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Silvana Casartelli

Quattro chiese benedettine
del XII secolo in Monferrato

Estratto dal volume degli Atti
del X Congresso di Storia dell'Architettura

Torino 1957

Centro di studi per la storia dell'architettura
Roma - 1959

Collocazione: Biblioteca del Seminario Vescovile di Asti, SLM.D CASANS

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Silvana Casartelli

Quattro chiese benedettine
del XII secolo in Monferrato

Dentro ai vasti e comprensivi confini della « school of Monferrato » prospettata dal Porter1), quattro costruzioni fanno più strettamente gruppo a sé impostando un problema particolare.

Questi quattro edifici sono: la chiesa del priorato benedettino di Santa Fede presso Cavagnolo2), la chiesa di San Lorenzo presso Montiglio3), quella di San Secondo presso Cortazzone4) ed i SS. Nazario e Celso oggi di Montechiaro5).

Prima fra queste costruzioni e chiave di tutti gli interrogativi che le quattro fabbriche hanno comuni è la chiesa di Santa Fede presso Cavagnolo, nella cui volta a botte portante direttamente il tetto e nelle cui cornici di billettes già il De Dartein6) ravvisava elementi di indiscussa cultura francese.

La particolare situazione storica e geografica che dalla seconda metà del XII secolo fece del Monferrato l’ultimo centro della letteratura provenzale, portò, viziando inizialmente ogni obbiettività di ricerca, che si leggessero il gusto e l’esperienza francese presenti nelle nostre costruzioni come influenze venute analogamente all’architettura del Monferrato dal vicino e tanto maggiore fuoco artistico del romanico provenzale7).

Lettura storica che, ampiamente condivisa, parrebbe inserirsi come una conferma di più, come una nuova acquisizione, nel già notevole quadro dei legami artistici fra i due paesi; ma vera soltanto per quel pericoloso amore di parallelismi nella storia delle diverse forme di arte che ha finito per scrivere questa pagina su parecchie facilità e inesattezze.

La scuola provenzale è nettamente insufficiente a giustificare negli edifici che ci interessano gli elementi particolari e caraterizzanti di un linguaggio figurativo disceso senza dubbio alcuno da altra cultura, di cui le terre di Cavagnolo, Montiglio, Cortazzone, Montechiaro, dovettero insieme venire in qualche modo a contatto.

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Cavagnolo muro nord
Fig. 1 - Cavagnolo Po. Chiesa di Santa Fede: muro nord (particolare)

Per riallacciare il problema ad una notizia rigorosamente valida occorre risalire a quegli studi di Gustavo Desjardins sul Cartario di Qui e nel resto del testo il nome Sainte è sovrascritto a mano sull’abbraeviazione St.e; inoltre, al nome Conques, qui come in altri punti del testo, la s è stata aggiunta a mano. Sainte-Foy-de-Conques (la celebre abbazia benedettina iniziata prima dell’anno 1050 sulla via di pellegrinaggio che collegò l’Alvernia alla Spagna8) che portarono alla scoperta di come il nostro priorato di Santa Fede presso Cavagnolo fosse una diretta filiazione della grande abbazia alverniate9).

L’unico studioso che mostrò di conoscere la notizia e ne tenne conto fu l’Olivero10), che diffondendo nel 1929, con una più vasta lettura della chiesa, la scoperta fatta dal Desjardins, cercava insieme di fondare su questa traccia una nuova indagine. Ad arenare la sua ricerca però a quei risultati più nulli che modesti che egli stesso riconosceva, era sopravvenuto, portato dalla esclusiva attenzione alla posizione geo- /311/ grafica di Sainte-Foy, il frettoloso errore di considerare questa abbazia una fra le tante costruzioni romaniche del Languedoc.

Basterà una lettura storicamente più accorta per cogliere invece nella preziosa notizia conservataci dal Cartario il diretto legame che la filiazione di Santa Fede di Cavagnolo da Sainte-Foy-de-Conques allaccia tra il nostro priorato e l’architettura alverniate.

Il rilievo degli elementi particolari e caratterizzanti del linguaggio figurativo delle nostre costruzioni sarà sufficiente e valida conferma di quanto il documento suggerisce.

L’unica parte di muratura11) originaria che la chiesa di Santa Fede oggi conserva di tutto il perimetro esterno visibile, è un breve tratto all’altezza del braccio Nord del transetto. Guasta qua e là per alcuni parziali ripristini di cui il muro ebbe varie volte bisogno, non ci è giunta così alterata che non si possa ancora notarne la singolare apparecchiatura formata da una alternanza di grossi quadrati bianchi e rossi, ottenuti col comporre geometricamente il tufo e il cotto di cui la regione dispone (fig. 1).

Montechiaro abside
Fig. 2 - Montechiaro. Chiesa dei Santi Nazario e Celso: abside (particolare)

Questa singolare apparecchiatura a grossi quadrati bianchi e rossi alternati, torna nell’abiside dei Santi Nazario e Celso di Montechiaro (fig. 2). Abside che sappiamo ricostruita negli ultimi lavori (1847-1852) /312/ interamente fedele all’originale, come fanno fede i documenti che guidarono la demolizione e quindi la ricostruzione dell’edificio là dove si legge12): « Prima di demolire il coro dell’antica chiesa dovrà (l’impresaro) numerare ad una ad una le pietre che lo formano per essere di nuovo collocate con lo stesso ordine, e impiegate nella costruzione del nuovo coro egualmente che li fregi sotto il coperto ». E ancora: « Nella costruzione delli muri costituenti il coro dovrà esattamente costruirlo colle stesse pietre ricavandole dalla demolizione, affinchè l’opera riesca perfettamente d’accordo esternamente con quella antica, sia per la sua forma che per il collocamento delle pietre che devono essere numerate come già si disse ».

La ricostruzione dell’unica delle tre absidi originariamente esistenti nell’antica fabbrica del San Lorenzo di Montiglio, liberamente rifatta negli anni 1788-179613), conserva un coronamento formato, oltre che di una di quelle fasce di billettes tanto largamente impiegate nelle costruzioni che consideriamo, da una lascia bicroma composta di piccoli rombi bianchi e rossi regolarmente alternati (fig. 3).

Reimpiegate come cornici delle prime due cappelle laterali Sud ritroviamo adattate le eguali fasce a rombi bianchi e rossi che originariamente è facile credere dovessero formare il coronamento delle due absidi laterali soppresse nel rifacimento.

Ancora accidentalmente conservato all’interno di una qualsiasi parte della muratura della navata centrale, si nota un resto di quel che in altra parte dell’edificio dovette anticamente essere una cornice a denti di lupo bianchi e rossi: quella cornice che ottimamente conservata (fig. 4) corre tutte le tre absidi del San Secondo di Cortazzone, spingendosi ancora per un tratto del lato Sud dell’edificio (fig. 5), e che unita ad altri vari disegni bicromi torna nel campanile e nella facciata dei SS. Nazario e Celso di Montechiaro14) (figg. 6, 7, 8).

Si noti inoltre, cosa notevolissima, che l’arco in facciata nei SS. Nazario e Celso è chiaramente un arco oltrepassato, (fig. 8)

Dopo quanto, attraverso i piccoli brani ancora superstiti, abbiamo potuto leggere del linguaggio originale di queste costruzioni, suonerà legittimo ed interessante avvicinare ad esempio l’arco in facciata dei SS. Nazario e Celso a quello del portale del Saint Michel d’Aiguilhe (fig. 9), o controllare il coronamento dell’abside superstite del San Lorenzo di Montiglio (fig. 3) con quello, ad esempio, delle absidi di Notre-Dame-du Port di Clermont15) (fig. 10), dove la presenza degli stessi elementi usati nello stesso senso, lega chiaramente a queste maggiori e celebri /313/ fabbriche alverniati le nostre costruzioni, sciogliendole ormai dalla travisante paternità della cultura figurativa di una Provenza prossima quanto diversa.

Consideriamo ancora il singolare schema di facciata che le nostre costruzioni hanno comune (figg. 11, 12), caratterizzato dal taglio orizzontale di una cornice tangente la ghiera più esterna del portale e dal risalto in tutta la sua altezza della zona centrale o per semicolonnine nascenti da questa cornice o per semicolonne che, partenti da terra, si legano in entrambi i casi al coronamento di archetti che chiude la facciata.

È facile vedere come questa partitura non sia risultato di un fare fortuito ed occasionale, ma riveli un gusto preciso e particolare che ci riporta ancora una volta alla paternità francese e, esattamente, alverniate.

Già Geza de Francovich, sottolineando a Santa Maria di Ripoll16) la singolare presenza in facciata di una equivalente spartizione per colonnine e per la cornice orizzontale tangente la ghiera esterna del portale, aveva parlato di questo gusto di un così ricco e continuo periodare delle superfici come proprio del sud-ovest della Francia; da dove vedeva appunto la possibilità di una derivazione diretta.

Montiglio abside
Fig. 3 - Montiglio. Chiesa di San Lorenzo: coronamento dell’abside

Derivazione che, perfettamente aderente e normale alle conclusioni /314/ fin qui raggiunte, costituirà nel nostro caso una riprova di più alla verità di quella soluzione dove già abbiamo visto convergere e notizie storiche e fatto formale.

Tutte quelle continue traccie infati di una varia decorazione geometrica a colori, la presenza di archi oltrepassati, la presenza persino di modiglioni rozzamente a « copeaux » come qualcuno ne resta nell’abside del San Lorenzo di Montiglio, richiamano decisamente temi orientali e musulmani nelle precise particolari forme caratteristiche e proprie della cultura già preromanica e quindi romanica dell’Alvernia.

Cortazzone absidi
Fig. 4 - Cortazzone. Chiesa di San Secondo: absidi (particolare)

Il riferimento risulta interamente illuminante e risolutivo in quanto l’Alvernia può spiegarci non solo la decorazione geometrica ottenuta con l’impiego di materiali di diverso colore o la pratica dell’arco oltrepassato, ma la compresenza di questi elementi con l’uso della volta a botte portante direttamente la copertura del tetto come la ritroviamo in Santa Fede, o l’impiego di quelle cornici scolpite a billettes così largamente rappresentate in tutti i nostri edifici17).

Prima di saggiare ormai storicamente quale possa essere la verità ed il senso di questo fenomeno di trapianto che fonti e linguaggio figurativo documentano, sarà utile, dopo tutte le varie fortune che la data- /315/ zione di queste costruzioni ebbe a subire, segnalare che tra le « Carte dell’Archivio Capitolare di Casale »18) esiste un documento del 24 aprile 1147 in cui si legge che: « Paganino di Trino... e sua madre Sibilla... col consenso del Marchese Guglielmo di Monferrato vendono alle chiese di Casale di Stura e di Montiglio (ecclesie sancti evasii de casale et ecclesie de sturia et de montilio) quanto possedevano in Stura ed in Montiglio stessi ».

Cortazzone fianco sud
Fig. 5 - Cortazzone. Chiesa di San Secondo: fianco sud (particolare)

Il documento citato fissa indiscutibilmente la costruzione della chiesa di San Lorenzo di Montiglio ad una data anteriore (anche se certo non di molto) al 1147.

Termine « ante quem » che interesserà egualmente anche gli altri membri della nostra famiglia architettonica, pur volendo tener conto di una lieve anticipazione per la fabbrica della Santa Fede e del suo monastero, cui l’edificio ha certamente diritto nella qualità di capostipite.

Quello stesso Cartario che segnava la Santa Fede italiana dipendente dalla più grande Sainte-Foy francese, scriveva ancora che i monaci di Sainte-Foy erigevano chiese, monasteri e pure borghi franchi in tutti i luoghi dove andavano a stabilirsi. Di alcuni monaci costruttori ci sono addirittura tramandati i nomi9).

Su questa diretta testimonianza è lecito pensare che quando l’abbazia di Sainte-Foy volle aprirsi queste terre, qualcuno dei suoi monaci /316/ sceso dalla lontana Alvernia a dare opera alla costruzione di Santa Fede e del suo monastero, colla creazione di un priorato fissasse nella terra di Cavagnolo un nuovo attivo centro benedettino. La comunanza della cultura figurativa, che lega le quattro costruzioni considerate in una stessa famiglia architettonica, conferma che l’opera di questi monaci non si arrestò alla sola Santa Fede.

La chiesa di San Lorenzo di Montiglio dovette appartenere direttamente al priorato di Santa Fede. Le analogie formali che corrono fra le due costruzioni sono così precise e continue da autorizzare senz’altro a credere, almeno nella più parte, ad una identità di bottega. Argomento altrettanto decisivo è che, pur rientrando la terra di Montiglio nella giurisdizione della diocesi di Vercelli, il San Lorenzo non viene mai nominato in nessuno degli elenchi delle chiese battesimali, titoli o cappelle dipendenti da questa né, per altro, da altra diocesi19). Tutto ciò ci dice che la chiesa di S. Lorenzo di Montiglio apparteneva ad un ordine monastico, quindi, non sarà difficile credere a quegli stessi benedettini del priorato di Santa Fede.

Se poi volessimo seguire Diego di Sant’Ambrogio quando ci informa che le croci palmate che troviamo scolpite in Santa Fede di Cavagnolo sono segno particolare degli edifici cluniacensi20), interesserà sapere che le stesse croci palmate ritornano egualmente scolpite nel San Lorenzo.

Leggermente diversa la posizione dei SS. Nazario e Celso di Montechiaro e del San Secondo di Cortazzone. Sotto ai tratti più notevoli di quella stessa cultura della Santa Fede e del San Lorenzo (come sono la decorazione bicroma a disegni geometrici, l’arco oltrepassato, le cornici a billettes o lo schema di facciata) queste due chiese rivelano un fondo senza dubbio alcuno più strettamente locale. Basterà ricordare a questo proposito l’interno del San Secondo (fig. 13), così lontano e diverso nella sua inorganica pesantezza dalla chiara logica costruttiva della Santa Fede. Anche le sculture del San Secondo di Cortazzone, vedi i capitelli (fig. 14) come il fregio corrente sotto il coronamento del fianco Sud (fig. 15), vengono senz’altro da altre mani e da lapicidi di altra cultura che non coloro che lavorarono in Santa Fede e nel San Lorenzo.

All’interpretazione di questa disparità riscontrata nel confronto degli altri due maggiori edifici, viene in soccorso ancora una volta una notizia sottratta fortunatamente al silenzio.

Tra le poche carte oggi note21) del distrutto monastero di San Secondo di Asti, più conosciuto col nome di San Secondo della Torre Rossa, troviamo ricordato che l’omonimo San Secondo di Cortazzone /317/ ed i SS. Nazario e Celso di Montechiaro erano due proprietà di questo importante priorato benedettino fondato ad Asti per volere dell’Abate di Fruttuaria, che nel 1070 vi aveva creato un priore con 12 monaci.

Montechiaro campanile
Fig. 6 - Montechiaro. Chiesa dei Santi Nazario e Celso: campanile

Ricapitolando quel che fin qui è stato detto, troviamo quindi che due percorsi storici, partiti da punti e momenti diversi, nella prima metà del XII secolo vengono a convenire in questi edifici nelle stesse forme sostanziali. Uno, certo il primo e principale determinante, che partito dall’Alvernia arriva mediato direttamente attraverso Sainte-Foy-de-Conques a Santa Fede di Cavagnolo e San Lorenzo di Montiglio. L’altro, che dall’Abbazia di Fruttuaria vediamo risalire al San Secondo della Torre Rossa di Asti e di qui più tardi al San Secondo di Cortazzone ed ai SS. Nazario e Celso di Montechiaro.

/318/ È storicamente accettabile questo incontro di due linee così diverse, e quali furono le ragioni che ne determinarono ad un certo momento la coincidenza in quella particolarissima comunanza di linguaggio che prima denunciò ai nostri occhi il problema?

Chiarificazione essenziale è che, come abbiamo visto, tutte le componenti che hanno lavorato a questo incontro sono benedettine; poiché la storia medioevale ci garantisce in questo caso che tutt’altro che singolare o fortuito è quel lungo movimento che ad un certo punto ha maturato la coincidenza che ci interessa.

È noto che movente condizionante della vastissima e fittissima rete monastica benedettina sviluppatasi nell’XI e XII secolo fu l’organizzazione di un continuo tramite su tutte quelle terre che interessi religiosi e commerciali venivano via via scoprendo.

Un documento eloquente ne è quel « Livre de Saint Jacques » che si chiude con la famosa « Guide du pélerin de Saint Jacques », dalla recente critica ormai sicuramente riconosciuto opera dei monaci di Cluny22).

Da una tappa all’altra, da un ospizio all’altro, si è ritrovato che il maggior numero dei luoghi e delle soste che la guida segnalava erano tutti o fedeli dipendenze di Cluny o, più generalmente, centri benedettini.

Montechiaro facciata
Fig. 7 - Montechiaro. Chiesa dei Santi Nazario e Celso: facciata

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Montechiaro facciata part.
Fig. 8 - Montechiaro. Chiesa dei Santi Nazario e Celso: facciata (particolare)

Ma se la « Guide » ci ha ridato le quattro grandi strade di Francia e il cammino in terra di Spagna fino a San Giacomo di Compostella, altrettanto celebrate mete come Roma, il Monte Gargano, la Terra Santa, portarono e svilupparono senza dubbio una organizzazione equivalente anche in Italia.

Da tempo J. Bédier23) ha indagato nelle fonti letterarie che il Medio Evo ci ha lasciate queste tappe e percorsi, ricercando e ricostruendone le strade e gli itinerari. La « strata publica peregrinorum », la « via Romae peregrinorum », la « strata francigena », la « via francesca », sono tutte vie ritrovate e controllate magari solo nelle linee generali, ma testimoni inconfutabili di quel grande concorso di pellegrini che colmò a questa data anche in Italia le più grandi distanze24).

L’unica garanzia di questa ricerca che attraverso tanti percorsi l’anima medioevale veniva lentamente compiendo di se stessa, erano quegli asili e monasteri che il pellegrino in terra ignota trovava ogni sera alla fine della sua lunga giornata di cammino, come leggiamo ancora scolpito nei due capitelli ai lati dell’ingresso dell’ospizio di Notre-Dame-du Puy, dove in uno la « Karitas » offre un pane al viandante, nell’altro resta a vegliare sollecita il suo sonno25).

L’alto numero di memorie traccie o resti di monasteri, in grandissima parte benedettini, esistiti in questo momento in Piemonte, ci dice /320/ che più che mai presente ed attiva dovette essere l’organizzazione ospitaliera in questa terra che, a ben ricordare, raccoglieva ed apriva quattro vie con la Francia.

Il Monginevro ed il Moncenisio facenti capo a Susa, il Piccolo ed il Gran San Bernardo ad Aosta.

Ognuno di questi passi ha la sua storia e le sue prime ed ultime calate celebri, ma la forza che nel Medio Evo spianò e scoperse ogni giorno sempre più profondamente queste terre fu la folla anonima dei pellegrini e dei mercanti.

Le antiche vie che il movimento medioevale aveva ritrovato e ripreso facevano capo con l’Aemilia Scauri e l’Aemilia Lepidi a Piacenza (più precisamente a Fidenza)26). Di qui con un tratto della Postumia si arrivava a Tortona27) da dove era egualmente facile scendere a Genova o proseguire per Asti e Chieri fino a Torino dove questa via incontrava l’altra che veniva a Torino da Pavia seguendo la riva destra del Po per Lomello, Cozzo, Trino, Quadrata (posta alla confluenza della Dora Baltea nel Po28).

Da Torino le due vie risalivano unite la Valle della Dora Riparia e passando di fronte ad Avigliana sulla sinistra del fiume, lasciavano il monte Pirchiriano con la Sagra di San Michele e toccavano Susa29). Di qui si passava il Monginevro per Oulx e Cesana scendendo poi a Briancon (mentre una antica via romana già variante della consolare per il Mons Matrona passava in Francia anche per l’attuale Bardonecchia e Modane)29).

Forse però dei valichi che facevano capo a Susa il Medioevo usò di più quello del Moncenisio, dove l’abbazia della Novalesa aveva aperto già nel IX secolo un ospizio a conforto del « diurnus pauperum Christi concursus »30).

Normalmente scendevano per la via di Susa i pellegrini provenienti dalle regioni centrali e soprattutto meridionali della Francia e settentrionali della Spagna; ed è così che vi vediamo passare quell’Ugo di Montboissier (luogo dell’Alvernia oggi compreso nel dipartimento del Puy de Dome) fondatore del San Michele alla Chiusa31). Centro benedettino dove il biografo di Benedetto I, abate del San Michele agli inizi dell’XI secolo, dice32) « che si accoglievano di buon grado e ricettavano con molta amorevolezza e generosità coloro che si presentavano, massime francesi acquitani e spagnoli, che fossero in viaggio per Roma... ».

I passi del Grande e del Piccolo San Bernardo si univano invece ad Aosta scendendo a Pavia per Verres, Ivrea, Vercelli, la n. 28 è ripetuta Novara28).

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Le Puy
Fig. 9 - Le Puy (Haute-Loire). Saint Michel d’Aiguilhe
(foto Compagnie des Arts Photomécaniques)

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Le costruzioni che ci interessano sono tutte comprese nell’isola di terra fra la via inferiore Tortona-Torino per Asti e Chieri e quella superiore Pavia-Torino per Lomello, Cozzo, Trino, Quadrata.

Quadrata era fissata alla confluenza della Dora Baltea nel Po, sulla sponda sinistra del fiume.

Quasi dirimpetto, sulla sponda destra, l’abbazia di Sainte-Foy fissa un suo priorato.

È interessante notare che sempre sulla stessa strada Pavia-Torino, questa volta più vicino a Trino, un’altra celebre abbazia alverniate, la grande Chaise-Dieu, possedeva nel XII secolo il monastero benedettino di Rocca delle Donne33).

Da Cavagnolo, tracciando una retta che scenda su Asti, un poco prima della metà del cammino troviamo il San Lorenzo di Montiglio.

Risalendo invece da Asti sempre sulla stessa linea troviamo Montechiaro. Un poco sotto, leggermente spostato ad ovest, avremmo lasciato Cortazzone.

Anche considerando il lieve spostamento di Cortazzone, questi quattro punti costituiscono così disposti un cammino continuo che attraversa verticalmente l’isola di terra compresa fra le due strade.

Clermont
Fig. 10 - Clermont. Notre-Dame-du-Port: cornice

Controllando questa situazione sulla carta geografica, se l’evidenza e la logica ci dicono che sarebbe stata indifferente una traccia interna che unisse semplicemente la strada inferiore con la superiore, quando tutte e due facevano capo da una una parte a Torino e dall’altra a Piacenza, si constaterà invece come questa linea venga ad essere l’ideale continuazione su Asti della valle della Dora Baltea che scendeva da Ivrea.

La storia del commercio astigiano e degli importantissimi e continui rapporti che questa città ebbe nel Medioevo specialmente con la Borgogna e la Champagne (i cui passi sono appunto quelli del Grande e Piccolo San Bernardo) e di qui normalmente fino al Mare del Nord e nella Manica e in Inghilterra34), dicono quale sarebbe stata l’utilità di tale via.

Carattere di tutta la politica astigiana, già pienamente nel X secolo, fu la particolare attenzione mostrata in qualsivoglia occasione, di guerra /323/ come di pace, a garantirsi sempre la libertà delle strade. Esenzione da dazi e pedaggi sono quelle che Asti fa inserire in ogni trattato di pace o contratto con le potenze vicine.

Nota L. Vergano nella sua storia de « Il Mercante astigiano nel Medioevo »35), come sempre Asti si dimostrò disposta a rinuncie e sacrifici pur di conservare la libertà di azione e di passaggio attraverso il territorio di quei comuni e feudi che trovandosi sulle vie da lei frequentate potevano chiudere o aprire a piacimento i più importanti passaggi sui ponti o attraverso i valichi delle Alpi e dell’Appennino.

Sua cura era inoltre quella di creare nuove vie attraverso gli stati vassalli ed alleati, onde impedire ai Comuni ed ai signori rivali di poter chiudere tutti gli sbocchi commerciali in caso di coalizione.

Per il transito con la Francia meridionale esiste già un diploma di Corrado II, del 18 giugno 1037, in cui veniva concesso agli astigiani oltre al diritto di potersi servire di tutte le vie, valli e corsi d’acqua del regno per esercitare la loro attività, quello particolarmente indicato dal libero transito per la la n. 34 è ripetuta Valle di Susa34).

Al contrario, sulle vie più importanti per la Borgogna e la Champagne o per Genova, incombette sempre durante tutto il Medioevo la minaccia del Monferrato.

Cavagnolo facciata
Fig. 11 - Cavagnolo Po. Chiesa di Santa Fede: facciata

/324/ I Marchesi di questo Stato infatti spingendo a Sud i loro domini fra Asti e Tortona minacciavano continuamente di tagliare ad Asti la via del Tanaro, mentre a Nord, consolidandosi ed estendendosi fra Tortona Vercelli e Torino (in special modo nella zona al di sotto del Po) venivano a soffocarla e ad impedirle una libera espansione verso la via più settentrionale del San Bernardo cui volgeva la corrente più intensa del traffico astigiano in continuazione di quella su Genova.

fig012_tn
Fig. 12 - Cortazzone. Chiesa di San Secondo: facciata

Controllando ora la traccia Asti-Cavagnolo che ci interessa, notiamo appunto come essa resterebbe esterna al Monferrato. Cortazzone ne è decisamente scostato e Montechiaro appena esterno ai confini; Montiglio e Cavagnolo segnano le punte occidentali più estreme toccate dal Marchesato36).

Così che per questa strada Asti avrebbe potuto arrivare direttamente alla confluenza della Dora Baltea nel Po costeggiando il Monferrato senza mai attraversarlo.

Per raggiungere da Asti la Dora Baltea non potremmo pensare, inoltre, cammino più diretto e facile, già quasi segnato naturalmente dall’andamento Nord-Sud dei corsi d’acqua e quindi delle valli di questa isola di terra.

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Cortazzone interno
Fig. 13 - Cortazzone. Chiesa di San Secondo: interno

E poiché nel Medioevo strade di commercio e di pellegrinaggio coincisero, si può vedere inversamente quanto, unendo direttamente Ivrea con Asti, questa linea aprisse più semplicemente di ogni altra la via al mare, di cui dice il Bédier37) che « longeant la vallée de la Scrivia conduisait vers Gênes les marchands, pélerins et croisés de France ». Non altra via, che questa traccia Asti-Cavagnolo, potrebbero inoltre aver percorso quei tre signori di Clermont che, mentre risalivano in Francia di ritorno dalle Crociate, una tradizione ancor oggi viva38) ricorda come fondatori del paese che avrebbe avuto da loro appunto il nome di Montechiaro.

Insieme all’importanza di Tortona come tramite per il mare, la buona conoscenza che i pellegrini dovevano avere della terra di Monferrato ci è testimoniata dalle fonti letterarie39). La Chanson d’Otinel, narrando una spedizione di Carlo e dei suoi in Lombardia, dice:

« Eissent de France, Burgonie ont guerpie

Passent Mungiu la fiere compaignie,

Eissent des munz, vienent a Ivoire,

Desuz Vergels passerent a navie.

Muntferant muntent, si veient Hatelie... »

Con parole diverse narra la stessa cosa anche il « Chronicon ymaginis mundi » di Giacomo d’Acqui.

/326/ Carlo Magno ed i suoi passano cioè dalla Borgogna in Italia per il San Bernardo e arrivano a Vercelli per Ivrea.

La città di Hatelie è ormai sicuramente identificata con Tortona. Quindi, dopo aver passato il Po su barche: « Muntferant muntent, si veient Hatelie ».

Questa strada da Vercelli a Tortona attraverso il Monferrato non coincide certo con quella più occidentale che interessa le nostre costruzioni, ma rientra comunque nello stesso problema di quell’isola di terra compresa fra grandi strade cui, oltre la forza delle circostanze, anche una particolare disposizione del terreno conferiva tutti i caratteri di una terra di continuo e minuto passaggio.

Ma sopra tutte queste considerazioni, il più chiaro argomento dell’apertura e transitabilità di queste valli resterà l’interesse che grandi abbazie francesi come italiane vi dimostrano e, per quel che riguarda in particolare la traccia Cavagnolo-Asti, il carattere unitario organizzato e continuo che assunse la costruzione di queste chiese benedettine. Carattere che denuncia chiaramente come aprire questa linea, fissare dei punti e quindi organizzare e presiedere al passaggio e ai movimenti attraverso questa terra, quasi prenderne possesso, rispondesse ad un interesse comune tanto al priorato di Cavagnolo che a quello di Asti.

Cortazzone capitello
Fig. 14 - Cortazzone. Chiesa di San Secondo: capitello

/327/ Che il primo legame Sainte-Foy-de-Conques-Santa Fede di Cavagnolo non sia stato stabilito passivamente dal caso ma da vera attenzione dell’abbazia francese per i nodi di strade che interesecavano queste terre, a parte considerazioni più generali, lo intuiamo dalla sapienza con cui la pur lontana abbazia sceglie il punto per creare il suo priorato, in una posizione tale che fosse insieme presente ai movimenti lungo il Po come lungo la Dora Baltea.

Cortazone fianco sud
Fig. 15 - Cortazzone. Chiesa di San Secondo: coronamento del fianco sud (part)

E che un ramo di notevole frequenza dovesse staccarsi verso Asti dal punto in cui confluivano queste due principali correnti lo si legge nell’interesse che i monaci francesi dimostrano ad internarsi in questa isola di terra, e dalla solerzia con cui l’officina della Santa Fede si sposta immediatamente a lavorare con pochi aiuti a Montiglio; mentre contemporaneamente guida, presta opera e sovrintende al lavoro dei benedettini del San Secondo di Asti impegnati nella costruzione del San Secondo a Cortazzone e dei SS. Nazario e Celso a Mairano40).

Interessante, storicamente, è questo agire concorde ed unito in cui due ambienti lontani come l’Alvernia e Sainte-Foy da una parte e Fruttuaria ed il San Secondo della Torre Rossa dall’altra, ad un certo momento, possono essere convenuti.

Credo si possa dire con una certa sicurezza che l’elemento di questa /328/ coesione dovette essere il vantaggio, comune al priorato di Santa Fede come a quello del San Secondo di Asti, che fra Cavagnolo ed Asti fosse garantita e sorvegliata la continuità del cammino. Ed è in questa proposta dove i fenomeni artistici ed i dati storici sembrano spiegarsi e integrarsi, risolvendosi a vicenda, che io vedrei la soluzione o meglio una spiegazione al problema di questi quattro edifici, isola singolare così nella « school of Monferrato » come fra le tanto più numerose costruzioni romaniche in Italia.

[Quarta di copertina]

O. G. M. Via Cesare Beccarla, 16-22 Tel. 350952 - ROMA

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[Note al testo]

1) K. Porter, Lombard Architecture, New Haven, 1917, I, pag. 148 segg. Torna al testo ↑

2) E. Mella, Della badia e chiesa di Santa Fede presso Cavagnolo Po, in « L’arte in Italia », II, Torino, 1870; aE. e F. Mella, Cenno storico artistico sulla abbadia e chiesa di Santa Fede presso Cavagnolo, in « Il Politecnico », Torino, 1870; F. De Dartein, Etude sur Varchitecture lombarde et sur les origines de l’architecture romano-byzantine, Paris, Dunod, 1865-1882; G. F. Biscarra, Studio preparatorio per un elenco degli edifici e monumenti nazionali del Piemonte, in « Atti della Soc. di Archeologia e Belle Arti per la provincia di Torino », Torino, II, anno 1878, pagg. 254-279; A. D’Andrade, Relazione dell’ufficio regionale per la conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria, P. I, 1883-1891, Torino, Bona, 1899; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, « L’Arte Romanica », Milano, 1904; G. Enlart, Manuel d’archeologie frangaise, II, Parigi, 1910; K. Porter, Medieval Architecture, New Haven, 1912; Lombard Architecture, Yale University, 1917; P. Toesca, Storia dell’arte italiana - Il Medioevo, II, Torino, 1927; E. Olivero, La chiesa romanica di Santa Fede in Cavagnolo (Torino), in « Atti della Soc. Piemontese di Archeologia e Belle Arti XI », III, Torino, 1929, pagg. 333-361; C. Ricci, L’architettura romanica in Italia, Stuttgart, 1925; G. C. Argan, L’architettura protocristiana, preromanica e romanica, Firenze, Barbera, 1936; R. Jullian, L’eveil de la sculpture italienne - La sculpture Romane dans l’Italie du Nord, Van Oest, Paris, 1945; B. Zevi, Lezioni di storia dell’architettura italiana, I, Roma, 1947; G. Pistarino, Documenti di storia romanica; Santa Fede di Cavagnolo, in « Riv. di storia arte e archeologia per la provincia di Alessandria », anno 1950, annata ’59, Alessandria, 1951, pagg. 144-152. Torna al testo ↑

3) E. Mella, Antica chiesa di San Lorenzo a Montiglio d’Asti, estratto da l’« Ateneo Religioso », n. 51, Torino, 1873; F. De Dartein, Etude sur l’architecture lombarde et sur les origines de Varchitecture romano-byzantine, II, Paris, 1865-1882; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, « Arte Romanica », Milano, 1904; K. Porter, Medieval Architecture, New Haven, 1912; Lombard Architecture, I e III, New Haven, 1917; P. Toesca, Storia dell’arte italiana, « Il Medioevo », II, Torino, 1927; R. Jullian, L’eveil de la sculpture italienne - La sculpture Romane dans l’Italie du Nord, Van Oest, Paris, 1945; B. Zevi, Lezioni di storia dell’architettura italiana: I Dal paleocristiano al gotico, Roma, 1947. Torna al testo ↑

4) E. Mella, San Secondo a Cortazzone d’Asti (sec. XI), in « Atti della Soc. di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino », I, 5, Torino, 1877; A. Gastaldi, Studio preparatorio per un elenco degli Edifici e Monumenti Nazionali del Piemonte, in « Atti della Soc. di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino », II, 1878; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, Milano, 1904; K. Porter, Medieval Architecture, New Haven, 1912; Lombard Architecture, New Haven, 1917; P. Toesca, Storia dell’arte italiana, II, Torino, 1927; R. Jullian, L’eveil de la sculpture italienne - La sculpture roman dans l’Italie du Nord, Paris, 1945; B. Zevi, Lezione di storia dell’architettura italiana: I Dal paleocristiano /329/ al gotico, Roma, 1947; R. Salvini, Wiligelmo e le origini della scultura romanica, Milano, 1956. Torna al testo ↑

5) G. F. Biscarra, Studio preparatorio per un elenco degli Edifici e Monumenti Nazionali del Piemonte, in « Atti della Soc. di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino », II, Torino, 1878; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, Milano, 1904; K. Porter, Lombard Architecture, I e III, New Haven, 1917; P. Toesca, Storia dell’arte italiana, II, Torino, 1927; G. C. Argan, L’architettura protocristiana, preromanica e romanica, Firenze, 1936; Don L. Bo, La chiesa ex Parrocchiale dei SS. Nazario e Celso in Montechiaro d’Asti, in « Atti e memorie del II congresso della Soc. Piemontese di Archeologia e Belle Arti », XVI, Asti, 1937; R. Jullian, L’eveil de la sculpture italienne - La sculpture Romane dans l’Italie du Nord, Paris, 1945; B. Zevi, Lezioni di storia dell’ architettura italiana, vol. I: Dal paleocristiano al gotico, Roma, 1947. Torna al testo ↑

6) F. De Dartein, op. cit., I, pagg. 448-450. Torna al testo ↑

7) Per l’avvicinamento del fenomeno letterario a quello architettonico cfr. già A. Venturi, op. cit., III, pagg. 66-98. Torna al testo ↑

8) Sul posto dell’abbazia di St.e Foy de Conques nella geografia architettonica del tempo cfr. E. Male, L’art religieux du XII siede en France, Paris, 1953, pag. 297 segg., pag. 300 nota 4; R. De Lasteyrie - L’architecture religieuse en France à l’epoque romane, Paris, 1929, pag. 448. Torna al testo ↑

9) Cfr. E. Olivero, op. cit., le pagine 336-361. Torna al testo ↑

10) E. Olivero, op. cit. Torna al testo ↑

11) I brevi cenni sulla forma e struttura degli edifici che interessano, qui riportati nella misura strettamente essenziale alla comprensione del problema, sono brani di una più vasta ed esauriente lettura delle singole fabbriche che il carattere di semplice comunicazione del presente lavoro non consente di rendere nota per esteso. Torna al testo ↑

12) Don Luigi Bo, op. cit., Appendice, pag. 48. Torna al testo ↑

13) Come da originali dell’archivio del Castello di Montiglio di cui una trascrizione a cura dell’ing. Baudi di Vesme è conservata presso la Soprintendenza ai Monumenti della città di Torino. Torna al testo ↑

14) Si noti che la composizione del muro a fasce bicrome in cotto e tufo regolarmente alternati, che oggi ritroviamo in qualche parte di queste fabbriche, originariamente interessava tutto il perimetro esterno dell’edificio. Torna al testo ↑

15) M. Gieure, Les eglises romanes en France, Paris, 1953, pag. 31, presentando nei suoi principali caratteri la scuola alverniate scrive: « Les chappelles orientées et les absidioles ont une decoration très riche et très variée. Corniche des cordons de billettes, des mosaiques en laves multicolores, des modillons à copeaux ». Torna al testo ↑

16) G. De Francoviche, La corrente comasca nella scultura europea, II, in « Rivista del R. Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte », Roma, 1937, pag. 95 sgg. Torna al testo ↑

17) Cfr.: E. Viollet-Le-Duc, Dictionaire Raisonné de l’architecture française, du XI an XVI siede, Paris, 1867; C. Enlart, Manuel d’Archeologie franpaise, I, Paris, 1902; R. De Lasteyrie, op. cit.; H. Focillon, Le moyen àge roman et, gothique, Paris, 1938; M. Gieure, op. cit.; E. Male, op. cit.; A. Choisy, Histoire de l’architecture, Paris, 1954; Auvergne Romane, II vol. speciale edito dalla Rivista d’arte « Zodiaque ». L’abbaye S.te Marie de la pierre-qui-vire (Yonne), 1955. Torna al testo ↑

18) aGabotto Fisso, Le carte dell’Archivio Capitolare di Casale Monferrato, in « Biblioteca della Soc. Storica Subalpina », XL-XLI, 1907, doc. XV. Interessante pure il documento CCCXLIX de Le carte dell’Archivio Capitolare di Vercelli (707-1200) (curate da aArnoldi Faccio Gabotto Rossi per la « Biblioteca della Soc. Storica Subalpina », LXX-LXXI, 1912-14), datato 22 febbraio 1177 in cui viene nominato « Pietro, Priore di Santa Fede, detto di Volpiano ». Torna al testo ↑

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19) Sull’argomento cfr. F. Savio, Gli antichi vescovi d’Italia dalle origini al 1300: I Il Piemonte, Torino, 1898, II e III La Lombardia, Firenze, 1913 e Bergamo, 1932; R. Orsenigo, Vercelli Sacra, Como, 1909. Torna al testo ↑

20) D. Di Sant’Ambrogio, Vetuste chiese benedettine rivelanti influssi clumiacensi, in « Il Politecnico », Milano, 1907. Torna al testo ↑

21) G. Bosio, Storia della chiesa di Asti, Asti, 1894, pagg. 449, 452. Torna al testo ↑

22) E. Male, op. cit., pag. 291 e segg. Torna al testo ↑

23) J. Bedier, Les chansons de geste et les routes d’Italie, in « Romania », XXXVI, pagg. 161-183, 337-360; XXXVII, pagg. 47-79. Torna al testo ↑

24) J. Bedier, op. cit., XXXVI, pag. 163. Torna al testo ↑

25) E. Male, op. cit., pag. 293. Torna al testo ↑

26) U. Formentini, Le due « Viae Aemiliae  », estratto dalla « Rivista di Studi Liguri », XIX, 1-4, Bordighera, 1953, pag. 50. Torna al testo ↑

27) U. Formentini, op. cit., pag. 44. Torna al testo ↑

28) G. Barelli, Le vie del commercio fra l’Italia e la Francia nel Medio Evo, in « Bollettino Storico Bibliografico Subalpino », XII, 1907-8, pag. 68 segg. Torna al testo ↑

29) G. Barelli, op. cit., pag. 17. Torna al testo ↑

30) G. Barelli, op. cit., pag. 30. Torna al testo ↑

31) F. Savio, Sulle origini della abbazia di San Michele della Chiusa detta la Sagra di San Michele, estratto da « Il Filotecnico », Torino, 1888, pag. 5 segg. Torna al testo ↑

32) F. Savio, op. cit., pag. 48. Torna al testo ↑

33) L. Gabotto, Storia d’altri tempi, « Il conventino di Rocca delle Donne », Casale, 1950. Torna al testo ↑

34) L. Vergano, Il mercante astigiano nel Medio Evo, in « Rivista di Storia Arte e Archeologia per la Provincia di Alessandria », XVII, 1938, pag. 310. Torna al testo ↑

35) op. cit., pag. 341. Torna al testo ↑

36) Dal diploma dato a Belfort da Federico Barbarossa a favore dello zio Guglielmo il Vecchio Marchese di Monferrato, l’anno 1164 (cfr. Benvenuto De Sancto Georgio, Historia Montis Ferrati ab origine Marchionum illius tractus usque ad annum MCCCCXC, R.I.S.S., Tomo XXIII, Milano, 1733, pag. 344) risulta che la terra di Montiglio passò al Monferrato a questa data. Cavagnolo, che il diploma di Belfort ricorda tra le terre riconfermate, non si conosce a quale data passasse al Marchesato di Monferrato. Dice il Casalis (G. Casalis, Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, IV, pag. 293 segg.) che « già compreso nel Marchesato di Ivrea passò alla chiesa di Vercelli che diedelo in feudo ai Marchesi di Monferrato dei quali Guglielmo ebbe cura di farselo confermare nel 1164 insieme con le prossime terre ». Torna al testo ↑

37) J. Bedier, op. cit., pag. 72. Torna al testo ↑

38) Cfr. Don L. Bo, op. cit., pag. 40. Torna al testo ↑

39) J. Bedier, op. cit., pag. 62 segg. Torna al testo ↑

40) Mairano e non Montechiaro è l’esatta località in cui sorse originariamente la chiesa e con il nome di S. Nazario di Mairano la troviamo infatti citata nei documenti che ne confermano la sua appartenenza al priorato del San Secondo di Asti (cfr. G. Bosio, op. cit., pag. 452).

Pur conservando tutt’oggi la località in cui sorge la chiesa la denominazione di Castel Mairano, dall’assorbimento del centro di Mairano in quello militarmente più sicuro di Montechiaro, la chiesa dei SS. Nazario e Celso viene normalmente indicata col nome di questo nuovo centro (cfr. G. Stefani, Dizionario corografico degli stati di terra ferma, Milano, p. 587 sgg.; G. Casalis, op. cit., XI, p. 226 sgg.). Torna al testo ↑