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10.
Cautela dell’imperatore. Un processo.
Prigionia di Cecchi e Chiarini nel Sud.
prudenza politica di Giovanni Dopo il Congresso religioso, di cui si parlò a suo luogo, l’imperatore Giovanni proseguì con molta energia l’operazione incomminciata colla sua nuova legge obligatoria sopra l’unità della fede in tutta l’Etiopia. Egli, per non offendere la suscettibilità del Re Menilik e di tutto il regno di Scioa, e non compromettere [p. 49] la pace ottenuta, finse qualche tempo di lasciare in pace il partito della fede di Devra Libanos, e durante tutto quell’anno, concesse anche una specie di tregua a me, ed ai progressi della nostra missione cattolica, occupandosi indefessamente a far battezzare i musulmani. Ma l’astuto settario non dimenticò il veleno che nutriva nel cuore contro tutte le altre credenze cristiane, ed in specie contro la missione cattolica. Egli fin d’allora, per consolidare il suo progetto di universalizzare la sua eresia eutichiana in tutta l’Etiopia, e più specialmente nel regno di Scioa, dove regnava la setta semicattolica di Devra Libanos, e dove faceva gran progressi la nostra missione, fin d’allora egli immaginò il piano di far venire dall’Egitto, non un solo vescovo eutichiano, come è stata sempre la tradizione abissina, ma di farne venire molti, e dividere l’Abissinia in diverse diocesi, come poi fece.
[fine mag. 1878; stato della nostra missione] Ciononostante da[l] Settembre 1878. in cui ebbe luogo il congresso e la legge sopra la fede obligatoria suddetta sino al Maggio 1879. per una certa prudenza ed economica politica la missione nostra proseguì sempre a godere tutta la sua libertà e favore del Re come prima, solamente alcune voci vaghe andavano circolando fra il partito imperiale eutichiano, che lasciavano travedere un futuro [p. 50] molto oscuro. In quel fratempo, mentre la nostra cara missione proseguiva a progredire, sia frà i Cristiani che frà i galla, arrivarono alcuni fatti che debbo riferire, per compimento della storia, prima di entrare a riferire i fatti che concernono il mio esilio e quello dei miei compagni.
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[iniz. dic. 1877]
Come si disse, un’anno prima era partito per l’Italia il Capitano Sebastiano Martini, incaricato di portare fucili e cannoni. Partirono pure poco dopo
[4.7.1878]
[2.1.1879]
per la via di Kafa il Capitano Cecchi e l’ingeniere Giovanni Chiarini. Nello stesso anno arrivarono dalla costa colla carrovana di Zeïla molti europei accompagnati dal famoso Ghebra Teklì antico Procuratore del Signor Arnous, di cui già molto si parlò. Gli europei erano sei: Monsieur Bremont negoziante di Marsilia, il Signor Forer agente consolare della Norvegia in Aden, e compratore delle mercanzie di Arnous in Aden; quindi l’ingeniere Ilgh con tre artisti tutti svizzeri venuti in seguito di un contratto stato fatto da Ghebra Teklì suddetto a nome del Re Menilik.
evenimenti di quell’epoca
Ora tutto questo movimento di personale europeo ci apre una serie di fatti avvenuti prima della mia partenza dal regno di Scioa, e tutti meritevoli di essere da me riferiti, unitamente ad alcuni altri fatti di qualche importanza, per
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compire la storia presente di questo mio diario. I fatti sono tutti certi, dei quali io sono stato come testimonio, mancano solamente di alcune date, e di alcuni nomi, perché la mia partenza essendo stata un colpo di studiata destrezza, rimasero là perdute le [mie] pochissime memorie.
flusso e riflusso di opinioni Quattro erano i fatti principali che occupavano l’avvenire dei curiosi di quell’epoca in Scioa, il ritorno cioè di Martini dall’Italia, il risultato del viaggio di Cecchi e Chiarini alla volta di Kafa, il ritorno di Ghebra Teklì da Zeïla col capitale del Signor Arnus stato valutato circa cento mille franchi, e venduto in Aden. A questi tre punti si univa ancora un quarto, ed era il giudizio che molti aspettavano dal Re Menilik sopra la disparizione del capitale della missione dopo la morte del P. Alessio, stato sepolto sulle rive dell’Awaz, di cui molto era stato detto, quando arrivarono Martini e Cecchi. Sopra quei quattro punti, appena il publico poté riposare un tantino dagli avvenimenti politici avvenuti tra il Re Menilik e l’imperatore Giovanni, sono incredibili le notizie che giornalmente circolavano affatto contrarie le une [d]alle altre, secondo i diversi partiti politici.
[ad Ankober: 2.1.1879] Nel mese di Decembre 1878. arrivò la carovana suddetta degli europei e del famoso procuratore Ghebra Teklì da Zeïla, capitanata dal figlio di Abubeker Maometto. Con quella [p. 52] condanna dell’assasino del p. Alessio carovana arrivarono alcuni frà i più colpevoli nel gran furto stato commesso a danno della Missione cattolica nell’affare del Padre Alessio morto in viaggio. Il Re Menilik, per dare una soddisfazione, non solo alla missione nostra, ma a tutti gli europei stati anche [de]rubati altre volte nelle carovane, volle finire il giudizio già stato incomminciato, per il quale già erano stati fatti molti esami e perquisizioni, ed erano precedentemente stati sequestrati ogget- /109/ ti rubati sul mercato di Elio-amba. Il Re volle che il giudizio si facesse precedentemente nel tribunale di prima istanza, presso l’Abegaz capo dei musulmani, al tribunale del quale venne condannato il capo della carovana nella quale viaggiava il defunto Padre Alessio suddetto, come solidario, obligato a restituire tutti gli effetti stati rubati alla missione. Ma il condannato essendosi appellato al Re, questi alla presenza di quasi tutti gli europei, e di un gran mondo concorso, riveduta la causa, confermò la condanna, e legato il condannato, fu consegnato alla missione, la quale, dopo due mesi, lo rilasciò dietro sicurtà, come già più a lungo è stato detto altrove (1a)
perché tanto zelo del re? Il Re Menilik in questa causa ha dimostrato un zelo incredibile da farsi credere da alcuni come principe zelante della giustizia ed amico fanatico della missione cattolica. Il cuore del uomo è un’abisso ben soventi inaccessibile ed impenetrabile, ed io non voglio [p. 53] pronunciare una mia sentenza sopra una materia da Dio solo conosciuta: ma stando a quanto si diceva secretamente da molti in quell’epoca di grande fermento politico, il zelo del Re nella causa suddetta mirava a tutt’altro che alla giustizia; motivi del suo zelo egli, prima di ogni altra cosa, aveva l’occhio suo rivolto all’Italia, dove il Capitano Martini stava perorando per i fucili e per i cannoni desiderati, sperando che questo nostro governo l’avrebbe esaudito in grazia del suo zelo nel proteggere la missione e gli europei in Scioa; quantunque [che] alcuni di questi stessi europei recentemente venuti spargessero notizie poco favorevoli alla spedizione di Martini in Italia, ed al modo poco favorevole con cui fù ricevuto qui, da questo governo.
causa di Ghebra tekli e, e di Forer Il Re Menilik mirava innoltre al bisogno che egli aveva dei missionarii cattolici, e di una gran parte degli europei stessi, per un’altra causa molto più grave, che egli pensava [di] far giudicare da essi contro il Procuratore suo Ghebra Tekli, e contro il Signor Forer, i quali in Zeïla avevano non solo mangiato il capitale di cento mille franchi dello spogliato Signor Arnous, ma presentavano al Re Menilik delle note di un credito di circa 50. mille franchi, come già è stato scritto altrove. Era /110/ questa una questione, tutta sua propria, la quale gli pesava assai, non tanto per il capitale perduto, il quale [era notevole] nell’epoca in cui [p. 54] egli si trovava di grande abbassamento in materia di finanze per la crisi della guerra e dei forti tributi da lui stati pagati all’imperatore Giovanni, quanto per il giuoco che essi si erano fatto di lui da renderlo ridicolo in facia al gran mondo dell’Oriente, e dell’Europa. Era questione di salvare una somma notabile, e di salvare anche il suo onore stato molto compromesso nell’affare di Arnus già da me narrato altrove. (1b)
Questo era un motivo per lui abbastanza grave per impegnare il re Menilik a trattare la causa suddetta del rubarizio fatto alla missione cattolica. primi timori detta missione Ma secondo le dicerie che si andavano spargendo da molti, esisteva ancora un’altro motivo più grave dei due precedenti, il quale toccava direttamente la stessa missione cattolica, secretamente minaciata di esilio dall’imperatore, col quale nella pace fatta [il re] si era dichiarato suddito. La missione cattolica era come il suo punto d’onore, sia in facia al paese di Scioa, sia ancor in facia all’Europa. La missione nel suo arrivo, essa non voleva restare in Scioa, ma voleva passare più al sud-ovest alla sua antica missione; egli fù che la fece rimanere come per forza, pregato da molti oracoli del suo regno; essa nel corso di dieci e più anni aveva piantato radici molto profonde, ed aquistato la simpatia di molti; in essa egli fondava le sue speranze di rigenerare il suo paese. L’esilio dei missionarii cattolici sarebbe stato non solo una specie di sconfitta [p. 55] per il Re Menilik, ma anche un disgusto quasi universale nel suo regno, ed una certa perdita di prestigio per lui. notizie incerte del sud Ciò tanto più poi cresceva, perché appunto in quell’epoca, incomminciavano a spargersi pure notizie non troppo favorevoli sull’esito della Spedizione geografica di Cecchi e di Chiarini verso Kafa dalla parte del Sud.
alcuni schiarimenti Sul proposito di simili notizie io debbo quì riferire tutta la storia, per giustificare non solo il Re Menilik, ma lo stesso Antinori capo della Spedizione, contro alcune esaggerazioni che si dissero, ed anche si scrissero in contrario (1c) Per mettere in chiaro questa scabrosa questione il mio lettore mi perdonerà, se io debbo ritornare a certi fatti della storia precedente. Il Re Menilik nelle sue lettere al governo italiano ha sempre /111/ promesso la sua protezione per la Spedizione geografica infra i confini del suo regno, e non più in là, dove egli non aveva relazioni coi governi galla, e dove non era arrivata la sua armata. In ciò egli aveva tutta la ragione, perché in quell’epoca i galla del sud-ovest godevano ancora tutta la loro indipendenza goduta sempre da secoli, ne alcun governo, o di Scioa, o di Gondar, oppure del Goggiam, [non] ha mai pensato a loro, essi anzi guardavano quei paesi, come i nostri antichi guardavano i goti e gli ostrogoti, in senso da [provare] orrore e terrore. Chi ha aperto gli occhj all’Abissinia sopra quei paesi sono stati i trionfi della missione cattolica. Io che l’ho incomminciata, invece di gloriarmene, debbo confessare [p. 56] e dire il mea culpa, per avere non poco contribuito alla rovina di quei poveri paesi, e della stessa mia missione, che mi costò tante fatiche. Con ciò io intendo solamente giustificare in certo [modo] il Re Menilik, il quale in realtà, fino a quel punto egli [non] ha avuto mai relazioni con quei paesi galla del sud-ovest, ed i precedenti tentativi di guerra di lui [non] hanno mai oltrepassato il Guraguè ed i Soddo Galla dalla parte di Gemma Abba Giffar; epperciò qualunque suo tentativo con trattative diplomatiche è stato sempre un risultato di qualche utilità.
vera storia dei fatti occorsi
[4.7.1878]
Ciò detto, rientro nella storia di quell’anno malaugurato, non solo per la Spedizione geografica del sud, ma anche per lo stesso regno di Scioa. Dopo la partenza del Capitano Cecchi ed ingeniere Chiarini. Il Re, d’accordo con Antinori non mancarono di mandare corrieri, ma furono sempre senza risultato. I mercanti arabi per l’avanti hanno avuto sempre il monopolio del commercio e della politica di quei galla sud-ovest di Scioa. Sono stati essi che hanno prevenuto tutti quei paesi contro la Spedizione geografica; essi impedivano la circolazione dei corrieri, e falsificavano le notizie.
notizie varie e contradittorie
In Scioa perciò le notizie publiche erano sempre favorevoli ai due viaggiatori che facevano supporre già arrivati a Kafa felicemente, mentre furono spogliati in viaggio ed imprigionati
[p. 57]
[17.1.1879]
[6.2.1879]
in Ennerea ed in Ghera. Le notizie secrete dei mercanti erano contradittorie, alcune erano tutte favorevoli ai due viaggiatori, mentre alcune altre secretissime non mancavano di lasciar travedere qualche cosa di sinistro contro i suddetti due viaggiatori. Fu allora [che] arrivò il caso riferito dal mio coadjutore.
fatto di monsignor Taurin e suo catechista Monsignore Taurin Cahagne da Finfinnì, recatosi in Antotto col suo catechista Giuseppe, per domandare notizie dei viaggiatori a Ras Govana colà accampato, e tutto nostro amico; questi lasciò trasparire alcuni dubbj, ma egli stesso confessava di non essere abbastanza certo sulle notizie date a Monsignore mio coadjutore suddetto. Ora, mentre Mon- /112/ signore si trovava con Ras Govana a parlare, il suo catechista Giuseppe girando fuori frà i mercanti, sentì due mercanti che parlavano frà loro secretamente dei viaggiatori stati spogliati non solo, ma anche legati, ed alcuni morti. Mentre il catechista adocchiava i due mercanti che parlavano frà loro, un terzo mercante che lo conobbe corse subito [d]ai due che parlavano fra loro per avvertirli di cangiar discorso. Questo fatto confermò le notizie sinistre al catechista, ed appena Monsignore sortì da Ras Govana, gli raccontò tutta la storia passata fra i mercanti.
[14.2.1879]
una verità d’incontro
Fu allora che Monsignore Goadjutore scrisse una lettera a me, ed al capo della Spedizione Signor Antinori, raccontando tutto
[p. 58]
[tutto] il fatto accaduto. Ricevuta quella lettera Antinori venne da me sul momento
[iniz. mar. 1879]
[6.3.1879]
[10.5.1879]
che partiva una carovana per Zeïla, e fu spedita sul punto una lettera al console italiano di Aden, affinché spedisse subito la notizia a Roma per informarne la Società geografica. Antinori per parte sua partì subito col suo dragomanno per Liccè, dove conferito col Re Menilik, e munitosi di raccomandazioni presso Degiace Govana, partì immediatamente per Antotto e per Finfinnì, dove rimase più di due settimane, per verificare meglio le notizie.
il re ed Antinori non ebbero più riposo Dopo questo fatto, tanto il Re Menilik, quanto Antinori non ebbero più riposo. Il Re per parte sua fece esaminare tutti i mercanti recentemente venuti dal sud in Elioamba e contorni; io stesso ho mandato secretamente persone sconosciute per verificare le notizie secrete che correvano fra i mercanti. Anche Antinori al sud sulle frontiere del fiume Awasce fece lo stesso, e dovunque risultò sempre una smentita solenne delle notizie scritte da Monsignore Taurin, mio coadiutore, e già spedite alla costa, ed in Italia. Io però, ben conoscendo la congiura secreta dei mercanti, non era tranquillo, ma dovetti per prudenza tacere, per non comparire come un perturbatore: [p. 59] lo stesso si dica del mio Coadjutore, e della sua intiera casa di Finfinnì. Le cose erano in questo senso, quando un mercante di qualche peso, venuto da Kafa e da Ghera a Roghiè vicino ad Antotto di recente, depose con giuramento ad Antinori, che egli coi proprii occhi aveva veduto i due nostri viaggiatori in Ghera, i quali stavano molto bene, e si trovavano sul punto di partire per Kafa.
una falsa smentita
Fu allora che il povero Antinori, il quale non conosceva la lingua del paese, e doveva sentire e parlare col mezzo di un dragomanno, in verità poco fedele, finì per esserne convinto e rimanersene tranquillo sopra lo stato dei due nostri viaggiatori del sud. Egli, allora tranquillizzatosi, colla sua mano sinistra, la quale si era abituata a scrivere solo coll’amatita o lapis,
[30.4.1879]
mi scrisse una lettera, nella quale mi narrava il fatto, e mi dava
/113/
le più favorevoli notizie dei viaggiatori Cecchi e Chiarini, pregandomi di mandarle al più presto possibile in Aden. Colla lettera di Antinori mi arriva in pari tempo una lettera del mio Coadiutore, il quale non prestava fede alle deposizioni del mercante creduto da Antinori. Io, lette le due lettere, e meditata seriamente la questione, come di necessità mi trovai perfettamente d’accordo col mio coadiutore.
seconda lettera al console
[7.5.1879; inoltrate dal console al Ministero: 7.7.1879]
Ma pure, io non poteva smentire un documento
[p. 60]
officiale con dei semplici ragionamenti e senza documenti positivi; io perciò dovetti risolvermi di spedire al console italiano di Aden la letterina di Antinori tal quale mi è venuta per la prima occasione che ho avuto, senza commenti di sorta: Le spedisco la lettera di Antinori, io diceva al Console, ma non ritratto la mia precedente. Fu dunque in questo modo, che arrivarono alla Società geografica da noi lettere contradittorie relativamente allo stato dei due viaggiatori prigionieri in Ghera.
conclusione sopra la questione
[È] Falso dunque che il Re Menilik, ed Antinori capo della Spedizione, non abbiano fatto ogni loro possibile per conoscere la verità del fatto. Furono i mercanti che gli ingannarono. Fino a quel momento i mercanti musulmani erano ancora in pieno possesso del monopolio del commercio e delle corrispondenze verso il sud di Ennerea, Ghera, e Kafa... Anche supponendo che fosse stata conosciuta la verità, in quel momento il Re Menilik [non] avrebbe potuto far nulla per quella via del sud.
conferma
In fatti fù in quell’anno medesimo, in cui viaggiavano verso Kafa i suddetti due nostri viaggiatori, [che] ebbero luogo i primi fatti d’armi dell’armata di Scioa verso i Galla Ovest, dai quali naque il prestigio della medesima armata, la quale un’anno dopo la mia sortita da quel regno nel 1880. poté poi arrivare sino a Kafa; ed ecco come fù la storia. Dopo
[† set. 1870]
fatto di Lagamara
la morte del nostro
[p. 61]
principe Gosciò Gama di Gudrù, di cui già è stata riferita la storia, il rivoltoso Givat avendo chiamato in soccorso Ras Adal principe del Gogiam per battere la dinastia di Gama suddetto, divenuto come padrone del Gudrù, avendo fatto alcune scorrerie nel paese di Nunnu più al sud, e minaciando di passare più oltre, nell’anno stesso in cui i viaggiatori nostri camminavano verso Kafa l’armata del Re Menilik,
[1.11.1878]
chiamata dai capi del paese di Nunnu, fece la prima sortita all’Ovest, e sconfisse Ilù, Celia, ed arrivò sino a Lagamara, quando per errore
[3.11.1878]
non la perdonò alla stessa missione nostra, come già si disse altrove. Prima di questo fatto d’armi, i paesi Galla del sud erano per il Re Menilik come paesi sconosciuti, e la sua armata [non] passò mai i Soddo, ed il Goraguè. Sarebbe quindi stato impossibile soccorere i viaggiatori nostri, anche nel caso di saperne la notizia certa della prigionia dei medesimi.
(1a) [Procedura] Secondo le leggi dell’Abissinia [circa] il ladro oppure [l’]assassino giudicato: la materia rubata in natura [si] cede al fisco del governo se è trovata; la persona poi giudicata e condannata è consegnata all’accusatore, il quale lo mette in prigione fino a tanto che [che] restituisca la somma stata fissata dalla sentenza. Nel caso narrato il Re restituì alla missione alcuni oggetti stati trovati, come cose di Chiesa; per tutto il resto doveva restituirci mille scudi. La missione dopo due mesi lo rilasciò per prudenza, temendo di compromettere la sicurezza della strada di Zeïla. [Torna al testo ↑]
(1b) Questa causa fu poi trattata più tardi, dopo il mio esilio dal regno di Scioa. Da quanto dice Gustavo Bianchi, pare che gli europei non abbiano voluto prenderne parte per timore di critiche in Europa. [Torna al testo ↑]
(1c) Anche qui il Signor Gustavo Bianchi nelle sue memorie publicate in Milano dai Fratelli Treves, pare che abbia l’aria di accusare il Re ed il capo della Spedizione geografica di non avere abbastanza trattato la causa dei prigionieri di Ghera Capitano Cecchi ed ingeniere Chiarini. [Torna al testo ↑]