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17.
La lingua del Kaffa: mezzi per scrivere.
Superstizioni e regolamenti disciplinari.

Fratanto in Kafa sul principio dell’anno 1861. il movimento, o dirò meglio il fermento dell’operazione apostolica della missione andava spiegando un’ardore tale da mettermi in grandissimo pensiero. conseguenze per la morte del p. Cesare. Da una parte la morte del, P. Cesare mi aveva privato di un collaboratore, il quale molto mi avrebbe ajutato, sia per l’educazione del clero novello, sia per alcune operazioni ancora indispensabili a doversi fare per correggere alcune superstizioni gravissime che ancora restavano, massime rapporto al culto delle Chiese antiche, ed ancora più per le sepolture dei cristiani nominali ancora non convertiti, i quali formavano sempre ancora quasi la totalità della popolazione cristiana, speranza futura della missione; argomento questo molto delicato, e che io aveva sempre maneggiato con molti riguardi, [p. 12] per non offendere la suscettibilità di questa casta per se stessa molto inclinata a noi. Il P. Cesare colla sua conversione aveva svegliato un gran movimento a noi favorevole, ma non ha lasciato di offendere una piccola parte, e questa nella sua morte non aveva mancato di irritarsi, arrivando sino al punto di accusarci di averlo ucciso. Ciò non ostante, vivendo egli, avrebbe posseduto sempre ancora dei gran mezzi per vincere alcune grandi difficoltà che ancora rimanevano intatte nelle superstizioni sopradette da correggersi. Dopo la sua morte io sono rimasto solo per sopportare tutti questi lavori, e tutte le odiosità che vi erano.

si moltiplicano i lavori, e le difficoltà di ogni genere. Lo stesso fermento cattolico sempre crescente, anzi divenuto colossale contribuiva molto ad accrescere i miei lavori materiali per l’istruzione, e nel tempo stesso a sollevarmi un partito politico contrario da compromettere il nostro avvenire. L’operazione contro le superstizioni del culto precedente, diventava come una necessità a misura che i cattolici si andavano moltiplicando da tutte le parti del regno, affinché col tempo non diventassero da noi autenticate con scandalo dei nostri stessi proseliti. Ma nel tempo stesso era facile prevedere come queste operazioni /140/ avrebbero servito di esca al partito contrario, e che avrebbero potuto creare una crisi di distruzione alla missione di [p. 13] Kafa, come poi seguì dello stesso anno. A fronte di tutte queste difficoltà non si lasciarono le operazioni, anzi ho creduto doversi accelerare, affinché, occorrendo il caso o di morte, oppure di esilio la missione non rimanesse priva di materiali d’istruzione, ed i Sacerdoti che sarebbero rimasti trovassero almeno una tracia di operazioni contro le superstizioni del culto precedente ancora in vigore.

la lingua di Kafa; La lingua di Kafa è una lingua tutta particolare, la quale [non] ha niente da fare colla lingua Galla dei contorni, ne colla lingua amarica o abissina volgare, della quale appena si contano alcune voci di cose religiose; anzi questa lingua si può dire piuttosto una lingua, se non madre, almeno centrale, dalla quale derivarono altre lingue, o dialetti dei contorni, come la lingua Warata che si parla in Kullu, in Gobbo, ed in Wallamo; come pure da essa ha preso la lingua di Moccia, e di Affilò. Questa lingua di Kafa non essendo scritta manca di alfabeto. primi scritti in essa. Epperciò subito dopo il nostro arrivo in Kafa, obligati a scrivere un piccolo catechismo per l’istruzione di prima necessità, questo era stato scritto coll’alfabeto latino, senza però determinare il valore di alcune lettere ai diversi bisogni della lingua. [p. 14] In decorso [di tempo] poi nei vani manoscritti essendosi determinato il valore di alcune lettere, si fecero alcune leggi riguardo all’alfabeto medesimo da insegnarsi ai nostri giovani. A norma di questo si fece un testo di tutti i catechismi e manoscritti precedenti, e quindi in seguito sono stati scritti da me tutti gli altri moltissimi lavori e traduzioni per l’istruzione sia del popolo catecumeno, sia dei giovani di casa, sempre osservando le stesse regole rapporto all’alfabeto in discorso.

quantità di catecumeni; ordine d’istruzione Non è tanto facile formarsi un’idea giusta del gran numero di catecumeni di tutte le categorie incomminciando dall’alta aristocrazia sino a quella dei schiavi. Si accordavano in casa cinque sole ore di riposo nella notte. La mattina al canto del gallo si faceva l’osservanza interna per i catechisti, e per i chierici, la quale terminava colla celebrazione della Santa Messa. Dopo questa si facevano le preghiere ed il catechismo generale in lingua di Kafa. Si dividevano quindi i catecumeni in diversi drapelli, secondo le diverse materie che si insegnavano dai catechisti. Io allora faceva la mia scuola, prima al clero, e dopo ai giovani seminaristi. [p. 15] Fatto questo, io passava il resto della mia giornata a tradurre materie nuove in lingua di Kafa. A misura che sortivano nuove materie tradotte coll’assistenza del solo dragomanno Negussiè, queste erano consegnate ad alcuni catechisti più capaci, i quali le leggevano ai cate- /141/ cumeni per la prova delle medesime, onde assicurarmi che il testo fosse ben compreso da tutti. Fatta questa prova, e fatte le correzioni occorrenti, i pezzi tradotti passavano ad alcuni giovani capaci di scriverli in caratteri di stampa per facilitarne la lettura.

materiali per la scrittura. Parlando di scritti viene naturalmente il bisogno di parlare dei mezzi, o materiali necessari per scrivere, come carta, inchiostro, e penne. In Kafa in quei tempi, appena si poteva trovare presso i mercanti qualche foglio di carta, la quale si comprava a carissimo prezzo, vale a dire di un sale ogni foglio, prezzo equivalente a otto o dieci fogli per ogni tallero di Maria Teresa. Come in un paese non vi era l’uso di scrivere i mercanti ne portavano solo qualche foglio per l’uso dei mercanti medesimi quando questi scrivevano lettere all’estero. Dopo alcuni anni poi il prezzo si abassò, [p. 16] a misura che la consummazione si moltiplicò, ma di poco. Io ne aveva portato con me una piccola quantità, ma io doveva conservarla per le lettere, e per alcuni libri d’istruzione di prima necessità, e non poteva dame ai catecumeni, ed anche ai catechisti. in luogo della carta Era quindi molto curioso il modo con cui questi ultimi supplivano alla carta con diversi altri materiali. La foglia di cocciò, di cui già si parlò prendeva il posto della carta, per chi sapeva servirsene, non premendo molto la penna, perché essendo questa filandrosa [= filamentosa], la penna entrando in mezzo a due fili. [s’inceppava] e [la foglia] minaciava di straciarsi. Quelli che imparavano a scrivere si servivano a preferenza di legni aggiustati, di ossa bollite, di pezzi di canna della specie grossa. Dopo poi incomminciarono a conciare le pelli e preparare una cattiva pergamena a uso abissino. Un mio catechista un giorno mi presentò un piccolo libro da lui scritto sopra la tela di cotone gommata venuta d’Europa e comprata.

quali le penne con cui si scrive Di penne poi Kafa, come tutto l’alto piano etiopico, sarebbe stata richissima quando i nostri scuolari avessero saputo utilizzare le penne di tanti ucellacci, e specie di aquile che si trovavano cadute ad ogni tratto, ma sia la mancanza di istromenti delicati per temprarle ossia piuttosto per la mancanza di carta, difficilmente se ne servivano, [p. 17] ed inclinavano piuttosto a servirsi dei virgulti secchi di canne, del legno secco di spar[a]gi, e raramente delle saette del porco spino che si trovano sparse per le campagne. l’inchiostro di Kafa, migliore dell’abissino. L’inchiostro poi fatto dai nostri giovani era più semplice e migliore dell’abissino. In Abissinia si trova [a] comprare sui mercati l’inchiostro fatto col fromento carbonizzato e coll’aggiunta di gomma arabica. I nostri giovani invece si preparavano l’inchiostro colla bollitura di certe foglie pestate sino alla consummazione; questo non aveva bisogno di gomma, e di più diventava quasi incancellabile colla /142/ lavatura, prova che nella foglia esisteva qualche altro principio chimico da compensare il vitriolo, oppure altro sale simile. Oggi non mi ricordo più del nome di detta foglia, ne di che famiglia fosse.

mancanza di carta e di tempo per memorie Dal fin quì narrato sarà facile capire quanto mi riuscisse difficile occuparmi nel raccogliere memorie interessanti sopra il paese di Kafa, mancando io colà assolutamente di tempo materiale per farlo, ed anche di carta per scrivere. Ciò non ostante non ho mancato di farlo con uno stile, direi quasi stenografico arbitrario, il quale mi avrebbe molto servito oggi nell’estendere queste mie memorie.

[p. 18] un libro di foglie di cocciò Per riservare la tanto preziosa carta, che ancora mi rimaneva, ai più interessanti usi del ministero, mi aveva fatto preparare una quantità di foglie di cacciò, tagliandole nel momento della maggiore loro maturità, e prima che incomminciassero ad invecchiare; fattele seccare all’ombra e sotto pressione, e tagliatele in fogli sciolti come libri in ottavo piccolo, mi serviva di esse, ed aveva scritto molte cose concernenti alcune tradizioni del paese di Kafa, e dei contorni; alcune notizie geografiche che ho potuto raccogliere sopra i paesi dalla parte Sud. In questa raccolta si trovavano pure alcuni lavori sulla lingua di Kafa. Uno di questi libri o involti era già pieno, inviluppato con uno stracio, e come sigillato. Ma tutto rimase nella mia sortita da quel paese che non viddi più; Iddio ha voluto convincermi, che per il missionario cattolico, mandato per istruire i popoli, niente è stabile fuori di ciò che entrò nel cuore dei suoi catecumeni.

gravità dei regolamenti [d]a farsi Fratanto ciò che importava di più erano, come già ho detto sopra, alcune providenze indispensabili, se non altro, per salvare la purità del nostro ministero in Kafa, relativamente alle superstizioni inveterate del culto precedente, [p. 19] al mio arrivo. Alcuni passi erano già stati fatti da noi in alcuni luoghi, dove si era manifestato di più il proselitismo cattolico, senza cattive conseguenze, ma erano piccole frazioni in proporzione della gran massa della popolazione così detta cristiana, e che noi in seguito chiameremo eretica per distinguerla dalla parte divenuta cattolica, benché nella sostanza non fosse tale, non essendo battezzata.

calcolo approssimativo della popolazione di Kafa. Per conoscere tutta la gravità delle risoluzioni in discorso, ed il pericolo a cui la missione poteva esporsi, è bene sapere [a quanto risaliva] la popolazione del regno di Kafa. Questa secondo il mio calcolo aprossimativo, tutto compreso, non poteva oltrepassare i 400. mille [abitanti]. Secondo il sentimento comune del paese considerandosi la popolazione di Kafa la metà come cristiana, ne veniva per conseguenza che il nume- /143/ ro dei così detti cristiani doveva supporsi di circa 200. mille. Di questi, calcolando anche la gran quantità di bimbi stati battezzati da noi, e massime dal P. Cesare nelle sue diverse escursioni, tutti i nostri cattolici non arrivavano ancora a cinque mille, calcolando io allora circa due mille adulti veri cattolici che frequentavano i Sacramenti [p. 20] in quell’epoca, appena potevano calcolarsi [a] due mille, quantità minima in proporzione della gran massa dei così detti cristiani, cristiani superstiziosi per ignoranza i quali, benché [non] fossero neanche cristiani, perché non battezzati, pure nella loro imaginazione ci riconoscevano come Preti, e se non erano cattolici, la ragione principale era perché non erano ancora da noi istruiti; non potevano chiamarsi cattolici, ma in realtà fin là non potevano chiamarsi, ne pagani, ne eretici positivi, ma solo negativi.

si stabilisce la difficoltà Ora quì appunto stavi la famosa questione dei regolamenti [d]a farsi, se cioè fosse il caso di pazientare ancora con tutta quella gran massa di cristiani che ancora potevano supporsi in buon fede in molte pratiche superstiziose bensì, ma in materia di legge positiva, nella quale poteva darsi l’ignoranza invincibile prima di un’istruzione sufficiente, oppure si dovesse troncare bruscamente per salvare l’integrità del nostro ministero, con pericolo di irritarli, e sollevare una setta di eretici positivi e veri, la quale avrebbe potuto tutto rovinare il gran bene che si stava facendo.

sacrifici mosaïci, o antimosaici. Il caso delle superstizioni suddette era duplice. 1. Il popolo cristiano di Kafa usava scannare delle vittime nelle chiese, come voto, [p. 21] (superstizione generale in tutto l’alto piano etiopico, ed anche nell’Abissinia cristiana), residuo questo della legge mosaica, o meglio antimosaica. Come cosa lucrosa, i così detti Preti che precedettero la missione, non solo non la proibivano, ma anzi la predicavano, lasciando affatto da una parte la predicazione del Vangelo e l’amministrazione dei Sacramenti. Di necessità perciò questa superstizione diventò come unico esercizio di culto a quell’informe avanzo di cristianità in Kafa, la quale doveva necessariamente esservi molto ataccata.

diritto per i funerali. Ma questa non era l’unica superstizione, un’altra, forze meno grave, ma ancora più delicata, era la cerimonia mortuaria. Kafa, sotto i preti che ci hanno preceduto, da secoli non aveva più sentito una parola d’istruzione evangelica, ne veduto più un’atto di amministrazione dei Sacramenti; anzi tutto all’opposto [aveva subito] scandali di ogni genere, come già si disse altrove. Però, come cosa molto lucrosa, quel clero nominale aveva dato tutta l’importanza ai diritti mortuarii, benché poi nella sostanza non si parlasse affatto di preghiere o cerimonie religiose.

/144/ Nella morte dei bimbi il prete nulla aveva da vedere. Quando moriva un’adulto senza eredità, allora la famiglia [p. 22] pensava a spedire alla casa del Prete la cosiddetta cena per il medesimo per il giorno terzo, settimo, duodecimo, ventesimo, e trentesimo, questa cena consisteva in due candele, una grossa pagnotta di pane [di] cocciò, un vaso di birra, ed un piatto di pietanza a uso del paese. Ciò fatto in questi cinque giorni tutto era finito per i funerali di un’adulto nulla tenente da trasmettere agli eredi; tre o quattro di questi messaggieri arrivavano ogni giorno alla nostra casa anche da una gran distanza.

funerale di un capo di famiglia Quando poi il morto era un capo di famiglia con eredità, allora nel giorno quarantesimo vi era il gran pranzo mortuario, detto taschar al quale il prete del distretto doveva trovarsi di necessità; egli coi vecchj della parentela regolava la divisione dei beni mobili ed immobili fra gli eredi del defunto, ed aveva il diritto di percepire il decimo dei soli beni mobili dell’eredità. Liquidati gli affari dell’eredità, e ricevuta la sua parte, il prete si recava al sepolcro del defunto, e là alla presenza della parentela assolveva il medesimo da ogni vincolo con Dio, e lo dichiarava salvo unitamente a tutti i morti prima della sua famiglia, se risultava che questa a suo tempo ha mandato la cena suddetta al prete.

mie risoluzioni, e sue conseguenze. Questo tributo di quei così detti cristiani al prete, benché esaggerato, attesa la paucità dei preti, ed il gran [p. 23] numero dei cristiani in proporzione, pure non sarebbe stata una cosa ingiusta, quando il prete avesse fatto il suo dovere, perché poi il prete ha anche diritto di vivere coi suoi poveri, ed ha molte altre passività inerenti al suo ministero; ciò non ostante, naturalmente parlando, io la calcolava come una cosa odiosa a quella gente; ed attese le molte superstizioni che vi erano intreciate, subito da principio del mio ministero avrei creduto [di] fare un gran favore a quella povera gente sgravandoli dei medesimi, come aventi l’aspetto di un tributo forzato, per limitarmi a poche oblazioni o decime più spontanee e meritorie dei miei pochi cattolici; ma pure non ho tardato a persuadermi che mi era sbagliato assai; appena ho lasciato travedere il mio piano di riforma, da tutte le parti si sollevò una tale quantità di riclami quasi equivalenti ad una ribellione, la quale mi richiamò un tantino dalle mie prese risoluzioni per riflettere più seriamente.

due litiganti in buona fede. Se io tengo fermo, dissi fra me stesso, io mi chiudo la via per il ministero a tutto questo popolo immenso, e non potrò più salvarlo; non mancano i male intenzionati, [p. 24] i quali potrebbero mettersi alla testa e far partito; lo stesso governo non lascia di vedere con un’occhio di /145/ sospetto il fermento di proselitismo straordinario che ogni giorno più si sta sviluppando; e potrebbe prendere qualche risoluzione rovinosa. Per altra parte poi i riclami medesimi loro erano documenti, che servivano a me per giustificarmi nel mio piano di riforma, fatti anzi per incoraggirmi ad eseguirlo, ed erano nel tempo stesso documenti che giustificavano essi nelle loro pretenzioni. Sembrerà questo un paradosso a chi leggerà questa mia asserzione, eppure la cosa diventa chiara come il sole di mezzo giorno al solo sentire quel loro riclami medesimi: Padre, essi dicevano, i Padri nostri si sono sempre salvati in questo modo, pagando al prete un simile tributo, oggi che noi speravamo molto da voi, ci vediamo chiudere le porte, e ci vediamo trattati come tutti gli altri pagani; così suole accadere sempre fra i litiganti in fatti di buona fede.

il prete eretico ed il popolo ignorante. Al sentire questi loro riclami il mio cuore piangeva per la compassione che sentiva per quella povera gente; essi non erano battezzati è vero, essi nulla sapevano di Cristo e del suo vangelo, essi veneravano quei preti venuti da paesi lontani, creduti venuti da Dio, [p. 25] non credevano [di] doversi occupare della loro condotta se gli vedevano con molte donne, ed anche maghi ed ubbriacconi, essi gli giudicavano secondo le loro tradizioni ab immemorabili, e sempre stati tali; venuta poi la morte questi preti erano liberali, e dal momento che avevano ricevuto il loro tributo, con un piede sopra la tomba del morto e con gli occhj e la mano al cielo facevano loro vedere il morto entrare trionfante in paradiso, e ciò era tutto per loro. la chiesa ed il prete cattolico. Io poi per una parte, certo di non poter vendere così a buon mercato il paradiso, vedendo quei popoli correre in buona fede la strada del precipizio con tutta la mia bona volontà di salvarli; per altra parte poi, armato di pochi sacerdoti e catecumeni, non potendo istruire subito tutta quella gran moltitudine separata da me da grandi distanze e da inveterate tradizioni; temendo anzi di confermarli sempre più nei loro pregiudizii colla mia condiscendenza, certamente aveva motivo di affliggermi.

la simonia di Kafa e dell’oriente Le questioni riferite sono arrivate in Kafa, paese lontano e barbaro, di una grande ignoranza, e mancante di educazione civile; e questioni del prete eretico e del popolo sono vestite di circostanze che hanno dell’incredibile, e direi quasi del ridicolo in proporzione di quel luogo; [p. 26] fra popoli neri, ma se faciamo qualche passo verso il Nord, entrati in un paese da noi chiamato l’Oriente, stato la culla del cristianesimo, e troveremo là fra popolazioni bianche e civili come le nostre d’Europa le medesime questioni di Kafa, più civilmente vestite, ma molto più complicate e difficili, per le quali la Chiesa di Dio si affatica da secoli quasi senza frutto; là vedremo un popolo, caduto nell’estremo dell’ignoranza e /146/ dell’acciecamento, incapace di discernere il bianco dal nero, il giorno dalla notte, quindi un clero allevato alla corte dell’impero di Bizzanzio, il quale non ha più altro di Sacerdote che il carattere ufficialmente trasmesso, ed in tutto il resto [è] caduto più [in] basso nell’antico [clero] del nostro Kafa; clero il quale, lasciata in pieno persino l’istruzione del decalogo al suo popolo, si occupa a vendere favole stupide contro il Papa, onde assicurarsi la dolce eredità della schiavitù all’impero, ancorché mussulmano, all’umbra del quale può impunemente continuare il suo simoniaco mercato. Con tutto ciò, oh miracolo di fede popolare! il buon popolo sempre fedele alle sue tradizioni, in buona fede sta comprando anche egli, come quel di Kafa, il paradiso col suo danaro alla mano. (1a)

regolamenti
[pubblicati: 25.8.1861]
Ritorno ora al mio affare di Kafa. Come già ho notato, il ministero apostolico in Kafa aveva preso un movimento tale da farmi [p. 27] temere qualche rovescio, ed io non avrei voluto lasciare quella missione senza lasciare almeno una norma conosciuta anche dal publico riguardo alle vittime solite a scannarsi nelle Chiese, ed ai funerali come sopra [narrato]; e riguardo pure ad alcune altre pratiche religiose, nelle quali esisteva un culto superstizioso, al quale il prete era come obligato ad intervenirvi.

1. Il Sacerdote quando va alle Chiese antiche per assistere alle adunanze dei cristiani, prima di ogni altra istruzione dovrà sempre spiegare cosa è la Chiesa e cosa è il Tabbot.

2. Il Tabbot è una pietra oppure un legno (1b) consacrato dal Vescovo, sopra il quale si celebra la S. Messa; egli è perciò come il trono di Dio, dove in tempo della Messa discende il nostro Signor Gesù Cristo per esservi misticamente, e realmente sacrificato, come lo fu sul Calvario.

3. Il Sacerdote quando è cercato da un cristiano non ancora istruito di consultare il Tabbot riguardo a qualche suo bisogno temporale, egli prima di tutto dovrà rispondere che il Tabbot non è, ne un’angelo, ne un santo, ne altra cosa [p. 28] vivente che parli a modo umano; epper- /147/ ciò egli dirà che non può incaricarsi di interrogazioni e di risposte del Tabbot. Egli però non manchi di compatire l’ignorante, ed usare con lui tutta la benignità nell’esortarlo in ciò che domanda, ma non manchi nel tempo stesio di fargli conoscere tutto il sistema di bugie antiche inventate dai preti.

sopra il culto dei così detti tabbot 4. Non potendosi distruggere, ne le chiese, ne il Tabbot che si trova nelle medesime senza pericolo di gran disordine, tutti questi Tabbot uno per volta dovrà venire a me per essere benedetto di nuovo; in quell’occasione se ne farà di esso un reliquiario, onde legittimare per quanto si potrà il culto del medesimo, affinché il Sacerdote abbia un titolo religioso per ricevere i regali d’incenzo e di cerei che si sogliono fare al medesimo, come già si disse altrove, e, quindi godere l’occasione per poter predicare a quelle adunanze di, popolo.

oblazioni di animali quadrupedi. 5. In quanto poi alle offerte degli animali quadrupedi da scannarsi o sacrificarsi si raccomanda al Sacerdote una gran cautela di non entrare a qualunque siasi titolo, ne direttamente, ne indirettamente all’atto del sacrificio, come cosa evidentemente superstiziosa. Prima di tutto il Sacerdote esorterà gli oblatori a farne di preferenza un dono alla Chiesa, quale conservato dai fabricieri, se ne farebbe un capitale a benefizio dei poveri [p. 29] o di altre opere pie; quelli che acetteranno questo partito g[l]i consegneranno essi stessi agli amministratori della Chiesa, e tutto sarà finito; quelli poi che ad ogni costo volessero scannarli all’uso antico, per questi si destinerà un luogo più lontano dalla chiesa a questo atto superstizioso, ed il Sacerdote raccomandera a tutti i cattolici di non prendere parte a questo atto. La parte della carne devoluta ai Sacerdoti ed agli officiali della Chiesa sarà distribuita ai poveri.

si ordina un sacerdote, o almeno un catechista, in tutte le stazioni 6. Non potendo la missione mantenere dei preti in tutte le chiese, e nei centri molto lontani dove esistono molti cristiani ancora non istruiti, per facilitare la questione dei funerali, e per accelerare l’istruzione dei medesimi, si farà ogni possibile per mantenervi almeno nei luoghi più centrali dei catechisti, i quali saranno indefessi nell’istruire e preparargli al battesimo; Un qualche nostro Sacerdote poi di quando in quando non mancherà di fare qualche apparizione per amministrare il battesimo ai catecumeni preparati, e continuare il battesimo dei bimbi già fatto in molti altri luoghi.

il moribondo in luogo lontano. 7. Fratanto occorrendo qualche ammalato in pericolo di morte nei luoghi lontani dove non si potrà avere il Sacerdote per l’amministrazione dei Sacramenti, non manchino i parenti di chiamare il catechista [p. 30] il quale, per quanto permetteranno le circostanze della malattia lo /148/ istruirà economicamente, e potrà battezzarlo a norma delle istruzioni particolari che non mancherà di avere dai superiori.

funerali di un’adulto battezato o no. 8. Quando verrà da lontano la cena di un morto adulto, la prima cosa [da farsi] si dovrà domandare se è stato chiamato il Sacerdote, oppure il catechista del luogo viciniore; in caso di affermativa un Sacerdote di casa anderà a riceverla, e poi, accesi i due lumi che ha portato, il Sacerdote farà le esequie brevi in chiesa assistito da due chierici. Se poi il morto non è stato, ne visitato, ne battezzato neanche dal catechista, allora si lascierà correre la questione e [non] si farà nulla.

di un capo famiglia battezato, o non battezato 9. Nella morte di un capo di famiglia stato battezzato come sopra, almeno dal catechista in mancanza del Sacerdote; in questo caso nel giorno quarantesimo dalla morte un Sacerdote con due chierici o catechisti si recheranno al taschar mortuario, non solo per istruire, ma per fare il servizio funebre in rito cristiano cattolico sul sepolcro stesso colla maggior solennità possibile; si potrà ricevere la quota di uso da dividersi colla chiesa viciniore per uno stabilimento di beneficenza, come già è stato detto sopra. All’opposto, se il morto capo di famiglia [p. 31] non sarà stato battezzato, allora il Sacerdote vi potrà andare per istruire e mantenere l’ordine in quell’adunanza di cristiani, ma dovrà guardarsi dal fare i funerali religiosi al sepolcro del defunto. Potrà adoperarsi per la divisione fra gli eredi colla sua influenza puramente civile, ma non potrà ricevere cosa alcuna come decima mortuaria, all’infuori di un piccolo compenso per la sua trasferta puramente civile. In caso di essere costretto a ricevere la quota per evitare disordini, questa sarà per intiero devoluta alla Chiesa viciniore per un’opera di beneficenza, come sopra.

funerali di un cattolico morto con tutti i sacramenti. 10. Nel caso di morte di [un] adulto, il quale abbia ricevuto tutti i Sacramenti della Chiesa e sia stato assistito dal Sacerdote in morte, allora il suo cadavere potrà essere trasportato anche in Chiesa con tutti i funerali prescritti dal rituale nostro, e celebrarsi anche la Messa presente cadavere. Così la sepoltura dei bimbi stati battezzati solennemente, con tutta la solennità dovuta al suo stato d’innocenza.

11. Il Sacerdote avrà cura che tutti i beni devoluti alle Chiese, o per oblazioni, oppure per successione mortuaria siano bene amministrati, [p. 32] perché quando questi si saranno moltiplicati prima di tutto dovrà pensarsi alla formazione di una casa per i poveri abbandonati, per i pellegrini che vengono da lontano, e massime per i catecumeni, e per una scuola, e simili, tutte cose che mancano in paese.

/149/ ordine di promulgare i regolamenti 12. Si raccomanda finalmente tutti i sacerdoti, chierici, e catechisti di publicare tutti questi regolamenti in tutte le chiese, oratorii, o stazioni, affinché i medesimi arrivino alla cognizione di tutti. Perché poi, dal momento che si saranno moltiplicati i cattolici, tutti coloro che si diranno cristiani, e dopo alcuni anni risulterà che non si curarono d’imparare il necessario, e di ricevere il santo battesimo, allora non saranno più considerati come cristiani, e non avranno più diritto al ministero del Sacerdote, perché saranno considerati come pagani.

conseguenze favorevoli. La publicazione di questi regolamenti produsse un’effetto affatto opposto a quello che io temeva; invece di allontanarmi la razza cristiana me la avvicinò anzi maggiormente. A misura che i Preti, ed i catechisti portavano le mie decisioni e raccomandazioni ai luoghi lontani si sollevavano i popoli in gran quantità per sentire il catechismo, il solo Gabride un giorno mi arriva con una turba di 50. e più persone, venute a [p. 33] Sciap per ricevere il battesimo già quasi preparati. una questione delicata. Alcuni catecumeni venuti con Gabriele, i quali avevano delle concubine loro schiave mi domandarono di poterle vendere: io non sono ricco, mi diceva uno di questi se mi permette la cangierò con un’altra più [più] vecchia; trattandosi di vendere o cangiare schiavi, avendo fatto io qualche difficoltà, avendogli detto che mi bastava la sua promessa di non più accostarsi ad essa, quando voi siete buono mi disse, perché non mi conoscete, non fidatevi di me, disse, perché un bel giorno il diavolo mi vincerà, ed io guasterò il mio battesimo, con Dio non si burla, mi dice quell’angelo di Gabriele quando ci fa il catechismo, come devo fare? Simili questioni indicavano che la risoluzione veniva certamente dal cuore, ma in Kafa, dove soleva vendersi, non solo una schiava, ma un figlio futuro ancora non nato, non avrei voluto cadere in altro eccesso di favorire la schiavitù permettendo la vendita di una schiava divenuta concubina per favorire l’unità matrimoniale.

Il movimento sollevatosi fù tale che fui obligato a raccomandare la moderazione, non potendo più la casa mia capire la gran quantità dei catecumeni. [p. 34] apertura di altri tre catecumentati. Per sgombrare la casa centrale di Sciap Gabriel fù aperto un nuovo catecumenato in Tadmara, alla testa del quale vi andò Abba Jacob col chierico catechista Camo in Ghera. Un’altro catecumenato fu aperto nel famoso Santuario di S. Giorgio in Baba, non lontano dalla casa reale di Anderacia, [a] capo, del quale vi andò Abba Hajlù col catechista Gabriele. Un terzo catecumenato ebbe luogo in altra Chiesa dedicata a S. Michele sotto la direzione di Abba Paolos con altro chierico. Io sono rimasto solo in Sciap col mio dragomanno Negussiè, e con alcuni chierici catechisti. Dapertutto gran concorso e molti /150/ battesimi. Si dovette lasciare in pieno la scuola dei giovani e dei preti per ubbidire a questo gran movimento. Alcune persone di distinzione della stessa razza pagana detta Kaficiò incomminciavano ad avvicinarsi.


(1a) Chi vuote convincersi di ciò può trovare di che [stupirsi] al S. Sepolcro di Gerusalemme, ed in Betlemme analizzando il [comportamento del] clero eretico coi pellegrini. Sopra tutto al Giordano nel giorno dell’Epifania orientale. Per chi non può andarvi non mancano scrittori che tutto narrano. [Torna al testo ]

(1b) Le così dette pietre sacre in Abissinia sono di legno curiosamente lavorato, e benedetto dal Vescovo. In Kafa questi tabbot sono cose venute dall’Abissinia. Dal millesimo che ho trovato scritto sopra qualcheduno di essi passavano i tre secoli, epoca precedente all’irruzione degli arabi, e dei Galla, di cui si è parlato più sopra. [Torna al testo ]