/23/

3.
Al campo imperiale: attesa e terrore.
«Teodoro vinto da un monaco!».

circondario del brivido In quell’epoca, un giorno prima di arrivare al campo di Teodoro, tutto all’intorno si chiamava il circondario del brivido o tremolo. Quando io sentiva [a] dire questo mi pareva un’esaggerazione, eppure ho veduto che era la pura verità, e posso dire d’averlo anche provato un poco io stesso. Già all’entrare di Derita ho incomminciato a vedere un certo cangiamento. L’abissino è per se stesso molto verboso, [p. 557] amico delle questioni, esaggerato ed immorale nella sua stessa conversazione; i mussulmani poi in tempo di Ras Aly, erano ancor più petulanti; entrato nella città di Derita trovai un silenzio universale, come se si fosse entrato in un monastero di monaci. una s[t]rada lavorata in Abissinia Da Derita poi al campo [vi] era una salita con una strada larga e bene, aggiustata, forze l’unica strada in tutta l’Abissinia in cui sia visibile la mano del uomo; ora quella strada era piena di gente che andava e veniva, e non si sentiva una parola fra gli stessi amici e compagni di viaggio; preoccupazione dei viandanti se s’incontravano alcuni che avessero affari si ritiravano a parte, e parlavano sotto voce, come si suoi fare in Chiesa in tempo delle funzioni, nei paesi nostri cattolici. Eppure si sapeva da tutti che Teodoro non si trovava al campo; ciò non ostante pareva che tutto il mondo fosse occupato a fare il suo esame di conscienza.

Sia la strada quasi direi intagliata nella rocca, che la preoccupazione dei viandanti avrebbe presentato un’idea grande. animali morti. Una sol cosa orribile e rivoltante erano le bestie morte. Gli animali in quella salita cadevano come le mosche, ed ogni momento se ne trovava uno, e bisognava fare un circolo per schivarlo. La strada era sopra un precipizio, e sarebbe stata cosa facilissima gettare l’animale morto nel medesimo, ma pure non si faceva, e dove era caduto l’animale [p. 558] là si lasciava marcire. rimedio per il cattivo odore Il mio coregna fece portare un fascio di salvia, e ne diede a me ed a tutti, anche ai prigionieri. Io teneva sempre una foglia di salvia in bocca, ed il mazzetto della medesima in mano vicino al naso; era questo /24/ l’unico mezzo di rendere sopportabile quella strada; il corregna mi faceva passare qualche volta la boccetta di aqua di rose. I passeggieri vedendo un’europeo legato mi guardavano con un’occhio di compassione. Ad alcuni era già venuto qualche sospetto a mio riguardo, ma chi osava parlare? La salita di quella montagna per la nostra carovana costò almeno tre ore di viaggio; ma finalmente siamo arrivati sull’alto piano.

arriviamo all’alto piano. Arrivati sull’alto piano noi speravamo di respirare un’aria un poco più pura dalle infezioni degli animali morti, ma ci siamo [ci siamo] ingannati. Le bestie morte non erano così frequenti come nella strada, ma il fetore era più cattivo; sulla strada le pioggie lavavano e l’aqua portava via, mentre sul piano tutto rimaneva stazionario. La pioggia allagava e guastava tutti i depositi di aqua per l’uso comune. Non tardammo ad avvicinarci al campo. Il forestiere, oppresso dal prestigio di questa città imperiale, avrebbe creduto di trovare un non so che [p. 559] di grande, e di impotente; ma restava come di stucco vedendo quasi nulla.

il campo di Teodoro Il campo di Teodoro tutto radunato, contando almeno cento mille persone sarebbe ancora stata una bella città con un’estensione almeno il triplo di una città eguale dei nostri paesi, poiché non essendovi fabbriche di diversi piani, ma tutte capanne sarebbe facile concepirsi un’immensa estensione di terreno coperto di capanne più o meno grandi, e di tende o bianche, o nere di diversa dimensione. Ma il campo di Teodoro non era compatto, ma diviso in trenta o quaranta grossi villagi, i quali portavano il nome delle diverse nazioni, e diversi paesi etiopici, come in certo modo la Roma antica possedeva le sue chiese e sessioni delle diverse nazioni. Questi villagi sono abbastanza separati per diminuire il prestigio in grande del campo imperiale. Tuttavia al uomo biblico trova in tutti quei gran centri militari il riscontro dell’idea che [che] ci tramanda la bibbia in proposito di quel paese.

nostro ingresso nel campo. La nostra carovana intanto camminava, ed a misura che ci innoltravamo si scoprivano i campi delle diverse nazioni, quello è il campo del Tigrè, mi diceva il mio corregna, e ne faceva una piccola spiegazione, là ecco l’Enderta, ecco quà gli Agau; e così [a] mano [a] mano che camminavamo il mio cicerone mi spiegava [p. 560] tutti ad uno ad uno il campo dei diversi paesi dell’Etiopia e mi diceva chi ne era il moderatore. Ma questa era una cosa facile, il più difficile era la strada. l’interiore del campo di Teodoro Piano orizzontale senza scolo delle aque; Pioggie dirotte, animali e popolo che vanno e vengono a falangi compatte, col piede nel fango sino a mezza gamba, da ogni lato animali morti che infettano l’aria; ecco l’aspetto interno del gran campo di Teodoro. Abbiamo camminato in questo senzo quasi /25/ un’ora, per arrivare al centro, dove si trova la casa imperiale. Si presenta là un gran recinto o chiudenda tutta semplice di legno e di spine con dentro una gran quantità di capanne e di tende, è questo il grande spettacolo dove finisce tutto il decoro della maestà imperiale. Di tutte le regie abissine e galla, quella di Teodoro è la più miserabile.

finalmente siamo arrivati.
ma nessuno ci riceve.
Intanto noi siamo arrivati al termine del nostro viaggio, quale è stato il ricevimento? Porta chiusa e l’imperatore è andato alla guerra; ecco l’unica risposta che basta per tutto. Ma intanto? [p. 561] chi ci riceve? dove andiamo? chi ci da dà mangiare? Il conduttore della carovana parla col mio corregna, fanno consiglio insieme e conchiudono di comune accordo di cangiarmi il corregna. Così si fece: diedero a me un’altro corregna. zelo del mio corregna. Il mio giovane quando si trovò in libertà, va, viene, briga presso gli amici che aveva nel campo, e ci porta una quantità di ceci di mangiare. Custode della casa dell’imperatore era Ras Hajlù. Col suo consenso entra nell’interno e parla con alcuni giovani suoi amici, ed a forza di brigare ottiene qualche stracio, e ci fa una cattiva tenda per ripararci dalla pioggia. Egli coi soldati della nostra scorta portano dell’erba, portano legni ed arrivano a costruirci una piccola capanna. Prima della notte io già mi trovava al riparo fuori del fango. Ma non bastava più per lui: aver pensato solo per me, egli seppe ancora tanto fare che [che] poté ancora mettere in riparo quasi tutti i prigionieri.

Fratanto l’esempio suo mise in movimento ancora molti altri, e si trovò tanto che basti per un sufficiente ricovero. Tutti erano stupiti di vedere in quel giovane tanto attività; [p. 562] in Abissinia, paese di egoismo, il mio giovane corregna era ammirato da tutti. lodi al giovane mio corregna Per lui, dicevano tutti gli stessi prigionieri, non siamo morti; egli seppe tanto fare e tanto dire che tutta la carovana nostra trovò ancora qualche cosa da mangiare. Come in quella regia tutti tremavano, e nessuno osava avvicinarsi ai prigionieri; fu nella notte che alcuni si mossero più a pietà di noi, ed ebbimo ancora di che bere. Il mio stomaco era così indisposto a ricevere, che appena gustato qualche cosa mi prese un movimento di stomaco quasi convulsivo. Con questo motivo egli trovò caffè in quantità, e fu un vero cordiale per tutti. Ciò fatto il buon giovane, sciolto il corregna provisorio, [e] si rimise di nuovo in catene; fù questo un portento nella bocca di tutti, e non si parlava che di lui.

l’arrivo di Teodoro Fin quì tutto andava bene, ma Teodoro non veniva, e la sentenza deffinitiva nostra era ancora un mistero, eravamo tutti là pendenti da un filo sopra un precipizio, ed il cuore batteva nel seno di tutti noi, come se da un momento all’altro tutto [non] dovesse finire con una scena di /26/ sangue. Teodoro è partito [p. 563] nelle furie, dicevano alcuni, egli andò in cerca di nove dei suoi fidi che lo tradirono, e ci arriverà come una furia d’inferno; povero colui che sarà il primo a comparirgli d’avanti! Ogni momento si aspettava la tromba che soleva annunziare il suo arrivo. sono tutti spaventati Restammo due giorni intieri in questo brivido di terrore, quando finalmente la tromba annunzia il suo arrivo. Era la sera di notte; tutto il campo era come senza respiro. Entra egli nel suo cortile colla compagnia delle sue guardie, e chiude la porta con ordini fulminanti che nessuno si avvicini. Si passò la notte ancora nel terrore. L’indomani si vedevano a turbe i grandi dell’impero seduti sulla porta come cani in facia al lupo. Un cupo silenzio regnava nel campo.

collera di Teodoro
[29.6.1863]
Si avvicinava il mezzo giorno, quando incomminciò a sentirsi un rumore di verghe che battevano senza misericordia nel gran cortile imperiale. I traditori erano nove, e non passa un’ora, che tre di essi furono portati fuori cadaveri che nuotavano nel sangue; poco dopo sortono gli altri sei tutti grondanti [di] sangue, condannati al supplizio [p. 564] del così detto mancorer specie di canga cinese proibito a qualunque di accostarsi a loro sotto pena di morte. terrore nel campo Ciò che più mi aterriva era al vedere il popolo obligato ad esultare, mentre nel suo cuore fremeva di orrore; il mio corregna mi averti subito di guardarmi dal dare segnale di compassione, perché, altrimenti, diceva, guai a Lei, sarebbe finita. Passato questo spettacolo di terrore, chiusa di nuovo la porta del recinto imperiale, ognuno sì ritirò in casa sua in silenzio, aspettando il giorno del domani. L’impressione lasciataci dalla storia sopranarrata [fu tale], che nessuno di noi ebbe coragio di gustare un sol boccone, ed io mi sono contentato di bere un corno di birra. una bella lezione per me era arrivata l’ora della preghiera e della conferenza, ma io affatto non me la sentiva più. Padre, disse il mio coregna, perché non si fa la solita preghiera? Se domani dobbiamo morire, non è forze meglio morire collo stommaco pieno d’amor di Dio? Questo rimprovero mi ferì nel cuore, hai ragione, dissi, e così ci siamo messi [spiritualmente] all’ordine.

viene una persona misteriosa Era la notte oscura, pioveva dirottamente, e non vi era più un’anima vivente che si movesse, quando si avvicina al nostro tugurio una persona, la quale secretamente parla all’orecchio del mio corregna; io era impaziente di sapere cosa era, ma la conferenza fu molto lunga. Finalmente [p. 565] mi riesce di sentire queste parole: raccomandatemi alle sue orazioni, e se ne parte. Appena allontanatosi la persona misteriosa, il mio corregna si volta a me e mi dice all’orecchio = si tranquillizzi padre mio; la persona venuta è un giovane dell’imperatore, il quale ha raccontato tutto ciò che si è passato; Teodoro aveva dimenticato prima /27/ di partire di dar ordine al suo riguardo, e restava in pena; egli volle sapere in detaglio tutte le persone che ci hanno assistito mi disse ancora molte cose che sarebbe troppo lungo [riferire]... Ella facia finta di nulla sapere, solamente resti tranquilla per carità... Questa confidenza mi fu un vero cordiale per ricomporre e mettere un freno alle mie agitazioni. Con questo cordiale ho potuto riposare.

passa l’oragano il cielo si serena L’indomani venuto, di buon mattino ecco aperta la gran porta del recinto colle guardie in gran gala, come quando dopo un oragano si rasserena il cielo; era questo il segnale di grande udienza, e che Teodoro si era calmato. Una processione di grandi impiegati ed uffiziali che andava alla corte in gran gala non finiva più; si sarebbe detto, che nel gran recinto imperiale si dovevano celebrare grandi nozze... Quando tutta la corte fu radunata e messa in ordine, ciascheduno seduto, al suo posto, un tocco del nagarit (gran tamburro) da il segnale che Teodoro parla, e tutti si met- [p. 566] tono in gran silenzio. Si presenta il porta parole all’imperatore seduto in mezzo ai suoi magnati. Gianoï [cioè: Maestà], eccomi all’ordine, dice: va; dice [l’imperatore], chiamami il conduttore della carovana spedita da Scialaca Gember. Noi intanto sentiamo che il nostro conduttore è stato chiamato; dunque, ecco arrivato il gran momento, dicevano tremando i prigionieri, e rivolti a me, Iddio Le dia fortuna, dissero, e se potrà si ricordi di noi.

siamo presentati all’imperatore
[30.6.1863]
Ritornò quasi subito il nostro conduttore con ordine di mettersi presto in riga tutti i prigionieri per essere presentati all’imperatore; alla testa era io col mio corregna, e dopo di me il mio monachello col suo corregna, e poscia tutti gli altri secondo l’ordine della nota che era stata presentata. Alla porta si fece il controllo, e quindi passammo avanti, e fummo schierati tutti avanti [al]l’Imperatore Teodoro, il quale sedeva per terra, nel gran cortile sopra un richissimo tappeto; a diritta Ras Ubiè e Ras Hajlù, ed a sinistra Ras Engheddà. Intorno a lui vicini dieci o dodeci Degiasmace. Più lontano un semicircolo di [di] Uffiziali, ed impiegati [di] diverso genere a triplice rango, tutti in divisa secondo l’uso del paese, a dir poco almeno 200.

interrogatorio particolare a me L’imperatore diresse a me la parola domandandomi di dove veniva, e dove voleva andare? Io rispondo che veniva dal Gudrù e voleva andare [p. 567] a Massawah. Allora l’imperatore fece segno ad un suo giovane, il quale gli presentò una carta piegata, la prese, l’aprì, e fattomi avvicinare, mi domandò se quella carta era mia,? Io gli ho risposto di sì. La carta era una patente dell’ordinazione [chiericale] data al monachello scritta da me in lingua italiana ed in lingua amarica o volgare d’Abissinia. /28/ Teodoro la fece leggere dal monachello stesso, e dopo da un suo segretario in modo che poterono sentire i tre Ras, e tutti i Degiasmace che formavano il suo circolo. Dunque voi siete Vescovo? disse l’imperatore. Io risposi, sì io sono vescovo, ma non vescovo del vostro paese, ma di un’altro paese. Perché siete passato nel mio paese senza domandare il mio permesso? disse l’imperatore. Quando io sono passato, risposi io, voi non eravate ancora imperatore. Dunque siete passato in tempo di Ras Aly? Sì, risposi io, e fu allora che io ebbi l’onore di pranzare con V.[ostra] M.[aestà] I.[mperiale] e R.[eale]. L’imperatore aggiunse ancora un’altra interrogazione: dopo che ho regnato io, perché non vi siete fatto vedere? [Gli risposi:] Due volte io vi ho scritto; una volta in Gogiam col mezzo di Likamaguaz Joannes (l’inglese Bel), e l’altra l’anno scorso quando voi eravate fra i Borena; a questa mi avete risposto.

Dopo questa mia ultima risposta l’imperatore fece ad alta voce questa dichiarazione: Sappia tutto il mondo che oggi [per] la prima volta io Teodoro sono stato vinto da un monaco; volle [p. 568] di più che il porta voce lo facesse sentire a tutti, affinché tutti battessero le mani. il mio coregna fatto ufiziale, e liberati i prigionieri Fatto il battimano, interrogò il mio corregna: tu chi sei? Signor mio, rispose il mio corregna, io sono il garzone di camera di Scialaca Giamberiè [cioè: Gember]. bravo! [continuò l’imperatore:] io aveva dimenticato una cosa partendo di casa, [cioè, di provvedere ai bisogni di questo prigioniero,] e tu vi hai rimediato. Sciogliete subito le catene di questi due, e date una camicia di uffiziale a questo bravo giovane, disse Teodoro. Diresse quindi per ultimo la parola al conduttore della carovana e disse: Lascierai liberi tutti questi prigionieri; ai mercanti sia restituita tutta la roba loro, e lasciateli in libertà tutti; se qualcuno di essi ha qualche lagnanza [da presentare] Ras Ubiè gli sentirà. Così finì ogni questione, e tutti hanno gridato, evviva, evviva... Fatto ciò, Teodoro ordinò una tenda particolare per me ed un pranzo: andate, mi disse, parleremo dopo.

facio riverenza e sorto la tenda e il pranzo Fatta la riverenza a S.[ua] M.[aestà] I.[mperialel e R.[eale] me ne sono partito, e fui condotto dal mio nuovo Uffiziale, il bravo mio corregna, alla mia tenda, dove già stava preparato per me un magnifico pranzo. Tutti i prigionieri, [esclamai io,] miei compagni di viaggio [p. 569] si s[i]edano e mangino le grazie dell’imperatore, e diciamo tutti[:] evviva Evviva Teodoro. Il Conduttore, il giovane uffiziale, già mio corregna, ed il monachello mi fecero compagnia. Mentre noi stavamo mangiando, l’imperatore Teodoro raccontava tutta la mia storia alla sua corte; dopo che ebbe raccontato tutto [aggiunse]: io non vi dico che questo sia il /29/ nostro vescovo, perché noi abbiamo Salama, e voi lo sapete, ma fatene solo il confronto, e giudicate. Della sera stessa tutto mi fù raccontato, ciò che disse Teodoro. Dopo questo molti vennero a presentarmi le loro congratulazioni, ma io ringraziai tutti: io sono stanco, dissi, e domando riposo.