/Copertina/

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Le illustrazioni fuori testo, che nell’originale sono alternate ai diversi fascicoli, sono state inserite → in un unico capitolo a parte

/I/

Reginaldo M. Giuliani O. P.

Le vittorie di Dio

Note ed episodi della trincea

Torino
Amministrazione “Stella di S. Domenico”
Via S. Domenico, N. 2

/II/

Visto per la stampa

Fr. Raffaele Tavano, O. P.
Fr. Marcolino Daffara, O. P.

Si può stampare

Fr. Enrico Ibertis, Provinciale

Torino, 17 Marzo 1936.

Visto: Nulla osta

Sac. Luigi Carnino, Rev. Del.

Torino, 27 Marzo 1936

Imprimatur

Mons. L. Coccolo, Vic. Gen.

Torino, 27 Marzo 1936

Tografia G. Montrucchio - Torino, Via S. Secondo 27 bis

/III/

Prefazione

La seconda edizione de «Le vittorie di Dio», ordinate e scritte da P. Reginaldo Giuliani dopo la grande guerra, ma preparate nel suo diario durante i tre anni vissuti al fronte prima col 55° Fanteria, poi con i battaglioni di Arditi, giunge quanto mai opportuna.

Il sacrificio generoso e cosciente di questo degnissimo figlio di S. Domenico, caduto in Africa Orientale il 21 gennaio u. s., in circostanze che illuminano la sua morte dell’aureola dell’eroismo e del martirio, ha commosso profondamente il cuore del popolo italiano.

Ma pochi conoscono la sua grande anima. Come ho avuto occasione di osservare in questi giorni, i più si sono formati un giudizio errato sulla sua personalità e sull’opera da lui svolta durante la guerra e nel dopo guerra di questa tormentata vita nazionale. Si è veduto in lui, più che il patriota e l’uomo di Dio, il patriota e l’uomo di parte, si è perfino creduto che abbia parte- /IV/ cipato ad azioni belliche come vero e proprio combattente.

P. Giuliani ebbe, senza dubbio, ardentissimo l’amore verso la Patria e fu non un simpatizzante, ma un gregario attivo del movimento di rinascita nazionale: lo attestano la partecipazione alla nuova vita sociale e politica instaurata dal Regime, la propaganda d’Italianità compiuta nelle Americhe con un corso di conferenze, fa decisione presa di portarsi in Africa molto tempo prima che si iniziasse la campagna coloniale e di rimanervi nonostante le sue cattive condizioni di salute, la fine conchiusa nell’affermazione di un diritto della Patria e nell’adempimento di un alto dovere.

Ma P. Giuliani ha vissuto, ha operato ed è caduto sopratutto come un soldato di Cristo, perchè ogni suo atto fu ispirato dalla profonda fede religiosa che lo animava.

Cappellano militare, egli in questo libro ne definisce in maniera inequivocabile la missione: «non è un combattente, e non può mostrarsi tale che a scapito del suo ministero. Sua arma è la piccola Croce, che porge al bacio dei morenti».

Tale mi apparve fin dal nostro primo incontro che avvenne sul S. Michele nell’agosto del 1916, quando mi accolse insieme ad altri ufficiali nella «stamberga rovinata», come egli la chiamò, dove aveva sede il 55° Fanteria, al quale ero stato assegnato. Data l’ora tarda del nostro arrivo non vi trovammo che il P. Giuliani, il quale fece gli onori di casa con simpatica cordialità.

/V/ Di statura normale, la corporatura piuttosto esile, i capelli neri, il viso scarno e scolorito mi fece subito una grande impressione per la mobilità dei suoi occhi vivi e penetranti, per la bontà che traspariva dal sorriso che aveva sempre sulle labbra, per il calore delle sue parole. In seguito, durante un anno e mezzo trascorso insieme nel 55° Fanteria, specialmente nel periodo che dovetti sostituire l’aiutante maggiore, ebbi modo di osservare ed ammirare il suo zelo sacerdotale.

Era sua costante preoccupazione conquistare i cuori, rafforzare le volontà, risanare le anime, riconciliare e condurre gli uomini a Dio, ben comprendendo che solo così avrebbero potuto sopportare i disagi della guerra e far sacrificio della vita per la difesa della libertà, per il trionfo della giustizia. E in questo apostolato non conobbe remore, non provò stanchezze, nè abbandoni. Rare volte e per breve tempo si trattenne presso il Comando del Reggimento: preferì, avvolto in una modesta coperta da campo, vivere nel fango della trincea, parlare e scherzare coi suoi soldati, pregare e sperare con essi, partecipare alle loro ansie, soffrire i loro tormenti, i loro dolori. Spinto non dal disprezzo del pericolo e dal valore che lo faceva apparire talvolta audace e quasi sconsigliato, ma dal fermo, meditato proposito di compiere intero il suo dovere di ministro di Dio, usciva di notte con le pattuglie in esplorazione, si associava volontario in operazioni ardite, era primo nella mischia e nel combattimento per essere pronto a portare in ogni istante il conforto della religione, dove si soffriva, si sanguinava e si moriva.

/VI/ Le vittorie di Dio fanno cenno delle due battaglie che il 55° Fanteria impegnò nel settembre e nel novembre del 1916 sul Carso per la conquista delle fortissime posizioni nemiche di Oppachiasella e di Boscomalo. P. Giuliani esalta il valore dei soldati che scrissero col loro sangue pagine di gloria, ma tace o attenua l’opera sua. Eppure il contributo da lui portato in quei momenti solenni è stato meraviglioso. Alla vigilia di una azione, che si presentava gravemente costosa di sangue e di vite, egli volle dare a tutti, prima della prova suprema, il conforto cristiano; addossò il piccolo altare alla trincea sconvolta e celebrò la Messa. Tra lo scoppio delle granate e le raffiche della fucileria le parole del sacerdote che elevava l’Ostia propiziatrice scesero in ogni cuore con la dolcezza di una speranza, col conforto di una promessa, che cioè dall’egoismo e dall’odio sorgessero la pace e l’amore di Cristo.

Ma più ancora rifulse il suo zelo sacerdotale nelle posizioni occupate successivamente dal Reggimento sul Tonale. Non v’erano le quotidiane raffiche di fucileria, non si preparavano le grandi azioni offensive, ma si doveva lottare con la natura dei luoghi, con le difficoltà delle vie di comunicazione, con le abbondanti nevicate, le valanghe, le tormente, il freddo. P. Giuliani trascorse quasi tutto l’inverno del 1917 in prima linea, facendo solo qualche fugace apparizione nella camera assegnatagli nel comodo «Grande Albergo» di Ponte di Legno.

Dalla ridotta Garibaldina, dove eresse sotto gli occhi del nemico una graziosa cappella votiva, accompagnato /VII/ da un umile soldato saliva a Montozzo, all’Albiolo, ai Monticelli, a Cima Cady, valicando montagne, sospendendosi sui burroni, attraversando sentieri ghiacciati, sfidando bufere di neve che gli toglievano la vista e il respiro, per celebrare la S. Messa anche in quei nidi d’aquila, dove venti, trenta uomini erano costretti a vivere, tra cielo e terra, settimane e mesi. Perchè egli sentiva la sublime poesia della fraternità umana e cristiana, espressa con tanta affettuosa semplicità dai soldati, i quali lo pregavano, e talvolta lo rimproveravano, di averli lasciati per troppo tempo senza il conforto di Gesù Eucaristico. P. Ciuliani riteneva questi inviti come rivoltigli dal Signore, provava anzi una tristezza, insolita nel suo viso, per non poter rispondere al desiderio di tutti e moltiplicava, come poteva, la sua attività.

E quando alla fine del 1917 lasciò il 55° Fanteria per andare cappellano degli Arditi, i prodigi del suo apostolato si rinnovarono al punto di provare un’intima soddisfazione nell’udire i suoi cari figliuoli muovere all’assalto al canto di «Noi vogliam Dio».

La nuova edizione di questo libro, in cui vibrano i più alti sentimenti che animarono l’esistenza de! P. Giuliani, sarà accolta con entusiasmo dal popolo italiano. Il lettore vi troverà in una perfetta armonia spirituale l’italiano innamorato della sua terra, l’assertore della giustizia e della fraternità, il missionario della religione di Cristo, perchè in queste pagine, più che in altre pubblicazioni, il P. Reginaldo svela la sua anima ora col candore di un fanciullo, ora con la passione di un apostolo. E troverà il libro interessante /VIII/ non solo per l’acuta analisi degli uomini e del mondo in cui vissero, per la vivezza e la precisione delle descrizioni, per la sincerità con cui è stato scritto, per la spontaneità della forma non disgiunta da proprietà ed eleganza di lingua, ma sopratutto per la profonda religiosità che vi è trasfusa, specchio fedele di una grande anima che alla luce della religione cattolica seppe vivere e morire per la Patria, l’Umanità e Dio.

Roma, 10 Aprile 1936.

Vincenzo Cecconi.