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12.
Missioni per l’Ennèrea e il Kaffa.
Il filologo p. Giusto da Urbino

arrivo del corriere di Abba Baghibo;
belle notizie.
La crisi del vaivuolo non era ancora passata che arrivò un corriere dall’Ennerea; essendo la casa ancora in quarantina, il corriere entrò da Gama, e fui chiamato alla porta. Abba Baghibo spediva a Gama un bel dente di elefante con alcuni corni di muschio, ed alla missione un carico di miele. Abba Baghibo ricevette con gran piacere i missionarii; diede loro provisoriamente una bella casa appartenente ad un suo figlio, e frattanto in meno di due mesi, [preparò] un’eccellente abitazione con una cappella in legno abbastanza propria per le sacre funzioni. Diede loro schiavi per il servizio, diede grani in quantità, butirro, miele, e sali quanto loro poteva bastare.

parole di Abba baghibo. Si tratteneva soventi con loro, ed un bel giorno, dopo avergli un poco praticati disse queste parole: Siete venuti troppo tardi[:] 25. anni prima io mi sarei fatto Cristiano, e col tempo tutti questi paesi mi avrebbero seguito; oggi sono mussulmano [p. 158] sono mussulmani i miei figli, e sono pure mussulmani tutti questi principi galla, epperciò la cosa è un poco più difficile.

relazioni dei missionarii sull’Ennerea. Mi rincresce d’aver perduto tutte le lettere, perché avrebbero fatto conoscere molte cose, delle quali più non mi ricordo, ma nella sostanza erano esse una manifestazione di gran contentezza e gratitudine a quel Re. La piccola colonia cristiana di abissinesi colà stabiliti fece grandi accoglienze ai nostri missionarii. Appena la casa fu fatta, ed innaugurata la Cappella cattolica nostra questi cristiani vi si attaccarono molto tenacemente, anche coloro che forze nel loro cuore nodrivano pregiudizii abissinesi contro della missione, perché all’arrivo dei missionarii la loro casa e chiesa era divenuta come un luogo di adunanza della casta cristiana, cosa che prima non avevano; sentivano volontieri il catechismo, ed alcuni incomminciavano anche a domandare i Sacramenti.

/100/ difficoltà espostemi dai missionarii. I missionarii poi mi scrissero che Abba Baghi[bo] stava per spedire il suo corriere a Kafa, e che non dubitava che il Re di Kafa non solo aderisse, ma che facesse anzi premura di partire; sorse perciò una grave difficoltà riguardo all’Ennerea; quì già si è sollevato un certo quale movimento nella casta cristiana, conviene secondare questo movimento, oppure sarebbe meglio soprasedere per non moltiplicare troppo gli elementi? [p. 159] Se si stabilisce qui la missione Abba Baghibo sarà contento, dicevano, come non sarà certamente contento di vederci partire; i cristiani poi per parte loro non mancheranno di domandare che resti loro almeno un missionario. Noi [missionari] perciò domandiamo[:] 1. Conviene spingere l’affare di Kafa, oppure sarebbe meglio lasciarlo dormire in pace? 2. Conviene spingere ed animare di più questa missione di Saka‑Ennerea, oppure lasciarla morire? Ella ci pensi bene, e ci risponda, affinché sappiamo regolarci.

mia risposta alle questioni fattemi. Attese le mie grandi occupazioni non ho tenuto coppia della risposta da me fatta a queste questioni molto gravi per l’avvenire della missione, e quando anche l’avessi tenuta questa oggi sarebbe perduta con tante altre; come però tocca una determinazione, la quale in seguito mi cagionò molti rimorsi, credo di poterla riprodurre quasi ad litteram, almeno nelle cose più sostanziali, ed eccola = Fratelli miei cari! rispondo alle questioni che mi fate per se gravissime; esse toccano troppo nel vivo il dovere sacro del missionario per una parte, e per l’altra il principale avvenire della missione. Rispondo perciò[:] 1. che non possiamo assolutamente rifiutare il nostro sacro ministero a chi lo domanda in Ennerea, e dobbiamo anzi fare tutto il possibile per sollevare il fervore di tutti cotesti nuovi proseliti, lasciando a Dio le ulteriori determinazioni [p. 160] che sarà il caso di prendere a suo tempo, poiché [non] bisogna mai lasciare il certo per l’incerto. 2. In quanto poi all’affare di Kafa voi sapete che è un’affare deciso frà noi quì in Gudrù, quello che ha dato motivo alla attuale spedizione. Kafa è il luogo dove vi sarà probabilmente maggior risorsa per il ministero, luogo dove con tutta probabilità il missionario potrà vivere in caso che vengano a mancarci i soccorsi, luogo affatto lontano dalle persecuzioni dell’Abissinia, e luogo finalmente, dove aspettando la missione potrebbe essere soppiantata da qualche ipocrita abissinese. Non mancate perciò di sollecitare questo affare, come se nulla ci fosse da fare in Ennerea. Quando tutto sarà conchiuso con quel Re, mi scriverete e vedremo il quid agendum. In Ennerea fino a tanto che vi sarà questo re siamo certi di essere protetti, ma dopo poi Dio solo può saperlo

† Fr. G. Massaja V.o

/101/ A questa lettera ho unito una lettera in arabo che ho fatto scrivere da un mussulmano per Abba Baghibo, nella quale io lo ringraziava del miele che mi aveva mandato, di altri regali e servizii molto più grandi fatti ai miei missionarii, quali sempre intendeva raccomandargli, e sperando che non avrebbe dimenticato l’affare di Ka[fa] [di Kafa], gli augurava lunga vita per il bene del suo paese, e della missione, le offriva la mia servitu ecce. ecc. [p. 161] partenza del corriere di Abba Baghibo. così, dato qualche regalo al corriere, questi se ne partì per ritornare all’Ennerea, con alcuni regali per Abba Baghibo che mandava Gama Moras, il quale aveva ricevuto regali molto maggiori. Abba Baghibo mi aveva mandato un solo carico di miele, ed avrebbe mandato molto di più se gli stessi missionarii non l’avessero trattenuto, poiché bastava mantenere colà la missione come faceva.

calcoli per provvedere a Kafa e all’Ennerea. Appena partito il corriere, ho messo la mia testa alla tortura pensando al come provedere alla missione di Kafa nel supposto di dover lasciare aperta la missione d’Ennerea. Non avrei avuto altro mezzo che separare i due missionarii, lasciandone uno in Ennerea, e mandando l’altro a Kafa; ma in questo caso sarebbe stato di tutta necessità di aggiungere un prete indigeno, almeno a quello di Kafa, affinché potesse confessarsi, ed ajutarlo nel ministero, come luogo molto lontano; in quanto all’Ennerea io poteva provedervi dal Gudrù mandandogli qualche volta il Sacerdote indigeno. Supposto questo piano non vi era altro rimedio [p. 162] che mandare il Sacerdote indigeno Abba Hajlù Michele, oppure ordinare uno dei giovani per unirlo al missionario di Kafa incaricandolo di completare la sua istruzione. Del suddetto Abba Hajlù ne aveva bisogno io, sia per ajutarmi nella scuola, sia ancora per le relazioni indispensabili coll’Abissinia limitrofa, per la lingua etiopica sacra che io non conosceva abbastanza.

due allievi ordinandi. Di necessità ho dovuto dunque prendere il partito di preparare alla meglio uno dei giovani per essere ordinato al più presto che mi sarebbe stato possibile infra l’anno. Frà i giovani che si trovavano presso di me, i più sicuri e capaci erano solamente due, un certo Hajlù nativo di Saint, antico allievo del P. Cesare, nel corrente anno fattosi monaco nostro terziario col nome di Abba Jacob, e Giovanni Morka, di cui prima ho già parlato, il quale pure si fece monaco nostro terziario col suddetto; il primo di questi due aveva l’età canonica, ed era un poco più istruito; il secondo un galla di venti anni circa molto fervente catechista col vantaggio della lingua [del paese] e cognizioni del paese e di tutte le superstizioni del medesimo: era questi il nostro dragomanno, ed io stesso predicava [p. 163] ed istruiva colla sua parola, perché ancora non conosceva abbastanza la lingua del paese; qualche volta era obliga- /102/ to io stesso [a] servirmi di questo fervente giovane per prepararmi alcuni penitenti ammalati per ricevere i sacramenti prima della completa istruzione, ed anche confessargli servendomi di lui come interprete. Ho risolto dunque di preparare questi due giovani per l’ordinazione sopradetta, e gli ho [am]messi alla scuola che ogni giorno io faceva al Sacerdote indigeno, ed ho incaricato questi ad istruirli nelle materie già da lui prima imparate nei momenti liberi.

questione possibile sulla risoluzione mia.
diffesa.
Un’europeo accostumato alla regolarità dei collegi e seminarii nostri per l’educazione della gioventù destinata al sacro ministero del Santuario vedendo il modo tutto economico col quale io mi sono risolto in Gudrù di ordinare alcuni giovani, atteso il gran bisogno che ne aveva, troverà forze di che ammirare nella mia decisione suddetta, ma nel caso [lo invito] di riflettere seriamente a due cose; epoca apostolica, e paesi galla; differenza. da una parte rifletta all’insieme delle circostanze in cui io mi trovava, circostanze per ogni verso più povere ed elementari di quelle nelle quali si trovavano gli apostoli nostri modelli quando sortirono dalla giudea per istruire il mondo [p. 164] perché essi si trovavano in una società ricca di filosofia, e parlavano a uomini naturalmente forniti di tutta la capacità per capire la sublimità della nuova dottrina, uomini che unti dalla grazia dello Spirito Santo, potevano diventare ben presto gran dottori, società poi fornita di tutti i mezzi per esprimersi con parole e con scritti, tutte cose che mancavano alla società galla, chiusa in un angolo della terra, dove neanche la strada era libera per far venire a volontà dei missionari istruiti della nostra europa. Dall’altra parte poi si trattava di negare il ministero a popolazioni che lo domandavano, questione di un’ordine superiore a quella di una totale istruzione dell’ordinando; e ciò tanto più che si trattava di consegnare il Sacerdote novello al missionario europeo capacissimo, il quale si obligava con giuramento di completarla.

prete in Europa, e paesi galla; differenza. Per far conoscere meglio lo stato della questione, e bene stabilire la differenza che corre trà un prete europeo che esercita il suo ministero in Europa, ed un prete indigeno che deve esercitano qui frà i barbari. Il Prete europeo in Europa è una persona civile in contatto con un mondo di una certa cultura; il suo ministero poi domanda una scienza molto più vasta; la morale in Europa [p. 165] [presenta casi] quasi infiniti; la sua parola deve essere condizionata da una teologia universale, ma anche da una filosofia divenuta quasi indispensabile nella stessa conversazione civile. Non così in un paese barbaro, dove non vi è una menoma idea di filosofia, e dove i casi morali sono molto più limitati, e le censure medesime non possono aver luogo che in casi rarissimi. Una /103/ missione come la nostra perciò, almeno nel suo principio, con pochi sacerdoti europei dotati di sufficiente capacità ed istruzione, può ordinare dei preti senza filosofia. I preti indigeni sotto la direzione di un missionario europeo, che continui loro la scuola potevano bastare.

lo spirito apostolico sopra la scienza in paese galla. Per le missioni la scienza essenziale per la parte che concerne il ministero apostolico è necessaria senza dubbio, ma lo sviluppo nello spirito ed il fervore [ne] è la vita della missione. Non solamente l’indigeno, ma lo stesso missionario europeo di poco spirito, se arriva a mantenere la sua condotta senza macchiarla d’immoralità, servirà sempre a mantenere aperta una missione già fatta da un’altro, ma [non] sarà mai fecondo di proseliti. Iddio si manifesta ai semplici. Laddove un sacerdote tanto indigeno che Europeo molto fervente, dopo un certo tempo, dal momento [p. 166] che sarà conosciuto, ed entrato nel cuore del popolo selvagio fa delle meraviglie; l’esito di questo allievo Giovanni Morka è una gran prova per i paesi galla, come il curato d’Arche in Francia lo è stato in Europa. Il mio Morka con tutta la semplicità sentiva le mie istruzioni e le storie edificanti da me raccontate con tanta avidità che gli passavano in sangue, e non era contento fino a tanto che [non] le aveva fatto sentire a tutti; passava il giorno a raccontare quello che aveva sentito di più edificante, e la sera, dopo che tutti erano a dormire egli ancora le spandeva ai ragazzi più giovani della casa; la fede dei semplici è molto più viva nelle missioni, e ben soventi lo Spirito Santo parla per bocca loro, come la SS. Vergine è comparsa ai due bimbi della Sallet, ed a Bernardetta a Lurdr, lasciando da parte dei grandi uomini di gran virtù. Io stesso debbo ben soventi rimproverare a me stesso il troppo spirito di analisi, forze causa che lo Spirito di Dio è stato in me più scarso; tutto ciò perché la fede è essenzialmente un tributo dell’intelletto umano a Dio Sapientissimo.

ultimo tentativo di far venire il P. Giusto da Urbino
[19.6.1854; mar. 1855].
Vedendo il gran bisogno di missionarii ho voluto fare ancora un tentativo per far venire il P. Giusto da Urbino rimasto in Abissinia, stabilito a Betliem, dove si occupava [p. 167] della lingua etiopica, lingua sacra dell’Abissinia; gli ho fatto una lettera tutta d’incoragiamento, e non ho mancato di descrivergli tutto il bello dei paesi galla, e le grandi speranze della missione frà i medesimi, e che perciò [non] vi era nulla da temere; per incoraggiarlo gli ho promesso che sarebbe rimasto sempre in Gudrù vicino al Gògiam, e che perciò avrebbe potuto di là continuare i suoi lavori etiopici, ed occuparsi delle relazioni colla costa, mentre avrebbe coltivato quella missione già incomminciata; ma sgraziatamente, sia per un timore panico dei galla, ossia piuttosto [per] un’attaccamento all’Abissinia per i suoi lavori di lingua non fù possibile sloggiarlo di là, epperciò ho dovuto cavarmela alla meglio come poteva.

/104/ passione delle scienze nel missionario. Quantunque sia lodevole che il missionario si applichi [allo studio] delle scienze, sopratutto delle lingue del paese, tuttavia è necessaria una grande moderazione in questo, ed i Superiori devono molto sorvegliare i loro missionarii in questa parte, perché con tutta facilità diventa una vera passione che distrugge il zelo apostolico, e finisce ben soventi per rovinare il missionario, e renderlo affatto inutile alla Missione. I corrispondenti d’Europa [p. 168] è [= costituiscono] una vera esca che tira il povero missionario alla sua rovina. Per due ragioni il missio[nario] non può considerare come occupazione sua principale la coltura delle scienze. Il missionario è mandato da Dio e dalla sua Chiesa per istruire i popoli nella fede, e nella legge di Dio, ed a tale effetto, tiene un posto che potrebbe essere occupato da un’altro con vantaggio di molte anime infedeli, a tal fine pure è mantenuto con limosine a ciò determinate; per una parte perciò manca di ubbidienza a Dio, ed alla Chiesa, e per l’altra manca di giusti[zia] verso le anime lasciate nell’infedeltà, e poi verso i benefattori, i quali non hanno inteso di arrichire la scienza, ne lui, ne la patria, essendo quella una missione di natura tutta diversa.

esilio del P. Giusto da Urbino
[26-30.4.1855].
Per finire la storia del P. Giusto sopradetto, e risparmiare una digressione a suo tempo dirò che questo povero missionario di gran capacità, del quale io calcolava col tempo di averlo per mio coadjutore nel Vicariato, poco tempo dopo [fu cacciato] dal Vescovo eretico Salama; nell’atto della espulzione gli inviati gli dissero queste parole: Se volete restare in Abissinia dovete giurare di non istruire più, ne fare funzioni da prete; allora egli rispose facendo la sua confessione con queste parole: io per mia gran vergogna [non] ho [p. 169] mai istruito, ne fatto funzioni da prete, ma giuro invece che restando istruirò come sono obligato, e farò tutte le funzioni che domanda il mio ministero. Dopo questa protesta il povero P. Giusto fù obligato a partire, e fù accompagnato dalla forza publica sino alle frontiere dell’Abissinia dalla parte di Matamma e del Sennaar.

viaggio del padre Giusto a Roma
[non vi andò]
e suo ritorno;
muore in Kartum
[21.9.1856]
Il P. Giusto espulso dall’Abissinia andò a Roma, dove avrebbe potuto acettare qualche altra carica, da quanto ho potuto conoscere da certe lettere, ma egli protestò di nulla voler acettare, perché si riconosceva colpevole di disubbidienza al suo Vescovo; egli ad ogni costo, volle ripartire direttamente per i paesi galla, onde domandarmi perdono, e mettersi ciecamente sotto i miei ordini; difatti ritornò e prese la via del Sennar. Ho ricevuto due sue lettere scrittemi, se non erro, tutte [e] due dall’Egitto; se queste lettere non fossero state perdute bastavano per far conoscere il sincero ritorno di questo povero missionario, ed avrebbero servito d’istruzione ad altri sulla questione trattata qui sopra; basti il /105/ dire che leggendole le ho bagnate di lacrime. Il povero P. Giusto ritornando da Roma arrivò a Kartum, dove, dopo alcuni giorni, [p. 170] preso dalla febbre micidiale di quel paese un dopo pranzo mentre stava in conversazione la mattina seguente era già morto. Tutti i suoi scritti furono mandati a Roma, e si trovano negli archivii della S. C. di Propaganda. Dopo la sua morte la povera missione è rimasta con due missionari soli nell’interno. Dico nell’interno, perché la missione di Aden, fino allora, sempre unita alla missione nostra, si trovava nelle mani del P. Luigi Sturla come superiore, al quale era sempre unito il P. Leone des Avançer, ed il mio compagno Fr. Pasquale da Duno, il quale lavorava nella costruzione della Chiesa.