/124/
12.
Ultimo abboccamento con Menelik.
partenza segreta del re.
Abbiamo camminato tutta quella giornata fra popolazioni amiche; la sera in un villagio per compiacere i nostri ospiti ho dovuto passare qualche ora ad inoculare il vaïvuolo. Non parlo della cena [p. 78] che fù sufficiente non solo per tutta la nostra carovana, ma per tutti gli amici che passarono la sera con noi per essere istruiti, e poté ancora riservarsene per l’indomani, moltissime essendo state le offerte di pane, di birra, e di latte. il mio onomastico nel deserto L’indomani 25. di Giugno, giorno del mio onomastico, volendo tenere la via più diretta, si doveva attraversare un piano deserto infestato dagli Adal, o Danakil. Siamo partiti di notte, e tutti i giovani più arditi del villagio vollero accompagnarci per tutto quel tratto di alcune ore di viaggio; siamo arrivati verso mezzo giorno ad altri villaggi amici, dove abbiamo fatto alto fra le acclamazioni di molta gente che era stata avvertita nella notte, e che ci aspettavano, stati chiamati dal desiderio di essere inoculati del vaïvolo. fra altri popoli amici Là trovammo molti dei già inoculati anticamente in Escia, e conosciuti dai miei catechisti; era quella una popolazione, dove avrei potuto rimanere anche molti mesi, con speranza di fare del bene. Ma non fù possibile acconsentire a tutti i desiderii di quella brava gente, che dovette contentarsi di promesse future nel nostro ritorno.
in vista del paese fissato Dal villagio dove eravamo accampati di fronte sopra una bella collina al nord si vedeva un grosso villaggio, di cui non mi ricordo il nome; era [la] residenza del governatore di quella provincia, e quello era appunto il luogo [p. 79] stato fissato dal Re, dove doveva avere luogo il nostro incontro. parte la cena del re Già il nostro villagio aveva sentito, non solo l’arrivo del Re di quella stessa sera, ma erano venuti ordini per i preparativi della cena solita di uso da portarsi, e si stava organizzan[do] la partenza ad una certa ora. congedo della scorta Circa le due dopo mezzo giorno, mentre questa carovana incomminciava [a] deffilare, abbiamo congedato gli amici che ci avevano accompagnato la mattina, i quali dovevano ripassare il deserto per /125/ rimpatriarsi. In quanto a me fu [rivolta a quella gente] una breve allocuzione di ringraziamento, e di alcune paterne raccomandazioni, ma non fù così dei miei giovani catechisti, i quali gli avevano già praticati ed istruiti molto in Escia, la loro separazione presentò un’edificante spettacolo: si sarebbe detto che era una sola numerosa famiglia che si stava separando per un lungo tempo. L’abbraciarsi caramente frà loro, come altrettanti padri e figli, oppure fratelli, le esortazioni, le promesse reciproche erano qualche cosa di commovente per me, ed anche istrut[ti] vo per il paese dove eravamo. L’uomo di Dio è sempre in casa sua dovunque, e presenta sempre l’edificante spettacolo al mondo, agli angeli ed agli uomini.
nostra partenza I miei giovani, lasciata la carovana del giorno precedente, partendo, si trovarono in altra carovana tutta di diverso genere, colla quale [p. 80] dovevano esercitare il loro famigliare ministero apostolico. usi particolari del paese L’uomo maschio di quei paesi, anche schiavo, non usa portare canestri di pane, vasi di birra, oppure altri comestibili, essendo questa un’attribuzione di [uso riservata alle] sue donne siano libere che schiave. Il maschio in simili carovane usa condurre cavalli, muli, asini, bovi, vacche, pecore, capre, oppure portare anche otri pieni, ed altro simile. La nostra carovana quindi dovendo portare la cena per il piccolo campo dei Re, era composta nei due terzi di donne, e non di donne vecchie che non potevano portare sopra la testa canestri e vasi di liquidi, ma erano donne giovani, o maritate, oppure nubili. il zelo e la riservatezza I miei giovani catechisti e non catechisti, entrando in quella carovana, come era naturale, si unirono ai maschi per l’esercizio del loro ministero familiare, e per modo di conversazione camminando. Essi da una parte anelavano di catechizzare anche le donne, perché in materia di apostolato, guadagnata la donna, è guadagnata la casa. Più ancora di essi le stesse donne, le quali la mattina avevano veduto lo spettacolo della separazione dei miei dalla carovana precedente, e sentite cose simpatiche, bramavano ancora di più di camminare coi miei giovani, e sentire dalla bocca loro tante belle istruzioni, che molte di esse avevano già sentito [p. 81] in Escia, dove erano venute prima per essere inoculate del vaïvolo. il mistero del pudore Io, che conosceva il cuore dei miei giovani, [ne] misurava tutte le loro tendenze da una parte, ben conoscendo il loro zelo; dall’altra parte poi l’esperienza di vecchio [missionario] in quei paesi, mi aveva fatto anche conoscere il misterioso linguagio degli occhj nella donna, il quale suole parlare molto al vivo, anche tacendo, sopra del uomo. Dalle due parti dunque esisteva una tendenza ad avvicinarsi, ma fra i due sessi, massime giovani, anche frà quei barbari, anzi oserei dire ancor più frà quei barbari, Iddio ha posto /126/ un muro misterioso di rispetto e riguardo reciproco (1a) che gli tiene lontani, per avvicinarli più sicuramente, il quale è nel tempo stesso un’esca quasi irresistibile che gli attrae, ed un’antimurale che frena l’urto irregolare di quell’amore che da tanto peso, ed innalza allo stato, come di santuario, i legami del toro domestico in facia alla famiglia, di cui ne è la sorgente e nel tempo stesso la dote sacra o patrimonio che lo sostiene.
lo spirito di Dio a tutto arriva Nella storia che ci occupa attualmente, alcuni capi della carovana, i quali avevano penetrato tutto il mistero del cuore dei nostri zelanti giovani e tutto il pio desiderio del sesso feminile di quella nostra carovana, come persone che ci avevano molto frequentato da vicino, trovarono la maniera di appagare il desiderio delle due parti, mettendosi essi medesimi fra mezzo alle due parti, come oracoli [p. 82] di famiglia, interessando essi medesimi la conversazione catechistica, e facendo delle interrogazioni a proposito. nostro viaggio Io mi deliziava nel contemplare il grave contegno degli occhi principalmente, che sono per lo più gli interpreti sinceri, e nel tempo stesso la spia quasi infallibile delle vie del cuore in simili casi; io ne pesava le parole, e persino la modesta composizione delle mani degli uni e delle altre, ed aspettava il momento di dovere parlare come oracolo di appello nelle questioni, oppure ben soventi per sciogliere alcune difficoltà dottrinali; più soventi ancora [ero] pregato di raccontare alcuni fatti già sentiti, ma dimenticati dai miei stessi catecumeni o catechisti. Così occupati, non tardarono di passare le tre o quattro ore di viaggio che stavamo facendo per arrivare al villagio, e senza quasi accorgersene era già arrivata la sera: i raggi del sole erano già quasi orizzontali alla nostra sinistra, il che vuole dire che erano passate le sei di sera, perché a circa dieci gradi dall’equatore, e quasi in pieno solstizio, il sole al più tardi doveva lasciare l’orizzonte alle sei e 45. minuti circa. Incomminciava [a] sentirsi il nagarit del Re, il quale stava per arrivare (1b).
/127/
il nostro arrivo e ricevimento
[a Oiramba]
Ci venne all’incontro un impiegato del governatore ad interrompere la nostra viva conversazione. Egli, già avvertito del mio arrivo, venne direttamente verso di me per condurmi all’abitazione statami destinata; come il Re stava per arrivare egli era premuroso di condurci presto
[p. 83]
al nostro luogo, e trovare tempo per ricevere la cena venuta con noi, prima che arrivasse il Re col suo seguito, e così prevenire la confusione. Io coi miei giovani entrammo subito in casa; un’soldato molto garbato ci fu dato di guardia, per allontanare ad ogni caso la moltitudine. Appena registrati i canestri di pane, a vasi di birra e d’idromele, le marmitte di pietanze, il bue, le pecore e capre da macello, una parte, più che sufficiente per la mia casa, mi fu consegnata da tutto ciò che era venuto con noi.
arrivo del re Non tardò ad arrivare il Re con un seguito di circa mille persone tra soldati, e persone di servizio di ogni genere e categoria. Il suo arrivo in un piccolo villagio, nella casa di un governatore di secondo ordine, è chiaro che doveva portare un poco di confusione; tanto più che fù una determinazione arrivata quasi all’improvviso al governatore di quel paese, il quale non ebbe neanche tempo per prendere tutte le occorrenti misure. Ma il Re era conosciuto da tutti come un’uomo calmo, pieno di bontà e di condiscendenza in simili casi, epperciò nessun disordine ebbe a deplorarsi. egli mi previene Il Re, appena arrivato, avendo conosciuto il mio arrivo, non aspettò che io mandassi a lui per il complimento di uso, ma volle prevenirmi: mi spedì subito un suo [un suo] fido con un vaso del miglior idromele portato da un servo: Siate il benvenuto, padre mio, disse; sappiate che io sono venuto quì per voi; ho dovuto tardare di un giorno una piccola operazione [p. 84] di guerra col nemico, dove sono aspettato dal resto della mia armata di campagna. Di questa notte vorrei terminare gli affari con voi per poter partire domani. il nostro incontro Non mancate perciò di disporre le cose vostre, perché dopo poco ci troveremo. Di fatti appena ebbi tempo di prendere alcune misure, che egli mi chiamò. Egli mi aspettava in una piccola casa tutto solo: mi ricevette colla massima cordialità, e semplicità più del solito: mi fece sedere sopra un’alga per me preparata; egli stesso mi presentò un brillè d’idromele, come se fosse stato un figlio al suo Padre, anzi un domestico.
una mia confessione Qui il mio lettore permetterà che io facia la mia confessione esponendo candidamente tutto ciò che passò nel mio cuore e nella mia mente dal momento che ho ricevuto l’ultima lettera del Re sino al momento del nostro incontro prima di narrare il risultato della conferenza, come confessione necessaria per formarsi un giusto criterio della mia posizione in quel momento, e per comprendere tutte le cose da me dette fin quì, e /128/ ciò che dirò in seguito. Appena ricevuta la lettera del Re la mia imaginazione mi presento l’idea del mio esilio in tutta la sua estensione, come è avvenuto, ed il mio cuore entrò allora in un periodo di vera febbre; il mio partito preso di tutto dire al re io aveva fatto il piano e presa la risoluzione di esporre la cosa pura e semplice al Re Menilik, supponendolo conscio, [p. 85] e complice di tutto, a fronte che egli cercasse di tenersi fuori di tutto, anzi in perfetta buona fede sul conto dello stesso imperatore Giovanni. Io sono rimasto in questa risoluzione dal giorno in cui ho ricevuto l’ultima lettera che mi intima[va] di partire, sino al mio arrivo al campo del Re Menilik, benché esternamente non abbia dato il menomo segno, come il mio lettore può persuadersi dal fin quì narrato. Da una parte mi pareva impossibile che il Re non dovesse tutto sapere e tutto conoscere; dall’altro canto poi io aveva abbastanza pratica con lui e confidenza, per credere di poter tutto dire senza fare dei guai, persuaso, che egli avrebbe tutto confessato, e nel caso mi avrebbe anche esposto candidamente tutte le sue strettezze, per potergli dare l’ultimo mio consiglio sul quid agendum; gli avrei anche detto l’ultima mia disposizione di tutto soffrire ed anche morire in caso di bisogno.
ultimo mio ragionamento Ora, appena entrato dal Re, veduta la sua grande tranquillità, e tutta la solita sua cortesia, nel momento stesso di separarci per sempre, allora mi sono spaventato. Cosa facio quì, dissi fra me stesso? O che questo uomo è in buona fede, ignaro di tutto ciò che io penso, in questo caso egli è un gran sciocco, è un puro stromento nella mani dei nemici, ed i miei ultimi consigli saranno inutili, come [a] uomo stupido incapace di reagire. Oppure è il caso opposto, [p. 86] egli tutto conosce, tutto sa, ed è il caso di una finzione ed ipocrisia, allora il Re è un gran fellone capace di tutto. In tutte [e] due le mie supposizioni è inutile il parlare, perché [non] otterrei nulla, anzi non farei altro che innasprire e precipitare la persecuzione. Stia perciò la risoluzione già presa coi miei compagni, di aspettare gli eventi, e di rimettere ogni cosa alla Providenza. In questo caso io debbo confessare d’essermi sbagliato nel criterio fattomi sul conto del Re. [Dissi, perciò, a me stesso:] Comunque sia per essere la cosa egli finge, nel caso supposto, di nulla sapere, e mantiene il suo carattere di amico, e la sua piena fiducia in me, come se nulla fosse, anche io fingerò di tutto credere, e di tutto sperare in lui.
conferenza con Menilik Dopo questa mia ultima risoluzione, i miei affari col Re Menilik in quell’ultimo incontro si ridussero a poche cose. Rinunziato avendo la mia posizione di consigliere, sempre tenuta sino a quel momento, allora io mi sono ritirato sul terreno di semplice missionario cattolico, e mi sono ridotto a fargli una consegna di tutti gli atti fatti come superiore /129/ della missione, che egli già conosceva, perché fatti [per] la maggior parte col suo consenso; gli ho parlato delle case, dei terreni, e del missionarii che rimanevano a rappresentare la missione, raccomandando ogni cosa alla sua protezione e custodia; egli mi promise e mi giurò di mantenere tutte le cose nello statu quo sino all’ultimo suo respiro. [p. 87] Dopo ciò, ultima mia parlata al medesimo Sentite, gli dissi, io parto coi due compagni i più capaci, e quelli che erano alla testa di una gran parte delle operazioni fatte, e lascio come mio rappresentante Abba Atanasio (P. Ferdinando da Hieri), e partiamo [in] tre unicamente per obbedire a voi, e non ad altri.
Una volta sortiti dal vostro regno, ed entrati nel regno dell’Imperatore Giovanni, noi saremo sempre sotto la vostra protezione, ben inteso, ma noi non saremo là colla forza per spiegare delle pretenzioni, e saremo obligati ad obbedirlo in tutto quello che potremo senza tradire il nostro dovere di sacerdoti missionarii cattolici; epperciò voi non sarete più il nostro Re. Voi giurate che è questione solo di consigli, e di una spedizione; e che io dovrò ritornare; tutto sarà, come voi dite, ma tutto dipenderà dall’imperatore Giovanni, e toccherà a voi intenderla con lui, e non a noi uomini stranieri e senza forza.
ultima sua risposta Mi sono accorto che questo mio discorso l’aveva toccato un poco nel vivo: Sentite, mi rispose egli; voi mi conoscete da molti anni, e sapete come la penso rapporto alla vostra missione, la quale è una creazione mia, nella quale, e dalla quale dipende il mio onore. Questa sera io non ho tempo per entrare il molte questioni; domani mattina debbo partire presto, perché sono aspettato dalla mia piccola armata per sorprendere il nemico, operazione di un giorno, dopo la quale io parto per Liccèe, [p. 88] dove devono arrivare Abuna Jacob, ed Abba Gonzaga (Monsignor Taurino, ed il P. Luigi Gonzaga) per congedarsi da me, dovendo essi raggiungervi a Warra Ilù, dove siete aspettati dagli uomini miei, e dai messaggieri dell’Imperatore Giovanni. Voi intanto, se avete ancora qualche cosa da dirmi potete dirmelo; il resto si farà in Liccè coi due vostri compagni. Allora scriverò anche lettere d’accompagnamento. Voi di quì anderete al mio campo, dove vi aspetta il mio Cugino Masciascià; egli non mancherà di darvi tutto ciò che vi occorre. il re era commosso all’eccesso Il Re nel dire tutte queste cose era commosso all’accesso, e non vedeva il momento di terminare la scena e liberare il suo cuore dalla tortura che gli cagionava la mia stessa presenza. Io stesso sentiva il bisogno di terminare presto: ho fatto venire il mio Prete Sahelie, il mio Procuratore di Wanenamba, ed alcuni miei di casa, i quali dovevano ritornare al loro posto; ho domandato al Re per i medesimi alcune dichiarazioni, che subito si fecero: non temete, disse loro, il vostro Padre [egli] presto ritornerà, e /130/ sino al suo ritorno io penserò a voi; quindi, rivolto a me, se vi sarà ancora qualche cosa si farà domani mattina, disse, così finì la scena.
io ne ho mangiato, ne dormito Io per quella sera, ne ho mangiato, ne tanto meno ho potuto dormire. I miei di casa speravano ancora in un secondo incontro, ma io mi sono accorto molto bene che la speranza di rivederci l’indomani [p. 89] era una di quelle transizioni per fingere il taglio lontano, che suol farsi dal chirurgo nel momento di tirare il corpo; una pilola di morfina era una pilola di morfina che suol darsi all’ammalato amputando: Padre mio, buona notte, disse [il re], tergendosi quasi gli occhj; con ciò egli fu morto a me, ed io a lui. i miei di casa non compresero Siamo sortiti; i miei di casa non avevano compreso tutto il mistero che si passò nel cuor mio, ed in quello del Re. Ne, io volendo che lo capissero, ho cercato subito d’intavolare altri discorsi: ho parlato loro del ritorno ad Escia, ed a Wanenamba, a cui dovevano pensare; parlai loro della mia andata al campo, dove mi aspettava il cugino del Re Masciascià. Io sono stanco, dissi loro, portatemi un piccolo corno d’idromele, quale bevuto, io sento il bisogno di riposare; voi mangiate la vostra cena; dopo fate le preghiere di uso, non dimenticando i vostri catecumeni, del viaggio, ai quali darete da mangiare e da bere: buona notte a tutti, e così mi sono ritirato a dormire, o meglio a digerirmi la pilola misteriosa dell’esilio, che mi vedeva venire.
il mio rosario di Getsemani Io era tutto solo in una piccola capanna a parte; mi sono posto a recitare il mio solito rosario dei fiat voluntas tua, detto del Getsemani, o degli afflitti, del quale già si è parlato altrove. Tutta vicina alla mia capanna si trovava la grande capanna [p. 90] della famiglia, la quale, presieduta dal mio Prete Sahelie, stava mangiando e bevendo: cena e catechismo in famiglia essa era tutta allegra, e non ci vedeva che [i] trionfi del Taborre nelle carezze statemi prodigate dal Re, e forze non si sbagliava in massima, perché è morendo che Cristo seppelì la Sinogoga, e confinò il diavolo nella sua prigione; solamente vi rimaneva anche per essa ancora qualche tempo di prova [d]a passare prima di arrivare alla risurrezione, ed alla Pasqua. Io sentiva tutto: il mio prete Sahelie fece una bellissima conferenza che riempì di coraggio i giovani catechisti ed i pochi catecumeni stati chiamati a godere le liberalità del Re, ed a fare la preghiera. Le rose bagnate con un corno di idromele, cosa insolita a tutta quella gente, erano lì lì per fiorire mentre essi presero il sonno.
canto del gallo e partenza del re. Al terzo canto del gallo, che in quei paesi segna circa le quattro [di] mattina, io era ancora sveglio travagliato dalla digestione della mia pilola misteriosa; la mia famiglia dormiva soporitamente, quando nella corte del Re incomminciò a spiegarsi un gran movimento di andirivieni, non /131/ ho tardato a comprendere subito [di] ciò che si trattava: il Re era di partenza in secreto, pensando che io dormissi, egli temeva la crisi di un secondo incontro. soverchia delicatezza del re per me. Egli nel partire secretamente simulava invece un tratto di finissima delicatezza a mio riguardo, e diceva [p. 91] sommessamente: fate piano, perché Abba Messias stanco del viaggio dorme e non va svegliato: io, attraverso la mia capanna non impiastrata di fango, sentiva ogni cosa, e mi guardava bene anche di tossire per lasciargli in buona fede; ho dovuto anzi farmi violenza circa una mezza ora, per non farmi sentire, poiché vi volle più di mezz’ora per sgombrare tutto il seguito reale. alcune riflessioni Quando tutti furono partiti, allora solamente ho potuto prendere un poco di sonno. Un’oretta di riposo mi valse due grani di oppio per tranquillizzare la mia imaginazione ed il mio cuore. Incomminciava l’aurora, che in quei paesi precede appena [di] un quarto d’ora la sortita del sole, i raggi del quale essendo diretti alla terra, e la linea retta essendo sempre più breve dell’obliqua, ne nasce la conseguenza che l’aurora deve essere più breve: il gallo cantava ogni momento, sia per uniformarsi agli altri ucelli, i quali usano tutti, quelli che non sono notturni, cioè amici delle tenebre, pagare questo tributo al loro creatore; sia ancora per dare il buon giorno a tutta la sua numerosa famiglia, che molto ama di un’amore che non è meritorio, come sappiamo, e ben lo sanno gli uomini di mondo.
facio alzare la famiglia Al comparire [del] l’aurora adunque mi sono recato secondo il mio solito a far levare la mia famigli[a] per la preghiera del mattino, ma essa, che la sera precedente aveva ben mangiato e meglio bevuto, sentiva ancora il bisogno di dormire; alzò la testa il mio sacerdote indigeno, il quale, benché zelantissimo, pure sentiva anche egli tutto il peso dell’idromele bevuto la sera. Padre, disse, tutta la corte dorme ancora, non sarebbe meglio aspettare [p. 92] un poco per non disturbare la gente? no, caro mio, [risposi,] tutti sono levati, epperciò [non v’è] nessun pericolo. il re è partito secretamente; stupiscono Allora il buon Sahelie, sortì un momento dal cortile, sia per verificare, o sia per altri bisogni che gli occorrevano appena levato, e sulla porta trovò una buona vecchia schiava: cosa fai quì, gli disse il Prete? aspetto la [riunione per la] preghiera, rispose essa; noi aspettiamo che il Re sia levato per non disturbarlo, soggiunse il prete. Cosa dice? rispose la vecchia, il Re è partito questa notte con tutta l’armata; è andato anche il nostro padrone per accompagnarlo. Il povero mio Prete restò di stucco al sentir questo, e venuto da me, come va questo? disse, sapete che il Re è già partito? certo che lo so, risposi io, fate levare la famiglia, e fate le preghiere senza cercare altro, perché gli affari nostri sono tutti terminati.
/132/ Mentre il buon Prete faceva levare la famiglia, ed accordava alla medesima il piccolo rilascio di uso, per sortire nel bosco, il buon sacerdote sarebbe stato impaziente di sapere i detagli della partenza del Re, ed il risultato di ulteriori nostre conferenze, che egli supponeva aver avuto luogo nella notte, ma ritorna il Governatore in quel momento arrivò a proposito il Governatore, rimandato indietro dal Re con una quantità di soldati per tenermi compagnia, e poscia accompagnarmi nella mia partenza. Così io fui dispensato di raccontare al prete ciò che, ne poteva, ne voleva dire. Arrivato il Governatore, noi ci siamo ritirati a discorrere soli nella mia capanna, e la gente di casa andò a fare la preghiera. ordini del re Accompagnato il Re ad una certa dis- [p. 93] tanza, [mi confidò il governatore,] questi, chiamatomi in disparte, prendi con te una quantità di uomini sufficiente, va ad Abba Messias, mi disse, e gli dirai che oggi passi la giornata con te a riposarsi, e domani, se si sentirà di partire, lo accompagnerai al campo, e lo consegnerai al mio cugino e tuo padrone Masciascià. Per carità guarda di trattarmelo bene, perché l’ho lasciato forze un poco disgustato. Se una parte della sua gente dovrà ritornare al suo paese la farai accompagnare da persone fide con una lettera a mio nome [al] Messeleniè o Procuratore di Arramba, raccomandandogli di avere tutta l’attenzione per la sua gente di Escia, di Fekeriè ghemb, e di Wanenamba sino al suo ritorno. Al mio cugino Masciascià [non] avrai nulla da aggiungere, perché già tutto è inteso con lui prima di partire. Tali sono gli ordini del Re, disse il Governatore; Ella perciò non ha che [da] comandarmi.
mie risoluzioni
Molto bene, risposi io; quando è così io la prego di far partire il mio Messeleniè o Procuratore di Wanenamba con tutta la sua gente venuta per accompagnarmi, perché essi hanno bisogno di ritornare al loro paese ed ai loro affari. Tutti gli altri di casa mia potranno seguirmi domani sino al campo del Re: di là deciderò chi dovrà ritornare verso Ankober e Fekeriè Ghemb, e quelli che dovranno
[p. 94]
seguirmi più in là. Così si fece, a fronte che alcuni cercassero di seguirmi; col mio Messeleniè partirono tutti i giovani di Wanenamba ben accompagnati, e con buone notizie a consolazione di tutte le nostre case e di tutti i nostri cattolici.
il Governatore del paese
[Guddettà]
Il Governatore di quel paese era uno dei confidenti, consigliere anzi di Degiace Masciascià cugino del Re, venuto di recente col suo padrone da Antotto e da Finfinnì; egli conosceva molto bene tutti gli usi delle nostre case, ed anche un poco di istruzione cattolica, ed aveva imparato qualche preghiera. Ciò che mi interessava anche molto, egli aveva accompagnato i due viaggiatori del Sud[: il] Capitano Cecchi e l’Ingegnere Chiarini sino all’Awasce. In tutta quella giornata perciò ho
/133/
potuto avere da lui molti detagli, tanto delle nostre missioni di quelle parti, quanto dei viaggiatori suddetti. La stessa sua famiglia sentiva con piacere il catechismo e le preghiere; non mancavano in essa alcuni catecumeni che anelavano di ricevere i sacramenti. Quella giornata perciò non fù perduta anche in materia di ministero apostolico.
(1a) L’uomo cristiano nella nostra Europa civilizzata che suole riflettere, meditare, ed anche calcolare senza passione, frà i barbari primitivi trova di che edificarsi, ed anche di che vergognarsi. In queste mie memorie trova dei fatti quasi incredibili, quando io descrivo l’interiore di una casa povera, dove in famiglia i due sessi si trovano come in contatto per la ristrettezza di luogo, e mancanza di vesti, senza il menomo pericolo. Più ancora quando descrivo la storia di un povero nostro europeo nel primo anno del mio arrivo in Scioa. Il codice del vangelo quanto è bello in questa materia...! [Torna al testo ↑]
(1b) Si dice Nagarit l’insieme della compagnia dei tamburri dell’armata reale. Si dice anche Nagarit il gran tamburro, direi quasi fenomenale, che si suole battere nella publicazione delle leggi, oppure atti publici del governo. [Torna al testo ↑]