/125/

15.
A Loja dal poligamo Negùs-Sciùmi.
Aviètu-Gulti. Sàbie e la maga esorcizzata

grande influenza di Gama sul Gudrù. Gama mio pro[te]ttore, e posso dire anche mio Signore nel Gudrù, sia perché mi era stabilito sul suo terreno, sia ancora perché tutto il Gudrù nel famoso banchetto, già narrato sopra, aveva dichiarato Gama risponsa[bi]le di noi, e delle persone nostre, cresceva [p. 209] egli ogni giorno più in potere, e nell’influenza sopra [sopra] tutto il paese; fiocavano fucili da tutte le parti, e venivano fucilieri a prendere servizio. Quando noi siamo arrivati in Gudrù egli non aveva che due fucilieri, mentre nell’epoca in questione ne contava già forze più di quindeci, alcuni dei quali non tardarono a farsi un grido per il loro valore. Da una parte nel Gudrù stesso tutte le questioni che accadevano frà le diverse razze dell’interno pendevano da Lui, perché egli solo poteva ajutare per battere il renitente; lo stesso paese del Gudrù aveva bisogno di lui per battere i nemici dell’estero in tempo di guerra. Anche fuori del Gudrù tutti i capi dei diversi paesi tenevano molto alla sua amicizia per la speranza di ajuto in caso di guerra con qualche vicino. Per altra parte poi il gran mercato di Gudrù era nelle sue mani, ed i grandi affari di commercio pendevano anche dal suo oracolo, cosa che gli fruttava molto per pagare i suoi soldati.

invidia, e partiti contro Gama. Questa grande influenza incomminciava [a] svegliare nel paese una gelosia non indifferente. Vedendo molti che Gama camminava a vele gonfie verso il regno incomminciarono a suscitare un fermento contro di lui, ma nessuno osava mettersi [p. 210] alla testa del partito, perché Gama era già troppo cresciuto; molti parlavano, e non mancavano di quel che attribuivano lo sviluppo imponente di Gama ad un certo prestigio esercitato, dalla missione nostra sopra tutto il Gudrù, cosa che io [non] ho mai ne amato, ne tanto meno cercato per le suscettibilità che non si possono prevedere in avvenire. Questo partito, fino a tanto che non ha avuto un capo era come una cosa morta, e tutto si riduceva a parole e progetti, ma venne il momento in cui incomminciò [a] met- /126/ tersi alla testa qualcheduno. il capo del partito contrario. E[e]ra questi il capo di una razza detta Warra Kumbi per nome Fufi, il quale aveva la sua casa tutta vicina [a quella] di Gama e della missione in Assandabo stesso; era una persona abbastanza ricca, e con qualche fucile, perché anticamente aveva goduto molta influenza sui mercanti e sul mercato; Gama era di razza Gherba o straniera, mentre Fufi era un Borena, o nobile di vera razza galla, epperciò per questa parte superiore.

progetto di viaggio. Si vedrà in seguito lo sviluppo di questo partito, il quale diede molti disturbi a Gama. Vedendo io intanto che l’orizzonte andava turbandosi, ho creduto bene di fare dei movimenti un poco più in grande da far conoscere a tutto il Gudru il mio carattere di uomo imparziale, amico di tutti, e farmi vedere emancipato dagli interessi [p. 211] personali di Gama: epperciò ho pensato ad un nuovo viaggio di missione nel Gudrù stesso. Un certo Negus Sciumi, il più ricco proprietario di terreni e di bestiami che esistesse in tutto il Gudrò già molte volte mi aveva invitato di andarvi a passare qualche tempo presso di lui. Ne ho parlato a Gama, affinché questo nostro signore e benefattore insigne non prendesse sospetto da questo mio viaggio, ma egli, sempre grande in tutte le sue idee, ben conoscendo il mio carattere di uomo di Dio, incapace di fargli del male, all’opposto disposto sempre a far del bene e predicare la pace dovunque, non solo diede il suo assenso, ma mi esortò ad andarvi, dicendomi che quella era una famiglia alla quale egli professava molto rispetto.

partenza per Loja, passo da Abba Saa. Ho preso dunque tutte le mie misure, e date le mie istruzioni al Sacerdote indigeno che lasciava custode della casa, l’indomani dell’Epifania sono partito col [col] mio diacono Abba Joannes Morka ed alcuni altri giovani. Andando siamo passati in Am[i]liè alla casa di Abba Saa che avevamo lasciato otto mesi prima, sortiti di notte come banditi per il vaïvolo. Am[i]liè si trova quasi a mezza [strada] del luogo, dove eravamo destinati. Tutti quei paesani [p. 212] vennero a salutarci e ci portarono del latte da bere, e passata una mez’ora di riposo nella nostra casa stessa, che trovammo ancora chiusa come l’aveva lasciato, abbiamo continuato il nostro viaggio verso il Sud, e siamo arrivati alla casa di Negus Sciumi, o meglio al suo villagio, perché i grandi di quel paese non sono mai soli, hanno case per le diverse mogli, per alcuni schiavi con famiglia, e per gli impiegati dei loro vasti tenimenti e numerosi bestiami.

Negus Sciumi, sua genealogia, sua ricchezza. [Quella di] Negus Sciumi non solamente in richezze, ma anche in nobiltà era la prima famiglia di tutto il paese [del] Gudrù. Negus [era] figlio di Sciumi, Sciumi figlio di Meccia, e così numerando tutti i nomi dei suoi antenati, dopo [dopo] dodeci generazioni, delle quali ora ho /127/ perduto il nome colle mie note, arrivava sino a Loja figlio di Gudrù padre e conquistatore di quel paese o republica che si voglia dire. Negus aveva fatta già la seconda incoronazione di uso fra gli Oromo Galla a chi possiede mille teste di buoi o vacche, ed era perciò possessore di due mille teste di grossi bestiami senza contare ne le pecore, ne le capre, ne gli asini, ne i cavalli, i quali erano senza numero, ma che non entrano nella categoria [p. 213] dell’incoronazione suddetta, prova questa che questi Oromo Galla in origine erano popoli pastori, benché oggi siano anche divenuti popoli agricoli. Chi ha meditato [su] quei paesi conosce la ragione per cui nel libro di Giobbe si trovino numerati i bestiami in prova della sua richezza.

I Galla pastori divenuti agricoli. Si trovano ancora in molti paesi dell’Africa molti popoli semplicemente pastori, l’aristocrazia dei quali consiste nel numero delle bestie bovine, come sono i Denakil abitatori del gran spazio di terra trà l’alto piano etiopico ed il mare rosso e golfo di Aden all’oriente dell’Africa. Tali pure sono i Somauli più al Sud della stessa costa verso il capo Gardafui. Questi popoli sono ancora attualmente solo pastori, e non agricoli, motivo per cui i terreni come pascoli sono posseduti dalla tribù in corpo, e non dagli individui. I Galla oromo, dopo che sono montati sull’alto piano etiopico nel secolo decimo quinto dell’era nostra, sono divenuti agricoli, epperciò possessori di terreni, perché l’agricoltura è inseparabile dalla proprietà individuale sul terreno. I popoli pastori hanno una società molto semplice ed elementare, hanno bisogno di grandi spazii per i bestiami dei quali solo vivono, [e] vivono in caste [p. 214] governate da pochi proprietarii delle mandre. I popoli agricoli al contrario occupano spazii molto più ristretti in proporzione delle popolazioni, e vivono in società molto più complicata e bisognevole di un governo energico per assicurate le relative proprietà, epperciò tendono piuttosto alla monarchia per salvarsi dalle piccole guerre distruggitrici dei diversi capi fra loro. incoronazione di chi è padrone di mille o due mille vacche Frà i popoli pastori, i pochi padroni delle mandre aquistano maggiore influenza nella casta a misura che il numero delle mandre si moltiplica, perché moltiplicandosi le mandre si moltiplicano anche gli uomini di servizio, epperciò naturalmente il padrone [diventa] più forte per reprimere. Di qui è nato il bisogno d’incoronare il possessore di molte mandre, quando questi è arrivato ad un certo numero.

La ceremonia di questo incoronamento non è eguale in tutti i paesi, da quanto ho potuto conoscere, ma stando a quanto ho potuto conoscere io frà gli oromo frà i quali io sono rimasto, essa è molto semplice. Già ho detto altrove che il galla quando scanna un bove, una vacca, oppure /128/ una pecora o capra suole cingere il [proprio] collo col grasso che inviluppa il gran sacco dello stomaco; se la persona in questione è un guerriero, e proprietario di bestiami suole aggiungere ancora un’altra cerimonia: sradicano la lingua dell’animale ucciso, e per lungo la dividono in due, incomminciando dall’estremità [p. 215] [dall’estremità] interna sino a quattro dita dall’estremità esterna, o punta della lingua; fatto ciò lasciando sporgere sulla fronte la punta della lingua, come il corno dell’unicorno, coi due lembi separati cingono la testa dell’uccisore della bestia. Ora quando un proprietario di mandre è arrivato a completare mille teste bovine, allora suoi fare un grande invito all’uso del Re Assuero, ed un mago, stato invitato per questa funzione, [gli] cinge al collo del coronando il grasso di due vittime, e poi la testa di due lingue, e così prima era solamente unicornio, dopo diventa bicornio. Quando poi il proprietario fosse arrivato a possedere due mille [teste bovine], allora [si fa] un’altro invito ancor più grandioso, ed il mago cinge il suo collo del grasso di tre bestie, e la sua fronte di tre lingue, e così lo stesso proprietario diventa tricornio.

Negus Sciumi due volte incoronato, e capo di Loja. Ciò posto, ritornando a Negus Sciumi dirò che egli era arrivato a [possedere] due mille teste bovine; aveva fatto la seconda funzione, ed io conobbi personalmente il mago che lo incoronò, gli mise al collo il grasso di tre bestie, ed in testa le tre lingue, e diventò tricornio. A questo riguardo non poteva [essere] questo Signore, ne più nobile, ne più ricco. Egli era il capo civile di tutta la razza Loja, una delle sette case del Gudrù, la più numerosa dopo Luku, quella [di] Assandabo, dove si trovava la missione. Ma il Gudrù divenuto agricolo non poteva [p. 216] più lasciarsi guidare così ciecamente da questi capi di tradizione pastorale, epperciò Negus Sciumi no[n] aveva più tutta quella influenza politica che [che] avrebbe desiderato. Gama era dieci volte più povero di lui, ma aveva idee molto vaste, sapeva guadagnare molto e dare ancor di più; laddove il nostro Negus aveva idee molto ristrette, ed un cuore molto più piccolo.

storia edificante d[i] Antoine d’Abbadie in casa di Gulti
[estate 1845].
Egli però ebbe molto piacere al nostro arrivo, ed in tutta la sua casa fù una vera festa. L’Illustrissimo viaggiatore Antonio d’Abbadie di ritorno dall’Ennerea venne a riposarsi in questa casa, o meglio nella casa di un suo cugino per nome Gulti Sciumi tutta vicina a lui e vi passò tre mesi per aspettare l’apertura del Nilo; ebbe tempo perciò di praticarlo, e siccome questo illustre viaggiatore portava abitualmente un’abito da monaco abissino, e come tale sapeva contenersi nei costumi in quei contorni non mancavano di quelli che ci supponevano fratello di Abba Dia (secondo l’etimologia galla[:] Padre di Dia). Della stessa giornata /129/ egli mi condusse a vedere una capanna dove Antonio d’Abbadie passava il suo tempo leggendo il libro, come essi dicevano. Gulti, l’antico padrone di quella casa [p. 217] all’epoca di d’Abbadie, era morto, mi fece conoscere la sua madre Hada Gulti, una buona vecchia, e la [sua] stessa moglie di Gulti. Quest’ultima mi fece conoscere un giovinetto molto garbato per nome Avietu, questo, disse, stava sempre con Abba Dia, ed essendo ammalato gli versò dell’aqua sulla testa, e subito guarì =. Dimodoché si passò il primo giorno quasi sempre parlando di questo illustre viaggiatore, il quale lasciò colà una memoria molto cara.

le nove mogli di Negus Sciumi. Dopo di questo, Negus mi accompagnò alla casa di ciascheduna delle sue mogli, le quali, compresa la moglie di Gulti suddetta da lui ereditata, erano niente meno di nove, e tutte con un gran desiderio di aver figli, ma Iddio clauserat vulvas earum, di modo che il povero Negus trovandosi senza figli adottò un figlio di Gulti suo cugino, e lo diede come figlio alla sua gran moglie chiamata Sabia, la quale si avvicinava già ai 40. anni, e contava circa 20. anni di matrimonio sterile. Tutte queste povere mogli avevano inteso la storia di Tufa Boba, epperciò ognuna di esse aveva concepito una gran speranza sulla mia venuta, [p. 218] ma siccome sapevano che io aveva ordinato a Tufa Boba di lasciare tutte le altre, e di restarsene colla sua prima moglie, questo le imbarazzava un poco. Ognuna di queste mogli aveva la sua casa a parte ed una schiava di servizio con due vacche da latte, e le loro case erano tutte in fila colla porta verso il Nord, e la mia casa si trovava a 50. mettri più al Nord, e da una fenestrella che aveva fatto fare al Sud per poter leggere e scrivere, io poteva vedere tutte le peripazzie di queste donne; perché tutte le loro porte erano dirimpetto alla mia finestra, e vicino a questa vi era il sepolcro di Sciumi Padre di Negus, dove questi a certi giorni della settimana soleva scannare una pecora, e versare il sangue sopra esso sepolcro, distribuiva la carne ai poveri del suo villagio.

il villagio di Negus; quantità di ragazzi. Oltre tutto il suddetto, appartenente alla casa di Negus, si trovava poi in piccola lontananza un villagio di 15. o 20. case la più parte [abitate da] persone di servizio della casa di Hada Gulti, e di Negus. Come erano quasi tutte case di poveri, la più parte schiavi maritati, oppure galla impiegati vi era[no] dei ragazzi senza fine, ed i miei allievi avevano molto da lavorare per far gustare [p. 219] un tantino la dottrina cristiana in quella casa di Satana. Non molto lontano da me si trovava ancora una vecchia moglie di Sciumi padre di Negus. Era questa un’antica cristiana del Gogiam stata rubata, ma poi sposata a modo galla dal suddetto Padre di Negus, e benché schiava, pure come moglie del Pa- /130/ dre era sempre stata rispettata, ed aveva la sua casa a parte, anzi Negus l’aveva fatta come tutrice, o institutrice di una quantità di giovani schiave di riserva che Negus conservava per se o per qualche persona sua favorita, o per regalare in caso di bisogno anche all’estero; queste figlie erano condotte anche dalla vecchia al catechismo, ma quando venivano si trovava sempre il controllo dell’eunuco considerato in senso galla come parroco e sorvegliante delle mogli e di tutto il sesso feminile di riserva.

ministero dell’istruzione. La mia casa, ancora abbastanza grande, era continuamente piena di ragazzi, i quali venivano, direttamente forze tirati dalla curiosità, ma che non mancavano di ricevere la loro istruzione, essendovi alla testa dei giovani catechisti il mio diacono Abba Joannes Morka, persona [p. 220] molto fervente, e fuori di ogni pericolo. Per me si era fatto un piccolo compartimento separato nella casa stessa, di dove io poteva sentire tutto ciò che si passava in casa, ed al uopo poteva sortite qualche volta per far sentire la mia parola. Nel mio gabinetto nessuno poteva entrare che i miei giovani, perché mi serviva anche di cappella per dirvi la S. Messa, per lo più sempre di notte; il solo Avietu, l’antico giovane, supposto battezzato dal Signore Antoine d’Abbadie, vi poteva entrare liberamente, perché divenuto come giovane di casa, il quale prendeva molto bene. Negus poi, non conoscendo ancora la forza del catechismo evangelico, non era contrario, anzi si compiaceva, e veniva egli stesso a sentire, ma il troppo contatto delle donne l’aveva come istupidito, epperciò poco vi era da sperare da lui. Per le mogli di Negus era destinata la mia schiava gogiamese comprata come avanti ho detto, e divenuta una fervente catechista.

interessante conferenza con Avietu Gulti. Dietro replicate istanze del mio Abba Joannes Morka, un giorno sono sortito a far due passi col giovane Avietu Gulti, il quale desiderava molto di parlarmi in secreto. Appena sortiti dal villagio [p. 221] questo giovane mi fece certe confidenze che mi stupirono, come cose sortite dalla bocca di un povero galla, nato ed educato in mezzo ad una piccola babilonia di scandali. Dopo 26. o 27. anni non posso più riprodurre tutta la conferenza molto edificante, ed interessante nel tempo stesso, e dirò solamente alcune cose più notabili: incomminciò la sua conferenza con dirmi che egli amava molto Abbadia, perché lo ami tanto? [gli domandai; io] era piccolo, diceva, non aveva ancora cangiato i denti, mi sono ammalato e stava per morire, egli mi versò dell’aqua sulla mia testa facendo una preghiera, allora ho provato un piacere tale che [non] l’ho mai più provato in vita mia, dopo mi sono trovato quasi subito guarito.

/131/ continua la narrazione di Avietu. Solamente per questo? [incalzai io.] Vi sono ancora molte cose, [riprese il giovane,) ma io non oso [di] dir tutto, perché certe cose io mi arrosisco a dirle, ma Morka mi ha detto di dire ogni cosa; allora io gli ho fatto coragio, non abbi paura figlio mio, gli dissi; [perciò continuò:] una volta io mi divertiva colle mani sul mio corpo, e non so come sia andato, egli mi ha veduto, come un fulmine venne sopra di me, e diedemi un gran schiaffo, e mi spaventò, e dopo ciò guai che avesse veduto le mie mani [p. 222] sopra il mio corpo, e subito mi gridava, anche nella notte non voleva che tenessi le mani in [in] quel certo luogo, e le metteva sotto la mia testa o sopra il cuore. Poi prima di partire mi disse tante belle cose: mi raccomandò tutte quelle cose che mi aveva già detto, e l’ultima cosa che mi disse, e quando sarai grande non prendere più di una moglie, perché Iddio non vuole; ah Padre mio, quando partì io ho pianto più di otto giorni. Ancora una cosa voglio dirle: dopo molti anni un compagno mi ha fatto fare una cosa cattiva che non oso dire; dopo io ho pianto due giorni, e per molto tempo quando dormiva vedeva sempre Abbadia in collera con me.

Avietu racconta la sua storia come un giovane adulto. Tutto quello che ho detto sin qui son tutte cose vecchie di molti anni, quando era ancora molto giovane, ma oggi quanto sono cangiate le cose! Quando era più giovane venendo queste cose io faceva una piccola preghiera alla mia ajana mostratami da Abbadia, e tutto si calmava, ma oggi che brutti momenti io passo! Qualche volta il mio Signore mi manda una giovane schiava la sera, oh che brutte notti allora! una sera [p. 223] mentre stava discorrendo colla mia nonna Hada Gulti dopo la cena all’improvviso viene questa giovane schiava, fui subito assalito da un tremolo terribile, obligato a combattere contro me stesso, e contro la mia nonna che l’aveva fatta venire credendo di potermi risolvere ad acettarla, e senza nulla dire sono sortito di casa, ed allora, ritornato più tardi mi posi a dormire col mio fratello più giovane, oh che brutta notte, tre volte mi sono alzato quasi vinto, e tre volte me ne sono ritornato a letto! non sono ancora otto giorni che mi arrivò questo: Caro Padre mio come debbo fare? Figlio mio, [soggiunsi io,] tu verrai stassera a dormire in casa mia, e poi io parlerò coi tuoi genitori.

i parenti fanno i sponsali di Avietu colla figlia di Gama. I genitori di questo giovane da molti anni avevano domandato la figlia di Gama per moglie a questo giovane, e si aspettava solamente che tutti [e] due fossero arrivati ad un’età opportuna per celebrare le nozze. Dopo che essa aveva imparato il catechismo secretamente mandava [messaggi] anche a lui affinché l’imparasse, ed esso aveva affrettato la mia venuta con mezzi indiretti a questo fine, ed aveva giurato ad essa di conservarsi intatto sino all’unione che si sarebbe fatta in senso cri- /132/ stiano cattolico, e questa era per me [p. 224] una bella ragione per parlare ai parenti di Avietu, senza toccare le questioni della fede. Ho chiamato la vecchia Hada Gulti gli ho detto di lasciare questo giovane in pace e di non obligarlo a certe cose che egli non ama. Allora la vecchia rispose, che questo giovane dovendo presto maritarsi colla figlia di Gama, e vedendolo così lontano dalle donne, voleva con ciò esplorare se vi era qualche ripugnanza, oppure imbarazzo a questo riguardo. No no, dissi [io:] niente di tutto questo, ma solamente non vuole vedere altre donne fuori della sua moglie; epperciò vi raccomando anzi di affrettarvi a far presto le nozze. Cara mia Avietu è più sagio di voi e di Negus, egli vuole imitare suo Padre Gulti, il quale non amava molto le donne, ma contento di sua moglie ebbe molti figli, mentre Negus con tutte queste donne non ne ebbe nemanco uno; i figli di Avietu possederanno tutte le richezze di Negus. Sentendo così la vecchia fù molto contenta e promise di aggiustare tutto.

battaglia secreta in casa di Negus. Intanto moltiplicandosi i giorni si moltiplicarono anche gli affari. Il mio Abba Joannes esercitava un ministero in detaglio molto più energico del mio, egli in contatto con tutti [p. 225] possedeva la chiave di tutti i misteri d’iniquità di quella casa. L’affare di Avietu aveva fatto anche un poco di brecia al cuore di Negus, e per altra parte tutte le mogli di questi incomminciavano [ad] esternare certe loro speranze impossibili, che bolus [=pasticcio]! che giuoco diabolico! Ogni giorno Abba Joannes raccontandomi il risultato delle sue conferenze cogli uni e cogli altri mi empiva la testa di domande ridicole, ed ho dovuto [s]gridarlo e proibirlo di incaricarsi di [di] certe commissioni ridicole ed impossibili. Negus era divenuto come un uomo di gran richezze in facia alla società, ma vicino alla banca rotta e senza mezzi per pagare i suoi debiti, avrebbe desiderato un biglietto di banca da me che bastasse per tutto e per tutte. Tutte le sue mogli si disputavano il monopolio sul cuore impotente del loro padrone, ed il loro cuore [si trovava] divorato da gelosie mortali; intanto la mia casa rigurgitava di regali comestibii [giunti] in secreto, sperando di ottenere qualche cosa, che brutta posizione era la mia!

una passeggiata con Negus; confessioni fattemi. Un bel giorno facio una passeggiata da solo con Negus, e da una parola all’altra finì per esclamare: io sono ricco di beni temporali, ma sono l’uomo più disgraziato [p. 226] del mondo; gli stessi miei schiavi sono più felici di me. Io ho dieci case, e non so dove entrare la sera; entro in una casa e ne lascio nove malcontente, e la moglie che mi possiede non mi fa che rimproveri, perché amo altre, e così entro freddo e sorto la mattina mal contento dell’incontro avuto per forza. Vedete, disse, è un /133/ mese che ho preso la moglie che sta in quella casa, prima che venisse l’ho desiderata dei mesi, ed ho fatto dei sacrifizii per averla; il giorno che è venuta invece di nozze la mia casa era come se fosse morto qualcheduno; sono rimasto otto giorni con essa, e poi mi sono disgustato, e passò tutta la mia simpatia per essa. Con tutto questo io non ho un figlio, e per contentare la mia prima moglie Sabie ho dovuto prenderne uno del mio cugino e adottarlo. Un giorno ho trovato Tufa Boba, oh quanto l’avete fatto felice! perché non fate altrettanto, per me?

mie risposte a Negus. Caro Negus, [risposi,] io ho sentito tutto quello che mi avete detto senza dire parola, ma io già sapeva tutto. Voi avete detto una gran verità dicendo che siete disgraziato, e che i vostri schiavi sono più felici di voi. Se voi foste nato povero, da giovane la miseria ed il bisogno di guadagnarvi il pane vi avrebbe fatto dimenticare certi amori precoci che vi hanno distrutto, prima [p. 227] ancora di essere uomo maturo per il matrimonio, ed arrivato all’età conveniente, trovava una brava don[na] della vostra condizione non avreste pensato ad, aggiungerne altre mettendo così la guerra in casa vostra, ed al giorno d’oggi sareste colla vostra casa piena di figli, come lo sono i vostri schiavi; ma tutto è andato all’opposto, la vostra richezza vi ha rovinato. La povertà sarebbe stato un gran rimedio per voi, ma non avrebbe bastato. Voi non avete conosciuto la legge di Dio, il quale promette al uomo una sola moglie, [e proibisce] a tutti di accostarsi ad altre donne, ed agli stessi giovani proibisce tutti i piaceri che stancano la persona non ancora matura per il matrimonio; sia detto fra noi, il vostro Avietu è più furbo di voi, benché ancor giovane, e travagliato da passioni, ma egli è fisso di volerne saper nulla, e di aspettare la sua moglie quando verrà.

qual rimedio a tanti guasti? Ora voi dite di darvi rimedio, ma qual rimedio ai pantaloni che sono tutti straciati e che non hanno più forza? voi mi direte che non siete poi ancora tanto vecchio, e che siete ancora abbastanza giovane; di età ne convengo che non siete vecchio, anzi siete ancora in buona età, ma in queste cose siete vecchio e logoro, perché ne avete molto abusato: un uomo ricco che abbia mangiato tutto quello che aveva, sarà sempre ancora uomo, [p. 228] ma non sarà più uomo ricco; così voi, o caro Negus, siete ancora uomo giovane, ma non avete più tutte le vostre antiche forze vitali e generative, perché le avete quasi tutte consumate. In quanto poi al rimedio, se pure si trova, chi ha sciuppato i suoi capitali malamente, ed è divenuto povero, il primo rimedio per vivere onestamente sarebbe quello di fare economia e custodire ancora il poco che tiene, e che può guadagnare lavorando; così [per] voi il rimedio primo sarebbe quello di lasciare quell’abuso di donne o in tutto, o /134/ almeno in parte. Ma come potete voi con tante mogli [tenute] come schiave, le quali non possono maritarsi più, e neanche conversare con altri a loro volontà? potete voi lasciarle libere? Sarebbe questo anzi un dovere, ma lo farete? Caro mio, voi vi lagnate di esse, ma non hanno esse ragione di lagnarsi di voi? voi dite che siete disgraziato, ma lo siete perché [lo] volete, e non sono ancora più disgraziate di voi le vostre mogli? voi potete andare dove volete a cercare altre [donne] di vostro genio, ma esse non possono. Se esse non fossero legate a voi avrebbero trovato un marito che le avrebbe amate, e quanti figli avrebbero già a quest’ora?

risposta categorica a Negus. Voi mi pregate di fare per voi quello che ho fatto per Tufa Boba, ma questi era in altre circostanze ben diverse dalle vostre; egli aveva conservato la sua persona più di voi; egli non aveva tutte le mogli [p. 229] che avete voi; egli fece tutto quello che io gli ho detto, ma voi potete e volete farlo? cosa ho fatto io per Tuba Boba? l’ho esortato come esorto anche voi, e poi ho pregato Iddio per lui, perché io non posso far nulla senza di lui, il quale è mio padrone, e lo pregherò anche per voi, ma non so se mi ascolterà, perché voi avete tutte queste donne, le quali gridano contro di voi, essendo vostre mogli senza possedere il vostro cuore. Finiamo dunque questa questione: parlate con Abba Joannes Morka, e fatevi istruire da lui, e quando avrete conosciuto bene le cose di Dio, allora parleremo. Negus non sarebbe un uomo cattivo, ma è una vera vittima delle sue passioni, e talmente degenerato che ha perduto tutta la sua vivacità ed energia, anche per le cose dell’anima sua. Egli amava le sue mogli, ma le amava con un’amore generale, e dava loro tutto quello che abbisognavano, ma non le amava con amore maritale, di cui era divenuto incapace. Lo stesso suo amore era divenuto il suo martirio, perché così le mogli si facevano più petulanti.

questione sulla prima moglie. Mentre io credeva d’aver terminato la questione per ritirarmi, egli mi sortì ancora [con] un’altra questione relativamente alla sua prima moglie. Questa donna era quella che regolava tutta la casa, una donna di gran capacità, e tutte le altre mogli nel fondo dipendevano [p. 230] [dipendevano] da essa. Negus l’amava molto, non tanto per affetto maritale, perché erano già come separati in questo genere, ed essa godeva tutta la libertà in casa, e poteva avere degli amici quanto voleva, ma sibbene perché essa era l’anima di tutta la casa, e senza di essa quella gran casa sarebbe andata in [s]fascio. La mia prima moglie Sabie è sempre ammalata, essa [non] mangia più niente. Se essa mi muore io sono perduto, per carità, disse, guardate di guarirmela, il vostro Dio è grande, se voi volete potete tutto[:] ve la raccomando. Io poi ben sa- /135/ pendo tutte le furberie di questa donna, la quale sapeva molto bene fare l’ammalata per farsi compatire, e qualche volta si compiaceva di mettere in disordine tutta la casa, come se dovesse morire, ma nella sostanza essa mangiava molto bene, faceva il suo [pasto] ordinario a parte, ed il [cibo] migliore della casa era per essa, e ne mandava, anche a me, gli ho fatto coragio, dicendogli che niente era più facile, purché mi avesse ascoltato.

la moglie Sabie sta per morire. Ciò detto, vado in casa, e verso sera vedo tutto il villagio in movimento e quei di casa mi dicono che la moglie Sabie stava per morire; vado alla casa maggiore di Negus, dove abitava questa Signora, e trovo nell’anticamera [p. 231] Negus che si divvincolava come un disperato gridando[:] ani badé (io sono perduto) entro nell’interiore, e trovo là l’ammalata distesa immobile sopra il suo letto, circondata da alcune donne, fra le quali una vecchia maga se ne stava seduta barbottando qualche cosa; mio esorcismo;
scena stravagante di una maga.
metto la mano nel mio pettorale, e senza estrarre la croce vescovile che sempre tengo nascosta in quei paesi, secondo il mio solito facio una benedizione all’ammalata, ed un breve esorcismo, nel quale si trova il Christus vincit. Mentre pronunzio queste ultime parole la vecchia maga si alza si contorce in modo spaventevole, la sua testa come fosse sradicata dalla colonna vertebrale batte il busto dalla parte di dentro e poi ritorna sulla sua base, come se nulla fosse, vibrando delle occhiate spaventevoli verso di me. A questi strani gridi e movimenti della maga l’ammalata apre tranquillamente gli occhj e mi guarda. Dissi allora frà me stesso, qui c’è qualche cosa di diabolico. Mi ritiro al lato opposto della stanza, dove vi era un’altro letto e siedo un momento, sempre tenendo la mia mano sulla croce, e dopo un piccolo istante ho pensato di ripetere l’esorcismo suddetto, ed arrivato al Christus vincit la mia maga ripete la scena di prima [p. 232] e poi si rimette nel suo stato normale; rimango ancora qualche minuto fermo, e poi rinovo il mio esorcismo, ed arrivato al Chistus vincit la maga si mette a fare dei gridi spaventevoli, e si contorce peggio di prima, e poi ritornando al suo stato normale, invece di restarsene tranquilla come prima, parte come una furia e sorte di casa dicendo che non sarebbe ritornata più se io non partiva. Essa partita io mi avvicino al letto prendo l’inferma per la mano gli facio coragio. Si s[i]ede sul letto e mi guarda. Viene Negus ancora colle lacrime agli occhi, fate coragio, dissi, Sabie è guarita, ed essa si mette a ridere. Ho ordinato che gli portassero qualche cosa da bere, e bevette due dita d’idromele.

criterio publico, e privato mio sopra questa storia. Questo fatto fece una grande impressione nel publico, e non tardò a propagarsi da un’estremità all’altra del Gudrù. Il mio Abba Joannes /136/ Morka poi trionfante ne faceva la spiegazione con tutta l’eloquenza che gli dettava il suo fervore. Una gran parte parlava di miracolo in senso tutto favorevole alla missione, ma non mancavano poi anche di quelli che parlavano in senso contrario, come sempre suole accadere nelle crisi prodotte da fatti religiosi, ed i maghi del paese si viddero un momento perduti. In quanto a me, circa la guarigione [p. 233] della supposta ammalata neanche ci penso, perché [non] ho mai creduto sincera e reale la sua malattia. Se vi è miracolo è piuttosto la storia della maga, che io assolutamente non mi sento di spiegare diversamente. Se qualcuno crederà esaggerato questo mio giudizio deve rispondere a questi tre quesiti prima di condannarmi come troppo credulo. 1. Come quella Maga senza concorso diabolico ha potuto sapere il mio esorcismo con la mia croce, cosa eseguita sotto le vesti. 2. Come ha potuto per tre volte distinguere ed aspettare il momento del Christus vincit. 3. Come ha potuto farsi quel movimento della testa contra tutte le leggi fisiche conosciute della colonna vertebrale; spiegato questo avrà ragione. Io noterò solamente una circostanza: prima di questo fatto io aveva sentito molte meraviglie operate da questi maghi, ma soleva attribuire tutto ciò ad un’essaggerazione, oggi sono convinto che il diavolo ha il suo regno colà.