/38/

5.
Matrimonio abissino: riforma fallita.
Matrimonio cattolico. Impero allo sfascio.

Finito questo il giovane fu impaziente di venire a darmene la notizia, e mi raccontò tutta la storia suddetta. Per parte mia, disse Teodoro, il vostro matrimonio è fatto; nel nostro paese non si usa [di] fare altro, ma il vostro Abuna come insegna a questo riguardo? Allora ha preso la parola lo sposo: Abba Messias così insegna: [p. 584] cosa è il matrimonio Il matrimonio è un contratto stipolato da Dio e benedetto dalla Chiesa. Qualunque gran contratto non vale se non è stipulato da una persona publica rappresentante il governo. spiegazione del matrimonio Il matrimonio è il primo di tutti i contratti, nel quale i sposi si danno reciprocamente il diritto sopra la propria persona, ed è contratto di cui si serve Iddio per la creazione del uomo; dunque è di tutta necessità una stipulazione solenne. è necessariamente cosa religiosa Come la materia di questi contratti è una materia che appartiene non solo al governo, ma principalmente a Dio come creatore; così non basta un rappresentante del governo, ma è necessario un rappresentante di Dio per stipolare questo contratto. La libertà della propria persona che [che] si danno vicendevolmente i sposi non è una proprietà loro, ne tanto meno del governo, ma di Dio. Di Dio poi principalmente è l’atto generativo, come organo principale della creazione del uomo. A questo grande atto si aggiunge la benedizione della Chiesa Sposa di Gesù Cristo e vera madre dei neonati; questa benedizione è quella che feconda il matrimonio, e ne è la tutela. Così insegna la fede cristiana, dice Abba Messias.

Questo era uno dei pezzi di catechismo ragionato da me preparati sopra le materie più essenziali a sapersi dal popolo che io faceva studiare a certi catechisti più coltivati, unitamente ad alcuni fatti o parabole prese dalla Scrittura. Il giovane sposo l’aveva, come [ap]preso a memoria, [p. 585] da me, nelle diverse volte che io mi sono trovato in bisogno di spiegarmi in simile materia tanto essenziale in Abissinia. Lo stesso mio ragazzo Stefano poteva già insegnarglielo. Teodoro era un genio, ma era solo Teodoro era un vero genio, epperciò non mancò di rilevare la sublimità di questi principii /39/ elementari ed essenziali per la riorganizazione di una società caduta in questa materia, più [in] basso degli stessi, galla. Fu talmente invaghito di questi principii, che se lo fece ripetere parecchie volte, e mandò anche più volte altri suoi fidi a sentirlo. Questo principe sarebbe stato capace di dare principio ad un movimento di rigenerazione in quel paese; ma sgraziatamente quando una nazione è caduta da un certo grado di civilizzazione è più difficile [a] rilevarsi, perché gli stessi oracoli si corrompono e sono di ostacolo. Teodoro non aveva altra risorsa che il suo genio e la sua forza, anzi quest’ultima quasi unica. Ma anche qui Teodoro non era assistito, perché il potere governativo non è stabile in Abissinia da concedere tempo al principio di operazione.

l’Abissinia antica Io non ho ancora potuto formarmi un criterio che serva di base, sull’antichità dell’Abissinia religiosa; se cioè quella nazione abbia avuto o no un’epoca di religione mosajca completa, oppure no. Come in seguito se parimenti abbia avuto un’epoca cristiana abbastanza completa, [p. 586] oppure no. Io inspirato da alcuni scrittori di questi ultimi secoli, ho voluto particolarmente esaminare questa questione, e dopo i miei esami inclino piuttosto a dire che l’Abissinia [non] abbia mai avuto un’epoca fiorente, ne di Mosaïsmo, ne di cristianesimo. nessuna scienza in Abissinia Una persona europea, anche colla cognizione della lingua etiopica, quando volesse esaminare tutti i lavori scientifici di prodotto etiopico, [non] troverebbe un bel nulla. In quel paese non vi [è] altra scienza che la biblica, come accade anche in alcuni altri paesi d’Oriente. Ma anche in questa parte, l’unica opera quasi completa è la bibbia, benché imperfettamente tradotta dal testo o copto, o Greco. In tutto il resto poi [non] si trova nulla che si possa dire un’opera prodotto di una scuola abissina preesistente; il poco che [non] si trova sono raccolte di testi dei Padri Orientali, fatti la più parte da Copti in odio al catolicismo. Lavo[r]i poi cabalistici in lingua popolare, lavori ridicoli e superstiziosi; questi sono moltissimi, ma tutti ex Patre diabolo.

l’abissino ha talento Bisogna poi fare giustizia all’Abissinia in una cosa sola, ed è che quel paese di razza mista, ma nella sua base asiatica, ha molto talento ed avrebbe gran genio allo studio, quando da principio avesse trovato una scuola modello, ed un’educazione scientifica. E per, questa ragione [p. 587] che io la compatisco molto, vedendola in tutti i generi caduta così bassa.

dissoluzione domestica L’origine della sua caduta è la mancanza del matrimonio Cristiano. Per chi conosce quel povero paese non è difficile [a] convincersi di questa gran verità, perché colà, mancato il matrimonio cristiano andò perduta /40/ la società domestica della famiglia, andò perduta l’educazione, andò perduta l’istruzione, andò perduto il sentimento di onore, l’amore alla propria casa, alla propria terra, l’amore al lavoro; pochissima quindi è divenuta la figliuolanza, e quella poca abbandonata, girovaga, raminga, immorale; una gran parte colla sola madre e senza padre. In Abissinia invece del matrimonio Cristiano si trova una specie di società civile provisoria, ecco tutto; questa società dura solo quanto dura la passione, oggi si uniscono due coniugi, domani incomminciano altri amori, altri interessi.

esperienze e sforzi fatti da me Io ho tutto esaminato, e posso dire che ho tutto provato coll’esperienza; ho posseduto la signoria di parecchi paesi; come Signore di un paese, fruiva di un certo diritto sopra l’unione dei due coniugi, e diritto sopra il divorzio; sopra una cinquantina di case di cui era composto un paese, aveva [p. 588] almeno dodeci o quindeci unioni, e quindi dodeci o quindeci divorzii. Per quanto abbia fatto per impedire questo flusso e riflusso di unioni, e di separazioni, e stato quasi nullo il profitto ottenuto.

condizioni del matrimonio abissino In Abissinia ciò che domina nella società coniugale non è più la passione e l’amore dei coniugi, ma l’interesse. La donna principalmente è quella che fa una speculazione. La donna ha sempre l’amministrazione domestica; essa non può vedere i figli delle precedenti unioni; quindi [esercita] un dispotismo orribile sopra i figli. Questi, appena trovano un pezzo di pane altrove sortono di casa; i maschi si mettono al servizio, e le figlie si prostituiscono; un disordine, un gaspigliagio [cioè: sciupìo] orribile in tutte le famiglie.

Teodoro tenta di stabilire il matrimonio cristiano
[set. 1854]
Ora ritornando al filo della nostra storia, Teodoro, colla sua esperienza aquistata nelle diverse sue posizioni, ancor prima di essere imperatore, conosceva tutto il gran guasto suddetto di tutte le famiglie, causa dei gran mali del paese, per la mancanza del matrimonio cristiano. Per questa sua persuasione, Teodoro sul principio del suo impero volle tentare una riforma, ed incomminciò da se stesso, contentandosi di una moglie, e facendo colla sua prima moglie, figlia di Ras Aly [p. 589] il matrimonio Cristiano, al quale si conservò sempre fedele sino alla morte di essa. Non contento di ciò, aveva come obligato a seguirlo tutti i suoi grandi impiegati, raccomandando anche lo stesso ai soldati. Fu questa una gran novità in paese, ed ammirarono tutti come l’Abissinia l’avesse ricevuta sufficientemente in pace. [Tewabee: † 19.8.1858] Morta che fu la prima sua moglie suddetta, un pregiudizio stabilitosi nel paese non avrebbe permesso più di rimaritarsi, e secondo il medesimo doveva restarsene celi- /41/ be; come svanirono i suoi tentativi
Tirunec
pregiudizio in verità fabricato dal diavolo per rendere più odioso, e quasi impossibile il matrimonio cristiano. Ora Teodoro avendo preso una seconda moglie senza osare di fare il matrimonio Cristiano, fu considerato dal publico come una ritrattazione di tutto l’ordinato prima, e l’Abissinia continuò sempre nel suo concubinagio. Più tardi Teodoro, dopo il famoso scandalo del Vescovo eretico colla sua moglie, è divenuto anche egli possessore di concubine peggio degli altri suoi sudditi.

il paese conosce tutto. Con tutto ciò bisogna confessare che Teodoro conosceva molto bene l’importanza del matrimonio Cristiano, e fece di tutto per stabilirlo come cosa essenziale per la riforma del paese. Non solamente Teodoro, ma la maggior parte del paese, mi diceva il giovane mio corregna nei primi giorni dopo la sua conversione, era nella medesima persuasione; [p. 590] molti anzi all’apparizione in Tigrè dell’Abuna Jacob (Monsignor Dejacobis) speravano di vedere finalmente un’epoca nuova in questo genere. storia del giovane mio coregna Per conto mio poi abbia la santa pazienza di sentire la mia storia in breve, [aggiungeva l’ex corregna,] perché le servirà a conoscere la posizione degli altri miei eguali. Mio Padre era un’impiegato di Degiace Gosciò, persona abbastanza ricca degli Agau meder. Egli aveva oltre mia madre sua moglie, ancora una schiava giovane molto furba, la quale sollevò una guerra di terribile gelosia; io contava poco più di dieci anni, ma di malizia ne aveva quindeci; quando il mio Padre era colla mia madre io mi trovava colla schiava, e quando il Padre era con questa io me he stava colla madre; tutte [e] due versavano a me il vaso delle loro passioni. Mio Padre andava alla corte di Degiace Gosciò, [e] mi conduceva con se; là ho imparato tutto il linguagio della seduzione, e non tardai a diventare l’idolo dei giovani di corte, e quello delle giovani riservate al padrone. Più tardi mia madre fece divorzio e prese un secondo marito, ed io l’ho seguita, e feci là nuove conoscenze fra la gioventù dei due sessi; ritornava quindi dal Padre, e manteneva vive le antiche [voglie]. A 15. anni di età, e 18. di malizia, sono entrato al campo di Scialaca Gember, il quale mi amò e mi aveva sempre con lui alla corte di Teodoro.

sue avventure. È inutile che io riferisca tutta la storie o avventure che ebbero luogo, sia nel campo di Scialaca Gember, sia in quello di Teodoro, basti il dire che io aveva l’entrata [p. 591] in tutti i luoghi, anche i più riservati per le loro donne; dovunque aveva i miei adoratori; anche da lontano riceveva dei regali ed era visitato da persone d’ogni sesso e d’ogni condizione. La scena arrivò a tal segno, che per dare la vivacità a certe relazioni anche solo le più importanti, io doveva farmi una gran violenza, ed il cuore per una parte abituato a tanta varietà, e dall’altra con /42/ una vita così esaltata, mi sentiva freddo, e doveva fingere una passione che [che] non esisteva più; dimodoché se Iddio non avesse troncato il filo colla sua venuta e colla mia conversione, non so come l’avrei finita.

suoi rimorsi, sua disperazione Così idolatrato da tutti, sia per la mia bellezza personale, sia per la mia arte finissima di sedurre, certamente che tutti mi credevano un’uomo il più felice, e sempre al colmo della mia contentezza. Invece tutto all’opposto io era l’uomo più infelice. Da una parte io vedeva di non potere più andare avanti per la stanchezza; per altra parte poi io era travagliato da tali e tanti rimorsi di conscienza che un giorno, contrariato in una mia passione, già aveva risolto di gettarmi [p. 592] in un precipizio non molto lontano dal campo di Scialaca Gember; mi trovava sul bordo del precipizio, ed il solo orrore del medesimo mi trattenne, risolto invece di finirla con un revolver, cosa più onorata. Dopo aver passato una quantità di giorni nelle mie pazzie, per lo più mi succedeva un giorno di malinconia, o di rimorso, io era una vera furia, un momento tentato di uccidermi, un’altro momento di fuggire nel deserto. un lavoro tutto speciale della providenza Mentre io mi agitava in Nagalà, senza che io lo sapessi si agitava pure la cugina dell’imperatore pazza per me; l’imperatore fece venire questa al campo, risolto di chiamarmi, e la providenza mi conduceva ai suoi piedi per guarirmi.

Nel primo giorno che incomminciai a gustare le sue parole, io non pensava ad altro che [di] andare a Gerusalemme con Lei, invece Iddio mi condusse alle nozze, ed Ella mi consigliò ad acettare, sperando che avrei fatto maggior bene alla sua missione.

la sposa chiamata al campo Teodoro mi amava per altre mie qualità, ma non amava queste mie pazzie, e teneva lontana quella sua cugina, oggi mia sposa, perché avrebbe bramato di darla ad altri di migliore condotta; prima di conoscere [p. 593] la mia venuta al campo e la mia conversione fece venire questa sua cugina come per forza, onde impedire che non arrivasse qualche sinistro, sperando sempre ancora di dissuaderla. si risolve il matrimonio Quando poi seppe il mio arrivo come corregna, e sopratutto la mia conversione, allora furono sciolte tutte le difficoltà ed il matrimonio fu subito combinato. Teodoro intanto mi chiamò nella sera convenuta, ed abbiamo fatto molte conferenze sopra il matrimonio di quel giovane. Mentre io conferiva coll’imperatore lo sposo passò tutto quel tempo colla sua sposa per disporla a fare il matrimonio cristiano, dopo il quale solamente poteva sperare la tanto bramata unione. matrimonio cattolico Finita la conferenza coll’imperatore mi sono recato alla casa dei due sposi, dove dopo una sufficiente esortazione, ho rettificato il loro battesimo, secondo le istruzioni di Roma, e poi ho benedetto il loro matrimonio.

/43/ Fatto il matrimonio i sposi si abbraciarono, e lo sposo mi accompagnò sino alla tenda. Esso avrebbe voluto passare tre giorni ancora con me, in seguito alla storia che io poco prima gli aveva raccontata sull’Arcangelo Rafaele a Tobia; io gli dissi: consigli agli sposi no, figlio mio, oggi [p. 594] questa non è più la tua casa, essa è quella della sposa; in quanto al resto che riguarda i doveri maritali non devi più dire[:] così voglio, ma tutto deve passare di comune accordo; se perciò essa sarà contenta passerete i tre giorni, altrimenti no; in queste cose di diritto maritale, due siete diventati una sola persona. È partito quindi sul momento, e recatosi dalla sposa, appena questa sentì il desiderio dello sposo, subito aderì, e poco dopo se ne ritornò alla mia tenda.

desiderii inefficaci di Teodoro Teodoro intanto avrebbe voluto che io avessi passato presso di lui il forte delle pioggie, ed aspettassi a partire verso il mese di Settembre per avere tempo a discorrere. Siccome però il Vescovo eretico Salama si trovava a Devra Tabor e faceva continue istanze per trovarsi coll’imperatore, io non ho voluto acconsentire di restare più di otto giorni, temendo le publicità. In quel momento Teodoro aveva ancora un poco di fede, tanto che bastava per sentire i rimorsi. Egli avrebbe desiderato di mettersi in conscienza, ma vi erano gravi difficoltà, quasi insuperabili. La prima difficoltà era quella della moglie; dopo che trovò quella sua prima moglie [p. 595] in fragrante con Abba Salama, l’aveva allontanata e non volle più vederla; [1858] ne aveva quindi preso un’altra, colla quale conviveva, questione molto difficile. La seconda questione era quella della fede, altra questione più difficile ancora per la complicazione politica che avrebbe sollevato per finire di rovinare il suo regno.

il regno di Teodoro in pericolo Il regno di Teodoro nella sostanza non era ancora sfasciato, ma aveva già perduto molto del suo prestigio. Già da parecchi anni il Gogiam si era reso indipendente sotto gli ordini di Tedla Gualu, il quale si salvava sulla fortezza di Givellà ogni qualvolta Teodoro faceva la sua escursione. I[i] Galla dei Wollo sostenne[ro] la guerra [con l’imperatore per] molti anni, [il territorio] fu sempre vinto, ma mai dominato, ed in quel tempo [vi] regnava Workitu moglie di Aly Babola, e madre di Amedì. Il paese di Scioha era governato da un Vice Re per nome Betsabee, il quale incomminciava già [ad] alzare la testa, e minaciare [di] rivolta. Dimodoche Teodoro aveva il solo Beghemeder, ed il Tigrè che fino allora [sembrava non] avesse, dato nessun segnale d’indipendenza. elementi di dissoluzione del regno Tuttavia l’ataccamento [p. 596] dei suoi soldati a Teodoro era già molto diminuito; i poveri soldati, gli stessi grandi [generali] delle antiche aristocrazie, erano stanchi di restarsene sotto il giogo ferreo di questo despota, il quale gli aveva soggiogati, ed obligati ad una guerra conti- /44/ nua con marcie forzate e senza tregua. Le antiche aristocrazie sopratutto, le quali godevano una certa autocrazia nei loro distretti, vedevano di cattivo occhio nuove aristocrazie prendere il posto loro alla corte imperiale; queste erano un vero cancro per quell’impero, il quale viveva del solo prestigio di un uomo, prestigio che incominciava [a] dileguarsi come una nube in facia al sole. Il vescovo eretico Salama aveva contribuito molto all’esaltazione di Teodoro, sperando di guadagnare anch’egli in proporzione, ma poi vedendosi abbandonato per certe sue bassezze, incominciava anche egli a lavorare di sotto, soffiando [tra] i diversi partiti.

superbia di Teodoro Non bisogna poi dimenticare una cosa che più di tutto contribuì alla sua rovina. Teodoro gonfio del suo potere di paglia, era poi un vero abissino con idee ristrette al solo suo paese, privo affatto di cognizioni relativamente all’estero di oltre mare. Egli povero pigmeo in facia al mondo europeo, era intimamente persuaso di essere la prima potenza del mondo; epperciò non rispettava gli europei, ed i loro governi. questioni di Teodoro coi consoli francese ed inglese Di qui naquero certe questioni coll’Inghilterra, [p. 597] e poco mancò che si compromettesse ancora colla stessa Francia, quasi l’unica [nazione] che lo sosteneva. Monsieur Lejan eletto nuovo Console di Massawah, in compagnia del Dottore La Garde medico graduato delle truppe francesi, per la via del Sennaar [dic. 1862] arrivarono in Abissinia inviati del governo [francese] a Teodoro; nel presentarsi a questo imperatore, non tennero conto di certe tattiche di corte d’Abissinia, tenendosi piuttosto a quelle della nostra Europa, colà affatto sconosciute; in ciò mancò senza dubbio Teodoro nelle sue pretensioni sconosciute agli inviati europei; ma non erano affatto da scusarsi anche i nostri per non aver saputo adattarsi [all’ambiente]. Comunque sia si sollevò una questione di parole, per la quale [liberato: mar. 1863;
partito: set. 1863]
fu legato M.r Lejan, ma poi subito rilasciato, e mandato a Devra Tabor sotto guardia. Quasi la medesima questione si sollevò quasi contemporaneamente, e quasi per le stesse ragioni, col Console inglese recatosi in Abissinia in quel tempo. Un certo Signor Stern visitatore delle missioni protestanti [ott. 1863] [era stato] punito da Teodoro per certe malcreanze in corte. Il Signor Cameron Console inglese ne prese le difese troppo vive e mal tollerate dall’orgoglioso imperatore; [2.1.1864] fu questa la gran causa della guerra cogli inglesi, ultima sua rovina.

la guerra degli inglesi in Abissinia Posto che la storia mi ha portato a toccare questo munto, io non voglio entrare nella questione della giustizia o ingiustizia di questa guerra, divenuta necessaria per riparare l’onore inglese in facia a tutta l’europa, ed anche [p. 598] l’onore di tutta l’Europa in facia all’orgoglio puerile dell’Abissinia. In ciò, se mi è permesso di dire il mio sentimento, dirò /45/ che il governo inglese fece un vero servizio a tutta l’Europa, la quale in facia all’Abissinia e una sola nazione; epperciò l’onore inglese, era onore europeo. Dal momento che i governi delle diverse nazioni della nostra Europa non possono impedire che i loro sudditi o protetti vadano in Abissinia, o per motivo di commercio, o anche per motivi scientifici, invece di alzare lo stendardo di una certa gelosia diplomatica, dovevano anzi larghegiare in applausi di riconoscenza da una nazione, la quale del proprio sangue rivendicava l’onore generale di tutti. Non parlo di me e degli europei che si trovavano in Abissinia in quell’epoca della guerra, ma parlo degli stessi indigeni che io conosceva intus et in cute, i due terzi dell’Abissinia avrebbe[ro] desiderato che gli inglesi fossero rimasti in qualche punto delle estremità: in dieci anni, mi dicevano molti, il popolo stanco delle rappresaglie continue, sarebbe corso in massa a rifugiarsi all’umbra loro, ed una posizione qualunque sarebbe divenuta una gran città; così la povera Abissinia avrebbe trovata la pace.

un’avviso ai visitatori in Abissinia Ancora una cosa mi resta [d]a dire a questo riguardo, la quale potrebbe servire di lume anche [a] certi governi ed a molti privati che fanno certi calcoli di viaggi o di operazioni di qualunque genere siano. In 35. anni di dimora ho conosciuto [p. 599] molti europei venuti in Abissinia, alcuni per motivo di commercio, alcuni come operai in cerca di fortuna, ed alcuni anche mandati dai governi con missioni diplomatiche; ora dei molti che ho veduto non ho cognizione di un solo che abbia avuto un’esito felice. Potrebbe darsi che altrove si presenterà [l’occasione] di dare una ragione più completa di queste mie asserzioni; per ora basti il dire, che riguardo al commercio, l’europeo [non] potrà mai far concorrenza agli arabi ed agli indigeni che ne esercitano come una specie di monopolio indiretto. Riguardo all’operajo [non] potrà mai avere la paga che può avere in Europa; a questo riguardo [non] servono a nulla i contratti fatti da sedicenti incaricati, perché l’abissino non conosce la forza dei contratti, e chi fa lavorare è per lo più il principe despota; il lavoratore [estero] avrà sempre i pochi lavoratori indigeni contrarii.

ai governi che spediscono diplomazie. In quanto agli inviati diplomatici io non posso tutto dire, perché mi sono trovato anche nella necessità di occuparmi, pregato da certi governi, epperciò non posso dire tutto ciò che si passa colà senza violare la fiducia che hanno avuto in me. certi viagiatori speculisti Dico solamente che ben soventi alcuni viaggiatori, desiderosi di aprirsi una via alla diplomazia, oppure per altri fini tutti personali, fanno un viaggio senza conoscere, il paese; [p. 600] o dalla parte del mare rosso, arrivati sino a Massawah, oppure /46/ dalla parte del Sennar, arrivati sino a Matamma, oppure penetrati sino all’interno, vedono da una parte e dall’altra carovane di arabi che portano avorio, caffè, cera, muschio, e simili, ritornano ai loro paesi come grandi viaggiatori e scopritori di cose nove, o si fanno capi di società, oppure, assistiti da qualcheduno che conosce le scale dei ministeri presentano dei piani di trattati col principe A. col Principe B. ed a forza di brigare arrivano ad ottenere qualche missione; articoli di giornali riempiono il mondo di notizie, e gonfiano i petti di vento; quante di simili deputazioni, e quanti di questi trattati ottenuti, publicati anche nei giornali? ma cosa si è ottenuto? nulla. La ragione è sempre la stessa: l’Abissinia non ha idea di queste cose; per ottenere regali dai governi dice di sì a tutti, ma poi tutto è inutile; i trattati, le società e compagnie di commercio non possono aver luogo, perché i paesi non conoscono jius gentium delle gran nazioni europee.

è cosa diversa il missionario cattolico Ma i missionarii cattolici vanno, girano, e fanno anche affari coi governi barbari, perché dunque non possiamo farlo noi? potranno dire alcuni; ma il missionario cattolico, egli [p. 601] ha una missione di diversa natura, egli e come una persona che entra in un deserto per cercare del grano e delle vigne, egli a spese della propria vita, va colla missione divina per fare dei cristiani e creare dei paesi per l’avvenire sociale di altri; egli è un piccolo Cristoforo Colombo che supera difficoltà senza fine, e si espone al pericolo anche di una ribellione dei suoi fratelli sui mari per dare la vita sociale ad una parte del mondo, e civilizzarla a vantagio dei futuri calcolisti. missione divina della vera Chiesa di Cristo La vera Chiesa di Cristo tiene una missione divina più vasta e più sublime di quello che sia conosciuta da molti che si dicono anche gran calcolisti, come non era compresa quella stessa di Cristoforo Colombo. La Chiesa per sbrigarsi di questa missione divina, più vasta di quanto sia vasto il mondo non manca di eroj, i quali colle ali di una fede, di una speranza, e di una carità incomprensibili al mondo, possono ciò che non possono altri, anche se dicenti apostoli per illudere il mondo, i quali non possono andare senza una protezione dei governi, perché con mogli e con famiglie... Il Prete cattolico, e più il religioso claustrale sciolto da tutti i legami di famiglia, e persino da certi bisogni materiali della vita, possono ciò che non possono altri.

Il fin qui detto poi serve anche per spiegare in parte il sopra detto, parlando di Teodoro, e parlando di certe complicazioni che hanno compromesso [p. 602] la diplomazia europea e nel tempo stesso il regno di Teodoro senza nessun frutto, ne per la nostra Europa, ne tanto meno per la povera Abissinia, la quale corre sempre più verso il precipizio della propria distruzione, ed incommincia a rovinare tutti i paesi /47/ Galla del Sud, i quali erano la vera richezza di tutto l’alto piano etiopico.

nuove istanze per trattenermi Ciò posto dirò, che Teodoro, pregato e scongiurato dal nuovo suo figlio che sposò la sua cugina, e dalla sposa stessa, la quale bramava ardentemente di arrivare alle nozze spirituali della S. Comunione col suo sposo, nelle lunghe conferenze secrete che avevano luogo fra di loro, ad ogni costo avrebbe voluto trattenermi, almeno sino dopo le pioggie, giurando di spedirmi al più tardi nel mese di Settembre, subitoché il fiume Takaziè sarebbe stato passabile; il giovane sposo, divenuto più che mio figlio, [disse:] io sono garante, e prometto di accompagnarla, almeno sino al di là del Takaziè.

un tranello molto bello Era questo un bellissimo partito, e quasi mi lasciava vincere, tanto più che l’imperatore mi prometteva di farmi passare quei due mesi in un luogo non molto lontano da lui, ma affatto sequestrato, dove egli solo coi due sposi, stabiliti non molto lontano, avrebbero potuto penetrare, onde passare qualche ora [p. 603] con me. i secreti del tranello Il piano era bellissimo, ma io conosceva già troppo l’Abissinia, ed aveva già sperimentato delle crisi improvvise tali da rendere impossibili le promesse più sincere dei principi stessi. Tanto più poi, io diceva frà me stesso, che questo povero imperatore alla fine sarebbe stato obligato a ricevere Abba Salama, passo al quale io stesso ho dovuto esortarlo; Abba Salama poi, benché Vescovo abissino, come ogni europeo sapeva, e lo sapevano anche molti abissini, nel cuore era un Protestante, ed era il garante della missione protestante in Abissinia; e guai se questi avesse conosciuto la mia presenza nel campo o nei contorni! avrebbe senza dubbio tentato di sollevare una crisi contro di me, e dell’imperatore stesso.

un mio piano di viaggio Fu dunque per questa ragione che io ho proposto all’imperatore un’altro piano: io passerò il fiume Takazè più [in], alto verso la sua sorgente, dissi all’imperatore stesso; i due sposi vadano in Nagalà e mi aspettino presso Scialaca Gember, il quale sarà molto consolato dal loro arrivo, e dopo riposati alcuni giorni anderanno a stabilirsi nel cuolla (1a), dove ci vedremo. Intanto, io, finiti gli affari con V.[ostra] M.[aestà] me ne partirò a piedi con tutta semplicità, come sono venuto, e me ne ritornerò a Nagalà [d]a Scialaca Gember, e di là discenderò nel cuolla per aspettare [p. 604] il passagio del fiume. Così nessuno potrà dubitare delle cose nostre, non solo qui, ma nello stesso campo di Scialaca Gember. fu conchiuso l’affare, Teodoro fece qualche difficoltà, ma poi alla fine acconsentì. Io diedi le mie /48/ istruzioni allo sposo, affinché istruisse bene la sua sposa, per ricevere i Sacramenti al mio arrivo, e prendesse tutte le sue misure per il passagio del fiume, perché io intendeva di passare al più presto. e partirono gli sposi. I due sposi partirono verso la metà di Luglio, ed io sono partito quattro giorni dopo di loro.

mie ulteriori conferenze con l’imperatore Nel fratempo io ho avuto ancora quattro o cinque conferenze coll’imperatore, nelle quali gli ho detto schiettamente tutto il mio pensiero, anche in certe cose che dovevano riuscirgli molto odiose, ed umilianti. Fui molto edificato, come quel leone indomito ricevesse così umilmente le mie parole. Quel uomo aveva ancora un fondo di fede, ma l’onore cavalleresco lo impazziva. Certamente che un’umiliazione gli sarebbe stata salutare per l’anima sua; senza di questo poco vi era da sperare, tanto più che venendo ad una conclusione la difficoltà della terza moglie, da lui molto amata, e che egli avrebbe dovuto abbandonare, per attaccarsi alla seconda sua vera moglie, che non volle più vedere dopo l’adulterio; era questa la catena con [p. 605] cui il diavolo l’aveva legato, e che doveva condurlo all’inferno [† 13.4.1868] vittima di suicidio da lui commesso in Magdala, alcuni anni dopo, dopo la battaglia cogli inglesi, come spero [di] parlarne a suo tempo.

si parlò degli inviati francesi Nelle conferenze fatte coll’imperatore, egli mi parlò del Console Francese e del suo compagno; allora io ho preso motivo da questo per dirgli qualche cosa sul rapporto alle potenze europee; no[n] ho lasciato di fargli conoscere la gran distanza che passa trà l’Abissinia e l’Europa, distanza che l’abissino non può misurarla, per pronunziarne un giudizio qualunque; per l’abissino, dissi, l’Europa è un vero precipizio che bisogna rispettare per non rendersi ridicolo, oppure esporsi ad una rovina irreparabile. Riguardo all’Imperatore dei francesi, [lo esortai:] Lasciate in piena libertà il Console col suo compagno; per tutto il resto io posso incaricarmi di tutte le comissioni che volete. V.[ostra] M.[aestà] ha tempo per pensarvi e mi potrà scrivere a Massawah, di dove le prometto di non partire prima del S. Natale. Gli ho domandato alcuni manoscritti, dei quali fui spogliato in Nagalà, e stati mandati al Campo da Scialaca Gember; egli mi promise di fargli cercare, ma ho veduto subito che difficilmente gli avrei trovati, perché l’amministrazione di quelle corti [p. 606] lasciava molto a desiderare; al[cu]ni mi facevano dubitare trovarsi nelle mani di un’europeo, stato chiamato per leggerli, quando arrivarono.

si fissa il giorno della partenza Alla fine fu fissato il giorno della partenza, quale arrivato, mi fece chiamare l’ultima volta. Mi diede alcuni suoi ordini presso l’imperatore dei /49/ francesi: Fece chiamare Alaca Kidana Mariam, quell’istesso del Tigrè che fù nostro conduttore venendo, al quale diede ordini molto severi per l’accompagnamento, affinche nulla mi mancasse in strada. ultimi concerti con Teodoro Mi fece molte esibizioni di soccorsi, ma siccome non mancano presso quei principi barbari certi cavalieri d’industria o levantini, o della nostra stessa Europa, i quali sogliono fare molte bassezze per qualche materiale guadagno, io ho protestato una seconda volta che nulla voleva, e che conveniva partire con tutto il mio esteriore di prima, per non dare motivo a dicerie e sospetti. Nel caso, dissi, riceverò in caso di bisogno, qualche cosa in Nagalà da Scialaca Gember, oppure dallo sposo, il quale già mi aveva esibito [qualche cosa]. Per dargli una soddisfazione [p. 607] ho acettato alcuni straccj per il mio monachello, e per Stefano, i quali ne avevano bisogno, e vestito del mio mantello trapontato, che i miei due compagni di viaggio mi avevano aggiustato e lavato, siamo partiti dal campo imperiale.

già partito fui richiamato in corte; ultima separazione Eravamo già come sortiti dalla tenda ed incamminati, quando venne ancora un giovane della corte a chiamarmi con una voce di comando duro. Alcuni del publico, non conoscendo tutto quello che si era passato trà me e l’imperatore, tremavano, ma io tutto tranquillo sono rientrato in corte, e Teodoro, tutto solo e commosso al non più dire, [mi supplicò:] beneditemi, e benedite il mio paese, perché ho un certo presentimento che non ci vedremo più. A simili, parole, io pure commosso, nulla ho potuto rispondere, gli ho fatto, un’inchino, e fù l’ultima volta che lo viddi, ne spero di vederlo più nel momento in cui scrivo, perché egli è già nell’altro mondo, partito di propria volontà col suicidio, epperciò, neanche posso pregare per lui, perché morì con un’atto di rivolta a Dio... miei voti per Teodoro Oh quanto sarebbe stato [p. 608] meglio per lui lasciarsi prendere prigioniere dagli inglesi in Magdala; egli, se non altro, con quel miserabile titolo di imperatore abissino, avrebbe trovato sempre un’esistenza onorata, ed avrebbe potuto sperare di salvarsi, ma il patrimonio del principe abissino è la superbia, ed il suo padrone naturale è Satana principe degli abissi.


(1a) paesi bassi. [Torna al testo ]