Massaja
Lettere

Vol. 1

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Al presidente e membri del consiglio centrale
della Propagazione della Fede – Lione

Relazione
Sulle Missioni dell’Abissinia, e Paesi Galla diretta agl’illustrissimi Signori Presidente, e Membri del Consiglio Centrale della Propagazione della Fede in Lione dall’Ill.mo, Rev.mo Monsignor Fr. Guglielmo Massaja, dell’Ordine dei Minori Cappuccini di San Francesco, Vescovo di Cassia in partibus, e Vicario Apostolico dei Paesi Galla.
1851.

F. 1rIllustrissimi Signori

Sono cinque anni dacché mangio il pane, che Voi, o Signori, come Amministratori dell’Opera eminentemente apostolica della Propagazione della Fede colla massima sollecitudine, e liberalità mi avete mandato. Nel Maggio del 1846. io partiva da Roma con quattro altri Compagni, tutti Figli dell’Ordine Cappuccino, a cui indegnamente son Figlio, con quella piccola scorta, che suole dare la S. C. di Propaganda ai Missionarj nella sola circostanza della loro partenza, e con qualche altro sussidio, che alcuni parenti, ed amici mi mandarono a Roma nell’epoca della mia Consegrazione, e che io ho risparmiato. Il pensiero, e la sollecitudine di trovare li mezzi per fare l’impianto di una Missione, per se stessa difficilissima, e costosissima posso assicurare, che non era sicuramente l’ultimo ad allarmare il mio spirito ancora novizio nella politica, con cui Iddio suole governare, e condurre l’Apostolato delle Missioni. Non ignorava, è vero, l’esistenza della Pia Opera destinata da Dio per rilevare dalla miseria la famiglia immensa degli Apostoli, che in questa nostra età danno l’ultimo attacco a tutto il mondo infedele per ricondurlo al porto di salute, all’unità di famiglia del gran Padre evangelico: anzi dirò, che, comprendendo la sublimità della medesima, nell’esercizio del mio Ministero ho fatto tutti li miei sforzi e presso li Vescovi, e presso il Clero, e presso il popolo medesimo, onde propagarla nell’amata Patria Subalpina, la quale sicuramente non è delle ultime a corrispondere alle paterne sollecitudini Vostre. Il riflesso di quello, che avrebbe fatto la Pia Opera per me, e per la Missione commessa alla mia meschinità, doveva essermi certamente di una gran consolazione, e sollievo, e lo era difatti: ma io ero troppo lontano da Voi; ma io non avevo la fortuna di conoscervi, e tanto meno io ero in conoscenza di persone alla portata di appoggiare una mia domanda a questo Venerando Consiglio Centrale. Per altra parte io già in fin d’allora m’immaginavo quello, ch’è realmente, una quantità enorme di richieste da tutte le parti, forse più forti, e più corroborate delle mie, e senza dubbio al di là di tutte le risorse dell’Opera. Per questa ragione io quasi non osava dirigermi /262/ a Voi pel timore di renderm’inutilmente importuno. Ma io mi sbagliava di molto, credendo Uomini di una pasta ordinaria alla testa della grand’Opera destinata a rigenerare il mondo: Iddio invece ha collocato Persone di una cosmopolitica superiore [f. 1v] superiore a tutti li bassi pregiudizj, che sogliono rovinare anche le opere più grandi.

Difatti, vedendomi scarso di mezzi, per proseguire il mio viaggio, mi son fatto coraggio, e Vi ho scritto una lettera concepita nei termini più semplici, portante per titolo la sola mia destinazione ad una Missione scabrosa, ed incerta. Calcolando umanamente, io avevo ben poca speranza di vedermi una risposta consolante; ma chi lavora all’amministrazione dell’Opera eminentement’evangelica, corre una via ben diversa da quella del mondo. Voi, o Signori, avete ricevuto la mia prima lettera, che Vi ho scritto da Alessandria; lettera semplice, sprovvista di ogni raccomandazione tanto intrinseca, che estrinseca, e gli avete data tutta l’importanza, che io avrei voluto, ma che non ho saputo rilevare colla mia povera, ed avvilita eloquenza. Quando di primo slancio ho veduto arrivarmi una cambiale di 15. mille franchi, accompagnata da una Vostra lettera piena di zelo, e di fuoco evangelico, nella quale ancora mi facevate le scuse, perché li fondi esistenti nella Cassa non erano in tutto rapporto coi tesori voluti dalla Vostra liberale, e generosa carità; oh! allora conobbi, chi siete Voi; conobbi, che non volete parole, non cerimonie, non raccomandazioni, non amicizie; ma fatti, ma verità, ma giustizia, ma zelo, ma propagazione di Vangelo. Allora chiamai li miei Compagni, ecco, dissi loro, come il Signore ha dissipato tutti li nostri timori; vedete, se ancora occorre occuparci di sollecitudine temporale; vedete se non c’è chi pensa per Noi; andiamo dunque tranquilli al luogo, dove ci chiama il Signore per spargere la sua parola di salute. Sia pur esso lontano, sia pur come si vuole miserabile: quando Noi saremmo lontani da tutti, ed abbandonati, Noi saremmo sempre figli di una famiglia immensa, che continuamente pensa a Noi; famiglia composta del fiore di tutta la cristianità; di quelli, che hanno senso evangelico per sentire li bisogni dei loro fratelli anche lontani, e degeneri: Noi avremmo sempre per Padri li più solleciti i Signori del Consiglio Centrale di Lione, che, come vedete, si sono regolati verso di Noi da veri Padri. È incredibile il coraggio, ch’entrò nei nostri cuori dopo una prova così segnalata, che la Provvidenza veniva di darci col mezzo della generosa Vostra liberalità. Senza più considerare altro, abbiamo lasciato l’Egitto, rimettendoci ben volentieri nelle mani paterne di chi governa l’Apostolato con una sollecitudine così paterna. I lunghi viaggj fatti quasi sempre in luoghi privi di ogni communicazione; le contrarietà pressoché infinite, a cui andò soggetta la povera Missione Galla, ancora prima di poter mettere il piede nel proprio terreno; il ripetuto Decreto di esilio, che mi separò non solo dagli amati Compagni, ma mi obbligò a restare degli anni senza ricevere notizia veruna di loro, né dei loro passi favorevoli, o contrarj; del come camminava la Missione all’improvviso privata del loro Capo, prima ancora di /263/ poter’essere organizzata. Tutto questo, com’è chiaro, mi obbligò a tenere seco [f. 2r] Voi un silenzio di quasi cinque anni continui, privandovi persino di quelle notizie, che Voi troppo giustamente desiderate per pascolare la pietà, e lo zelo dei pii Associati contribuenti; e dovuti per altra parte, se non per altro, per titolo della più sacra gratitudine. Io avevo tutto il motivo di credermi dimenticato da Voi, come Voi avevate tutta la ragione di credervi, che io mi fossi dimenticato dei miei Benefattori, e Padri.

Ma non è così che fa, chi si governa da Padre eròe. Difatti io restài confuso, quando ultimamente, reduce da un viaggio di sedici mesi fatto nell’interno dei Paesi Galla per visitare la Missione, giunto in Aden, e visitando le partite economiche, trovai, che Voi, o Signori, mi avevate contemplato in tutte le ripartizioni degli anni seguenti; cosiché io ho potuto non solo coprire le passività, che già si faceano sentire in modo allarmante, ma ancora saziare la fame ai poveri Missionari, che verso di me stendeano la mano supplicante; ma ajutare altri poveri Missionari per la povertà rimasti a mezzo corso del viaggio; ma pensare a riparazioni, a miglioramenti di Casa, di Chiesa, e simili. Sia lodato Iddio! Dove potevo io sperare tanta carità, e sollecitudine se non da Voi, o Signori, che stendete pietosa la mano in tutto il mondo per implorare a benefizio dell’Apostolo indigente? Da chi potevo io sperare, che fossero sentiti li miei gemiti inarticolati, che non avevano altri testimonj, che vaste foreste abitate da bestie feroci, o tutto al più da uomini selvaggj, incapaci di conoscere la mia triste posizione, se non da Dio, che discende a ricreare la carcere più oscura, e non dimentica li bisogni, e dritti dell’uomo negl’impenetrabili segreti del seno materno? Quindi da Voi, che, animati dalla sua parola di carità, volate ai confini della terra per sentire li gemiti delle Chiese nascenti, e fargli conoscere ad ogni cristiano adorno di sentimenti generosi nella gran famiglia evangelica,... Ah sì! Mi permetta la Vostra troppo severa modestia, io debbo dirlo, perché sta qui scritto nel mio cuore a caratteri li più sagri; devo dirlo, perché me lo impone la riconoscenza dei miei, e posso dire di tutti li Missionarj dell’orbe, anzi di tutti li novelli figli rigenerati, che loro fanno corona, e che sicuramente fanno eco a quanto io potrei dire di più toccante in questo momento: Voi, o Signori, e la Famiglia (che Iddio la benedica, e moltiplichi) di tutti gli Associati all’Opera mài abbastanza commendata della Propagazione della Fede, dopo Dio siete l’unica consolazione, e speranza al Missionario, che ha lasciato la sua Patria, e quanto avéa di più caro nel mondo per andare in cerca di nuovi figli alla Chiesa. Sì dopo Dio, ma che dico dopo Iddio? Non è forse l’Opera della Propagazione un’Opera tutta sua, incominciata, possiam dire, senza calcolo veruno dell’uomo, e come miracolosamente, e sostenuta col braccio potente della Sua Destra? Non siete Voi [f. 2v] forse, o Signori, non sono forse tutti gli Associati alla Pia Opera, come altrettanti Angeli del Signore, che volate alle parti più rimote della terra, dove fra i leoni, e le tigri se ne stanno affamati li Danieli, aspettando come dal Cielo l’ajuto della Vostra preghiera, e del Vostro soldo? /264/ Ah! Che il Missionario coll’occhio stesso pietoso, che guarda al Cielo, guarda a Voi, come altrettanti Angeli suoi; e perciò la speranza in Dio, in Voi, e negli Associati alla Pia Opera è il solo, ed unico capitale, che tien vivo, e consolato il Missionario frammezzo una solitudine perfetta, ed un’abbandono altronde affroso...

Ma che? M’accorgo, che questo mio dire, benché giusto, benché sacro per parte mia, pure Vi annoja, e quasi Vi disturba... È l’impazienza di sentire li frutti ricavati da tanta sollecitudine Vostra, e da tanta carità dei Fedeli; l’impazienza di annunziare qualche cosa di fausto agli anelanti spiriti di diffusione evangelica, onde raddoppiarne il fervore. Io pure, debbo confessarvi ingenuamente, ho penato fin qui di non aver potuto prima appagare questa Vostra brama troppo sacra e peno tuttora per non aver di che saziare il Vostro inarrivabile ardore di salute universale. Oh! Perché non posso io qui raccontarvi la conversione di tutta intiera la Nazione Galla, a cui sono stato mandato or non sono ancora cinque anni? Mio Dio! Voi lo sapete: l’ho pur voluto, efficacemente lo voglio ancora, e non sarò pago, se non col lasciare le mie ceneri in quei Paesi a monumento perpetuo della mia sincera volontà. Ma no; la conversione di quel vasto Paese dovrà essere un frutto di gravi, ed assidue fatiche; e Voi sapete, che, calcolato il viaggio, e lo studio delle lingue, appena posso contar due anni, dacché può dirsi incominciata la Missione; Voi sapete le persecuzioni fortissime, che mi obbligarono a ritrocedere nel momento, in cui avrei potuto appena incominciare a far sentire la mia parola acquistata con un’anno di faticosissimo esercizio; persecuzioni, che ritardarono in pari tempo l’arrivo dei mièi Missionarj al loro destino. Ciò non ostante credo poter dire se non tutto quello, che vorrei, almeno tanto, che basti per provarvi, che non sono state totalmente vane le Vostre speranze. Ebbene, parmi udire qualcuno di Voi più impaziente, vi sono dunque dei convertiti? Sì, vi sono dei convertiti ancora nel primo anno, quando eravamo tutti insieme imparando le lingue; col Vostro soldo ho riscattato due Giovanetti Galla caduti schiavi nelle mani di un Negoziante Mussulmano, ad oggetto d’imparare la loro lingua galla; dopo pochi mesi questi due Giovanetti ricevettero il Battesimo, e com’erano li primi, venne loro imposto il nome, ad uno di Pietro, ed all’altro di Paolo. Li due poveri ragazzi, ritornando dalla Chiesa rigenerati, ed ancor bagnati delle Acque del S. Battesimo, vennero da me, e prostratisi a terra non finivano di barciar- [f. 3r] mi, e stringermi li piedi nel modo più commovente... Eh! dissi loro, Li Vostri Benefattori sono ben lontani da qui, li conoscerete in Cielo.,. Ringraziatene Iddio, e pregate per chi ha somministrato il soldo della vostra libertà.

Pochi giorni dopo un Deftera, ossìa dotto Abissinese, pertinace Eretico per nome Abebaju, (il suo fiore) venne alla Casa della Missione Lazzarista, ove Noi eravamo, condotto da un dotto Viaggiatore come suo Scrivano. Prese posto per scrivere in una specie di ridotto, per dove io dovéa passare per recarmi alla stanza. Nelli primi giorni mi guardava con occhio biecco; ma poi poco per volta, incomin- /265/ ciando a scandagliare la mia vita privata, si addomesticò, cercò di parlarmi, e dopo due mesi di conflitto interno, ed esterno, un bel giorno, colpito dalla grazia, decise fortemente la sua conversione, volle fare l’abjura dei suoi errori ai miei piedi, terminando con dire, che non si sarebbe più staccato da me sino alla morte; e fu fedele. Ah! se potessi qui al naturale raccontarvi li belli sentimenti di amoroso trasporto, che spiegò quel Giovine nel giorno della sua prima Confessione, e Communione! Una Sposa, o Signori, una Sposa la più innamorata.

Una tempesta la più spaventevole mi sbalzò quindi fuori, e dopo 18. mesi di continui tentativi per rientrarvi, mi riuscì finalmente, come per contrabbando, colle divise di un figlio di Maometto, di rimettere il piede incerto nel campo tanto sospirato della battaglia. Allora fu, che, costretto dalla necessità, avendo preso nuovi Servi Eretici, ho potuto esercitare seco loro di nuovo un poco di Ministero della parola ai poveri Selvaggj. Nel mezzo giorno, strada facendo, quando si pranzava, e si pascolavano le bestie, all’ombra di un’albero, e per lo più vicino ad un ruscello, io passava la mia mezz’ora o facendo alli quattro Servi un poco di Catechismo, o raccontando loro qualche Storiella edificante. Lo stesso io faceva la sera, sia quando si dormiva all’aperta campagna, nelle veglie vicino al fuoco difensore dalla belve, sia ancora quando si entrava nelle capanne dei paesani, dove per lo più ero costretto limitarmi al racconto di Storie istruttive per non scoprire il mio Carattere. Dopo due mesi ho avuto pure la consolazione di vedere li quattro Servi annoverati fra li nostri, e divenuti ferventi cattolici.

Viaggiava nei mesi di Maggio, e Giugno, stagione in quei Paesi d’inverno, perché ogni giorno si ha una pioggia dirotta. Giunto all’estremità del Beghmedér, in una Provincia chiamata Gouradid, per andare avanti dovèa passare un grosso fiume, chiamato Bascilò, il quale poco lontano di là versa nel fiume Nilobleu. Non potendo passare questo fiume, enormemente ingrossato, ho dovuto cercarmi una capanna di campagna abbandonata, e là restarmene fino a tanto, che il fiume si rendesse passabile. Mi son [f. 3v] fermato 24. giorni. Mi recava ogni giorno tre o quattro volte alla campagna per catechizare i pastori. Nel primo giorno ho dovuto dare qualche medaglia per incominciare coi ragazzi; ma poi vennero gli adulti, vennero li medesimi Preti Selvaggj: la mia udienza ordinaria non era mài minore di 30. o 40. Persone. Una vasta Mimmosi, che mi somministrava della gomma per calmare l’ardore delle fauci, mi serviva di scuola, e di Tempio, divenuto famoso in tutti quei contorni. Prima di partire, ho avuto la consolazione di confessarne sette; e partì di là promettendo di ritornarvi, e di occuparmi più di proposito per indurre Monsignor De-Jacobis a fondare colà una Chiesa, essendo ancora luogo di Sua dipendenza. Ho passato il Bascilò sopra le così dette tanque, composte di tre legni legat’insieme, e portata da otto o dieci nuotatori; nel modo medesimo, che già due mesi prima avéa passato il Taccazzie, fiume, che divide il Tigre dal Semién.

/266/ Tedbabe Mariam ተድባበ፡ማርያም Tädbabä Maryam santuario dell’Amhara Sayənt, costruito nel 1552 in cima ad una amba fortificata dall’imperatore Gälawdewos (Claudius) dopo la guerra contro l’invasore Gragn; fu un importante centro religioso, e luogo di sepoltura dinastica. Giunto alle vicinanze di Tedbabe Mariam, dove sapeva trovarsi li due Compagni, PP. Giusto, e Cesare, mandai Loro un’avviso; e la sera a notte, entrando in quel Paese, viddi una turba, che mi veniva all’incontro: erano li cari Compagni con tutta la Loro Casa, e Proseliti. Lascio da una parte tutto il tenero cerimoniale, dopo quasi due anni di separazione, che ognuno può immaginarsi. Domandai, se tutta quella gente era nostra, ed ebbi la gran consolazione di sentire un Sì, che partiva dal più profondo del cuore Loro per scendere a ricrearne il mio: non erano che dieci, o dodici, ma pure era qualche cosa. Fui ben più consolato dopo pochi giorni, quando ho conosciuto il credito grande, che godevano li miei Missionari in tutto quel Paese, Sede di un Prencipe Cristiano Eretico, il quale trattava li PP. Missionari colla massima confidenza, e liberalità; a segno tale, che, se la Politica di tutti quei Paesi l’avesse permesso, già fin d’allora avrebbero potuto prender possesso di quella Chiesa, Madre di tutto il Prencipato.

Passai quindi a visitare alcuni Prencipati Galla, dominati da Prencipi Mussulmani, dove li Cristiani formano una parte più o meno rispettabile della Popolazione, ma sempre minore dei Mussulmani; e Vi assicuro, che ho trovato di che consolarmi, e di che piangere. Di che consolarmi, perché colà li poveri Cristiani, sprovvisti di Preti, e di Chiese, non solo sarebbero disposti a farsi Cattolici, ma riceverebbero il Missionario come un’Angelo venuto dal Cielo a consolargli. Di che piangere poi, come difatti ho dovuto piangere amaramente, perché li medesimi poveri disgraziati colle violenze, ed oppressioni sono strascinati all’Islamismo. Che spina al cuore, o Signori, vedere sotto li miei occhi l’apostasia non di soli Individui, ma di Paesi intieri, vittime di una infame persecuzione, che gli obbligava rinunziare alla Fede del Redentore [f. 4r] per abbracciare quella di Maometto, predicata colla forza, e col bastone! Nel Prencipato delli Worro Kallo Wärrä Qallu clan Oromo che si stabilì alla fine del XVI secolo nel sud-est della regione Wällo Scioum
ሹም šum “amministratore locale”
Mèer forse Maire “sindaco”?
Worro Kallo, dove li Mussulmani formano li tre quarti della Popolazione, e sono molto fanatici, ho trovato un Paese, chiamato Tuotala, dove havvi un gran mercato, e la Popolazione oltre a due mille Abitanti è tutta Cristiana. Secondo l’uso del Paese mi sono presentato allo Scium (Mèer) per avere l’alloggio; ma conosciuto tosto come Cristiano, e Prete fui rimandato con pessimo trattamento: allora tutta la Popolazione cristiana si mise in movimento per darmi un’alloggio, e fui trattato con tutta l’affabilità, che si può aspettare in quei Paesi. Ho passato quasi tutta la notte in conferenza coi più vecchi, e Capi della Popolazione. Dio buono! Che bel campo di lavorare, se un Prencipe persecutore non fosse contrario! Una Cristianità così numerosa affatto priva di Preti, e di Chiese; la maggior parte dei ragazzi sono da battezzare; qualcheduno più commodo gli porta due giornate di viaggio ad un Monastero situato in un’Isola del lago di Aik; gli altri, quando sono grandicelli, vanno colà a farsi battezzare: là non è conosciuto il Battesimo di necessità. Quanto avrebbero desiderato, che io fossi rimasto! Avrebbero desiderato, che mi fossi fermato fra loro; avrebbero più ancora bramato di costrurre una Chiesa, disposti piena- /267/ mente a mettersi nelle mie mani. Che bel luogo! Che miglior preda poteva io desiderare! Quale più bella novella per Voi, o Signori? Tuotala avrebbe potuto diventare il licèo di una popolazione numerosissima di cristiani dispersi, ed abbandonati, che vi sono in tutti quei contorni... e lo sarebbe già sicuramente a quest’ora; ma un Prencipe Mussulmano fanatico faceva le parti del Demonio per impedire un tanto bene. Inutilmente mi sono recato da lui per supplicarlo a permettermi almeno di restarvi qualche giorno, che nemmeno mi fu permesso di vederlo; e fui obbligato a partire subito per la più vicina frontiera. Inutilmente ho fatto un’altro mese di viaggio per recarmi nell’estremità del Gojam, onde ottenere dal Ras Prencipe Cristiano, e forte una raccomandazione, che sarebbe stata una vera sorte per la mia Missione, e per li Cristiani di tutti quei Paesi Galla veduti; ma Iddio non mi ha voluto consolare. Anche il Ras, benché Cristiano, pure nella politica è Mussulmano. Framezzo a mille cortesìe, che mi fece, non volle affatto sentire questa mia domanda. Dovetti quindi contentarmi di mandare a Tuotala un Missionario con un carattere sconosciuto per istruire segretamente, e battezzare a misura, che gli sarebbe riuscito di tenersi celato. Tuotala quindi, che sarebbe altrimenti diventata un centro [f. 4v] di predicazione per tutta quella estensione di Galla, dominata da Prencipi Mussulmani, onde arrestare li progressi dell’apostasia, appena per contrabbando potrà sentire la parola di salute: ma Tuotala ciò non ostante vuol’essere Cattolico; sarà Cattolico; anzi è già Cattolico. Tuotala, quando sarà istruitto, non lascierà di esercitare la tanto bramata influenza sopra tutti li Cristiani perseguitati di quei contorni. Non è questa forse, o Signori, una notizia, che deve riempire di consolazione il cuor Vostro, e di ogni Associato alla grand’Opera? Ma seguitiamo il filo del viaggio, perché havvi ancora di che accrescere la Vostra consolazione.

Strada facendo per il Gojam sono ripassato a Gouradid, ove ho dovuto fermarmi altri otto giorni per aspettare la scorta, che mi dovev’accompagnare. Ho ripigliato il mio Catechismo ai ragazzi, li quali, appena seppero il mio arrivo, vennero a trovarmi con gran festa. Fui stupito nel vedere, che quella poca parola di Dio lasciata in quel Paese avéa fatto un profitto grandissimo. Quelli, li quali non aveano sentito che due, o tre giorni di Catechismo nella prima volta, aveano già imparato dagli altri tutto quello, che io avevo insegnato: anzi trovai molti altri, che non mi avevano conosciuto, già ben incamminati nell’istruzione. Prima di partire ebbi la consolazione di sentire alcuni altri in Confessione, oltre ai primi, che di nuovo vollero confessarsi. Partendo da Tedbabe Mariam avevo preso dai Compagni un Giovine Galla Catecumeno: l’ho istruitto lungo il viaggio, e in Gouradid ho avuto la consolazione di amministrargli il S. Battesimo. Questo Giovine da più di un mese instava per essere battezzato: quando poi ho deciso di contentarlo, era come fuori di se per l’allegrezza, e volle passare la notte precedente alla Sagra Funzione in continua preghiera. Prima si chiamava Morka; appena battezzato col nome del diletto Apostolo Giovanni, si mise a gridare /268/ «Morka jelleni, mata (Morka non c’è più, è morto.) In Devra-Work nel campo del Ras, dove mi sono fermato 50. giorni a perorare la causa dei poveri Galla oppressi, un povero Giovine Eretico, ammalato di etisìa, fu catechizato, e l’ho lasciato quasi agli estremi pieno di buoni sentimenti da vero Cattolico. Là pure si unirono a Noi due altri Giovani Galla, che ho lasciato poi Catechumeni nelle mani del P. Giusto: mio Compagno, destinato a restare in quel Paese vicino al Goudrou. Vedete dunque, o Signori, che Iddio non lasciò di secondare il mio Ministero, ed il Vostro zelo:... ma voglio aggiungervi ancora qualche cosa.

Costretto a sortire dall’Abissinia, perchè la mia Persona, fattasi già notoria, avrebbe [f. 5r] potuto causare qualche sconvolgimento maggiore alle due Missioni; dopo un buon mese di viaggio pericolosissimo, in cui ero costretto a cangiare ogni giorno direzione, e vesti per non cadere nelle mani delle spie, che mi volevano tradire al Vescovo Selvaggio, mi riuscì finalmente di entrare nel luogo di rifugio a Massawa. Dio solo sa con qual dolore ho dovuto lasciare un campo di tante speranze. Io ero desolato, pensando di non poter più travagliare per qualche tempo; ma Iddio mi aveva già preparata in Massawa un’anima, che mi attendeva per esser salva: era questi un certo Sterrano, Greco di origine e di Religione, e poi Protestante per far piacere alla politica di chi era servo. Io avèa conosciuto, e praticato quest’Individuo prima di montar l’Abissinia, essendo ancora Greco Scismatico: nel cangiamento, che fece di Religione, sposò ancora il partito dei nostri persecutori, e la sua casa era divenuta il ridotto, luogo di convegno dei miei capitali nemici; direi quasi, ch’era divenuto il Saulo Persecutore nostro. Ebbene; questo povero disgraziato stava a giorni per esser chiamato da Dio a render conto della sua fede, e delle sue opere. Nel giorno medesimo, che io arrivo in Moncullo, Borgo in terraferma sotto la dipendenza di Massawa, egli cade ammalato in quel luogo, dove nessuno trovavasi alla portata di ajutarlo fuori di me, che volentieri vi passai la notte intorno per assisterlo, glorioso di potergli così far vedere, come suole diportarsi il Missionario di Gesù Cristo coi suoi nemici medesimi. In quella notte il mio studio fu di semplicemente servirlo, e lasciarlo meditare in pace le verità già altre volte a lui dette, alle quali corrispose colla massima ingratitudine. L’indomani, trovandosi un poco meglio, fu trasportato all’Isola, ove io pure andai a raggiungere il mio Fratello Laico colà stabilito; Steffano due anni prima, ancora mio amico, avéa fatto una gran bella opera, ritirando una ragazza appena nata, e gettata via, che poi io battezzai in casa sua, e due mesi dopo morì; non doveva perciò fare una cattiva fine. Benché circondato da Eretici li più maligni, e nostri capitali nemici, che mi tenèano in riguardo per non potermeli approssimare; pure fui chiamato a salvarlo da quei medesimi, che l’aveano perduto, e che volèano perderlo tuttora: e ciò far dovettero loro mal grado. Imperocché nella sera medesima Steffano cadde in una spaventevole frenesìa, in cui facèa degli urli orrendi, chiamandosi disperato, e maledicendo gli Eretici, li Protestanti, e la sua apostasia: quindi cer- /269/ cava potentemente di uccidere tutti quelli, che gli stavano intorno. Come nelle sue furie parlava sempre di me, non sapendo più a qual via appigliarsi, per [f. 5v] forza presero il partito di mandarmi a chiamare circa la mezza notte. Vi andai in compagnia di Fra Pasquale, il quale coraggioso mi diceva di non temere, come Pietro, mostrandomi una pistoletta... Che spettacolo! Ho trovato il povero Steffano nella contrada nudo, che stava battendosi con una turba di gente, che lo volèa portare in casa, gridando ad alta voce: «Andate diavoli.» Lo chiamai per nome, ed appena sentì la mia voce, si gettò come un ragazzo fra le mie braccia, docile come un’agnello. Coll’ajuto degli altri l’ho portato io stesso in casa, l’ho posto in letto, e non diede più un segno di matterìa. Mi parlò subito della sua disperazione per essersi fatto Protestante, ed io per consolarlo gli dissi, che il Signore lo voleva salvo per la carità usata alla piccola Lucia, la quale in Paradiso pregava per Lui. Questo campo di speranza lo fece prorompere in un dirottissomo pianto, che poi finì colla sua conversione, morendo due giorni dopo con dei sentimenti, da farmi stupire in un’uomo di quella tempra. Steffano morì Cattolico, e fu il primo, ch’ebbe Sepoltura Ecclesiastica in debita forma in quella Città di Mussulmamni fanatici. La sua morte fu il terrore degli Eretici nostri nemici, segnatamente dei Protestanti, che l’avéano pervertito, e che in quel momento si trovavano in buon numero in Massawa, perchè vi era un bastimento di guerra Inglese... Come il fatto fu così publico, ammutolirono tutti li nemici, abbattuti segnatamente dalla circostanza suindicata, che non mancarono di attribuirla a miracolo. Pochi giorni prima Steffano moriva senza un Prete; ma il Signore, che lo voleva salvo, per la via di persecuzioni, e di mille combinazioni mi condusse colà, e proprio nel momento. Che ne dite, o Signori? Credete voi di non aver parte alcuna in questa mirabile conversione? Ne sia giudice la buon’anima di Steffano dal Paradiso, come io lo spero. Intanto proseguirò a dirvi.

Pochi giorni dopo, venuto in Aden, ho trovato tre Idolatri Catechumeni, uno dei quali più istruitto vorre ricevere da me il S. Battesimo, in cui per compiacerlo ho dovuto io essere il suo Padrino. Dovrei pure riferirvi tutti li battezzati precedentemente dai Missionari in questa Città; tutti li Protestanti convertiti, li quali non sono, grazie a Dio, tanto pochi: ma io mi sono prefisso di raccontarvi quel tanto, che il Signore volle fare per mezzo del mio Ministero. Non Vi parlo perciò di 500. e più, a cui ho amministrato il Sagramento della Confermazione, parte appartenenti alla Missione di Monsignor De-Jacobis, e parte alla mia, segnatamente di Aden; non parlo di tre altri battezzati in Massawa, giurisdizione del Suddetto; non parlo di molti battezzati, or di passaggio in [f. 6r] qualche luogo fuori del mio Vicariato, ora esule, o residente; non parlo di trenta, e più Individui indigeni, a cui ho conferito la Sacra Ordinazione del Sacerdozio, creando così altrettanti Missionarj collaboratori alla Missione dell’Abissinia. Li voti precedenti di quella nascente Chiesa, che domandava per pietà al Cielo, ed a Roma una provvidenza ai suoi /270/ gravi bisogni di un Vescovo per ordinare, provano abbastanza, qual conto dobbiate fare Voi, o Signori, nel presente mio rendiconto delle operazioni fatte colle Vostre assistenze; non vi parlo finalmente della Consecrazione in Vescovo dell’invitto Apostolo De-Jacobis, per cui quella Missione, già colossale di materiali operazioni ricevette come lo spiracolo di vita per diventare una Chiesa vivente, e capace di provvedere ai suoi bisogni colle funzioni del Ministero Episcopale, il solo fecondo di germi vitali. Per me, Vi assicuro, che quando null’altro bene avessi potuto fare, di quanto Vi ho riferito, il solo aver contribuito, e cooperato ad una operazione così grande nella Storia di quella Cristianità, e così feconda di future speranze; quando non avessi potuto fare altro in quei Paesi, che versare l’Olio della Consacrazione Episcopale sopra il Capo di un’Apostolo, da Cui la Chiesa ha tanto da sperare, avrei ancora motivo di confondermi per tant’onore accordatomi dal Signore; il solo poter dire: mediante il mio Ministero l’Abissinia ha un Vescovo, ed ha per Vescovo l’inclito De-Jacobis; per me è tutto: perchè sono intimamente persuaso, che da questo dipende tutto, e con questo ho fatto un’operazione, da cui verrà un tutto, che solo Dio può conoscere nella sua pienezza.

Sebbene [Ebbene], perchè mi trattengo io qua a pascolare la insaziabile Vostra fame di fatti evangelici col racconto di alcune bagatelle, che il Signore volle operare col mezzo del mio Ministero, onde consolare l’avvilito, ed oppresso mio cuore? Fra tutti li Missionarj approdati colà, non sono forse io quello appunto, che il Signore medesimo ha voluto ovunque confuso, e mai quasi consolato di un’esito felice? Non sono forse quello condannato ad una pellegrinazione pressoché di cinque anni continui, il quale non può contare ancora, tutto compreso, tre mesi di solido Ministero passato nell’evangelizzare, e catechizzare il povero Selvaggio? Non sono forse quello pertanto, che col volto coperto di rossore, e confusione debbo confessare a Voi la mia nullità, e qualificarmi con giustizia il minimo di tutti li Missionarj d’Abissinia, e Paesi Galla; perchè soldato di pochi giorni sul campo di battaglia, e minimo sopratutto, perchè il meno for- [f. 6v] nito delle qualità volute per l’Apostolico Ministero? Sarà ben meglio perciò, che, messa da parte la Storia del poco, che ho fatto, cerchi di trattenervi di quanto ho veduto fare da altri Missionarj, di cui io fui testimonio.

Che bel campo, o Signori, per un lungo, ed interessante trattenimento, se il tempo, e la brevità propostami mel permettesse! Qui non più casi di conversioni particolari; ma paesi intieri, ma Provincie, ma tribù, come Gualà, Brierà, Sourouku, Soho-Taltal. Qui non più Individui particolari del basso popolo; ma Preti, ma Deftari, ma Monaci, ma Abbati, e Monasteri, ma Persone infine del più alto rango civile, ed Ecclesiastico, e della massima influenza sul popolo. Volete di più? La Nazione intiera dell’Abissinia si scosse alla voce dell’Apostolo De-Jacobis, e talmente si scosse, che spaventò il gran colosso emulo, e nemico, l’Abuna, o Vescovo Eretico. Questo corifèo dell’Eresia, e del disordine di tutto quel Paese vidde l’agonia /271/ del suo potere, e che li Prencipi medesimi d’accordo già pensavano a cacciarlo dal Paese, e chiedere a Roma un Vescovo per raddrizzare la loro Nazione: vidde, alzò la sua voce di oracolo, che minaccia, che fulmina, e conobbe di essere forte abbastanza per incominciare la più fiera, la più terribile delle persecuzioni. Persecuzione, che spogliò le nostre Chiese, e li nostri Cattolici; incatenò Preti, Monaci, e Fedeli; ed all’epoca della mia partenza contava nella casa istessa dell’empio, e crudele Pontefice, legati mani, e piedi, tre Campioni della Fede, li quali, durante tre mesi continui di violenze, e torture, diedero il più solenn’esempio d’invitta fortezza nel confessare la fede: esempio, che anelavano ogni giorno di suggellare coll’effusione del loro sangue, se una scaltra politica non faceva cangiare la risoluzione nel persecutore. Cosa si può desiderare di più in una Missione di pochi anni? Vi manca forse il martirio? No, Signori; perchè la vita del Missionario è un continuo martirio. Un’Europeo assuefatto alle commodità dei nostri Paesi, appena entrato in Abissinia va abitualmente privo dei generi, che noi chiamiamo necessari, come pane, vino, letto, casa. Quindi vestito di sacco, piedi nudi, che dorme sulla terra, martirizzato da quanto vi ha di più nauseante, e tormentoso per noi, e che io non dico per non disgustarvi...; e dopo tutto questo, occupato a catechizzare, e conversare con gente, che, a vederla, Voi la chiamereste il rifiuto delle prigioni, e degli Ospedali... Vi assicuro, che ben soventi l’amor proprio vorrebbe la morte di martire per finire un continuo martirio.

F. 7r Ecco, Signori, lo stato delle cose di quei Paesi. Li Missionari in mezzo alle sollecitudini del loro Ministero sono consolati dal pensiero, che qui si trovano persone sacrificate per loro; che non solo pregano, e raccolgono da tutto il mondo preghiere per il buon’esito delle loro fatiche, ma più ancora si occupano del loro sostentamento. Ah! Questo, Vi assicuro, è per loro l’argomento il più tenero. Né crediate, ch’essi distolti dalle loro fatiche, e disagj non pensino a Voi, ed agli Associati alla grand’Opera: no, essi all’opposto cercano in tutte le maniere di far eco alli Vostri voti, ed alle Vostre preghiere, raccomandando in termini li più obbliganti preghiere per Voi ai loro Neofiti. Oh se sapeste, quanto è tenero poter dire ai medesimi, che nei Paesi nostri abbiamo tanti Fratelli, che pregano, e dividono con noi li frutti dei loro sudori! Ma ciò non basta. Li Missionari, liberi per lo più nella celebrazione delle Messe, per Voi offrono ben soventi l’Incruento Sacrifizio. Nel decorso di cinque anni la sola mia Missione conta due mille Messe celebrate per li Benefattori della grand’Opera. Sia detto questo per provarvi, che se voi fate per Noi dei Sagrifizj, Noi ne sentiamo tutta la gratitudine a Voi dovuta, come nostri Benefattori, e Padri; ed insieme tutto il dovere di corrispondervi.

Del resto permettetemi, o Signori, che io Vi dica candidamente il mio sentimento rapporto alle Missioni di Abissinia, e Paesi Galla. L’angol’orientale dell’Affrica, dove sono stabilite, è la parte più fertile, di clima più temperato, di politica la più importante, perchè è come la chiave dell’Affrica relativamente alle operazioni della Mecca. /272/ Sopra tutta questa parte del mondo si conta abitualmente circa 700000. soldati sotti le armi; ed ogniun vede, che, passate queste all’Islamismo, potrebbe dare a questi una preponderanza notabile in tutte quelle parti. La Popolazione Abissinese, e Galla nel tipo, nelle facoltà, e nella forza la cede a nessuna dell’Affrica, essendo una razza poco presso come la nostra. Se la politica del Paese non fosse contraria, il popolo non ancora mussulmano simpatizza per Noi più d’ogni altro, e fra poco si potrebbe sperare una totale conquista; conquista, che cangierebbe senz’altro le sorti dell’Affrica, e di tutto il cristianesimo in quelle parti: basti il dire, che un brano di cristianità, la quale nella sua maggior forza contava appena tre millioni di cristiani, conta già dieci secoli di lotta contro l’Islamismo, e questa lotta fu [f. 7v] quella, che impedì la conquista totale dell’Affrica alla Mecca. Ora si trova nel momento fatale di essere vinta dalla sua nemica più colle lusinghe, che colle armi. L’operazione cattolica, la sola che possa salvare quel Paese, ha incominciato con un’esito felice, quanto aspettarsi potèa fra li cristiani: basti dire, che in pochi anni Noi abbiamo avuto già la consolazione di vedere un momento di crisi nazionale favorevole tanto nell’alta, che nella bassa politica; sgraziatamente la crisi, essendo stata immatura, si cangiò in contro crisi tanto più pericolosa, quanto che secondata dalla politica mussulmana, la quale ha capito l’operazione cattolica come sua principale nemica; e da una certa politica Europèa, guidata più dal pregiudizio Protestante, che dal calcolo di un’interesse reale. Questa persecuzione terribile ritarderà senza fallo lo sperato trionfo; potrà anche metterlo in forse, se durerà lungo tempo; tuttavia posso assicurarvi, che, come sono attualmente le cose, io credo, che il partito cattolico non si spegnerà più. Voi avete colà dei Missionari di un zelo inesprimibile, disposti tutti quanti a vincere, o morire: posso dirlo, benché appena io abbia avuto di poter ivi restare quanto basta per rendere ad Essi questa troppo giusta testimonianza. L’opera del Signore perciò, è da sperare, farà li suoi passi verso una crisi di salute, e di gran gloria a Dio, ed alla sua Chiesa per l’influenza somma sopra tutta l’Affrica: ma l’opera di Dio, per camminar bene, deve tenere una via molto diversa da quella delle altre Missioni. Qui noi aspettiamo una crisi nazionale, e cattolica; ma questa non si avrà, che quando l’opinione publica sarà tale da poterla sostenere. Li Missionarj devono lavorare indefessamente per dilatare questa opinione: il fare un gran numero di cattolici, e l’aprire delle Chiese notabili precipiterebbe la crisi, come già accadde. Se dunque non vedrete crescere il numero delle Chiese, e delle conversioni, attribuitelo a prudenza. Io stesso, come dissi, per questa ragione ho dovuto proibire l’accettazione di una Chiesa importantissima.

Ecco, o Signori, quanto occorre per la Missione di quei Paesi, li quali non devono essere gli ultimi senza dubio a dividere le sollecitudini Vostre, e le attenzioni di tutta la gran famiglia degli Associati alla grand’Opera della Propagazione. L’Abissinia, spero, che fra breve, al più tardi nella morte del Vescovo Eretico, sarà cattolica, e lo sarà con gran vantaggio di una immensità di Paesi Selvaggi, che /273/ la circondano, e che altrimenti andarebbero per sempre [f. 8r] a perdersi in seno dell’Islamismo. Se poi una guerra straordinaria dell’inferno prevalesse sgraziatamente contro di Noi, allora bisognerà adorare il giudizj imperscrutabili della Divina Provvidenza, la quale salva chi vuole, e lascia, che si perda l’ostinato alle sue chiamate: sarà sempre vero in tal caso, che la Chiesa in tutt’i tempi ha fatto colà ogni possibile, e segnatamente ai nostri giorni. La Chiesa avrà compito il suo gran dovere di far sentire la parola di salute; essi saranno inescusabili nel giorno del gran giudizio; e le limosine, e le preghiere Vostre ne renderanno testimonianza, glorificando così la giustizia del nostro buon Dio. L’impresa è di tutta importanza, corre una via di speranza, una via difficile nel tempo stesso; merita perciò di essere assistita, sopratutto colle Vostre preghiere, e con quelle di tutti li cuori apostolici, ai quali più vivamente che posso la lascio raccomandata.