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30.
A Suakim. Scièk Abdallah.
Storia della città e commercio.
Si fece l’ultima stazione di riposo diurno, nel quale terminarono quasi totalmente le nostre proviste. Nella nostra carovana si parlava, e da tutti si supponeva prossimo l’arrivo a Soakim, eppure esso ancora ci sembrava lontano.
vicinanza di Soakim
Si partì alle due, e dopo il viaggio di un’ora per un piano nojoso, alla fine, arrivati sopra una piccola, e quasi insensibile elevazione, ci trovammo quasi all’improvviso, come
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sopra la riva del mare in facia a Soakim, quasi dentro il mare. In dieci minuti eccoci in Soakim, noi dicevamo, ed in linea retta quasi sarebbe stato il caso di arrivarvi, ma pure camminammo ancora quasi un’ora facendo giri quasi sempre sopra la riva del mare ora a destra, ed ora a sinistra, ogni momento per entrare nella città.
nostra entrata in essa
[26.1.1880]
Finalmente passammo come un piccolo canale sopra una specie di ponte, e ci trovammo dentro la quasi isola, dove esiste la città di Soakim, piccola città, ma sufficientemente bella, che abbiamo attraversato frammezzo ad un vivissimo mercato, percorrendo una lunga contrada popolarissima di gente che ammirava la nostra carrovana sopra il poetico o [a]romantico carico del nostro camelo, il quale camminava superbo del suo arrivo, per arrivare alla porta di un ricco mercante chiamato Signore Elia, greco, e corrispondente del nostro maronita, il quale ci ricevette cortesemente, e dopo una breve refezione, ci condusse egli stesso ad
la nuova casa
un’altra casa vicina destinata per la nostra dimora.
descrizione della casa Questa casa di nostra dimora consisteva in una vasta camera, quasi circondata da un divano arabo, o soffà con due letti o alghe tessute di cuojo tagliato in coreggie per dormirvi, una sufficiente tavola per mangiarvi, ed alcune sedie. Veduta la casa, siamo sortiti per vedere il cortile abbastanza grande anche per passeggiare, a diritta della porta avevamo il mare, o meglio il porto della città, abbastanza vasto, separato da un muro abbastanza alto da non essere veduti. A sinistra della porta di casa esisteva una baracca di legno coperta di stuoje, fornita di banchi e di alcune [p. 340] sedie, luogo da ricevere persone, e conversare al- /299/ l’umbra, ed all’aria marina, secondo gli usi dei paesi caldi, nei quali l’interno della casa poco si presta per il sovverchio calore. Il cortile aveva una [una] sortita verso il mare o porto di circa sette o otto gradini, per la quale noi potevamo discendere per lavarci a nostra volontà, ed in caso di partenza per la via di mare, dalla stessa nostra casa noi potevamo salire sopra il bastimento senza passare dalla parte della città. Il nostro alloggio perciò per questa parte non poteva essere migliore. Come noi poi non avevamo servi, il Signor Elia nostro padrone ci faceva preparare mattina e sera il pranzo e la cena, ed egli stesso veniva immancabilmente a mangiare con noi, e soventi anche nel giorno veniva a trattenerci in utile conversazione, conducendoci ben soventi le persone più interessanti della città.
la carovana se ne va Nel primo giorno del nostro arrivo, la guida della nostra carovana, appena scaricati i nostri effetti, e le mercanzie portate da Kassalà d’ordine del maronita loro padrone, dovettero sortire dalla città, per portare i loro cameli al pascolo, e consegnarli a qualche custode, perché, come essi dicevano, in città non si trovava di che mangiare per gli animali, essendo la città come isola con qualche piccolo sfogo per i cittadini, ma senza pascoli. miei rincrescimenti Noi dunque di quella stessa giornata, abbiamo dovuto separarci da quella famiglia musulmana, la quale ci servì tanto fedelmente, ed aveva perciò meritato tutta la nostra riconoscenza; [p. 341] la nostra gran pena era quella di lasciarla nella loro falsa religione; quella povera gente in altre circostanze di maggior salute per noi, e maggior libertà per loro, e con un poco più di tempo avrebbe forze ricevuto la grazia della fede, e si sarebbe salvata; esse erano tutte persone di servizio abituale del nostro maronita cattolico, dal quale avevano già [ap]preso molto, ma il povero musulmano nel suo paese e fra i proprii congiunti, per loro la conversione è umanamente impossibile, perché si sarebbero esposti al certo pericolo di essere secretamente trucidati, forze dagli stessi loro amici e parenti; odio dei musulmani così sono le tradizioni musulmane: odio mortale all’infedele, massime apostata dalla loro fede; è questa una verità sperimentata, poiché fra i pochi musulmani stati convertiti per mio ministero due essendone stati vittima. Io credo che questo satanico odio agli apostati loro che si vede frà i nostri massoni, l’abbiano preso dall’islamismo. Ancor due parole a gloria della verità: è questo il gran segno che distingue il cristianesimo da tutte le eterodossie, l’amore del nemico: il cattolico solo sente compassione dell’infedele, lo compatisce, e prega per lui quando non può far altro per convertirlo a differenza dell’eterodosso. Per questo il vero cristiano sarà sempre perseguitato, ma vincerà sempre, perché ha Dio con lui.
/300/ mia infermita Riprendo ora il mio filo di storia. Io, nel breve spazio che ho dimorato a Soakim, avrei bramato di fare qualche giro nel circondario di quella città, ed anche nel suo interno, per farmi un’idea topografica più esatta di quella posizione, oggi divenuta classica ed interessante per la guerra del Suddan, ma il mio stato d’infermità troppo conosciuta in questa mia storia, mi tenne sempre confinato in casa, ed appena mi permetteva di fare [p. 342] qualche giro nel cortile per prendere un poco di aria e fresco marino, e neanche io sarei stato capace di calare [i] sei o sette gradini della scala del mare per lavarmi i piedi, senza una persona che mi reggesse. Quindi l’unica mia risorsa per potermi arrichire di alcune cognizioni di quella città e porto di mare, era la conversazione con alcuni cittadini che venivano a visitarmi, oppure degli stessi nostri camelieri, i quali, ancora non erano ripartiti per Kassala, e che ogni giorno non mancavano di rivedermi. una mia conoscenza antica Fra gli altri chi più mi arrichì di notizie storiche di Soakime fu un ricco mercante arabo, nativo di Gedda, il quale raccoglieva grande quantità di sisamo, e lo spediva sopra le sue barche arabe, ora a Gedda, ora ad Hodeida, ora a Medina, oppure a Jambo, dove teneva depositi di questo grano olifero ai suoi corrispondenti che lo vendevano in detaglio ai diversi mercanti dell’Arabia. Questo uomo mi aveva conosciuto in Hodeida nel [gen. 1848] 1850 sotto il governo dei Scierif di Mecca, prima della guerra colla Porta: mi praticò pure in Gedda nel mio passaggio nel 1864., qualche anno dopo il famoso [15.6.1858] massacro [il massacro] dei Cristiani in quella città.
Sciek Abdalla e storia araba Questo signore, chiamato Sciek Abdalla, era un vero libro parlante in materia di storia araba riguardante la costa asiatica ed africana, perché egli sotto il governo dei Scierif nel Liemen ebbe molti impieghi, era un galla stato comprato da giovane, ed educato in Meka, alla scuola [della] del gran tempio della Kaba. Il nostro Sciek Abdalla al mio arrivo in Scioakim ebbe molto piacere, sia per l’antica nostra conoscenza, e sia molto più, perché la sua casa era piena di giovani galla di ogni età, frà i quali [p. 343] non mancavano di quelli che mi conobbero, motivo per cui in casa sua si parlava molto di me. Se io avessi tempo a scrivere, un libro non basterebbe per riferire tutte le relazioni antiche e moderne di questo uomo, e non mancherebbero fatti curiosi e romantici avvenuti, ma anderei troppo lontano dallo scopo di questo mio libro storico, benché non mancherebbero materie interessanti da divertire il mio lettore, ed anche da edificarlo. i suoi giovani galla Questo signore dunque passava con me in Soakim tutte le ore che poteva, e quando non veniva egli venivano i suoi giovani, frà i quali uno che mi aveva conosciuto in Lagamara, dove aveva imparato anche qualche cosa in casa nostra, oh quante belle cose /301/ utili non ho raccolto da questo drapello di giovani musulmani! Ma tutto stia da una parte per dar luogo a quanto in questo momento interessa la città di Soakim.
Soakim, sua antichità e forza.
Io aveva fatto molte questioni a Sciek Abdalla sopra l’antichità di Soakim, e sopra la natura di questa fortezza marittima; io l’interrogava sopratutto, se quella piazza avrebbe potuto resistere ad un’attacco. In quanto alla sua antichità come semplice paese, [asserì,] voi credete, come credo io, che il mondo è stato creato da Dio, epperciò dovete credere che questo paese è antico quanto è antica la creazione. Come porto di mare semplicemente commerciale, e come posizione militare marittima di qualche entità poi io credo, rispose egli, che non possa avere un’antichità, maggiore del governo dei Scierif della Mecca, a cui Soakim ha sempre appartenuto.
principio di Soakim,
[sec. VII]
Durante il primo secolo dell’Egira, il gran Scerif della Mecca è stato quello che ha spinto nel Suddan gli arabi alla conquista di quel paese. Ora, durante la crisi religiosa, a misura che gli arabi conquistavano il Suddan al commercio, ed al dominio
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[gli arabi, a misura che conquistavano] colle armi alla Meca [e] ai successori del Profeta, sentirono il bisogno di fabbricare questo porto per la marina di quei tempi che consisteva in semplici grandi barche cariche di mercanti combattenti apostoli del Corano, i quali, mentre facevano proseliti, combattevano colle armi di quei tempi medesimi, le quali erano semplici lancie, come era naturale, prima ancora che fosse inventata la polvere, i fucili, ed i cannoni.
e di Massaua
È probabilmente nell’epoca medesima, o poco dopo, che gli arabi musulmani formarono il porto di Massawah nell’isola di questo nome, ed altri punti della costa africana più al Sud, coll’intenzione di dare l’assalto all’Abissinia. Ma questa trovandosi costituita in vasto impero cristiano ben organizzato, poté presentare un’opposizione più forte da rendere impossibile la conquista all’apostolato musulmano dei mercanti (1a),
a differenza delle
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pacifiche popolazioni del Suddan, divise in piccoli principati cristiani, già come indipendenti dall’impero abissino.
fortezze di stile arabo primitivo. Ciò posto, ritornando alla questione di questa città di Soakim, e della resistenza che essa può opporre ad un nemico, sia per mare, che per terra, io rispondo, disse il mio amico Sciek Abdalla suddetto, che bisogna calcolare l’epoca in cui questa città è stata fatta, ed [a]i bisogni di quei tempi: voi avete veduto Gedda, Hodeida, Moka ed altre [città] del litorale arabo, fatte dagli arabi: avete veduto Massawa e Zeïla della costa africana, fatta pure dai medesimi. Ora nulla di più presenta Soakim come stazione militare, basti il dire che essa [p. 345] e fondata dagli arabi, e di gusto puramente arabo per dire tutto. Quando fu fondata questa fortezza gli arabi erano come l’unica potenza padrona del mare rosso, epperciò poco pensarono ad una resistenza per la via del mare, ma pensavano solo di salvarsi da un’attacco dalla parte di terra dei sudanesi, e più tardi dalla potenza dei bedovini, armati solo di lancia, e la posizione di Soakim quasi circondata dal mare, come è l’isola di Massawah, essa poteva bastare. Ancora più tardi, dopo l’invenzione della polvere e dei fucili, si aggiunsero alcuni fortini in terra ferma, per tenere lontani gli attacchi di terra: dopo ciò si aggiunsero alcuni cannoni di costruzione primitiva, che oggi, mangiati come sono dalla rugine, in confronto colle nuove costruzioni di lunga portata, appena contano come feragliume. Ecco poco presso lo stato della nostra fortezza di Soakim, la quale si può dire nulla dalla parte del mare, e poca cosa dalla parte di terra.
La risposta dell’amico Sciek Abdalla è bastante per soddisfare la curiosità del mio lettore sul punto della storia semplicemente materiale topografico-politica della città di Soakim. il commercio di Soakim Per completare la storia semplicemente materiale di quel paese, debbo aggiungere ancora poche cose sopra il commercio di quel porto. A questo riguardo il suddetto amico soleva dire. Soakim è stato creato dagli arabi prima di tutto per la propagazione della religione islamica nel Suddan e di altri paesi vicini e per il commercio degli arabi in quelle parti. asportazione ed importazione Il commercio di quei tempi consisteva principalmente nei schiavi, nel sesamo, e nel tamarindi. Oggi che tutti quei paesi sono divenuti musulmani, il porto di Soakim serve per il passaggio dei pellegrini della Mecca che vengono dal Suddan Sennaar, Kordofan, e Darfur. [p. 346] In quanto al commercio, i schiavi sono pochi quelli che passano in Soakim, quei dell’Etiopia discendono al mare per la via dell’Abissinia, e quelli dell’interno dell’Africa prendono la via del Nilo, ed arrivano in Caïro. Anche l’avorio, le gomme ed altri simili articoli dall’interno dell’Africa, vengono in Kartum, e /303/ di là prendono la via del Nilo per il Caïro; la sola parte dei prepati [prefati] articoli di Gadaref, Matamma, e Kassalà sono quelli che arrivano a Soakim unitamente al sesamo (1b). Ciò sia detto degli articoli di commercio d’asportazione che sortono da Soakim, per prendere la via dell’Egitto, dell’Arabia, e raramente delle indie. In quanto poi agli articoli di importazione, principalmente articoli di arti europee in ferro, in talerie di seta e di cotone, entra in Soakim una piccola parte, per solo uso e consumo del Suddari orientale. La maggior parte prende la via del Nilo per Siut, per Dongola e per Kartum, dai quali luoghi si dirama verso il Darfur, Kordofan, Sennar, ed al Sud del Sennaar. Anche questo picolo schizzo sul commercio, sono poco prezzo parole dell’amico suddetto, il più volte citato Sciek Abdalla.
storia di sciek Abdalla A proposito suo, io non posso chiudere le conversazioni avute con lui, senza riferire alcuni detagli abbastanza curiosi ed utili al lettore di queste mie memorie. Ho detto di lui sul principio che era nativo di Meca, perché là fu educato e come naturalizzato, da essere considerato come cittadino di detta città, ma egli era in realtà un galla di Nonno, da quanto ho potuto ricavare parlando col medesimo, e coi suoi giovani da lui molti amati, e considerati come figli, i quali al pari di lui erano [p. 347] molto assidui nel recarsi da noi per una certa gran simpatia alle nostre persone. politica del medesimo Sciek Abdalla era già vecchio, e [si] presentava come un vero Patriarca; era egli musulmano, anche un poco fanatico, appartenente al partito Scierif in politica, contro la politica turca di Costantinopoli, da lui considerata usurpatrice del trono Scierif (1c) di Mèca, epperciò sospetto al governo, motivo per cui egli aveva lasciata la città divenuta come sua Patria, e si era dato al commercio, dimorando, ora in Soakim, ora in Gedda, ed ora in Hodeida, dove io lo conobbi impiegato nel 1849. Sciek Abdalla parlava con gran rispetto e venerazione del suo antico padrone, da lui considerato come padre, il quale era un nobile Scierif della città di Meca, morto senza figli, di cui egli fù come erede in compagnia di alcuni altri suoi compagni schiavi adottati come /304/ lui. Sciek Abdalla [non] ha mai preso moglie, epperciò non ha figli, ed interrogato da me sul perché non aveva preso moglie, egli mi rispose candidamente che in vita sua [non] aveva sentito mai inclinazioni verso le donne, che da giovane [non] aveva mai amato altri che il suo padrone, e dopo la sua morte, egli non amò mai altri che i suoi giovani.
sua famiglia adottiva Sciek Abdalla dopo la morte del suo padrone, si comprò giovani galla del suo paese, e si fece una famiglia di schiavi compaesani, i quali convivevano con lui come figli e padroni di casa, che lo ajutavano nell’amministrazione della medesima, ed in tutti gli affari del suo commercio; esso conviveva con essi con tutte le pratiche, ed essi, anche già adulti non sentivano altra passione che per lui. un giovane misterioso un[o] solo dei suoi giovani galla, anche del suo paese, stato comprato da quasi dieci anni, il più bello, il più grazioso, il più fedele, ed il più [p. 348] attivo e capace nello sbrigo degli affari; esso, mi dicevano i suoi compagni, ha un’aspetto così simpatico, che al solo vederlo ci fa bollire il sangue nelle vene, e ci incanta di amore per lui. Qualche volta il nostro padrone al solo vederlo da, come nelle smanie, e non sa trattenersi da certe carezze, che lo fanno fuggire precipitosamente, oppure in difetto lo fanno piangere, ed il padrone che lo ama, allora si calma nei suoi furori. Per questa ragione, egli non stà volontieri quì, e si trova contento quando è mandato lontano. Oh se oggi fosse quì, qual piacere per lui! ma egli si trova in Hodejda da due e più mesi: Oh quante volte egli secretamente non ci parlò di Lei, e del suo galla chiamato abba Joannes! per noi questo nostro compagno è un grande mistero; noi non possiamo capire come sia egli così potente [d]a farsi amare da noi, e dal nostro stesso padrone, mentre poi è invincibile nell’odiare tutti i nostri amori e pazzie; un nuovo Giuseppe noi abbiamo fatto tutte le prove per vincerlo, ma siamo stati sempre vinti; una giovane da noi consigliata si recò di notte, e dovette partire non solo respinta, ma percossa alla peggio. un nostro catecumeno nascosto Noi stupiti in facia a tanto mistero, quì ci perdoni o Signore, aggiunsero, noi siamo arrivati a pensare che voi, oppure il vostro galla Abba Joannes, l’abbiate ammagliato con qualche misteriosa medicina.
Io lascio ora la questione di questo mistero al mio lettore: se egli sarà un buon cristiano cattolico, avendo meditato quelle misteriose parole del nostro divino Redentore: non omnes capiunt verbum istud, egli che avrà provata in se stesso l’ammirabile virtù della grazia di Cristo, non sarà imbrogliato a spiegare il gran paradosso che ha impazzito i poveri musulmani in questione. [p. 349] una prova di fatto Se poi il mio lettore per sua disgrazia fosse un pagano, oppure uno di quei cristiani eretici, ai quali nostro Signore sembra diriggere le parole suddette[:] non omnes capiunt ver- /305/ bum istud, in tal caso io esorterei un tale mio lettore a fare un piccolo viaggio ai paesi cattolici, oppure anche solo in Oriente, alla porta di uno di quei conventi o monasteri cattolici pieni di queste creature angeliche, dei quali esistono milliaja nel mondo, la troverebbe una spiegazione di fatto potentissima a convincerlo. Il galla divenuto un mistero a[i] musulmani suddetti arsi dal fuoco della libidine, esso appunto [rappresenta] una coppia di quelle creature angeliche dei monasteri, le quali fanno eccezione al non omnes capiunt; il galla misterioso in questione nei paesi musulmani occulterà il nome di cristiano, ma lo sarà di fatti, almeno in voto, fatto dalla dottrina e dall’esempio, dell’altro mio galla Abba Joannes; chi gli ha dato la medicina dei forti non sarà lui, ma lo stesso Cristo col tesoro della sua potente grazia.
(1a) L’islamismo, incomminciando dal suo principio, fu sempre propagato dai mercanti, come lo è ancora attualmente. Perché questo sistema non potrebbe convenire anche all’apostolato cattolico? mi diceva un nostro viaggiatore; Caro mio, risposi io, trà l’islamismo ed il Cristianesimo, esiste la differenza della salita e della discesa. Per discendere il peso stesso della povera umanità è sufficiente a se stesso. Per salire invece occorre una forza per vincere il proprio peso. È questa forza, che viene da Dio, quella che vince il peso dell’umanità nell’apostolo e nel catecumeno. Con ciò però io intendo solo combattere [p. 545] la parità dell’islamismo e del cristianesimo: non intendo però di rifiutare l’apostolato del secolare, sia viaggiatore, sia mercante; anzi lo raccomando, essendo esso anzi obligato a predicare coll’esempio, ed anche colla parola, se è istruito, riservando poi la parte del ministero sacramentale al sacerdote a ciò ordinato. Ma per quanto fosse ciò desiderabile, l’esperienza insegna l’opposto. [Torna al testo ↑]
(1b) Sesamo è un grano olifero proprio dei paesi bassi e caldi, molto ordinario nel Suddan e Sennaar. È asportato in Arabia ed in Egitto. Nell’alta Etiopia è conosciuto sotto il nome di sellit, benché non se ne lacia grande uso. Come già è stato detto altrove, in Abissinia si vende l’olio di sellit per olio santo venuto da Gerusalemme. Quest’olio è molto in uso in Arabia, ed in tutti i porti del mare rosso; è un’olio molto buono [d]a mangiare. [Torna al testo ↑]
(1c) Scierif è un titolo di onore proprio dei discendenti dal sangue di Maometto, epperciò della prima aristocrazia dei musulmani. Anticamente era proprio solo dei [discendenti] naturali di quella razza: ma col tempo invalse l’uso di conferire questo titolo a certi pellegrini della Meca, i quali lo compravano a caro prezzo. [Torna al testo ↑]