/53/

7.
Conflitto Aly-Ubiè.
Ministero e ordinazioni ecclesiastiche.

guerra tra Ubiè e Ras Aly.
strade ch[i]use al sud.
Prima ancora d’incomminciare la storia delle operazioni suddette abbiamo bisogno di narrare una circostanza molto grave per tutta la nostra missione Galla, ed è la guerra nata [p. 22] tra Degiace Ubiè re del Tigre, e del Semien, e Ras Aly il vero capo di tutta l’Abissinia dopo la caduta dell’impero. Sul fine di Ottobre Degiace Ubie con tutta la sua armata del Tigrè passo il Takasiè e montò il Semien, dove l’aspettava l’armata dello stesso Semien e del Volkaït, mentre Ras Aly venuto da Devra Tabor con tutta la sua armata del centro lo stava aspettando in Vaggarà, dove ebbe luogo una guerra accanita che durò dal mese di [Mese di] Novembre sino a Pasqua per causa del Vescovo eretico Salama (1a). Per causa di questa guerra le strade del Nord al Sud dell’Abissinia furono tutte chiuse, e la nostra missione non avrebbe potuto progredire verso i Paesi Galla del Sud, dove noi eravamo diretti. Senza di questo dopo un breve riposo in Gualà io avrei fatto partire la maggior parte dei missionarii, e sarei rimasto io solo con un compagno per eseguire gli ordini della S. C. di Propaganda in Tigrè.

Vedendo che le strade erano chiuse per pensare al viaggi[o] di alcuni di noi ho detto ai miei compagni che conveniva goder tempo, e fare avanti di tutto il resto i nostri santi spirituali esercizii, per i quali già eravamo d’accordo trovandoci ancora in Massawah; siamo andati perciò tutti in corpo a pregare il Signor Dejacobis di predicarci almeno due /54/ volte al giorno e fissarci le letture da fare in commune, e la disciplina da tenere; Egli, benche occupatissimo, pure, dopo alcune difficoltà opposte dalla sua umiltà ebbe la compiacenza di acconsentire, e così, [p. 93] presi appena due giorni di riposa si diede subito principio.

esercizii spirituali dettati da Dejacobis, nostre ammirazioni
[21.12.1846-1.1.1847]
Dopo 35. anni non è il caso qui di trattenermi sulle specialità delle materie, ma è già molto poter riferire l’impressione che fece a tutti; per me il ritiro ha incomminciato il primo giorno che ci siamo trovati in Massawah: vedere quel uomo sempre grave, sempre pronto a tutti per dire una parola di salute, nel vitto semplicissimo e parco, nelle parole sempre [aggirantesi] sul campo della vita spirituale, inseparabile dai suoi allievi, alle ore determinate sempre alla preghiera in commune, anche in viaggio, una Messa che presentava un uomo quasi estatico; lascio considerare se al solo vederlo [ciò] non doveva essere per noi equivalente ad una predica. Quando poi incomminciò la sua predicazione, come se nulla fosse e volesse solo discorrere famigliarmente, incomminciò e finì il suo discorso come chi cammina senza toccare la terra, e mentre sembrava [sembrava] lontano da ogni arte [oratoria] prendeva i nostri cuori e gli guidava come l’ape da un fiore all’altro a caricarci di miele da non poterne più: bastò per impadronirsi di noi il suo primo discorso in modo che noi sospiravamo il momento di sentirlo ancora; il più bello poi è che sortito da noi passava l’intiera giornata in mezzo ad una gran famiglia, che non era famiglia ma un vero popolo [p. 94] con occupazioni di ogni genere, ora coi paesani, ora coi poveri, ora coi ragazzi, ora cogli affari d’amministrazione, ora [a] far conferenze agli ordinandi, e sortito da tutti questi imbrogli veniva da noi fresco, come se avesse passato la giornata a meditare, o a studiare.

Dopo aver caratterizzato l’uomo di Dio che ci predicava, credo inutile aggiungere di più; dirò solamente che noi passammo dieci giorni ed avremmo detto che era appena un triduo. ordinazioni dei giovani Terminati i santi spirituali esercizii si parlò delle ordinazioni dei giovani. Io a questo riguardo aveva da Roma l’ordine di prestarmi per tutti i bisogni del mio ministero, ma io non aveva ne istruzioni particolari, ne capacità di giudicare del merito degli ordinandi, epperciò è naturale che io doveva rimettermi in tutto a lui [De Jacobis], non avendo ne lingua, ne un buon interprete fuori di lui. Si decise che prima di ogni altro si sarebbero ordinati gli allievi della casa, e poi si sarebbe pensato a quei di fuori. Mi presentò 15. giovani allievi di diversa età, dei quali una decina pensava che fossero ordinati sacerdoti, e mi descrisse poco presso il merito ed il carattere di ciascheduno. Il rescritto di Roma mi /55/ dava la facoltà di ordinare in latino colla condizione, che gli ordinati fossero [destinati] per il rito etiopico.

ragioni per tenere secrete le ordinazioni.
chie[sa] publica di s. Giovanni
Prima di descrivere le funzioni dell’ordinazione debbo prevenire chi legge queste mie memorie di tre cose: 1. Una parte degli ordinandi erano già stati ordinati nell’eresia dal Vescovo Copto Abba Salama, epperciò l’ordinazione [p. 95] conveniva che fosse secreta per non sollevare l’onore e l’amor proprio del Vescovo eretico, e del suo partito ancor dominante. 2. Io non era Vescovo chiamato dal governo, e neanche approvato, e sta scritto nelle leggi del paese che un Vescovo straniero venuto senza essere chiamato poteva essere condannato anche a morte. 3. Il paese di Gualà si era dichiarato tutto cattolico, compreso il clero, e la Chiesa di S. Giovanni, la quale era servita dal P. Gabriele alumno della S. C. di Propaganda, il quale celebrava la Messa (1b) coll’assistenza dei Preti convertiti dall’eresia, ma invalidamente ordinati dal Vescovo eretico Abba Salama (2a); tutto questo era stato fatto a titolo precario, motivo per cui ci bisogna[va] molta prudenza, benché Degiace Ubie amasse molto la missione (3a); ma bisogna pensare che la forza del Re viene dal popolo, e quando questo è sollevato qualche volta costringe il Re a fare quello che non vorrebbe.

Venendo ora all’ordinazione che eravamo per fare non si poteva fare nella chiesa di S. Giovanni, sia perché non si prestava, benché nel suo stile ben fatta ed anche solida (4a) sia ancora perché non conveniva farla colà per le ragioni di segretezza sopra dette. Per questa ragione il Signor Dejacobis nell’interno della sua casa fece fare una cappella privata, ma abbastanza grande [p. 96] la quale avrebbe potuto /56/ contenere tutta quella numerosa famiglia di 50. e più persone. Questa Cappella era di rito latino, e segretamente celebravano solamente i sacerdoti europei, poiché il rito latino per alcuni indigeni poteva ancora essere una cosa troppo strana per dar motivo d’ammirazione e forze di scandalo (1c).

ordinazioni fatte nella cappella secreta latina
[13.1.1847; 17.1.1847; 24.1.1847; 341.1.1847; 2.2.1847; 19.3.1847; 20.3.1847; 21.3.1847]
Fu dunque in questa cappella fatta nei luoghi più secreti della casa, in cui ebbero luogo tutte le nostre Ordinazioni. Nella prima Ordinazione che si fece si ordinarono minoristi tutti i quindeci che [De Jacobis] mi aveva presentati. Dopo dieci giorni si fece una seconda ordinazione solenne con Pontificale, nella quale si ordinarono dodeci suddiaconi, lasciando indietro tre negli Ordini minori. Nella terza ordinazione parimenti solenne si ordinarono due nuovi minoristi, e dieci diaconi. Nella quarta ordinazione parimenti solenne si ordinarono dieci sacerdoti. Per questa ultima ordinazione si dovette aspettare molto tempo, perché dovendo i neo ordinati celebrare col Vescovo fu necessario molto esercizio per abituare i neo ordinati a pronunziare la parola latina col Vescovo, e [ciò] mi costò molta fatica. Fatta questa ordinazione abbiamo cessato per qualche tempo dall’ordinare più altri.

conversione di Biera
[7-15.1.1847].
e ordinazione del clero
[19.3.1847; 20.3.1847; 21.3.1847],
Il Prefetto Dejacobis partì per Biera, un’altro paese che era disposto a convertirsi con tutto il suo clero, ma fu sempre tardata la conversione, perché dopo i preti nuovi [p. 97] convertiti non avrebbero potuto più celebrare la S. Messa; egli andato colà [e] stette 15. giorni, in capo dei quali, lasciando là dei preti ordinati, portò a Gualà tutto quel clero per essere ordinato e messo in regola; così si fecero altre quattro funzioni, ed in un mese tutto fù terminato; i preti nuovamente ordinati in Gualà arrivarono a 15., due suddiaconi, e cinque minoristi.

partenza di Dejacobis per Alitiena. Si avvicinava la Pasqua, e vi erano ancora due altre Chiese da regolarizzare. Egli partì per Alitiena con quattro sacerdoti dei nuovi ordinati. Alitiena era un paese pagano senza chiesa; sulla speranza di preti futuri aveva già prima fatto colà una casa ed una piccola chiesa; vi andò per celebrare solennemente la prima Pasqua in rito abissino, poiché già prima aveva celebrato egli parecchie volte in rito latino. Egli amava più particolarmente Alitienà, perché come paese pagano, e quasi totalmente fuori dei confini abissinesi, in caso di persecuzione sarebbe /57/ stato un paese di rifugio per se e per il suo clero (1d). Dejacobis va a Condacondì monastero inclinato al cattolicismo. Dopo Pasqua ritornò a Gualà e passò qualche giorno con noi, e poi con alcuni Preti indigeni si recò a Conda Condy Monastero antichissimo, dove [p. 98] [dove] ancora esisteva un poco di regolarità e forma di ritiro monacale; colà l’abbate era già cattolico secreto con alcuni altri; nella circostanza della nostra venuta si era manifestato un poco di movimento, sia nel monastero, sia anche nella popolazione di loro dipendenza, epperciò lo pregavano di andarvi per vedere se si poteva conchiudere qualche cosa. Restò colà circa dieci giorni, e lasciatovi qualcuno dei preti egli se ne ritornò a Gualà per occuparsi particolarmente della Chiesa di S. Giovanni.

Qui voglio interrompere la storia dalle ordinazioni per riferire un fatto accaduto prima sul principio della quaresima. Vedendo i miei compagni che si sarebbe ritardato il nostro viaggio del Sud per causa della guerra instavano per avere qualche ragazzo Galla da istruire, e nel tempo stesso esercitarsi nella lingua Galla. compra, e battesimo di due schiavi galla
[feb. 1847].
Accadde appunto che passò per Aldegrad capitale dell’Agamien, e non lontano da noi una carovana di mercanti di schiavi che venivano dal Sud; si spedì una persona, e venne uno con alcuni giovanetti, e coll’assistenza di Dejacobis e del P. Gabriele che conoscevano un poco meglio di noi questa partita se ne comprarono due, uno di circa dodeci anni, e l’altro di otto o nove anni. Verso Pasqua si fece una funzione solenne e furono battezzati, il più grande col nome di Pietro, ed il più piccolo col nome di Paulo. Il più grande mantenne sempre [p. 99] la sua fede, ma sortì dalla missione per mettersi al servizio di qualche europeo; il più piccolo Paolo nella persecuzione fù portato in Aden, dove fù educato, e poi venuto all’interno dopo molti anni fu fatto Prete in Kafa nel [1860] 1861. Questi esiste ancora ed è uno zelante sacerdote nel regno di Scioha.

Torbidi nel Tigrè. Dopo Pasqua prolungandosi la guerra e ritardando il ritorno del Re Ubiè nel Tigre incomminciarono i torbidi; alcuni figli di Sabagadis antico Re del Tigrè incomminciavano a girare [per] il paese e rubavano /58/ di quà e di là con qualche centinaio di soldati ciascheduno. fuga alla grotta. Certo Aragawi il più giovane di essi girava [per] la Provincia dell’Agamien dove eravamo noi e si avvicinava ad Aldegrad città del suo Padre; epperciò anche Gualà non era più tranquillo. Il Signor Dejacobis vedendo questo pensò a mettere in sicuro prima di tutto il nostro bagaglio e le cose più preziose della casa sua, mandando tutto in una grotta appartenente ad alcuni parenti dei nostri preti, luogo molto sicuro, e che poche persone potevano guardarlo; facendo portare colà anche provviste per mangiare per ogni caso di doverci rifugiare.

Aragawi assedia la casa della missione ne[l] giorno dell’Ascensione latina
[13.5.1847].
nostra entrata nella grotta
[altre incursioni: 27.6.1847; 13.7.1847]
Difatti la vigilia dell’Ascenzione verso sera vennero le spie a dirci che l’indomanì Aragawi con qualche centinajo di soldati pensava di assalirci. Di notte si celebrò la S. Messa, [p. 100] e preso un poco di caffè siamo partiti verso la grotta prima ancora che [si] levasse il sole. La difficoltà fù per montare; gli indigeni più accostumati poterono montare, ma noi fummo tirati con delle corde; il precipizio per cui passavamo faceva girare la testa. Una volta arrivati là fummo tranquilli. Il Signor Dejacobis con alcuni Preti indigeni restarono alla guardia della casa. Circa le otto [di] mattina la nostra casa di Gualà era già circondata da soldati, ma quasi tutto il paese essendo parenti con Aragawi e con molti del suo seguito si passò il giorno a parlamentare. Aragawi protestava di non voler toccare Dejacobis ne la casa sua, ma cercava i forestieri. Alcuni segretamente vociferavano che fosse stato mandato da Abba Salama Vescovo eretico. Se il Signor Dejacobis abbia dato qualche cosa non lo so, ma il fatto si è che dopo essere restato accampato due giorni si aggiustarono [tra loro] e partì. Questo Aragawi molto dopo divenne cattolico fervente, e per questo restò anche in prigione qualche mese, e dopo il 1860. morì da buon cattolico.

Dopo questo fatto il nostro bagaglio restò sempre nella grotta suddetta guardato da persone fide; noi poi potemmo discendere e restarcene tranquilli in casa come prima. notizie di pace tra Ras Aly e degiace Ubiè
[lug. 1847].
Abadie viene.
Degoutin arriva a Massawa con lettere.
Fratanto incomminciavano [a] venire notizie di tregua nel campo di guerra, e si parlava anche di prossima pace fra i due pretendenti, e ciò servì a calmare un poco il paese, ed a misura [p. 101] che dette notizie prendevano consistenza i pretendenti figli di Sabagadis che molestavano il Tigre incominciavano a congedare i loro seguaci, e rientrare nella loro rappresentanza privata; vero segnale che la pace era per verificarsi. Verso il fine di Giugno venne la notizia che il nostro d’Abbadie era in strada per Adoa, e fu per noi una gran bella notizia, perché speravamo di avere da lui molti detagli, ed anche qualche raccomandazione. Anche l’Agente consolare Degoutin ritornato dall’Egitto ci scrisse, e ci mandò molte lettere venute dall’Europa. Le /59/ notizie della nostra Europa erano b[u]onæ mixtæ malis, perché il buon Pio IX., passato il suo apogeo di gloria a cui l’avevano innalzato i liberali, incominciava a trovarsi imbarazzato in Roma, ed anche minaciato.

Il Signore Dejacobis volle cogliere la circostanza della poca tregua che presentava il paese per proseguire i suoi lavori apostolici: volle visitare la sua Chiesa di Anticio, dove aveva una piccola cristianità custodita da un secondo allievo di Propaganda Abba Walde Kiros nel Principato del Signor Scimper un naturalista di Baden, oggi molto conosciuto per le molte sue spedizioni in Europa, e morto in Adoa nell’epidemia che distrusse il Tigrè dopo la disfatta degli Egiziani, se non erro, nell’anno [† 1878] 1875.

[p. 102] primo nostro incontro con Antoine d’Abbadie: informazioni avute da lui
[1.8.1847-30.9.1847]
L’ultimo di Giugno fù effettivamente conchiusa la pace di Degiace Ubiè con Ras Aly, ed apertasi la strada il Signor Antoine d’Abbadie sul principio di Luglio arrivò in Adoa. Si fermò in Adoa qualche giorno per riposarsi, ma poco restò che venne in Gualà. Contavamo un’anno dacché noi eravamo in movimento per venire a lui, sloggiati dai nostri chiostri in seguito di una sua lettera, dimodoché una simpatica attrazione è da supporsi the agiva da entrambi le parti da molto tempo agognando appunto quel incontro; chi può considerare perciò il reciproco piacere [?]; fu quel momento un momento di un vero sposalizio, il quale dopo 35. anni è sempre ancora nuovo. Restò circa otto giorni con noi, e sarebbe anche rimasto di più, se un certo riguardo per la povera casa della missione non l’avesse sloggiato per ritornarsene in Adoa ai suoi lavori (1e).

/60/ Avute da lui tutte le informazioni e raccomandazioni desiderate i miei compagni sarebbero subito partiti, se dopo la guerra non fosse nata un’altra difficoltà ancor più imponente per trattenerli, quella cioè delle pioggie della zona equatoriale, le quali dal principio di Luglio al più tardi sino a tutto Settembre [p. 103] chiudono tutte le strade; oltre le quasi continue pioggie, i fiumi, i torrenti sono impassabili, appena i poveri paesani possono recarsi ai più vicini mercati. Io mi trovava legato da un’ordine superiore, e per forza doveva aspettare ancora, ma i compagni erano impazienti. Per svincolarmi dagli ordini che mi tenevano legato in Tigrè non vi era altro mezzo che far Vescovo il Signor Dejacobis, ed appena lo conobbi, ho potuto dubitare della sua umiltà per resistere, ma giammai della sua capacità e dignità, mie lettere a Roma:
Dejacobis sia vescovo, ed io libero di partire
[10.2.1847; 22.3.1847; 25.5.1847; 19.11.1847].
epperciò non ho lasciato di scrivere subito replicate volte a Roma, affinché si prendesse al più presto una tale risoluzione, ma sgraziatamente le communicazioni coll’europa sono molto lente per quei paesi, e Roma anche per parte sua [non] usa mai precipitare in simili affari.

Fu forza dunque passare ancora i tre mesi detti d’inverno in Abissinia, benché pieno estate in Europa, incomminciando anzi da Massawa, dove l’inverno, benché poco, incommincia da Novembre come in Europa. In quei tre mesi la missione restò ancora ferma, ma non restò oziosa; per una parte il Signor Dejacobis ci aveva preparato molto lavoro pel ministero, avendo fatto nuove ordinazioni non poche, per altra parte poi i missionarii si occupavano [p. 104] nello studio delle due lingue abissinese, e Galla. Sgraziatamente però, appena le pioggie incomminciarono [a] calmare, e ritornare il movimento delle popolazioni naquero altri disturbi molto gravi ad impedire il mio viaggio verso il Sud.


(1a) Abba Salama prima, era un ra[ga]zzo di piazza, raccolto dai Protestanti di Cairo; fu loro allievo; fece le scuole parte in Cairo, e parte in Malta; di ritorno da Malta i parenti lo mandarono a S.t Antonio in punizione; si fece monaco per forza; quindi fu caciato di là in età di 18. anni; e trovavasi in Cairo protetto dai missionarii protestanti quando vennero i deputati abissinesi [1841]
[24.5.1841]
nel 1839. per prendere il vescovo. La missione Protestan[te] con regali al Patriarca lo fece[ro] fare vescov[o]. Prima si chiamava Andrea, e fatto vescovo prese il nome di Salama. Arrivato in Abissinia ando a Gondar, dove s’inimicò con Ras Aly. Per causa della fede Ras Aly unitosi col partito di Choa e caciatolo da Gondar ritornò in Tigrè, [fine 1845] dove per vendicarso di Ras Aly gli sollevò la guerra di Ubiè. [Torna al testo ]

(1b) La Messa si celebra in rito etiopico, secondo il quale, a tenore dello stesso loro messale, essa doveva essere celebrata in cinque, dei quali, oltre che celebrante, di necessità avrebbero dovuto trovarsi altri due preti, e poscia due diaconi. [Torna al testo ]

(2a) Qui si dice che era stato fatto a titolo precario, coll’assistenza dei sacerdoti stati ordinati invalidamente dal Vescovo eretico. Io credo che Dejacobis avrà dato istruzioni, affinché i preti suddetti, non ancora ordinati, non facessero, che un’assistenza semplicemente officiosa, per salvare l’apparenza in facia al publico. Altrimenti secondo il rito, il secondo Prete suole fare certe funzioni di contatto immediato colla S. eucaristia. [Torna al testo ]

(3a) L’affezione dei Re Ubiè era sincera, ed appunto per questo Monsignore Dejacobis si lasciò vincere, per fare un passo troppo avanzato. Certo che, se io allora avessi conosciuto ciò che conosco attualmente, avrei preso altre misure, e precauzioni. Lo stesso Dejacobis, in quei momento non poteva ancora avere tutte le istruzioni, che ha poi aquistato in seguito; in certe sue lettere [inviatemi] posteriormente, egli stesso me lo confessò. [Torna al testo ]

(4a) La Chiesa di S. Giovanni, fatta secondo [p. 96] l’uso abissino col Sancta Sanctorum in mezzo, ed all’oscuro, certamente che non poteva prestarsi per l’ordinazione di molti chierici, tanto più che l’altare essendo nel centro, lascia pochissimo spazio all’intorno, sia per gli ordinandi, e sia ancora per i movimenti prescritti dalla nostra liturgia. [Torna al testo ]

(1c) Un’altra riflessione molto notabile in quel paese è che il popolo non assuefatto a vedere le cerimonie liturgiche solite a farsi in secreto dentro il Santuario, per molti sarebbe stata una cosa di scandalo; tanto più trattandosi di rito latino, cosa per loro affatto straniera ai loro usi. Per tutte queste ragiona Dejacobis aveva fatto nell’interno una cappella latina per le messe, e per tutte le cerimonie latine occorrenti. [Torna al testo ]

(1d) Difatti Monsignore Dejacobis non si sbagliò in quelle sue viste future. Più tardi, venuta la persecuzione, i due paesi Gualà, e Biera tornarono al scisma. In Gualà la Chiesa di S. Giovanni ritornò ai scismatici con una parte del clero; alcuni rimasti cattolici dovettero farsi una cappella particolare secreta, nella quale celebravano secretamente la loro Messa. Il paese di Biera poi ritornò tutto al scisma; non solo la Chiesa, ma tutto il clero, ed il popolo. Acadde là ciò che suole accadere anche in Oriente ben soventi fra le popolazioni convertite il globo. Il paese di Alitienà però rimase sempre fedele alla missione cattolica. Le conversioni di popolazioni in globo sono sempre un poco sospette; tuttavia io confesso che il sistema di riceverle, benché abbia il suo male, non lascia però nella sostanza di essere un bene; perché la conversione lascia sempre un deposito di dottrina cattolica, oltre molte anime che si salvano. Il peccato d’apostasia è completo nel clero, ma non nel popolo. [Torna al testo ]

(1e) I lavori di Antoine d’Abbadie [si riducevano] erano due campi uno molto diverso dall’altro. Il primo campo era quello [era quello] della geografia; egli, prima di tutto, pensava alla formazione dì una carta geografica precisa di tutti quei paesi, di ciò ancora molto mancanti. A questo riguardo, egli era fornito, con solo d’istromenti, ma di scienze astronomiche, e di matematiche occorrenti al di là del necessario. Il secondo campo che si era proposto era quello della filologia e della storia etiopica. A questo scopo egli lavorava indefessamente a raccogliere libri e manoscritti indigeni, a qualsiasi prezzo, sia in denaro, sia i fatiche. I d’Abbadie in Abissinia erano due fratelli cor unum et anima una, però di un carattere tutto diverso l’uno dall’altro. Antoine era uomo di una morale severissima, indipendente affatto da tutte le passioni materiali, e uomo di sacrifizio a tutto dire; mentre il suo fratello Arnou, era uomo di mondo, da vivere anche un poco a modo del paese, e fatto per amicarsi con tutti i grandi. Antoine, spogliato di tutte le passioni materiali, e uomo di una volontà unica, ha potuto volare da un’estremità all’altra dell’Etiopia per le sue osservazioni, e lavori geografici; sarebbe anche volato in Cielo per vedere da vicino gli astri, perché il peso materiale della sua persona non gli gravitava. Il suo fratello Arnau, divenuto abissino perfetto, arrivato a guadagnarsi il titolo di Ras [p. 103] Michele, legato in amicizia con tutti i grandi del paese, ha potuto assistere il suo fratello maggiore nella coltura del secondo campo proposto. Ora quando Antoine d’Abbadie venne in Gualà a vederci, dicendo io che ritornò in Adoa per i suoi lavori, voleva dire che ritornò per sistemare i suoi lavori geografici ed astronomici; quindi per radunare i gran manoscritti indigeni, spedirli a /60/ Massawah, dove gli attendeva il loro fratello Carlo venuto d’Europa a prenderli. Ho voluto riferire tutta questa leggenda, per [far] capire il complesso storico di questo grand’uomo, contro il quale la gelosia umana non mancò d’inventare molte falsità. in Gualà ci siamo separati per rivederci poi in Europa nel 1850. [Torna al testo ]