Massaja
Lettere

Vol. 5

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A monsignore Serafino Cretoni
segretario della Sezione Orientale – Roma

F. 244r Eccellenza

Frascati 13. 7.bre 1883.

Rispondo alla Veneratissima del 13. corrente assicurando l’Eccellenza Vostra R.ma che il Salterio inviatomi è veramente stato stampato in Keren dai Signori della Missione lazzarista di quel Vicariato, perché ne conosco i caratteri, essendo questi caratteri della stamperia imperiale antica, oggi della republica francese.

Lo stampato dice nulla, ne da principio, ne sul fine; esso incommincia bruscamente col salmo primo, e finisce col cantico di Simeone.

La ragione per cui i Padri della Missione hanno lasciato il frontispizio di uso, secondo il mio avviso, è questa: l’Abissinia ha il pregiudizio, quasi generale nell’Oriente, di non venerare il testo stampato, ma stanno ancora tutte le tradizioni che precedettero la stampa; per essi la bibia stampata non fa testo, come fra i musulmani il corano. I Padri della Missione, [f. 244v] da quanto pare, hanno creduto con ciò di nascondere il neo della stampa. Ma l’hanno sbagliata, perché, anche in questo caso, il Salterio incommincia sempre con alcune parole di preambolo poco presso in questo senso: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: questo è il Salterio di David scritto dal tale. Più il salterio manoscritto ha sempre il rosso sul principio del metro, e nei nomi più venerati.

V. E. R.ma crede che il salterio di cui è caso, sia una nuova traduzione, cosa che io non credo. Fra il numero quasi infinito di manoscritti che esistono in paese avranno scielto un manoscritto più corretto, è da supporsi che l’abbiano anche riveduto e corretto in molte sue mende, ma il salterio suddetto ha dovuto essere coppiato da un manoscritto indigeno.

La ragione che io ho di così pensarla è questa: il salterio abissino ha il suo metro, come si vede chiaro, ed io scorgo, in questa supposta traduzione il perfetto metro abissino, cioè etiopico. Se avessero fatto una nuova traduzione da un’altro testo, sarebbe stato un lavoro quasi impossibile, per conciliare il testo tradotto col metro abissino; il variare poi il metro suddetto, l’avrebbe reso troppo estraneo al salterio in uso, per lo più imparato a memoria da tutti i salmeggianti, i quali sono moltissimi, essendo il salterio il primo libro che suole impararsi.

F. 245r Con ciò io non intendo di diminuire il merito del lavoro fatto, il quale si merita anzi di essere lodato ed incoragiato; se non altro servirà ad accostumare quel paese al testo stampato; il nuovo salterio poi sarà sempre da preferirsi ai manoscritti del paese, perché immancabilmente avrà un testo più corretto ed uniforme. Credo però che non sarà ricevuto da altri, che dai nostri pochi cattolici, /194/ perché non è ancora secondo il gusto loro. Anche per i nostri cattolici Monsignor Vicario Ap.[ostolic]o dell’Abissinia, secondo me, potrà permetterne la lettura, anche raccomandarla, ma non comandarla con espressioni indicanti una proibizione del testo antico stato tolerato finora, per evitare nuove questioni in questi tempi di persecuzione.

Quando la missione d’Abissinia goderà una maggior calma, e presenterà un’avanzamento colossale, invece di una diminuzione, come attualmente abbiamo, allora coll’ajuto di un numero maggiore di indigeni dotti, la Chiesa potrà pensare alla stampa di un testo più corretto, non solo del salterio, ma di tutta la bibbia etiopica. Per ora sarà meglio tenersi nel sistema di toleranza come le cose sono passate fin qui.

Questo, E. R.ma, sarebbe il mio parere nelle circostanze attuali per non esporsi a complicare di più l’andamento di quelle missioni: io però mi rimetto in tutto alle decisioni di chi ne sa più di me.

F. 245v In quanto all’ultima parte della Sua lettera, colla quale m’invitava a fare un’esame del salterio in questione, io lo credo un lavoro inutile, perché da solo senza l’assistenza di qualche dotto indigeno collo scarso capitale di studio etiopico che tengo, potrei mai presentare delle osservazioni superiori al lavoro fatto dai missionarii sulla facia del luogo. Per altra parte poi l’E. V. R.ma saprà come tengo un lavoro già in via, e vicino a finirsi che mi preme di terminare, perché vecchio come sono le forze e le potenze intellettuali sono in declinazione, ed un ritardo potrebbe esporlo a restare incompleto per sempre.

Tanto le debbo in ossequio ai di Lei venerati ordini, mentre coi sensi della più distinta venerazione godo raffermarmi

D. E. V. R.ma

Divot.mo Servo
† Fr. G. Massaja A.o Capp.no