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SS. Gregorii PP. XVI
Epistola Encyclica

[da Lettres Apostoliques de Pie IX, Grégoire XVI, Pie VII - Encycliques, brefs, etc. - Texte latin avec la traduction française en regard... Paris, s.i.d.]

Enciclica
“Mirari Vos”
di S. S. Gregorio XVI

Sull’indifferentismo e per condannare la libertà di coscienza, di stampa, di pensiero e di culto

Ad omnes Patriarchas, Primates, Archiepiscopos et Episcopos.
Gregorius Papa XVI.

Ai venerabili Fratelli, Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari aventi con l’Apostolica Sede pace e comunione Gregorio PP. XVI
Servo dei servi di Dio

Venerabiles Fratres,
Salutem et apostolicam benedictionem.

Venerabili Fratelli,
Salute e apostolica benedizione

Mirari vos arbitramur, quod ab imposita nostræ humilitati Ecclesiæ universæ procuratione nondum Litteras ad vos dederimus, prout et consuetudo vel a primis temporibus invecta, et benevolentia in vos nostra postulasset. Erat id quidem nobis maxime in votis, ut dilataremus illico super vos cor nostrum, atque in communicatione spiritus ea vos adloqueremur voce, qua confirmare fratres in persona beati Petri jussi fuimus (1). Verum probe nostis, quanam malorum ærumnarumque procella primis pontificatus nostri momentis in eam subito altitudinem maris acti fuerimus, in qua, nisi dextera Dei fecisset virtutem, ex teterrima impiorum conspiratione nos congemuissetis demersos. Refugit animus tristissima tot discriminum recensione susceptum inde mœrorem refricare; Patrique potius omnis consolationis benedicimus qui, disjectis perduellibus, præsenti nos eripuit periculo, atque, turbulentissima sedata tempestate, dedit a metu respirare. Proposuimus illico vobiscum communicare consilia ad sanandas contritiones Israel; sed ingens curarum moles, quibus in concilianda publici ordinis restitutione obruti fuimus, moram tunc nostræ huic objecit voluntati. Nova interim accessit causa silentii ob factiosorum insolentiam, qui signa perduellionis iterum attollere conati sunt. Nos quidem tantam hominum pervicaciam, quorum effrenatus furor impunitate diuturna, impensæque nostræ benignitatis indulgentia non deliniri, sed ali potius conspiciebatur, debuimus tandem, ingenti licet cum mœrore, ex collata nobis divinitus auctoritate, virga compescere (2); ex quo prout jam probe conjicere potestis, operosior in dies instantia nostra quotidiana facta est.

Non riteniamo che voi vi meravigliate perché, da quando è stato imposto alla Nostra pochezza l’incarico del governo di tutta la Chiesa, non vi abbiamo ancora indirizzato Nostre lettere, secondo la consuetudne introdotta fin dai primi tempi e come la benevolenza Nostra verso di voi avrebbe richiesto. Era questo per la verità uno dei Nostri più vivi desideri: dilatare senza indugio sopra di voi il Nostro cuore, e parlarvi in comunione di spirito con quella voce con la quale nella persona del Beato Pietro fu divinamente ingiunto a Noi di confermare i fratelli (1).
Ma voi ben sapete per quale procella di mali e di calamità fin dai primi momenti del Nostro Pontificato fummo d’improvviso balzati in un mare così tempestoso, che se la destra del Signore non avesse testmoniato la propria virtù, avreste dovuto per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostro fatale sommergimento. L’animo rifugge dal rinnovare con l’amara esposizione di tanti infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e piuttosto Ci piace innalzare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il quale con la dispersione dei ribelli Ci trasse dall’imminente pericolo e sedata la furiosa tempesta Ci fece respirare. Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi le Nostre idee relative al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che sopraggiunse per conciliare il ristabilimento dell’ordine pubblico pose un ostacolo alla realizzazione del Nostro proposito.
Un nuovo motivo per tenerci silenziosi giunse dalla insolenza dei faziosi, che tentarono di alzare nuovamente il vessillo della fellonia. Vero è che, vedendo Noi che la lunga impunità e la costante Nostra benigna indulgenza, anziché ammansire, alimentavano piuttosto lo sfrenato furore dei ribelli, dovemmo infine, sebbene con acerbissimo dispiacere, ricorrere alle armi spirituali (2) per frenare tanta loro pervicacia, valendoci dell’autorità conferitaci a tal fine da Dio: ma da questo appunto potete agevolmente comprendere quanto più laboriosa e pressante sia resa la Nostra quotidiana sollecitudine.

/202/ Ast cum, quod ipsum iisdem ex causis distuleramus, jam possessionem pontificatus in Luteranensi basilica ex more institutoque majorum adiverimus, omni demum abjecta cunctatione, ad vos properamus, venerabiles Fratres, testemque nostræ erga vos voluntatis epistolam damus lætissimo hoc die, quo de Virginis sanctissimæ in cœlum assumptæ triumpho solemnia festa peragimus, ut quam patronam ac sospitem inter maximas quasque calamitates persensimus, ipsa et scribentibus ad vos nobis adstet propitia, mentemque nostram cœlesti afflatu suo in ea inducat consilia, quæ christiano gregi futura sint quam maxime salutaria.

Ma giunti finalmente, secondo il costume dei Predecessori, a prendere nella Nostra Basilica Lateranense quel possesso che per le citate ragioni avevamo dovuto differire, troncato ogni indugio Ci rivolgiamo sollecitamente a voi, Venerabili Fratelli, e quale testimonianza della Nostra volontà vi indirizziamo questa Lettera fra l’esultanza di questo giorno lietissimo, in cui festeggiamo il trionfo della Vergine Assunta in Cielo, onde Ella, che fra le più dolorose calamità Noi sperimentammo sempre Avvocata e Liberatrice, tale pure Ci assista propizia nello scrivere a voi, e con la sua celeste ispirazione fecondi la Nostra mente di quei consigli che siano sommamente salutari per il gregge cristiano.

Mœrentes quidem animoque tristitia confecto venimus ad vos, quos pro vestro in religionem studio, ex tanta, in qua ipsa versatur, temporum acerbitate maxime anxios novimus. Vere enim dixerimus, horam nunc esse potestatis tenebrarum ad cribrandos sicut triticum filios electionis (3). Vere «luxit, et defluxit terra... infecta ab habitatoribus suis, quia transgressi sunt leges, mutaverunt jus, dissipaverunt fœdus sempiternum (4).» Loquimur, venerabiles Fratres, quæ vestris ipsi oculis conspicitis, quæ communibus idcirco lacrymis ingemiscimus. Alacris exultat improbitas, scientia impudens, dissoluta licentia: despicitur sanctitas sacrorum, et quæ magnam vim magnamque necessitatem possidet, divini cultus majestas ab hominibus nequam improbatur, polluitur, habetur ludibrio. Sana hinc pervertitur doctrina, erroresque omnis generis disseminantur audacter. Non leges sacrorum, non jura, non instituta, non sanctiores quælibet disciplinæ tutæ sunt ab audacia loquentium iniqua. Vexatur acerrime Romana hæc nostra beatissimi Petri Sedes in qua posuit Christus Ecclesiæ firmamentum; et vincula unitatis in dies magis labefactantur, abrumpuntur. Divina Ecclesiæ auctoritas oppugnatur, ipsiusque juribus convulsis, substernitur ipsa terrenis rationibus, ac persummam injuriam odio populorum subjicitur, in turpem redacta servitutem. Debita episcopis obedientia infringitur eorumque jura conculcantur. Personant horrendum in modum academiæ ac gymnasia novis opinionum monstris, quibus non occulte amplius et cuniculis petitur catholica fides, sed horrificum ac nefarium ei bellum aperte jam et propalam infertur. Institutis enim exemploque præceptorum corruptis adolescentium animis, ingens religionis clades, morumque perversitas teterrima percrebuit. Hinc porro freno religionis sanctissimæ projecto, per quam unam regna consistunt, dominatusque vis ac robur firmatur, conspicimus ordinis publici exitium, labem /204/ principatus omnisque legitimæ potestatis conversionem invalescere. Quæ quidem tanta calamitatum congeries ex illarum in primis conspiratione societatum est repetenda, in quas quidquid in hæresibus et in sceleratissimis quibusque sectis sacrilegum, flagitiosum, ac blasphemum est, quasi in sentinam quamdam, cum omnium sordium concretione confluxit.

Dolenti invero, e col cuore sopraffatto dall’amarezza, veniamo a voi, Venerabili Fratelli, che, atteso il vostro zelo ed il vostro attaccamento alla Religione, ben sappiamo essere sommamente angustiati per l’acerbità dei tempi in cui essa versa miseramente, poiché davvero potremmo dire che questa è l’ora delle tenebre per vagliare come grano i figli di elezione (3). A ragione si può ripetere con Isaia: “Pianse, e la terra avvelenata dai suoi abitanti scomparve, perché avevano mutato il diritto, avevano rotto il patto sempiterno” (4).
Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune. Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. Viene disprezzata la santità delle cose sacre: e l’augusta maestà del culto divino, che pur tanto possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori d’ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al sicuro di fronte all’ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. Bersaglio di incessanti, durissime vessazioni è fatta questa Nostra Romana Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù Cristo stabilì la base della Chiesa; i vincoli dell’unità di giorno in giorno maggiormente s’indeboliscono e si sciolgono. La divina autorità della Chiesa viene contestata e, calpestati i suoi diritti, si vuole assoggettarla a ragioni terrene; con suprema ingiustizia si vuole renderla odiosa ai popoli e ridurla ad ignominiosa servitù. Intanto s’infrange l’obbedienza dovuta ai Vescovi, e viene conculcata la loro autorità. Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove un’orribile e nefanda guerra. Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl’insegnamenti viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati ampiamente il guasto della Religione ed il funestissimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono ferme la forza e l’autorità di ogni dominazione, si vedono aumentare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma una congerie così enorme di disavventure si deve in particolare attribuire alla cospirazione di quelle Società nelle quali sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v’ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette più scellerate.

Hæc, venerabiles Fratres, et alia complura, et fortassis etiam graviora, quæ in præsens percensere longum esset, ac vos probe nostis, in dolore esse nos jubent acerbo sane ac diuturno, quos in cathedra principis Apostolorum constitutos zelus universæ domus Dei comedat præ cæteris opus est. Verum cum eo nos loci positos esse agnoscamus, quo deplorare duntaxat innumera hæc mala non sufficiat, nisi et ea convellere pro viribus connitamur; ad opem fidei vestræ confugimus vestramque pro Catholici gregis salute sollicitudinem advocamus, venerabiles Fratres, quorum spectata virtus ac religio et singularis prudentia et sedula assiduitas animos nobis addit, atque in tanta rerum asperitate afflictos consolatione sustentat perjucunda. Nostrum quippe est partim vocem tollere, omniaque conari, ne aper de silva demoliatur vineam, neve lupi mactent gregem. Nostrum est oves in ea duntaxat pabula compellere, quæ salutaria iisdem sint, nec vel tenui suspicione perniciosa. Absit, carissimi, absit ut, quando tanta premant mala, tanta impendeant discrimina, suo desint muneri pastores, et perculsi metu dimittant oves, vel, objecta cura gregis, otio turpeant ac desidia. Agamus idcirco in unitate spiritus communem nostram seu verius Dei causam, et contra communes hostes pro totius populi salute una omnium sit vigilantia, una contentio.

Queste cose, Venerabili Fratelli, ed altre forse più gravi che al presente sarebbe troppo lungo annoverare e che voi ben conoscete Ci addolorano, di un dolore tanto più acerbo e continuo in quanto, posti sulla cattedra del Principe degli Apostoli, Ci sentiamo obbligati a tormentarci più di ogni altro dallo zelo per tutta la Casa di Dio. Ma scorgendoci collocati in una sede ove non basta piangere soltanto queste innumerabili sciagure, ma occorre compiere ogni sforzo per procurarne l’estirpamento, ricorriamo a tal fine al sussidio della vostra Fede, ed eccitiamo la vostra sollecitudine per la salvezza del gregge cattolico, Venerabili Fratelli, la cui specchiata virtù, religione, prudenza ed assiduità Ci danno coraggio, ed in mezzo all’afflizione che Ci cagionano circostanze così disastrose, dolcemente Ci confortano e consolano. È Nostro obbligo, infatti, alzare la voce e tentare ogni prova, perché né il cinghiale della selva devasti la vigna, né i lupi rapaci piombino a fare strage del gregge. A Noi spetta guidare le pecore soltanto a quei pascoli che siano per esse salubri, e scevri d’ogni anche lieve sospetto d’essere dannosi. Dio non voglia, o carissimi, che mentre premono tanti mali e tanti pericoli sovrastano, manchino al proprio ufficio i Pastori che, colpiti da sbigottimento, trascurino le pecore o, deposta la cura del gregge, si abbandonino all’ozio ed alla pigrizia. Trattiamo anzi, perciò, nell’unità dello spirito la comune causa Nostra, o per meglio dire la causa di Dio, e contro i comuni nemici si abbiano per la salute di tutto il popolo la medesima vigilanza in tutti e il medesimo impegno.

Id porro apprime præstabitis, si, quod vestri muneris ratio postulat, attendatis vobis et doctrinæ, illud assidue revolventes animo, «universalem Ecclesiam quacumque novitate pulsari (5),» atque ex S. Agathonis pontificis monitu, «nihil de iis, quæ sunt regulariter definita, minui debere, nihil mutari, nihil adjici, sed ea et verbis et sensibus illibata esse custodienda (6).» Immota idne consistet firmitas unitatis, quæ hac B. Petri cathedra suo veluti fundamento continetur, ut unde in Ecclesias omnes venerandæ communionis jura dimanant, ibi «universis et murus sit, et securitas, et portus expers fluctuum, et bonorum thesaurus innumerabilium (7).» Ad eorum itaque retundendam audaciam, qui vel jura Sanctæ hujus Sedis infrin- /206/ gere conantur, vel dirimere Ecciesiarum cum ipsa conjunctionem, qua una eædem nituntur et vigent, maximum fidei in eam ac venerationis sinceræ studium inculcate, inclamantes cum S. Cypriano, «falso confidere se esse in Ecclesia, qui cathedram Petri deserat, super quam fundata est Ecclesia (8).»

Ciò poi adempirete felicemente se, come esige la ragione del vostro incarico, attenderete indefessamente a voi stessi e alla dottrina, richiamando spesso al pensiero che “la Chiesa Universale riceve l’urto di ogni novità” (5) e che, secondo il parere del Pontefice Sant’Agatone, “delle cose che furono regolarmente definite, nessuna dovessi diminuire, nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse debbono essere custodite intatte nelle parole e nei significati” (6). Integra rimarrà così la fermezza di quella unità che ha il proprio fondamento e si esprime in questa Cattedra di Pietro, donde appunto derivano su tutte le Chiese i diritti della veneranda comunione e dove tutte “possono rinvenire muro di difesa e sicurezza, porto protetto dai flutti e tesoro d’innumerevoli beni” (7). A rintuzzare pertanto la temerità di coloro i quali adoperano tutti i mezzi o per abbattere i diritti di questa Santa Sede, o per sciogliere il rapporto delle Chiese con la stessa (rapporto in forza del quale esse hanno fermezza, solidità e vigore), inculcate il massimo impegno di fedeltà e di venerazione sincera verso la stessa Sede, facendo chiaramente intendere con San Cipriano che “falsamente confida di essere nella Chiesa chi abbandona la Cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la Chiesa” (8).

In hoc ideo elaborandum vobis est assidueque vigilandum, ut fidei depositum custodiatur in tanta hominum impiorum conspiratione, quam ad illud diripiendum perdendumque factam lamentamur. Meminerunt omnes, judicium de sana doctrina, qua populi imbuendi sunt, atque Ecclesiæ universæ regimen et administrationem, penes Romanum Pontificem esse cui «plena pascendi, regendi, et gubernandi universalem Ecclesiam potestas a Christo Domino tradita fuit,» uti Patres Florentini Concilii diserte declararunt (9). Est autem singulorum episcoporum cathedræ Petri fidelissime adhærere, depositum sancte religioseque custodire, et pascere, qui in eis est, gregem Dei. Presbyteri vero subjecti sint oportet episcopis, quos «uti animæ parentes suscipiendos ab ipsis esse (10)» monet Hieronymus: nec unquam obliviscantur, se vetustis etiam canonibus vetari, quidpiam in suscepto ministerio agere, ac docendi et concionandi munus sibi sumere «sine sententia episcopi, cujus fidei populus est creditus, et a quo pro animabus ratio exigetur (11).» Certum denique firmumque sit, eos omnes, qui adversus præstitutum hunc ordinem aliquid moliantur, statum Ecclesiæ, quantum in ipsis est perturbare.

A tale obiettivo debbono perciò tendere i vostri travagli, le vostre cure sollecite e l’assidua vostra vigilanza, affinché gelosamente sia custodito il santo deposito della Fede in mezzo all’infernale cospirazione degli empi, che con Nostro estremo cordoglio vediamo intenta a derubarlo e a perderlo. Si ricordino tutti che il giudizio intorno alla sana dottrina da insegnare ai popoli, non meno che il governo ed il giurisdizionale reggimento della Chiesa sono presso il Romano Pontefice, “a cui fu conferita da Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale” (9) come dichiararono solennemente i Padri del Concilio di Firenze. È poi obbligo di ogni Vescovo tenersi fedelissimamente attaccato alla cattedra di Pietro, custodire santamente e scrupolosamente il deposito della Fede, e pascere il gregge di Dio affidatogli. I Sacerdoti debbono stare soggetti ai Vescovi i quali, avverte San Girolamo (10), devono essere considerati dagli stessi come “padri della loro anima”: né si dimentichino mai che anche dagli antichi Canoni è loro vietato d’intraprendere azione alcuna nel sacro Ministero, e di assumersi l’ufficio d’insegnare e di predicare “senza il consenso del Vescovo a cui il popolo fu affidato ed al quale si domanderà conto delle anime” (11). Infine si tenga presente quale regola certa e sicura che tutti coloro che osassero macchinare qualche cosa contro questo ordine così stabilito perturberebbero lo stato della Chiesa.

Nefas porro esset, atque ab eo venerationis studio prorsus alienum, qua Ecclesiæ leges sunt excipiendæ, sancitam ab ipsa disciplinam, qua et sacrorum procuratio, et morum norma, et jurium Ecclesiæ ministrorumque ejus ratio continetur, vesana opinandi libidine improbari, vel ut certis juris naturæ principiis infestam notari, vel mancam dici atque imperfectam civilique auctoritati subjectam.

Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da quell’affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e imperfetta e dipendente dalla civile autorità quella sacra disciplina che la Chiesa fissò per l’esercizio del culto divino, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri.

Cum autem, ut Tridentinorum Patrum verbis utamur, constet Ecelesiam «eruditam fuisse a Christo Jesu ejusque Apostolis, atque a Spiritu sancto illi omnem veritatem in dies suggerente edoceri (12),» absurdum plane est, ac maxime in eam injuriosum, restaurationem ac regenerationem quamdam obtrudi, quasi necessariam ut ejus incolumitati et incremento consulatur, /208/ perinde ac si censeri ipsa possit vel defectui, vel obscurationi, vel aliis hujuscemodi incommodis obnoxia: quo quodem molimine eo spectant novatores, ut «recentis humanæ institutionis jaciantur fundamenta,» illudque ipsum eveniat, quod detestatur Cyprianus, ut quæ divina res est «humana fiat Ecclesia (13).» Perpendant vero, qui consilia id genus machinantur, uni Romano Pontifici ex S. Leonis testimonio «canonum dispensationem esse creditam» ipsiusque duntaxat esse, non vero privati hominis, «de paternarum regulis sanctionum» quidpiam decernere, atque ita, quemadmodum scribit S. Gelasius, «decreta canonum librare, decessorumque præcepta metiri, ut quæ necessitas temporum restaurandis Ecclesiis relaxanda deposcit, adbibita consideratione diligenti temperentur (14).»

Essendo inoltre massima irrefragabile, per valerci delle parole dei Padri Tridentini, che “la Chiesa fu erudita da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, e che viene ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale di giorno in giorno le suggerisce ogni verità” (12), appare chiaramente assurdo ed oltremodo ingiurioso per la Chiesa proporsi una certa “restaurazione e rigenerazione”, come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento, quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad oscuramento o ad altri inconvenienti di simil genere: tutte macchinazioni e trame dirette dai novatori al malaugurato loro fine di gettare le “fondamenta di un recente umano stabilimento” onde avvenga quello che era tanto condannato da San Cipriano, “che la Chiesa divenisse cosa umana” (13), quando, al contrario, è cosa tutta divina. Ma coloro che vanno meditando siffatti disegni considerino che per testimonianza di San Leone, al solo Romano Pontefice “è affidata la disciplina dei Canoni” e che a lui solo appartiene, e non a privato uomo chicchessia, il definire sulle regole “delle paterne sanzioni”, e, come scrive San Gelasio (14) “bilanciare in tal maniera i decreti dei Canoni e commisurare in tal modo i precetti dei Predecessori: dopo diligenti riflessioni si dia un conveniente temperamento a quelle cose che la necessità dei tempi richiede di dover moderare prudentemente per il bene delle Chiese”.

Hic autem vestram volumus excitatam pro religione constantiam adversus fœdissimam in clericalem cælibatum conjurationem, quam nostis effervescere in dies latius, connitentibus cum perditissimis nostri ævi philosophis nonnullis etiam ex ipso ecclesiastico ordine, qui personæ obliti munerisque sui, ac blanditiis abrepti voluptatum, eo licentiæ proruperunt, ut publicas etiam atque iteratas aliquibus in locis ausi sint adhibere principibus postulationes ad disciplinam illam sanctissimam perfringendam. Sed piget de turpissimis hisce conatibus longo vos sermone distinere, vestræque potius religioni fidentes committimus, ut legem maximi momenti, in quam lascivientium tela undique sunt intenta, sartam tectam custodiri, vindicari, defendi, ex sacrorum canonum præscripto, omni ope contendatis.

E qui vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a favore della Religione, affinché vi opponiate all’immonda congiura contro il celibato clericale: congiura che, come sapete, si accende ogni dì più estesamente, unendo ai tentativi dei più sciagurati filosofi dell’età nostra anche alcuni dello stesso ceto ecclesiastico: di persone che, dimentiche della loro dignità e del loro ministero, trascinate dal lusinghiero torrente delle voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa impudenza che non ristettero dal presentare in più luoghi pubbliche reiterate domande ai Governi, onde venisse abrogato ed annientato questo santissimo punto di disciplina. Ma troppo C’incresce di trattenervi lungamente sopra questi turpi attentati, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra affinché impieghiate ogni vostro zelo per mantenere sempre, secondo quanto prescritto dai Sacri Canoni, intatta, custodita, ferma e difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si scagliano gli strali degli impudichi.

Honorabile deinde Christianorum connubium, quod «Sacramentum magnum» nuncupavit Paulus «in Christo et Ecclesia (15)» communes nostras curas efflagitat, ne quid adversus ipsius sanctitatem, ac de indissolubili ejusdem vinculo minus recte sentiatur, vel tentetur induci. Impense id jam commendarat suis ad vos Litteris felicis recordationis predecessor noster Pius VIII: adhuc tamen infesta eidem molimina succrescunt. Docendi itaque sunt sedulo populi, matrimonium semel rite initum dirimi amplius non posse, nexisque connubio Deum indidisse perpetuam vitæ societatem, nodumque necessitudinis, qui exsolvi, nisi morte, non possit. Memores, sacris illud rebus adnumerari, et Ecclesia; proinde subjici, præstitutas de ipso ejusdem Ecclesiæ leges habeant ob oculos, iisque pareant sancte accurateque, ex quarum executione omnino pendet ejusdem connubii vis, robur, ac justa consociatio. Caveant, ne quod sa- /210/ crorum canonum placitis Conciliorumque decretis officiat, ulla ratione admittant, probe gnari, exitus infelices illa habitura esse conjugia, quæ vel adversus Ecclesiæ disciplinam, vel non propitiato prius Deo, vel solo æstu libidinis jungantur, quin de sacramento ac de mysteriis, quæ illo significantur, ulla teneat sponsos cogitatio.

Inoltre, l’onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni premure affinché in esso, chiamato da San Paolo “Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa” (15), nulla s’introduca o si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua santità o leda l’indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati dell’empietà. È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può rompersi. Rammentando che il matrimonio si annovera fra le cose sacre, e che per questo è soggetto alla Chiesa, essi abbiano di continuo presenti le leggi da questa stabilite in materia, e quelle adempiano santamente ed esattamente come prescrizioni, dalla cui osservanza fedele dipendono la forza, la validità e la giustizia del medesimo. Si astenga ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concilii che lo riguardano, ben conoscendosi che esito infelicissimo sogliono avere quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa o senza che sia stata implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di cieca passione vengono celebrati senza che gli sposi si prendano alcun pensiero della santità del Sacramento e dei misteri che vi si nascondono.

Alteram nunc persequimur causam malorum uberrimam, quibus afflictari in præsens comploramus Ecclesiam, indifferentismum scilicet, seu pravam illam opinionem, quæ improborum fraude ex omni parte percrebuit, qualibet fidei professione æternam posse animæ salutem comparari, si mores ad recti honestique normam exigantur. At facili sane negotio, in re perspicua planeque evidenti, errorem exitiosissimum a populis vestræ curæ concreditis propelletis. Admonente enim Apostolo (16), «unum esse Deum, unam fidem, unum baptisma,» extimescant, qui e religione qualibet patere ad portum beatitudinis aditum comminiscuntur, reputentque animo ex ipsius Servatoris testimonio, «esse se contra Christum, quia cum Christo non sunt (17),» seque infeliciter dispergere, quia cum ipso non colligunt, ideoque «absque dubio æternum esse perituros, nisi teneant catholicam fidem, eamque integram inviolatamque servaverint (18).» Hieronymum audiant, qui, cum in tres partes schismate scissa esset Ecclesia, narrat se, tenacem propositi, quando aliquis rapere ipsum ad se nitebatur, constanter clamitasse: «Si quis cathedræ Petri jungitur, meus est (19).» Falso autem sibi quis blandiretur, quod et ipse in aqua sit regeneratus. Opportune enim responderet Augustinus (20): «Ipsam formam habet etiam sarmentum, quod præcisum est de vite: sed quid illi prodest forma si non vivit de radice?»

Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’ indifferentismo , ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall’Apostolo che esiste “un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo” (16), temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore “essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo” (17), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi “senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata” (18). Ascoltino San Girolamo il quale – trovandosi la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma – racconta che, tenace come egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio” (19). A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino: “Anche il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive della radice?” (20).

Atque ex hoc putidissimo indifferentismi fonte absurda illa fluit ac erronea sententia, seu potius deliramentum, asserendam esse ac vindicandam cuilibet libertatem conscientiæ. Cui quidem pestilentissimo errori viam sternit plena illa atque immoderata libertas opinionum, quæ in sacræ et civilis rei labem late grassatur, dictitantibus per summam impudentiam nonnullis, aliquid ex ea commodi in religionem promanare. At «quæ pejor mors animæ, quam libertas erroris?» inquiebat Augustinus (21). Freno quippe omni adempto quo homines contineantur in semitis veritatis, proruente jam in præceps ipsorum natura ad malum inclinata, vere apertum dicimus puteum /212/ abyssi (22), e quo vidit Joannes ascendere fumum quo obscuratus est sol, locustis ex eo prodeuntibus in vastitatem terræ. Inde enim animorum immutationes, inde adolescentium in deteriora corruptio, inde in populo sacrorum rerumque ac legum sanctissimarum contemptus, inde uno verbo pestis rei publicæ præ qualibet capitalior, cum experientia teste vel a prima antiquitate notum sit, civitates, quæ opibus, imperio, gloria floruere, hoc uno malo concidisse, libertate immoderata opinionum, licentia concionum, rerum novandarum cupiditate.

Da questa corrottissima sorgente dell’ indifferentismo  scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. “Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?” esclamava Sant’Agostino (21). Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il “pozzo d’abisso” (22), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina.

Huc spectat deterrima illa ac nunquam satis exsecranda et detestabilis libertas artis librariæ ad scripta quælibct edenda in vulgus, quam tanto convicio audent nonnulli efflagitare ac promovere. Perhorrescimus, venerabiles Fratres, intuentes quibus monstris doctrinarum, seu potius quibus errorum portentis obruamur, quæ longe ac late ubique disseminantur ingenti librorum multitudine, libellisque et scriptis, mole quidem exiguis, malitia tamen permagnis, e quibus maledictionem egressam illacrymamur super faciem terræ. Sunt tamen, proh dolor! qui eo impudentiæ abripiantur, ut asserant pugnaciter, hanc errorum colluviem inde prorumpentem satis cumulate compensari ex libro aliquo, qui in hac tanta pravitatum tempestate ad religionem ac veritatem propugnandam edatur. Nefas profecto est, omnique jure improbatum, patrari data opera malum certum ac majus, quia spes sit, inde boni aliquid habitum iri. Numquid venena libere spargi, ac publice vendi comportarique, imo et obbibi debere sanus quis dixerit, quod remedii quidpiam habeatur, quo qui utuntur, eripi eos ex interitu identidem contingat?

A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita “libertà della stampa” nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra. Eppure (ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della Religione e della verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio, usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte?

Verum longe alia fuit Ecclesiæ disciplina in exscindenda malorum librorum peste vel ab Apostolorum ætate, quos legimus grandem librorum vim publice combussisse (23). Satis sit, leges in Concilio Lateranensi V in eam rem datas perlegere, et constitutionem, quæ deinceps a Leone X fel. rec. prædecessore nostro fuit edita, ne «id quod ad fidei augmentum ac bonarum artium propagationem salubriter est inventum, in contrarium convertatur, ac Christi fidelium saluti detrimentum pariat (24).» Id quidem et Tridentinis Patribus maximæ curæ fuit, qui remedium tanto huic malo adhibuere, edito saluberrimo decreto de Indice librorum, quibus impura doctrina contineretur, conficiendo (25). «Pugnandum est acriter,» inquit Clemens XIII fel. /214/ rec. prædecessor noster in suis de noxiorum librorum proscriptione encyclicis Litteris, «pugnandum est acriter, quantum res ipsa efflagitat, et pro viribus, tot librorum mortifera exterminanda pernicies: nunquam enim materia subtrahetur erroris, nisi pravitatis facinorosa elementa in flammis combusta depereant (26).» Ex hac itaque constanti omnium ætatum sollicitudine, qua semper sancta hæc Apostolica Sedes suspectos et noxios libros damnare, et de hominum manibus extorquere enisa est, patet luculentissime, quantopere falsa, temeraria, eidemque Apostolicæ Sedi injuriosa, et fœcunda malorum in christiano populo ingentium sit illorum doctrina qui nedum censuram librorum veluti gravem nimis, et onerosam rejiciunt, sed eo etiam improbitatis progrediuntur, ut eam prædicent a recti juris principiis abhorrere, jusque illius decernendæ habendæque, audeant Ecclesise denegare.

Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali librie (23). Basti leggere le disposizioni date a tale proposito nel Concilio Lateranense V, e la Costituzione che pubblicò Leone X di felice memoria, Nostro Predecessore, appunto perché “quella stampa che fu salutarmente scoperta per l’aumento della Fede e per la propagazione delle buone arti, non venisse rivolta a fini contrari e recasse danno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo” (24). Ciò stette parimenti a cuore dei Padri Tridentini al punto che per applicare opportuno rimedio ad un inconveniente così dannoso, emisero quell’utilissimo decreto sulla formazione dell’Indice dei libri nei quali fossero contenute malsane dottrine (25). Clemente XIII, Nostro Predecessore di felice memoria, nella sua enciclica sulla proscrizione dei libri nocivi afferma che “si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi impuri di pravità non periscano bruciati” (26). Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla e di eseguirla.

Cum autem circumlatis in vulgus scriptis doctrinas quasdam promulgari acceperimus, quibus debita erga principes fides atque submissio labefactatur, facesque perduellionis ubique incenduntur: cavendum maxime erit, ne populi inde decepti a recti semita abducantur. Animadvertant omnes, «non esse, juxta Apostoli monitum, potestatem nisi a Deo: quæ autem sunt, a Deo ordinatæ sunt. Itaque qui resistit potestati, Dei ordinationi resistit, et qui resistunt, ipsi sibi damnationem acquirunt (27).» Quocirca et divina et humana jura in eos clamant, qui turpissimis perduellionis seditionumque machinationibus a fide in principes desciscere, ipsosque ab imperio deturbare connituntur.

Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra le mani di tutti propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare la fedeltà e la sommissione dovuta ai Principi, e ad accendere ovunque le torce della guerra, vi esortiamo ad essere sommamente guardinghi, affinché i popoli, a seguito di tale seduzione, non si lascino miseramente rimuovere dal diritto sentiero. Riflettano tutti che, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, “non vi è potere se non da Dio, e le cose che sono furono ordinate da Dio. Perciò chi resiste al potere, resiste all’ordinamento di Dio, e coloro che resistono si procurano da se stessi la condanna” (27). Il divino e l’umano diritto gridano contro coloro i quali, con infamissime trame e con macchinazioni di ostilità e di sedizioni impiegano i loro sforzi nel mancare di fede ai Principi, ed a cacciarli dal trono.

Atque hac plane ex causa, ne tanta se turpitudine fœdarent veteres Christiani, sævientibus licet persecutionibus, optime tamen eos de imperatoribus ac de imperii incolumitate meritos fuisse constat, idque nedum fide in iis, quæ sibi mandabantur religioni non contraria, accurate prompteque perficiendis, sed et constantia, et effuso etiam in præliis sanguine luculentissime comprobasse. «Milites christiani, ait S. Augustinus, servierunt imperatori infideli; ubi veniebatur ad causam Christi, non agnoscebant, nisi illum qui in cœlis erat. Distinguebant dominum æternum a domino temporali, et tamen subditi erant propter Dominum æternum etiam domino temporali (28).» Hæc quidem sibi ob oculos proposuerat Mauritius martyr invictus, legionis Thebanæ primicerius, quando, ut S. Eucherius refert, hæc respondit imperatori: «Milites sumus, imperator, tui, sed tamen servi, quod libere confitemur, Dei... Et nunc /216/ non nos hæc ultima vitæ necessitas in rebellionem coegit: tenemus ecce arma, et non resistimus, quia mori, quam occidere satius volumus (29).» Quæ quidem veterum Christianorum in principes fides eo etiam illustrior effulget, si perpendatur cum Tertulliano tunc temporis Christianis «non defuisse vim numerorum et copiarum, si hostes exertos agere voluissent. Hesterni sumus, inquit ipse, et vestra omnia implevimus, urbes, insulas, castella, municipia, conciliabula, castra ipsa, tribus, decurias, palatium, senatum, forum.... Cui bello non idonei, non prompti fuissemus, etiam impares copiis, qui tam libenter trucidamur, si non apud istam disciplinam magis occidi liceret, quam occidere?... Si tantas vis hominum in aliquem orbis remoti sinum abrupissemus a vobis, suffundisset utique pudore dominationem vestram tot qualiumcumque amissio civium, imo et ipsa destitutione punisset. Procul dubio expavissetis ad solitudinem vestram;... quæsissetis, quibus imperaretis: plures hostes, quam cives vobis remansissent: nunc autem pauciores hostes habetis præ multitudine Christianorum (30).»

Fu appunto per non contaminarsi di tanto obbrobrioso delitto che gli antichi Cristiani, pur nel bollore delle persecuzioni, sempre bene meritarono degl’Imperatori e della salvezza dell’Impero, adoperandosi con fedeltà nell’adempiere esattamente e prontamente quanto veniva loro comandato che non fosse contrario alla Religione: impegnandosi con costanza ed anche con il sangue abbondantemente sparso in battaglie per essi. “I soldati cristiani – afferma Sant’Agostino – servirono l’Imperatore infedele; quando si toccava la causa di Cristo, non conoscevano che Colui che è nei Cieli. Distinguevano il Signore eterno dal Signore temporale, tuttavia proprio per il Signore eterno ubbidivano quali sudditi anche al Signore terreno” (28). Tali argomenti aveva sotto gli occhi l’invitto martire San Maurizio, capo della Legione Tebana, allorché – come riferisce Sant’Eucherio – così rispose all’Imperatore: “Imperatore, noi siamo tuoi soldati, però siamo al tempo stesso servi di Dio, e lo confessiamo liberamente... Eppure, neanche questa stessa dura necessità di serbare la vita ci spinge alla ribellione: ecco, abbiamo le armi, eppure non facciamo resistenza, perché reputiamo sorte migliore il morire che l’uccidere” (29). Tale fedeltà degli antichi Cristiani verso i loro Principi risplende anche più luminosa se si riflette con Tertulliano che a quei tempi “non mancava ai Cristiani gran numero di armi e di armati se avessero voluto farla da nemici dichiarati. Siamo usciti da poco all’esterno, egli dice agli Imperatori, e già abbiamo riempito ogni vostro luogo, le città, le isole, i castelli, i municipi, le adunanze, gli accampamenti stessi, le tribù, le curie, il palazzo, il senato, il foro... A qual guerra non saremmo stati idonei e pronti, quando pure fossimo inferiori di numero, noi che ci lasciamo trucidare tanto volonterosamente, se dalla nostra disciplina non fosse permesso più il lasciarsi uccidere che l’uccidere? Se tanta moltitudine di persone, quale noi siamo, allontanandosi da voi, si fosse rifugiata in qualche remotissimo angolo dell’orbe, avrebbe certamente recato vergogna alla vostra potenza la perdita di tanti cittadini, quali che fossero; anzi l’avrebbe punita con lo stesso abbandono. Senza dubbio vi sareste sbigottiti di fronte a tale solitudine... e avreste cercato a chi poter comandare: vi sarebbero rimasti più nemici che cittadini, mentre ora avete minor numero di nemici, tenuto conto della moltitudine dei Cristiani” (30).

Præclara hæc immobilis subjectionis in principes exempla, quas ex sanctissimis Christianæ religionis præceptis necessario proficiscebantur, detestandam illorum insolentiam, et improbitatem condemnant, qui projecta, effrenataque procacis libertalis cupiditate æstuantes, toti in eo sunt, ut jura quæque principatuum labefactent atque convellant, servitutem sub libertatis specie populis illaturi. Huc sane scelestissima deliramenta consiliaque conspirarunt Waldensium, Beguardorum, Wiclefistarum, aliorumque hujus modi filiorum Belial, qui humani generis sordes ac dedecora fuere, merito idcirco ab Apostolica hac Sede toties anathemate confixi. Nec alia profecto ex causa omnes vires intendunt veteratores isti, nisi ut cum Luthero ovantes gratulari sibi possint, «liberos se esse ab omnibus»: quod ut facilius celeriusque assequantur, flagitiosiora quælibet audacissime aggrediuntur.

Esempi così luminosi d’inalterabile sommissione ai Principi, che necessariamente derivavano dai santissimi precetti della Religione Cristiana, condannano altamente la detestabile insolenza e slealtà di coloro che, accesi dall’insana e sfrenata brama di una libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a svellere qualunque diritto del Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più duro servaggio. A questo scopo per verità cospirarono gli scellerati deliri e i disegni dei Valdesi, dei Beguardi, dei Wiclefiti e di altri simili figli di Belial, che furono l’ignominia e la feccia dell’uman genere, meritamente perciò tante volte colpiti dagli anatemi di questa Sede Apostolica. Né certamente per altro motivo codesti pensatori moderni sviluppano le loro forze, se non perché possano menar festa e trionfo con Lutero, e compiacersi con lui di “essere liberi da tutti”, disposti perciò decisamente ad accingersi a qualunque più riprovevole impresa per giungere con più facilità e speditezza a conseguire l’intento.

Neque lætiora et religioni et principatui ominari possemus ex eorum votis, qui Ecclesiam a regno separari, mutuamque imperii cum sacerdotio concordiam abrumpi discupiunt. Constat quippe, pertimesci ab impudentissimæ libertatis amatoribus concordiam illam, quæ semper rei et sacræ et civili fausta extitit ac salutaris.

Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dagli amatori d’una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e civile.

At ad cæteras acerbissimas causas, quibus solliciti sumus, et /218/ in communi discrimine dolore quodam angimur præcipuo, accessere consociationes quædam, statique cœtus, quibus, quasi agmine facto cum cujuscumque etiam falsæ religionis at cultus sectatoribus, simulata quidem in religionem pietate, vere tamen novitatis seditionumque ubique promovendarum cupidine, libertas omnis generis prædicatur, perturbationes in sacram et civilem rem excitantur, sanctior quælibet auctoritas discerpitur.

Ma a tante e così amare cause che Ci tengono solleciti e nel comune pericolo Ci crucciano con dolore singolare, si unirono certe associazioni e determinate aggregazioni nelle quali, fatta lega con gente d’ogni religione, anche falsa e di estraneo culto, si predica libertà d’ogni genere, si suscitano turbolenze contro il sacro e il civile potere, e si conculca ogni più veneranda autorità, sotto lo specioso pretesto di pietà e di attaccamento alla religione, ma con mira in fatto di promuovere ovunque novità e sedizioni.

Hæc perdolenti sane animo, fidentes tamen in Eo, qui imperat ventis et facit tranquillitatem, scribimus ad vos, venerabiles Fratres, ut induti scutum fidei contendatis prœliari strenue prœlia Domini. Ad vos potissimum pertinet, stare pro muro contra omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei. Exerite gladium spiritus, quod est verbum Dei, habeantque a vobis panem, qui esuriunt justitiam. Adsciti, ut sitis cultores gnavi in vinea Domini, id unum agite, in hoc simul laborate, ut radix quælibet amaritudinis ex agro vobis commisso evellatur, omnique enecato semine vitiorum convalescat ibi seges læta virtutum. Eos in primis affectu paterno complexi, qui ad sacras præsertim disciplinas, et ad philosophicas quastiones animum appulere, hortatores auctoresque iisdem sitis, ne solius ingenii sui viribus freti imprudenter a veritatis semita in viam abeant impiorum. Meminerint, Deum esse «sapientiæ ducem, emendatoremque sapientium (31),» ac fieri non posse ut sine Deo Deum discamus, qui per Verbum docet homines scire Deum (32). Superbi, seu potius insipientis hominis est, fidei mysteria, quæ exsuperant omnem sensum, humanis examinare ponderibus, nostræque mentis ratione confidere, quæ naturæ humanæ conditione debilis est et infirma.

Queste cose, Venerabili Fratelli, con animo dolentissimo, ma pieni di fiducia in Colui che comanda ai venti e porta la tranquillità, vi abbiamo scritto affinché, impugnato lo scudo della Fede, seguitiate animosi a combattere le battaglie del Signore. A voi sopra ogni altro compete stare qual muro saldo di fronte ad ogni superba potenza che si voglia alzare contro la scienza di Dio. Da voi si brandisca la spada dello Spirito, che è la parola di Dio, e siano da voi provveduti di pane coloro che hanno fame di giustizia. Chiamati ad essere coltivatori industriosi nella vigna del Signore, occupatevi di questo solo, e a questo solo volgete le comuni vostre fatiche: cioè che ogni radice di amarezza sia divelta dal campo a voi assegnato e, spento ogni seme vizioso, cresca in esso, abbondante e rigogliosa, la messe delle virtù. Abbracciando con paterno affetto coloro che si applicano agli studi filosofici, e più ancora alle sacre discipline, inculcate loro premurosamente che si guardino dal fidarsi delle sole forze del proprio ingegno per non lasciare il sentiero della verità e prendere imprudentemente quello degli empi. Si ricordino che Dio “è il duce della sapienza e il perfezionatore dei sapienti” (31), e che non può mai avvenire che senza Dio conosciamo Dio, il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio (32). È proprio del superbo, o piuttosto dello stolto, il volere pesare sulle umane bilance i misteri della Fede, che superano ogni nostra possibilità, e fidare sulla ragione della nostra mente, che per la condizione stessa della umana natura è troppo fiacca e malata.

Cæterum communibus hisce votis pro rei et sacræ et publicæ incolumitate carissimi in Christo filii nostri viri principes sua faveant ope et auctoritate, quam sibi collatam considerent non solum ad mundi regimen, sed maxime ad Ecclesiæ præsidium. Animadvertant sedulo, pro illorum imperio et quiete geri, quidquid pro Ecclesiæ salute laboratur; imo pluris sibi suadeant fidei causam esse debere quam regni, magnumque sibi esse perpendant, dicimus cum S. Leone Pontifice, «si ipsorum diademati de manu Domini etiam fidei addatur corona.» Positi quasi parentes et tutores populorum, veram, constantem, opulentam iis quietem parient et tranquillitatem, si in eam potissimum curam incumbant, ut incolumis sit religio et pietas in Deum, qui habet scriptum in femore: «Rex regum et Dominus dominantium. (33).»

Per il resto, i Nostri carissimi figli in Cristo, i Principi, assecondino questi comuni voti – per il bene della Chiesa e dello Stato – con il loro aiuto e con quell’autorità che devono considerare conferita loro non solo per il governo delle cose terrene, ma in modo speciale per sostenere la Chiesa. Riflettano diligentemente su quanto deve essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere più a cuore la causa della Fede che quella del Regno, come ripetiamo con il Pontefice San Leone: “Al loro diadema per mano del Signore si aggiunga anche la corona della Fede”. Posti quasi come padri e tutori dei popoli, procureranno a questi quiete e tranquillità vera, costante e doviziosa, particolarmente se si adopreranno a far fiorire tra essi la Religione e la pietà verso Dio, il quale porta scritto nel femore: “Re dei Re, e Signore dei Signori” (33).

/220/ Sed ut omnia hæc prospere ac feliciter eveniant, levamus oculos manusque ad sanctissimam Virginem Mariam, quæ sola universas hæreses interemit, nostraque maxima fiducia, imo tota ratio est spei nostræ (34). Suo ipsa patrocinio, in tanta Dominici gregis necessitate, studiis, consiliis, actionibusque nostris exitus secundissimos imploret. Id et ab apostolorum principe Petro, et ab ejus coapostolo Paulo humili prece efflagitemus, ut stetis omnes pro muro, ne fundamentum aliud ponatur præter id quod positum est. Hæc jucunda spe freti, confidimus, auctorem consummatoremque fidei Jesum Christum consolatorum tandem esse nos onmes in tribulationibus, quæ invenerunt nos nimis, cœlestique auxilii auspicem apostolicam benedictionem, vobis, venerabiles Fratres, et ovibus vestræ curæ traditis peramanter impertimur.

Ma per impetrare successi così prosperi e felici, solleviamo supplichevoli gli sguardi e le mani verso la Santissima Vergine Maria, la quale sola vinse tutte le eresie, ed è la massima Nostra fiducia, anzi la ragione tutta della Nostra speranza (34). Ella, la grande Avvocata, col suo patrocinio, in mezzo a tanti bisogni del gregge cristiano, implori benigna un esito fortunatissimo a favore dei Nostri propositi, sforzi ed azioni. Tanto con umile preghiera domandiamo ancora al Principe degli Apostoli San Pietro e al suo CoApostolo San Paolo, affinché rimaniate tutti saldi come solido muro, e non si ponga altro fondamento diverso da quello che fu già posto. Animati da questa serena speranza, confidiamo che l’Autore e il Perfezionatore della Fede Gesù Cristo consolerà finalmente noi tutti nelle tribolazioni che troppo ci tengono bersagliati. Intanto, foriera ed àuspice del celeste soccorso, a voi, Venerabili Fratelli, e a tutte le pecore affidate alla vostra cura impartiamo affettuosamente l’Apostolica Benedizione.

Datum Romæ apud S. Mariam Majorem xviii kalendas septembris die solemni Assumptionis ejusdem B. V. MARIAE, anno Dominicæ Incarnationis mdcccxxii, Pontificatus nostri anno ii.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 15 agosto, giorno solenne dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, dell’anno 1832, anno secondo del Nostro Pontificato.

Gregorius PP. XVI.

Gregorio PP. XVI

[Note]

(1) Luc, xxii, 32. [Torna al testo ]

(2) I Corinth., iv, 21. [Torna al testo ]

(3) Luc. xxii, 53. [Torna al testo ]

(4) Isaiiæ, xxiv, 5. [Torna al testo ]

(5) S. Celest. PP. Ep. 21. ad Episc. Galliar. [Torna al testo ]

(6) S. Agatho PP. Ep. ad Imp. apud Labb. Tom II, pag. 235. Ed. Mansi. [Torna al testo ]

(7) S. Innocent. PP. Ep. 11. apud Coustant. [Torna al testo ]

(8) S. Cypr. de unitate Eccles. [Torna al testo ]

(9) Conc. Flor. Sess. 25. In definit. apud Labb. Tom XVIII, col. 528 edit. Venet. [Torna al testo ]

(10) S. Hieron Ep. 3, ad Nepot. a. 1 ad 24. [Torna al testo ]

(11) Ex Can, Ap. 38, apud Labb. Tom. I. pag. 38. Edit. Mansi. [Torna al testo ]

(12) Conc. Trid. Sess. 13 dec. de Eucharist. in proœm. [Torna al testo ]

(13) S. Cypr. Ep. 52, Edit. Baluz. [Torna al testo ]

(14) S. Gelasius PP. in Ep. ad Episcop. Lucaniæ. [Torna al testo ]

(15) Ephes., v, 32. [Torna al testo ]

(16) Ephes., iv, 5. [Torna al testo ]

(17) Luc, xi, 23. [Torna al testo ]

(18) Symbol. S. Athanas. [Torna al testo ]

(19) S. Hier. Ep. 58. [Torna al testo ]

(20) S. Aug. in Psal. contra part. Donat. [Torna al testo ]

(21) S. Aug. Ep. 166. [Torna al testo ]

(22) Apocalyps., ix, 3. [Torna al testo ]

(23) Act. xix, 19. [Torna al testo ]

(24) Act. Conc. Lateran. V. Sess. 10, ubi refertur Const. Leonis X. Legenda est anterior Const. Alexandri VI. Inter multiplices, in qua multa ad rem. [Torna al testo ]

(25) Conc. Trid. Sess. xviii et xxvi. [Torna al testo ]

(26) Lit. Clem. XII. Christianæ 25 nov. 1766. [Torna al testo ]

(27) Rom., xiii, 1, 2 [Torna al testo ]

(28) S. Aug. in Psal. 124, n. 7. [Torna al testo ]

(29) S. Eucher. apud Ruinard. Act. SS. MM. de SS. Maurit. et Soc., n. 4. [Torna al testo ]

(30) Tertul. in Apolog. Cap. 35. [Torna al testo ]

(31) Sap. vii, 15. [Torna al testo ]

(32) S. Irenæus lib. iv,cap. 6. [Torna al testo ]

(33) Apoc, xix, 16 [Torna al testo ]

(34) Ex S. Bernardo, Serm. de Nat. B. M. V., S. 7. [Torna al testo ]