. 947] quando noi saremo vinti dai nostri nemici, allora appunto noi saremo vincitori di essi, ed essi entreranno nelle nostre file. Parliamo ancora più chiaro: voi supponete che io abbia nemici, ma io vi assicuro che non ne ho. Io sono venuto per insegnare la via dell’eterna salute non solo a voi, ma anche a quelli che voi chiamate nemici, e se sarà necessario per questo anche di morire io morirò, sicuro di fare la volontà del mio padrone. Figli carissimi queste sono le mie intenzioni, e questa pure deve essere la regola vostra, se pure volete seguirmi e salvarvi; tutto il resto è affare di partiti che nostro Signore G.[esù] C.[risto] non ama ed io odio. Non pensate dunque [a soluzioni] di diffesa, o di armi, o di guerre, perché questa è parte che spetta a Dio, e dopo Dio ci penserà il Re Menilik; questo non è affare rie mio, ne vostro, ma del solo Dio, e del solo Re quando fosse necessario. Iddio non cerca il vostro bracio ma il vostro cuore, ed io non voglio altro da voi.
una mia confessione al re Dopo tutte queste e simili conferenze tutti quei buoni giovani, i quali pensavano di fare una cosa buona, et obsequium pr[a]estare Deo rimasero un poco stupiti del mio discorso, ma poi si aquietarono. Io però non fui ancora pago e tranquillo. Avendo dovuto recarmi dal Re Menilik poco dopo per consegnargli i due regali da portare all’imperatore Giovanni, come già si disse, ho voluto parlargli direttamente di questo affare, e raccontargli tutto l’accaduto, onde assicurarmi che la storia fosse bene compresa a scanzo di scandalo, e che il mio [mio] ministero apostolico non venisse interpretato diversamente da lui [p. 948] e dal publico. una risposta importante Il Re Menilik sentita che ebbe tutta la storia; io già conosco a fondo tutto il vostro sistema, [commentò,] e non dubito affatto di quanto mi [mi] dite; lasciate fare e lasciate dire, perché poi non è male che l’imperatore Giovanni senta queste cose. Allora il Re si aprì con me, e andò più avanti: io ho fatto la pace, proseguì egli, contro il sentimento di tutto il mio paese, il quale ad ogni costo voleva battersi, eppure non mancano di quelli che fanno credere all’imperatore il contrario, e vorrebbero che l’imperatore ritornasse in Scioha: al sentire tutte queste storie, egli se ne guarderà di più. Quando ho veduto che lo stesso Re parlava in questo modo, allora io non ho più aggiunto parola. Come egli doveva partire fra pochi giorni per il campo, ho fatto la consegna dei miei regali, e gli ho fatto vedere la lettera che io già teneva preparata (1a).
/62/ movimenti dell’imperatore, e politica diversa Il Re Menilik era già in ritardo di qualche mese per rendersi al campo dell’imperatore Giovanni per i promessi tributi. L’imperatore Giovanni per parte sua, dopo la sua separazione dal Re Menilik aveva già terminata la sua campagna di Derrà, la quale non durò che due settimane, e nella quale non fù più fortunato del Re Menilik, recatosi colà un’anno prima, per assoggettarsi quel principe musulmano, e dovette ritornarsene senza vincerlo; l’imperatore Giovanni, recatosi coi suoi cannoni senza cannonieri, minaciò, e diremo anche, spaventò quella fortezza colle sue cannonate in aria (2a), e poi dovette contentarsi di devastare il paese col suo pigliagio, riducendo anche in schiavitù una parte di quella popolazione musulmana fanatica, e poi partire per i Vollo-Galla, dove era convenuto di aspettare il Re Menilik nelle vicinanze [p. 949] di Magdala. principato di Derrà Derrà è un principato musulmano all’ovest del regno di Scioa, sopra il versante del Nilo azzurro, sopra la strada del Gogiam. L’imperatore Giovanni, lasciato Derrà, con tutto il suo bottino, passò ai Galla di Legambo, e di là alle sorgenti del fiume Bascilò, confluente del Nilo azzurro dove, non molto lontano dalla fortezza di Magdala, l’imperatore Giovanni stabilì il suo campo centrale in attenzione del Re Menilik.
Dopo la pace trà Giovanni e Menilik, e dopo la loro separazione, la nostra Etiopia ebbe un breve periodo di riposo dalla guerra tra i due principi. Giovanni congedò i due terzi della sua armata; egli spedì al Nord i soldati del Tigre sotto il governo di Ras Alulà; quindi spedì al loro paese i soldati del Gogiam sotto il governo di Ras Adal; tenne con se la sola armata del centro, del Beghemeder cioè, ed una parte dei Wollo al Sud-Est di Magdala. Il Re Menilik poi, dopo la separazione dall’imperatore Giovanni, ritornato in Liccee, [13.10.1878] celebrò solennemente la festa della sua incoronazione in Re di Scioha, dopo la quale, egli pure fece conoscere la sua qualità di Re di Scioha, ll re Menilik crea due Ras creando due Ras o capi d’armata. (1b) Il primo di questi fù Degiace Govana, patrono, e come proprietario della nostra missione di Gilogov, nella provincia di Ha- /63/ man, di cui già molto si è parlato altrove. Ras Govana e Ras Darghè Questi fu dichiarato Ras, o capo del governo di tutti i Galla Sud-Est, e Governatore generale dell’armata reale in mancanza del Re. Il secondo Ras, stato creato in quella circostanza da Menilik, fù Degiace Derghè, zio dello stesso Re Menilik, secondo fratello cadetto del suo Padre Hajlù Malacot, di cui già si è parlato a suo tempo, da principio.
[p. 950] A quest’ultimo fù dato il governo di tutti i paesi Galla Ovest verso il Nilo azzurro, e verso il Gogiam. Questi nel suo paese dipendeva solo dal Re Menilik, ma nelle spedizioni all’estero, in mancanza del Re, dipendeva da Ras Govana, dichiarato governatore generale delle armate galla. La ragione principale per cui Degiace Derghè non fù creato primo Ras, e perché è principe del sangue; un principe del sangue in molti paesi d’oriente sono come sospetti; anticamente, anche in Scioa non potevano avere una carica, erano anzi tenuti in prigioni particolari, oppure venivano esiliati. In Scioa il Re Menilik passò sopra [a] simili tradizioni, e rispettò sempre, non solo i suoi zii paterni, ma gli stessi cugini loro figli, come altrettanti fratelli. Il Re Menilik poi, come fece anche l’imperatore Giovanni, tenne per se il governo immediato della Provincie cristiane del centro, e quindi il governo delle razze musulmane, le quali sono governate da leggi ed usi particolari, e non vanno alla guerra, ma sono custodi delle prigioni.
La pace tra l’imperatore Giovanni, ed il Re Menilik segnò in Abissinia un’epoca il nostro medio evo e l’abissinia in certo modo eguale all’epoca del nostro medio evo, nella quale non mancavano poi le guerre particolari trà le diverse provincie, trà le diverse razze, e trà i diversi capi o signori subalterni frà [di] loro, sia per interessi particolari di commercio, oppure di titoli signorili, oppure anche di opinioni religiose. Così, anche dopo questa pace, i galla frà [di] loro non lasciarono di essere sempre in guerra, e così le razze cristiane subalterne dei due gran regni, alle quali, ne l’imperatore prendeva parte nel suo impero, ne il Re Menilik nel suo regno. Simili [p. 951] guerre però non erano guerre di distruzione, ma semplici guerre di partiti, o semplicemente politici, oppure anche religiosi, le quali potevano anche arrivare a fatti di armi più o meno gravi, ma sempre sotto una certa quale influenza dell’imperatore, oppure del Re, i quali potevano terminarle col loro concorso. le guerriglie dei conti e baroni Simili guerre potevano anche farsi gravi da compromettere anche la pace universale, e la sicurezza dell’impero, oppure del regno. Il mercato di simili guerre era per lo più sempre la corte medesima o imperiale, oppure reale, dove si nodrivano i partiti si politici che religiosi; gli stessi imperatori o Re qualche volta le fomentavano per umiliare certi individui tendenti alla rivolta. Chi ha stu- /64/ diato il nostro medio evo d’Europa, non stenterà a formarsi un’idea dell’Abissinia, dell’imperatore Giovanni, e del Re Menilik, fatta una tara delle idee più o meno colte, e della richezza dei mezzi tra i due paesi.
un mio avviso al lettore Io ho voluto esporre alla meglio certi detagli di paragone per preparare il mio lettore a formarsi un’idea della storia abissina antica e moderna, e di quanto accadde nel breve periodo di tempo passato da me in quei paesi. In Abissinia mancano i castelli ed altri monumenti, che a noi tramandarono la storia delle guerre particolari che ebbero luogo nei nostri paesi, ad eccezzione dei pochissimi lasciati dai Portoghesi, che gli abissini non seppero neanche conservare. cristianesimo orientale ed occidentale Ciò che più importa, in Abissinia mancò un cristianesimo [p. 952] pieno di vita interiore, di sapienza, e di grazia: cristianesimo che da principio in Oriente diede alla Chiesa dei grandi genii, ma che poi frà noi in occidente fece dei veri miracoli in tutti i generi, nella santità seminando ovunque angeli e serafini da stordire il mondo, nelle scienze con stabilire dovunque università, nelle arti lasciando dovunque monumenti, che la forza destruttiva del progresso [non] arriverà mai a seppelire, e persino nell’agricoltura, facendo dovunque dei deserti altrettanti giardini, che formano ora la richezza delle nostre società. La povera nostra Chiesa abissina, nata nei [sec. IV] tempi di S.t Atanasio, quando quella d’Oriente già cadeva vittima della pace, della ricchezza, vinta dal lenocinio delle corti, non ebbe tempo di crescere alla vita interiore, per alzarsi a maestra dei popoli; essa rimase sempre bambina e pupilla alle vere richezze della grazia e del fuoco evangelico disceso dal cielo con Cristo, l’unico capace di intimare la guerra alla scoria velenosa del mondo; essa, prima ancora di conoscere Cristo, ed il suo vero apostolato, che corre la strada del calvario, sempre vinto trionfando, per morire in croce regnando sopra i cuori dei popoli col suo divino maestro. La povera chiesa e cristianità etiopico abissina perciò, nata in corte nei tempi di S. Fromenzio, non seppe vivere, che colla vita dell’impero e della corte. (1c)
Il mio lettore quindi, percorrendo in seguito le pagine di questa mia /65/ storia, che incommincierò a chiamare col nome di dolorosa, quello dell’Etiopia nella parte che concerne la mia missione apostolica, non dovrà perdere di vista tutto il suddetto, per formarsi un criterio giusto circa [p. 953] la stato passato, presente, ed anche futuro di tutte le operazioni apostoliche fin quì tentate in Abissinia, e che in seguito si possono sperare di qualche esito più o meno lontano. Sopratutto poi egli non deve scandalizzarsi, se in Abissinia vedrà, che l’imperatore Giovanni, lasciati da una parte, i monaci, il Vescovo, e lo stesso Patriarca eretico eutichiano, senza parlare dei preti, rimasti tutti tranquilli nel possesso delle loro chiese e dei loro benefizii ecclesiastici, circondato l’imperatore dai suoi generali o capi militari, in mezzo della sua armata, e col prestigio di tutta la sua forza, sedesse, come ultimo giudice inapellabile, per finire le questioni religiose del suo impero. Io quì tessendo un compendio di storia di fatti contemporanei, da presentarsi ad ogni ceto di persone, per timore di annojare alcuni dei miei lettori non assuefatti a giudicare questioni di dogma e di gerarchia religiosa, dovrò contentarmi di narrare lo spettacolo suddetto, informe, e direi quasi ridicolo, senza poter addurre tutte le ragioni storico dogmatiche, le quali potrebbero avere un valore reale in facia ai soli periti di dogma scolastico, o di storia unicamente ecclesiastica.
mio piano di nuovo libro Finita che sarà la storia attuale, se Iddio spiegherà più direttamente i suoi voleri, sia da parte dei miei superiori secolari e regolari, e sia ancora coll’accordare qualche giorno di più di vita materiale ed intellettuale alla povera mia persona da poter ancora lavorare in servizio della Sua Chiesa; sarà una cosa come indispensabile nella continuazione di queste mie memorie, separare la parte [p. 954] puramente ecclesiastica, religiosa, e spirituale. In questo caso, con un libro a parte, diretto solo alle persone del ministero, epperciò di casa nostra, io, lasciando intatta la storia fin quì scritta, e che frà poco spero [di] poter compire, mi si presenterebbe sempre ancora un vasto campo di idee, frutto di lunghe meditazioni, e di esperienze nel sacro ministero di mezzo secolo, ma di un ministero, niente affatto ordinario, ma quasi tutto straordinario, sia per la circostanza dei tempi, e sia molto più per quella dei luoghi, come ognun sa. La perdita di quasi tutte le mie memorie, mi priverebbe in questo caso di documenti di un valore officiale, i quali soli avrebbero bastato per un’interessante volume; una tal perdita tuttavia non diminuirebbe gran cosa le idee, il capitale delle quali fin quì seguita a mantenersi sufficientemente da poterle riprodurre. Ciò sia detto di passaggio, lasciando poi a Dio padrone del tempo avvenire, e delle operazioni di chi pensa [di] occuparsi unicamente per la sua gloria; io intanto facio ritorno alla mia storia.
/66/ ritardo del re Menilik È già stato detto sopra che il Re Menilik già si trovava in ritardo [d]all’appuntamento stato preso coll’imperatore. Se la pace di Devra Bran e di Angololà fosse stata sincera, il ritardo anche di qualche mese per parte del Re Menilik per trovarsi al campo dell’imperatore, alle vicinanze di Magdala, non sarebbe stato troppo, perché l’imperatore doveva sentire tutti i preparativi colossali che stava facendo il nostro Re Menilik per il suo primo tributo, i quali erano una prova più che sufficiente della realtà della pace per parte sua. Lo stesso caso era [p. 955] della parte opposta; il nostro Re era più che persuaso che l’imperatore non nodriva in cuore sentimenti sinistri e contrarii alla pace fatta, come parecchie volte egli stesso lo confessò a me. nuovo fermento politico Ma la pace, benché sincera dalla parte dei due Principi, non era poi sincera dalla parte dei partiti politici che bollivano nelle due corti, i quali minavano a romperla per fini diversi, e contrarii frà loro; gli agitatori non mancavano dalle due parti. Ciò che nei nostri paesi sogliono fare i giornali di diverso colore, facevano là i messaggi continui frà i due campi; meno pericolosi sono i nostri giornali, perché sono cose publiche, ed hanno il loro correttivo, e più difficilmente possono determinare un vero fermento; i messaggi secreti all’opposto, e le lettere confidenziali e secrete indispongono [di] più i cuori. Erano incredibili le cose che si sentivano, in senso tutto opposto.
i due partiti politici I due regnanti, come già è stato detto, avevano diminuita la loro armata, mettendosi in stato di pace; ma, secondo le notizie che circolavano, tutto era una finzione e si stavano preparando ad una nuova battaglia. Presso l’imperatore il partito Karra eutichiano sostenuto dalla nostra Regina Bafana, e dal frammassone Masciascià Vorkie, i quali minavano per un cangiamento di governo in Scioa, esaggeravano da una parte tutte le operazioni del Re Menilik. I nostri poi, disgustati già dalla crisi di Devra Libanos, già narrata sopra, vedevano male [p. 956] [male] tutti i sinceri preparativi del Re per recarsi al campo dell’imperatore; essi temevano per lui, e per l’antica dinastia. Non mancavano di quelli che lo dissuadevano, massime fra i capi dell’armata, i quali [non] hanno mai approvato di cuore la pace, ed avrebbero voluto far vedere il valore delle loro armi. Dopo la crisi di Devra Libanos e la dispersione dei monaci di quel santuario passato nelle mani di Abba Ghebra Salassie capo del partito eutichiano, non mancavano anche di quelli che predicavano la crociata per la fede dei loro Padri. Tutto ciò non faceva buon sangue al Re Menilik, e non lasciava d’ispirargli qualche timore. Egli avrebbe volontieri portato con se l’armata, ma nell’accordo coll’imperatore si era obligato a recarvisi senza la sua armata, accompagnato solo dalla compagnia dei suoi fucilieri.
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partenza del re Menilik
[fine mag. 1878]
Dopo tutto ciò il Re Menilik risolse di partire, sempre ancora sperando nelle promesse dell’imperatore Giovanni. Per organizzare la sua carovana di trasporto trovò delle difficoltà gravissime, perché il suo paese era contrario; ma alla fine colla sua pazienza ottenne ogni cosa.
detagli della sua carovana
Il mio lettore stenterà a credere se io descrivessi la sola carovana di trasporto dei tributi. Incomminciò questa a defilare [= sfilare] tre giorni prima della sua partenza. La sola processione degli animali da macello, tra bovi, pecore, e capre durò più di una giornata. Un’altra giornata vi volle per [per] il trasporto dei grani e dei viveri di ogni qualità. Nel terzo giorno seguivano
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i regali in tele di ogni genere, attrazzi di ogni qualità, valori di commercio, armi, e munizioni da guerra. Dopo tutto [ciò] la sera del terzo giorno seguiva egli colla sua piccola armata di scorta. Egli si trovava ancora a Liccèe, e la testa della carovana arrivava già sui confini dei Wollo. Erano tutti gabbar, oppure schiavi, la maggior parte carichi, oppure conduttori di bestiami da soma carichi. Appena qualche piccola compagnia di soldati si vedeva di quando in quando per il buon’ordine. Dopo cinque o sei giorni di marcia la carovana si accampò frà i Wollo, ed aveva l’aspetto di un gran campo militare, che si avvicinava.
ordini lasciati dal re Il Re Menilik aveva lasciato l’alto governo del suo paese a Ras Govaha, il quale colla sua armata, in certa lontananza aveva scortato il Re sino alle frontiere dei Wollo, e se ne stava accampato in attenzione; in ogni caso di bisogno tutti i galla avrebbero dovuto mettersi in campagna per seguirlo. Ras Derghè a Derrà Ras Darghè zio del Re, di concerto con Ras Govana, egli con tutta la sua armata si era recato a Derrà, paese già esplorato più volte inutilmente dall’armata reale, ed ultimamente dallo stesso imperatore Giovanni, come già è stato detto più sopra. [spedizione di Menelik: 20.12.1869-inizio mar. 1870] Quel principato ancora indipendente, era stato dichiarato come appartenente a Ras Derghè. Questi, col titolo di continuare l’assedio di quella fortezza, poco prima lasciata dall’imperatore Giovanni, doveva tenersi pronto dalla parte dell’ovest ad ogni caso di ostilità contro il Re Menilik, mentre Ras Govana faceva [p. 958] lo stesso dalla parte sud-est, inteso egli pure con tutte le popolazioni di quei contorni, le quali dovevano alzarsi al menomo segnale. Il campo dell’imperatore, al quale non mancò di arrivare qualche piccolo segnale, non mancava di provare una certa ossilazione, [di] chi sincero sperava per il gran bottino che andava avvicinandosi col Re Menilik, di cui la liberalità era da essi conosciuta; chi poi temeva, principalmente dalla parte dei suoi nemici, i quali avevano molto parlato e più ancora operato contro di lui, e speravano una crisi, niente meno che di farlo legare. Il Re Menilik era uno di quei principi popolari, che fanno finta di nulla capire e sanno tutto, perché parlano con tutti, ed a /68/ tutti allargano la mano; all’opposto dell’imperatore Giovanni, persona, forze di migliore carattere, ma troppo grave ed isolato, e colle mani strette, il quale ignorava forze la vera sua situazione sul cuore della sua armata.
arrivo del re al campo imperiale In questo stato di cose si avvicinava il Re Menilik al campo dell’imperatore Giovanni colla semplice scorta dei suoi fidi, ma con un codazzo che si prolungava a parecchie leghe di lontananza, e che prometteva un monte di fortuna a tutti quegli affamati del campo imperiale. All’avvicinarzi, l’imperatore ordinò lo sparo del cannone conveniente ad un Re coronato, ed il nostro Re Menilik entrò nel campo imperiale in mezzo agli evviva i più prolungati, ed i più sentiti degli stessi suoi nemici, i quali, al suo arrivo dovettero cangiare linguagio e fisionomia. Al suo arrivo l’imperatore sortì dal suo adaras (salone di ricevimento), ed andò a riceverlo nella gran piazza piena di popolo.
[p. 959] incontro dei due principi Nell’incontrarsi il Re Menilik, come fosse stato un semplice figlio della corte imperiale, prostratosi, baciò i piedi dell’imperatore Giovanni, il quale, presolo per la mano, lo rialzò e si baciarono. Chi ha veduto mi narrò che in quel momento gli occhi dell’imperatore lasciarono vedere le lacrime di tenerezza. Entrati nell’adaras, l’imperatore condusse Menilik ad un trono un poco più basso a destra del suo, ma egli invece di sedersi si adagiò in piedi, come un semplice grande di corte, e quando l’imperatore sedette sul suo trono, egli sedette per terra ai piedi [di lui], e non vi fù mezzo per fargli prendere il suo posto preparato. Stettero più di cinque minuti senza parlarsi, perché erano tutti [e] due commossi [. Stettero qualche minuto senza parlarsi] e poi si sfogarono da soli, narrando[si] probabilmente a vicenda le passate notizie e sospetti reciproci, e le molte esaggerazioni dei partiti.
un fiume di idromele Il Re Menilik aveva regolato in modo il suo viaggio dall’ultima stazione da arrivare la mattina al campo imperiale, e dopo qualche ora di conversazione, quando si avvicinava l’ora del gran pranzo imperiale, il gran mastro di casa venne ad annunziare ai due regnanti che tutto il gran cortile imperiale si trovava [si trovava] innundato da un’immensità di vasi e di corni pieni d’idromele, e come un fiume stava arrivando una vera piena di pane, e di pietanze. Sortirono allora i due principi per vedere [p. 960] lo spettacolo, ma, appena quell’immensa folla quasi sempre affamata vidde comparire coll’imperatore il Re Menilik, [scatenò] uno scoppio incredibile di evviva, e tale, che lo stesso Re Menilik dovette far correre la voce alle moltitudini di cessare, per timore di non sollevare [nell’altro sovrano] un sentimento di gelosia, da turbare la /69/ buona impressione prodotta. (1d) un dialogo misterioso. Che mi abbiate fatto di queste improvvisate nel vostro paese si capisce, disse al Re l’imperatore, ma quì in luogo così lontano, come abbiate potuto, ciò mi stupisce. Padre, e Signore mio, rispose il Re Menilik all’imperatore giovanni, ho fatto uno sforzo, ed ho voluto con ciò affogare nell’aqua dolce le tante cose che si dicevano dal nostri nemici per distruggere la nostra pace. Avete ragione, rispose l’imperatore; in casa mia medesima io ho [dei] nemici, dei quali io non posso fare a meno, ma voi ne avete ancora in casa vostra forze dei più potenti che vi supplantano (2b)
un’argomento a minori.
consegna degli altri regali
Da queste parole, che furono sentite dalla persona stessa che me le raccontò, si può dedurre quali fossero i discorsi che passavano frà i due regnanti. Se tali furono le acclamazioni ottenute dal Re Menilik alla corte imperiale nel primo giorno del suo arrivo, cosa non si dovrà dire del secondo e del terzo giorno, nel quale solamente finiva di arrivare il gran codazzo del suo seguito con tutti i regali, e quando tutto il campo dell’imperatore si vidde
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circondato da un mare di bestiami di ogni genere e di ogni specie, sia per il macello, e sia per la cavalcatura, oh allora fù che fece gran spicco la generosità e la richezza del Re Menilik; allora fù che l’imperatore Giovanni medesimo proruppe in questa esclamazione = oggi solamente conosco di avere regnato = Si passarono quindi a revista i regali: si contarono alcuni milliaja di talleri; si fece la consegna di un milliajo di bestie bovine da macello, e parecchi milliaia di pecore e capre, e non parlo di altri comestibili, e degli altri oggetti, dei quali il numero non si conosceva. Mentre si stava facendo tutta questa consegna arrivarono gli invitati della regina Bafana, i quali presentarono le loro lettere credenziali ed i loro regali di ogni genere. Le lettere non furono lette, ma messe da [una] parte; in quanto ai regali l’imperatore Giovanni, rivolto al Re Menilik, [sentenziò:] in casa vostra non riconosco altri padroni fuori di voi, e voi quando ritornerete ve la intenderete con vostra moglie; grazie di tutto, e così finì la scena. (1e)
/70/ la mia lettera e regali Il Re Menilik aveva riservato in ultimo la mie lettera ed i miei regali. L’imperatore lesse attentamente la mia lettera, ed in quel mentre il Re apriva la cassetta contenente la croce inviluppata con un pezzo di satino bianco, e legata con un nastro rosso. Il piede della croce stava a parte, ed il Re incomminciava a slegare, ma l’imperatore, no, disse, noi siamo soldati, e sappiamo manovrare la spada e non la croce; fece chiamare alcuni preti e monaci, i quali slegarono il sacro oggetto, ma essi non sapendo il m[d]odo [p. 962] di unire i due pezzi della croce, il Re Menilik, inviluppatosi la mano con un pannolino bianco (1f) unì subito i due pezzi, e la croce stette maestosamente in piedi. i miei regali piaquero Ciò fatto, l’imperatore comandò al prete che portasse la croce nel suo oratorio privato, e lo seguirono i due principi, dove arrivati, appena aggiustata la croce a suo luogo, fece portare là il grande volume delle imagini, rimasero là i due principi soli circa un’ora in discorsi secreti, che io seppi dallo stesso Re Menilik dopo il suo ritorno, se pure mi ha narrato il vero, come io debbo supporre. L’imperatore lodò molto la Croce, non so però, disse, se piacerà ai nostri Preti, perché non è fatta secondo l’uso dei nostri paesi. Dopo la Croce passarono al volume delle imagini. Erano cento imagini con miniatura della grandezza di un palmo e mezzo circa quadrato. Rappresentavano i fatti principali della Scrittura da Adamo alla Pentecoste del Vangelo. A ciascuna imagine io aveva scritto in lingua amarica il titolo a piede di Pagina. Lo ripassarono tutto di volo, fermandosi sopra qualcheduna in particolare, che più aveva ferito la loro imaginazione. Ciò fatto, questo, disse Giovanni, sarà il mio trattenimento, e formerà la mia delizia. (2c)
proteste di Giovanni Dopo tutti quei regali, l’imperatore Giovanni fece delle proteste straordinarie al Re Menilik: io ho un figlio, [esclamò,] ma tu sarai sempre il mio primogenito: bei consigli di lui molte cose sono state dette, e molte ancora si diranno; noi non possiamo, ne tanto meno dobbiamo seguire tutte [tutte] le correnti; un piccolo albero ha diritto di agitarsi a tutti i movimenti del vento, ma chi regna è come una rocca che sta immobile nella sua base e nei suoi principii di giustizia; basti a te sapere che ti amo, e lascia /71/ dire. Dopo tanta roba che mi hai [p. 963] portato il popolo si aspetta regali e generosità, si faranno alcuni giorni di allegria; è giusto che tutti stiano allegri, io farò regali, e tu sarai libero di farne fino a tanto che sarai con me; il re è povero, anche in mezzo ad un mare di richezze, egli sarà ricco e grande, quando sa essere liberale a suo tempo. Si passarono quindi alcuni giorni di grandi feste, ed i due principi fecero grandi regali, ciascheduno ai loro amici. Il Re Menilik rimase molto contento di tutte le proteste dell’imperatore; egli già per se stesso [già] molto generoso, con la libertà avuta dall’imperatore Giovanni seppe esserlo anche alla sua corte. Non ebbero fine quindi gli evviva e le acclamazioni. La stessa liberalità insolita dell’imperatore Giovanni accresceva gloria al Re Menilik. (1g).
simpatia aquistata da Menilik alla corte. Il Re Menilik godeva, e sapeva anche lasciarsi godere dai suoi amici, sempre fingendo di abbassarsi ai piedi dell’imperatore; mai volle sedere sul piccolo trono preparato per lui vicino all’imperatore, ma sempre si vedeva seduto ai suoi piedi, come un semplice paggio imperiale, e questa medesima sua umiltà lo rendeva ancor più grande, e gli accresceva simpatia presso la stessa corte imperiale. Questa grande simpatia aquistata dal Re Menilik alla corte imperiale non lasciò [p. 964] di dare molti disturbi, sia all’imperatore, che al Re Menilik. ultimi sforzi del partito nemico Il partito Karra eutichiano, il quale sperava di vedere cangiare la dinastia nel regno di Scioa, invece di vedere legato il Re Menilik, e messo in suo luogo il figlio di Bafana: tutto all’opposto, vedendo Bafana caduta, e trionfare il nostro Re Menilik nel campo stesso dell’imperatore, protettore naturale del loro partito, questo partito si attaccò ad un sistema tutto contrario. In tutti i paesi del mondo la rivoluzione non ha bisognane di fatti ne di verità, essa suol fabbricarsi delle fortezze coi materiali della bugia e della calunnia; non si tardò quindi di sentire innundato il campo imperiale di notizie affatto contrarie: il Re Menilik era divenuto l’eroe, verso cui erano diretti gli occhi di tutti; lo stesso imperatore era divenuto un suo paggio e non aveva altro che il nome: il campo imperiale in certa lontananza circondato dalle armate di Scioa, [a queste] non rimaneva altro che prenderne il formale possesso. Non bastava ciò ancora: le notizie andavano più avanti, ed entrate nel santuario, facevano regnare il partito Devra Libanos, Abba Messias, e persino il Papa di Roma, a /72/ cui si era scritto, e di cui si aspettavano gli ordini colla venuta del Capitano Martini. (1h).
(1a) Nella mia lettera, oltre all’affare dei regali, lo ricordava all’imperatore Giovanni la mia antica amicizia col suo fratello maggiore Goxà, e colla sua Madre Ozzoro Waletta Salassie, dei quali ho già parlato a lungo nel mio viaggio per il Tigre [1863] nell’anno 1864. [Torna al testo ↑]
(2a) L’imperatore Giovanni ricevette cannoni dall’armata inglese nei 1868. Poscia ne trovò molti nella [1875-1876] disfatta dell’armata egiziana nel 1872. In questa ultima circostanza l’imperatore Joannes fece alcuni schiavi dell’armata egiziana, ed anche cannonieri di poco valore. Ora, sia a titolo d’incapacità, oppure a titolo di odio religioso, essi sparavano i cannoni in aria sopra la fortezza musulmana, di cui è questione. [Torna al testo ↑]
(1b) In tempo dell’impero tradizionale abissino, o etiopico, il Ras era un solo, fatto dall’imperatore. Questi era capo generale di tutto il governo imperiale. Il primo a creare molti Ras fu l’imperatore Teodoro, il quale variò in molte cose le tradizioni di quell’impero. In tempo dell’impero antico non esistevano Re coronati subalterni; anche questa è stata una novità introdotta dall’imperatore Giovanni. Il primo Re coronato fù Menilik: a lui solo è stata data la facoltà di creare dei Ras. [Torna al testo ↑]
(1c) Ho già toccato questo punto quando ho parlato di S. Frumenzio apostolo dell’Etiopia. La Chiesa d’Oriente, divenuta più imperiale che Cattolica, la nascente Chiesa abissina non poteva essere diversa. La poca storia ecclesiastica che si trova in Etiopia è pregna di peste palatina. In essa si parla sempre dell’oracolo imperiale, anche negli stessi pochissimi concilii ecumenici che si conoscono, e mai di quello del Papa, sia come convocatore, sia come presidente. Da ciò nasce che in materia di fede il popolo guarda la corte più che lo stesso suo Vescovo. Questa è la ragione per cui la conversione dell’Oriente al cattolicismo è più lontana di quanto possiamo credere. Solo un’altro Costantino veramente cattolico, e coll’[appoggio del] Papa, umanamente parlando, potrebbe fare molto; la Chiesa di Cristo non ha bisogno di altro che di libertà nel suo ministero. [Torna al testo ↑]
(1d) Fu da quel punto che i nemici del Re Menilik incomminciarono a dire: cosa manca a! Re Menilik se non regnare in casa nostra? e si propagarono le dicerie di questo genere. [Torna al testo ↑]
(2b) L’imperatore intendeva parlare della Regina Bafana, egli solo sapeva quanto quella furba stasse organizzando contro il povero Re suo marito. [Torna al testo ↑]
(1e) Il capo che presiedeva la presentazione dei regali spediti dalla regina Bafana era il frammassone Masciascià Workie; egli rimase con un palmo di naso al vedere come l’imperatore troncò secco la questione dei regali, e congedò la comitiva rimettendo la risposta allo stesso Re Menilik. Egli però non si perdette di coraggio, e prese motivo da ciò per irritare di più il partito eutichiano contro il Re Menilik. [Torna al testo ↑]
(1f) La croce in Abissinia gode [di] un gran rispetto esteriore; lo stesso prete tiene la croce sempre velata. Ciò si intende solo della croce grande con manico in uso nelle chiese in tempo delle funzioni; del resto si vedono al collo anche dei secolari croci piccolissime, ed appena visibili, come le piccole croci dei cavalieri: mai però il crocifisso. [Torna al testo ↑]
(2c) Persone che conoscevano da vicino l’imperatore Giovanni mi assicurarono di aver veduto soventi l’imperatore Giovanni fisso a contemplare le imagini di quel volume da me regalato, e di tenerlo anche aperto in tempo delle sue preghiere. [Torna al testo ↑]
(1g) L’imperatore Giovanni non è già che fosse una persona avara, anzi sarebbe stato di un cuore abbastanza generoso: ma il suo paese centrale era un paese di miserie, dove appena poteva mantenere la sua armata; per mancanza quindi di richezze si restringeva nel dare. All’arrivo del Re Menilik cangiò un tantino la sua posizione, e poté largheggiare. [Torna al testo ↑]
(1h) [dic 1877] Era partito alcuni mesi prima il Capitano Martini per l’Italia, portatore di lettere per il Re, e per il Papa. [Torna al testo ↑]