Edoardo Arborio Mella

Chiesa di San Lorenzo a Montiglio d’Asti.

Giornale dell’Ingegnere e dell’Architetto Vol XXII
Torino 1872

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Chiesa di San Lorenzo a Montiglio d’Asti.

(Si vedano le tav. 10.a, 11.a e 12.a)

Fin dalla mia gioventù le dimore dei morti ebber sempre attrattive per me. O sia che il cuore fosse presago di dovervi seppellire i primi affetti, o sia che il positivismo che vi regna ed i prodotti d’arte che spesso li decorano si accordassero alle individuali tendenze, sta di fatto che i cimiteri furono sempre da me passionatamente ricercati.

Ora poi che antiquando io stesso crebbe in me l’amore per le antichità, divennero quelli per me ognor più interessanti, dappoichè le chiese racchiuse in quei sacri recinti sono bene spesso le parrocchie primitive dei rispettivi villaggi, e come tali sono talvolta preziosi monumenti dell’arte dei primi secoli.

Tale appunto è l’antichissima chiesetta, già parrocchia di Montiglio d’Asti intitolata San Lorenzo, che noi qui produciamo; tanto più interessante, quanto men conosciuta.

Torreggia essa su di un poggetto a distanza dell’abitato, e vi spicca per una abbagliante candidezza d’intonaco, certamente non antico, e per una facciata dorica greca a stucco, che con sacrilega mano, osava, un quarant’anni fa, l’architetto Bossi impiastrare sull’antico prospetto, mentre conscio del suo reato, raccomandava di aver cura di quella chiesa, come di oggetto ben interessante.

Misura essa in complesso metri 18,15 in lunghezza per metri 8,12 di largo. Era primordialmente divisa in tre navi, delle quali la mediana aveva doppia larghezza di ciascuna delle minori. È costrutta per la massima parte con arenarie dei colli circostanti. All’esterno però, nell’abside corale, il materiale cotto si avvicenda a stratificazione con esse.

Posteriori innovazioni, abbastanza palesi per la slegatura dei muri, la resero nell’odierno stato che noi presentiamo nei disegni annessi, dove tratteggiammo più in oscuro quanto formava presumibilmente l’impianto primitivo.

È astruso compito il voler pronunziare sia sull’epoca di fondazione di questa chiesa, che su quella del normale ristauro che ne ridusse a cappelle poligonali le navi minori, come oggi si vede.

Privi di documenti, non possiamo che formare congetture, e tentare d’indovinarlo per via d’induzioni e di confronti con altri monumenti, tanto più che l’esterno, se se ne eccettui l’abside corale, dappertutto rinnovato e sbiancato, perde ogni traccia d’antico che ne spiasse il carattere. Ecco pertanto la nostra idea che osiamo avanzare, fondata soltanto su qualche poco d’esperienza, senza pretendere d’imporla menomamente a chi pensa diversamente.

/165/ Dall’esame dell’impianto primitivo basilicale, dalla forma dei piloni crociformi, dal carattere dei capitelli e delle basi, dalla forma cilindrica delle vôlte massicce, pare potersi questa chiesa ascrivere all’XI secolo. Anzi varii capitelli sono talmente identici con altri che producemmo nella illustrazione della chiesa di Santa Fede presso Brusasco al Po, nel testo: creduto creduta pure di pari epoca, che si direbbero usciti dalla stessa mano.

Accettando per probabili queste pretese origini, potrà ella comunque riferirsi al dominio dell’imperatore Federico che nel 1164 confermava il possesso di Montiglio ai marchese Guglielmo di Monferrato; o dirsi un’emanazione dello stile longobardico della cattedrale di Casale-Monferrato, dacchè nell’XI secolo i canonici di quella avevano in Montiglio dei possessi? Non saprei!

Qualche maggior probabilità d’induzione mi fa credere ben antica la riduzione della chiesa all’attuale stato, quella cioè che formò le cappelle casellando le navi d’ala; anzi varie circostanze che vado ad esporre potrebbero farla credere operata già fin dal secolo XIII.

Che la trasformazióne delle cappelle sia ben antica, lo si può dedurre non tanto dall’identità del materiale, quanto dall’esservisi conservati ed impiegati pezzi d’antica scoltura. Di essi è formata tutta la cornice corrente all’imposta delle vôlte di quelle. Conservaronsi poi intatte le elegantissime fenestrelle primitive che posteriormente non si sarebbero rispettate. Ne dièmmo uno schizzo (tav. 12.a).

Se poi si considera le forme poligonali delle cappelle, ed il coronamento ad archi composti, ossia intrecciati, che presentasi esternamente verso mezzodì nella nave maggiore, mentre a settentrione vi figura ancora l’archeggiamento semplice primitivo, questi caratteri ben pronunciati dello stile gotico rendono niente avventata la presunzione d’averne approssimativamente indovinata l’epoca.

E queste innovazioni avranno esse forse avuto a promotore il vescovo d’Asti Ottoboni che nel 1332 richiedeva dal marchese Teodoro indennizzazioni per avarie di guerra? È un’idea possibile. Ci basta produrla e farla valere per tale.

Distinguonsi dalle citate le innovazioni più recenti, abbastanza riconoscibili, dove la verità vuole che si commendi il buon senso di aver lasciati scoperti i capitelli che cadevano nei sott’archi che vennero chiusi col muro dell’attuale sagrestia.

Questo è quanto abbiamo potuto accozzare su d’un argomento sterile di documenti, quanto fecondo d’interesse. Confessiamo d’averne forse avanzato troppo non sapendone nulla, ma nelle arti, anzi in esse soltanto, è veramente libero il pensiero, nè mai pregiudicevole al prossimo, che può accettarne o rifiutarne il giudicio.

C. Edoardo Mella.