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26.
A Gerusalemme e lungo il canale di Suez.
Pedagogia missionaria. Le locuste. Aden.

mia parternza da Marsilia
[19.4.1866],
ed arrivo
[a Alessandria: 25.4.1866]
[partenza per Gerusalemme: 8.5.1866]
a Giafa flagello delle locuste
ordine di distruggere la locusta
Molti religiosi, e moltissimi secolari, anche del ceto ecclesiastico, mi accompagnarono al bordo. Levata l’ancora, l’ottavo giorno già io mi trovava nel Convento degli Osservatori di Giafa. Secondo il mio antico costume ho sempre fatto il viaggio a piedi da Giafa a Gerusalemme, ma [non] ho mai sofferto tanto come in quel viaggio, perché, appena sortito di Giafa incomminciai a trovare il terreno coperto di locuste, dove più, dove meno, trovandosi di quando in quando spazii vuoti, perché nulla più vi era da mangiare; in certi luoghi [gli insetti] avevano persino mangiato le foglie degli aranci. Il governo aveva dato ordini severissimi per la distruzioni di questo insetto; epperciò le popolazioni erano tutte in movimento. Sopra tutti i mussulmani, i quali sono ghiottissimi del medesimo, e sogliono farne anche una specie di commercio ne riempivano sacchi di pelle, e gli mandavano alle loro case per arrostirli viventi. Quando la locuste è matura, mi dicevano i compagni di viaggio, [p. 952] ed è rimasta qualche tempo nelle vicinanze del mare, essa ha maggior gusto. Erano migliaja di sacchi che si raceoglievano dalle popolazioni ogni giorno, solamente per il loro utile, eppure era come un nulla, [eppure ciò era come un nulla,] e nei luoghi, dove vi era qualche cosa da mangiare, la terra era coperta, ed il viandante vi camminava sopra. L’ordine del governo era di distruggerle, perché, come dicevano, in caso diverso, morendo sul luogo, lasciano gli ovicoli, e non tardano a riprodursi. Da quanto mi dicevano gli indigeni, la locuste cammina in famiglie di quantità favolose, la gerarchia delle quali non la credo abbastanza conosciuta dai nostri naturalisti, per quanto io conosca, ne io sarei in caso di aggiungere lumi ai medesimi.

esame sopra di essa Di giorno la locuste presenta maggiori difficoltà per raccoglierla e distruggerla, perché all’approssimarsi dei nemici che cercano di raccoglierla o distruggerla fa anche delle piccole levate in massa, ma queste levate non possono andare molto lontane, se non si leva tutta la gran /224/ famiglia, la quale suole occupare un gran spazio di terreno, il quale sfugge all’occhio; per la raccolta si presta più la notte che il giorno, perché nella notte il povero insetto non usa [di] prendere il volo, epperciò si lascia cogliere e distruggere. Ecco tutto quello che ho potuto investigare dagli indigeni che lavoravano a raccogliere [la locusta] per proprio interesse, oppure anche solo per ubbidire agli ordini del governo. Da quanto ho potuto vedere, la specie di locuste era un poco [p. 953] più grossa e matura da Giafa a Ramle, e suoi contorni; più piccola verso le montagne della giudea, e verso le altezze di Gerusalemme; anche la specie mi parve un poco diversa nel colore, se pure ciò non era una differenza, non di specie, ma solo di età più tenera. Il certo si è che le famiglie erano diverse, quelle che ho trovato nelle pianure da quelle che ho veduto sulle altezze. A qualche kilometro da Gerusalemme il flagello non era ancora arrivato.

mio arrivo alla s. città Il Patriarca Valerga non aspettava altro che il mio arrivo per fissare il giorno della Consacrazione di Monsignore Bracco; appena sentito il mio arrivo a Giafa ne fissò subito il giorno, e si fecero i grandi preparativi. Già tutto era inteso col governo, e coi monaci eterodossi greci ed armeni, i quali lasciarono la basilica libera in quel giorno. preparativi per la funzione Come era la prima consacrazione di Vescovo stata fatta in Gerusalemme, almeno dopo le crociate, oltre il Seminario del Patriarca, si radunarono in gran quantità i religiosi di Terra Santa per il servizio del Pontificale; e quei grandi preparativi diedero il segnale agli stessi eterodossi, i quali innundarono la città di Gerusalemme, curiosi di vedere quella gran funzione. funzione della consacrazione
[13.5.1866]
Arrivato il giorno, si partì dal Patriarcato in processione con croce inalberata sino alla basilica del S. Sepolcro, accompagnato il clero da soldati turchi, [p. 954] i quali facevano largo in mezzo alla folla: camminava Monsignor Patriarca consacratore, io alla sua destra come primo assistente, un Vescovo armeno a sinistra come secondo assistente; avanti di noi tutto il clero in cotta. La basilica era piena [e] zeppa di cattolici, e tutte le gallerie superiori anche piene di eterodossi. Fù fatto un’altare posticio sulla porta del tempietto del S. Sepolcro; si fece la vestizione dei tre vescovi, e del clero inserviente; [si celebrò] Messa cantata solenne con musica scielta per quanto è stato possibile a Gerusalemme. La funzione durò circa due ore, e procedé con un’ordine e silenzio molto edificante. Gli stessi Scismatici vedevano volontieri quella funzione tutta nuova per loro, e si può dire che fù un vero trionfo per il cattolicismo. Finita la funzione si ritornò al Patriarcato coll’ordine di prima.

L’indomani della consacrazione di Monsignor Bracco, io vi sono rimasto per assistere alla questione, allora vigente riguardo all’elezione del /225/ Patriarca armeno cattolico, per la quale Monsignor Valerga era delegato da Roma per sentirne le ragioni e conciliarne i partiti: due giorni dopo la funzione io mio ritorno a Giafa
[16.5.1866]
sono ripartito a piedi per Giafa, onde arrivare a tempo per [prendere] il primo vapore che doveva portarmi ad Alessandria. Nel mio ritorno la locusta era in diminuzione, e si stava allontanando [p. 955] verso ponente, e lasciando una devastazione che malinconizzava il viandante. Arrivato a Giafa ebbi appena tempo di riposarmi un giorno, che il vapore arrivò, e sono partito per Alessandria.

[arrivo ad Alessandria: 19.5.1866] Arrivato in Alessandria, e presi alcuni concerti con Monsignor Delegato per spedire alcune somme a Marsilia, sul capitale colà esistente, per il pagamento del terreno di S. Barnabé recentemente comprato, col medesimo Monsignore Delegato visita al console generale francese, ed incontro con Leseps
[26.4.1866]
ho fatto una visita all’Ambasciadore francese, e vi ho trovato colà Monsieur Ferdinando Le Sepse, e Monsieur Frassiné, i quali parlavano del Canale [di Suez]. Quest’ultimo stava per partire per Porto Saïd per visitare i lavori del canale. Come in Parigi io mi era trovato parecchie volte in alcune conversazioni poco favorevole ai lavori del canale, in un’epoca in cui i giornali molto ne parlavano, e vi regnava uno specie di scoraggiamento, Monsieur Ferdinando Leseps mi offrì di visitarlo con M.r Frassiné, il quale stava per partire sopra un vapore della propria compagnia, ed ho acettato il partito. partenza per porto Saïd In compagnia di questo signore protestante, e di un’inviato della Compagnia del canale siamo partiti l’indomani per porto Saïd, divenuto emporio di lavori di ogni genere. Da un canto di stava fabricando la città; gli stessi Padri di Terra Santa stavano [p. 956] fabbricando il loro conventino e la loro chiesa; anche le monache del Buon pastore costruivano a loro conto; la compagnia del canale prestava loro molta assistenza e molto ajuto. visita del canale Dall’altro canto il lavoro del Porto presentava [aspetti che] camminavano con grande attività: una gran quantità di draghe scavavano per approfondirlo; da, un’altro lato centinaja di operai fabricavano blocchi di un mettro cubo circa con calce idraulica e sabbia per il gran molo che si stava facendo, onde riparare il porto dalla corrente delle sabbie, portate dalla marea. Un delegato della Compagnia ci accompagnava, e ci spiegava ogni cosa. Visitati i lavori di porto Saïd, la compagnia ci diede una barchetta, sopra la quale, abbiamo continuato il piccolo canale sino ad Ismaelia, dove pure si stava fabricando la città, il convento di Terra Santa, ed un piccolo stabilimento di monache. Da Ismaelia abbiamo preso il canale di aqua dolce, il quale ci porto sino a Suez; dove pure si stavano facendo grandi lavori.

cortesie della compagnia La compagnia ci face tutte le spese di viaggio sopra il canale, e ci trattò lautamente in tutte le stazioni percorse. In parigi i nemici del canale /226/ spargevano notizie contrarie ai lavori del canale, e ne mettevano ancora in dubbio il risultato, a segno che M.r Ferdinando Lesseps ebbe a combattere non poco per sostenere il credito della Compagnia, [p. 957] per impedire che si ritirassero gli associati. Io fui costretto a confessare che il Signor Ferdinando Lesseps fu un vero eroe, non solo per i suoi calcoli, e per la sua amministrazione, ma nel maneggio dell’opinione publica, nella quale finì per regnare. conversazione col signor Frassiné. Io poi debbo lodarmi del Signor Frassiné mio compagno indivisibile in tutto il viaggio da Alessandria, sul proprio suo vapore sino a Porto Saïd, e di là sino a Suez sopra il canale; fù con lui [che tenni] una continua conferenza religiosa; egli si deliziava nel sentire alcune mie storie avvenutemi frà i galla, e mi stimolava continuamente; io poi fra i molti [episodi] sceglieva i più edificanti aggiustando la pillola con gusto tale da restare ben fisso nel suo cuore. Ma [furono] tre giorni di conversazione per maturare il germoglio. Ci siamo separati in Suez, con un reciproco rincrescimento; io non lo viddi più, ne posso sapere se il mio trattenimento gli sia stato utile. Nel separarci mi fece delle esibizioni molto generose per l’avvenire della missione, e per non disgustarlo ho dovuto acettare qualche cosa brevi manu.

mio ritorno al Caïro
[28.5.1866]
Separato dal Signor Frassiné ho preso subito la ferovia per il Caïro, dove ancora mi rimaneva qualche affare da finire prima d’imbarcarmi per la via del mare rosso. Già il P. Elia era venuto da Alessandria per consegnarmi una somma di denari che mi erano [p. 958] necessarii per Aden, e per Massawah. Arrivando in Caïro mi sono fermato nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane per due ragioni. La prima, perché io aveva bisogno di aggiustarmi con loro, affinché preparassero il necessario per ricevere i giovani che io avrei spedito loro da Massawah per essere spediti ad Alessandria, e quindi a Marsilia. I Fratelli poi di quel collegio mi desideravano, affinché esercitassi un poco di ministero al loro numeroso collegio; lo stesso P. Elia, avendo sentito il ministero esercitato in Alessandria un’anno prima, mi fece tante istanze a tale effetto, che ho dovuto risolvere di fermarmi qualche giorno di più. Il collegio di Caïro è meno numeroso di quello d’Alessandria, ma era più complicato, perché quasi la metà dei giovani erano scismatici, e vi erano anche cinque mussulmani. Ho lavorato quattro o cinque giorni, e molti si confessarono anche fra i scismatici; i mussulmani però sentivano volontieri, ma nessuno diede segnale [di conversione]; la ragione fù, perché erano molti, e vivevano quasi separati dai cristiani, mentre in Alessandria essendo un solo viveva coi cristiani, ed era più libero e meno guardato.

/227/ [p. 1] Finiti i miei affari in Caïro sono partito subito per Suez, accompagnato dal P. Venanzio Prefetto del piccolo Convento, detto di propaganda, oppure anche dei Copti, il quale si recava in Suez per assistere alla costruzione del Convento e della Chiesa di quella missione. Egli già aveva fatto avvertire là gli abissini operai del mio arrivo, affinché sapessero cogliere l’occasione per sentire un poco la parola di Dio, e confessarsi quelli, che volevano. mio arrivo in Suez
[metà giu. 1866],
e gli abissini
Al mio arrivo, giorno di Sabbato, circa 15 [di questi] già mi aspettavano alla stazione. Della stessa sera [ne] ho confessato qualcheduno, e dissi loro che avrei sacrificato due giorni per le loro anime. Ho fatto comprare pane, riso, carne, ed un poco di vino per trattenerli radunati quei due giorni, nei quali pensava di esercitare un poco di ministero per quei poveri giovani privi di lingua. La sera dopo aver detto qualche parola a tutti gli ho rimandati, affinché facessero venire ancora gli altri: Sappiate, dissi loro, che giorno e notte io sarò con voi, e se qualcheduno di voi ha già fatto conoscenza con qualche musulmano, esso non vada, ma stia quì con me questa stessa sera.

due abissini in pericolo Io aveva detto queste ultime parple, avvertito da uno, il quale venendo si era già confessato da me, e consigliati da lui rimasero due giovani. Appena partiti gli altri, ho preso questi due in [p. 2] [disparte] da soli, ed ho domandato loro la ragione per cui essi non andavano cogli altri: Sono pochi mesi dacché noi siamo arrivati in Egitto, risposero essi, non abbiamo di che vivere, siamo ancora giovani e non possiamo resistere ai lavori del canale con questo sole ardente, e con questo caldo; abbiamo trovato degli offiziali turchi, i quali ci danno da mangiare, e sono disposti a riceverci come servi con buona paga. Figli miei, risposi io, ho capito il vostro linguagio; volete dire adunque, che avete affittato il vostro asino per mangiare del pane, non è vero? miserabili che siete! alla fine vi farete musulmani, e così venderete l’anima vostra al diavolo per un poco di pane; non sapete, cari miei, dove andate, un bel giorno o sarete venduti, o sarete soldati; volete questo? cari miei, e i peccati che fate non gli calcolate? all’inferno non vi pensate? Quei poveri due giovani al sentire quella mia intimata incomminciarono a piangere; restate quì con me, dissi loro, e poi penseremo.

sacro ministero cogli abissini Queste mie memorie storiche prenderebbero una via troppo lunga, e non la finirebbero più se io volessi tutto riferire quello che si passò tra me e quegli operai del canale; invece di due giorni ho dovuto passarne più di sette quasi sempre con loro, anche la notte facendo catechismi e conferenze per salvare quella povera incauta [p. 3] gioventù dalle fauci dell’islamismo, oppure dalle prepotenze, dei Copti poco migliori dei mussulmani nei costumi. Ho potuto confessarli quasi tutti, benché non /228/ tutti abbiano potuto arrivare a cibarsi della santa eucaristia. misure prese per essi prima di partire Gli ho consegnati al missionario di Suez ed al Console, i quali gli guardassero, e col mezzo di uno o due che sapevano un poco di arabo continuassero l’operazione da me incomminciata. I due giovani suddetti, i quali avevano già gustato il pane e la corruzione mussulmana per liberargli da quella peste, a loro istanza, ho risolto di portarli con me in Aden. Gli abissini lavoratori del canale erano circa 25. Di questi uno o due sapevano un poco di arabo e furono presi come lavoratori nell’ospizio che si stava fabricando, e così per mezzo di essi il missionario poteva tenersi in relazione con tutti gli altri.

Si presentò ancora un monaco abissino per nome Ghebra Salassie, proveniente da Gerusalemme, il quale voleva ritornare al suo paese, e risolsi di prenderlo anche con me. Come io aveva un biglietto di passaggio gratis sopra le messaggerie francesi per me e per due servi, con poco costo di spesa ho potuto partire [p. 4] prendendone anche tre con me aggiungendo una raccomandazione del console di Suez. In questo modo mi sono procurato un’occupazione per tutto il tragitto sino ad Aden continuando il mio catechismo ai medesìmi. ci separiamo commossi Il mio imbarco presentò una specie di spettacolo: tutti quei poveri abissini rimasti in Suez vennero ad accompagnarmi sino al mare, e come mi accompagnarono anche molti europei col missionario di Suez, e furono tutti commossi vedendo quegli abissini [a] piangere nell’atto della separazione, e sentire le mie ultime esortazioni con un’attenzione e con un gusto, come chi ha mangiato un confetto e dopo si lecca le labbra per goderne gli ultimi residui del medesimo; si spiega la commozione Questi poveri abissini si trovano quì in paese straniero senza parenti ed amici, e non hanno chi si prenda cura di loro, dissi al missionario ed ai pochi europei che erano con lui; venuto io, mi sono occupato di loro, ed ho passato tutto il mio tempo nell’istruirli, e tanto bastò per prendere sopra di loro una posizione come di Padre, ecco tutta la ragione [del loro pianto].

il lusso nel ministero Del resto, padre mio, dissi al missionario, il quale volle seguirmi nella barchetta per tutto il lungo tratto dalla Città sino al vapore, noi missionari europei portiamo alla missione molti usi della nostra Europa, dove la rappresentanza civile colla gran società [p. 5] della borghesia e della nobiltà, suole rubare i due terzi del suo tempo al nostro sacerdote nelle visite, nelle conversazioni politiche, o nelle letture di giornali, oppure di libri scientifici affatto estranei al suo ministero; quando si dice[:] il tale sacerdote o parroco è civile, sa trattar bene, è dotto, predica bene, egli è contento e gonfio di se, benché viva poi isolato dai suoi poveri, e questi che formano ben soventi i quattro quinti della popolazione, se ne /229/ partono dalla chiesa senza nulla aver compreso. Per fa[r]vi capir ciò eccovi un fatto che può servire di parità, io in Parigi mi sono trovato ad un pranzo diplomatico di uno, il quale aveva bisogno di comparire al di là delle sue finanze; al vederlo era un pranzo che doveva costare migliaja di franchi, ma i due terzi dei piatti di gran valore erano imprestati, e scomparivano con gran destrezza dalla tavola, dimodoche gli invitati se ne ritornarono [a casa loro] colla fame.

i poveri di spirito sono il campo del sacerdote Questa parità dice ciò che arriva nel ministero di molti nostri sacerdoti senza che io mi spieghi di più; caro Padre mio, i poveri di spirito, e gli ignoranti, i bisognosi di ogni genere, ecco il vero campo del sacerdote; un ministero secco e freddo, più polito che divoto, più sontuoso che pio, ancorché in una bella chiesa e con arredi di lusso, in una lingua che non è lingua del basso popolo, e non basta per saziare gli invitati alla cena di Cristo; ciò è niente più che un pranzo di lusso fatto [p. 6] più per soddisfare la passione del prete e dei suoi amici, che non per saziare le turbe che cercano cristo. Io ho conosciuto due sacerdoti gran modelli dati da Dio a noi sacerdoti, e tutti [e] due già venerabili, uno in Francia, il curato di Ars, l’altro in Italia, il Canonico Cottolengo. Mentre questi due grandi modelli non volevano sapere di altri che di poveri, e volevano trovarsi sempre in mezzo a loro, essi istruivano [i] anche i grandi, i quali correvano da tutte le parti del mondo per ammirarli, ed aprire anche le loro borse. una confesione al missionario di Suez Il sacerdote in mezzo ai suoi poveri, pieno di fede, e che apre il suo cuore di Padre nella lingua del popolo, esso è grande in Europa, ma è di tutta necessità nelle missioni, dove il ministero deve incomminciare dai poveri, e dove Cristo getta le basi del suo regno girando le campagne ed anche i deserti. Ella intanto abbia cura dei miei poveri abissini spiegandosi come potrà; l’amore dispensa dallo scrivere e studiare la predica, e trova il modo di spiegarsi; nel caso Cristo sarà là a far l’interprete, e la lingua dei Santi non ha bisogno di grammatiche e di dizionarii, ma si pasce di verità, e questa è luce per se stessa.

[partenza da Suez: 2.7.1866] Così finì la nostra conferenza col Padre, il quale mi accompagnò sul vapore, e poi se ne ripartì. Io ho fatto dare un piccolo angolo sul ponte al tre abissini, ed incomminciai le mie conferenze con loro, conferenze che durarono sino alla nostra entrata nel porto di Aden. [p. 7] Le persone anche distinte del vapore vedendomi tutto il giorno coi miei abissini, perché Ella tutto il giorno si trova con questi tapini, [osservarono,] e non parla anche un poco con tutte queste persone civili che sono a bordo[?]; una mia risposta ognuno deve fare la sua parte in questo mondo, io rispondeva loro, cosa volete? la parte che mi ha assegnato il mio padro- /230/ ne è questa; avanti [a] Dio siamo tutti tapini vestiti di carne come i porci e gli asini, eppure Iddio che è puro spirito non disdegna di restare sempre con noi; perché dunque noi sdegneremo di restare con questa gente per la sola ragione che non conoscono la nostra lingua, e non sono del nostro colore? cosa volete? se io non resto con loro i poveretti restano abbandonati e non sanno con chi dire una parola. Da quì a qualche tempo io sarò nel loro paese, ed essi saranno i nobili in casa loro e mi renderanno la pariglia. Del resto io sono prete e debbo parlare delle cose di Dio, quando sarete disposti a sentire la predica, venite e sarò con voi.

una lezione di umiltà al prete Così accade al Prete, se esso in viaggio cercasse i signori, questi finirebbero col fugirvi; invece stando il prete in luogo suo, e facendo la sua parte, egli senza accorgersi [p. 8] si trova in cattedra, e verranno a lui anche i signori del mondo. Facendo in questo modo, dopo un giorno io finiva per diventare il capo di conferenza, ed il centro di conversazione in modo da non trovare più il tempo per recitare il mio officio. Io confesso candidamente che con questo sistema [io] ho potuto fare qualche bene anche sopra gli stessi vapori in tutti i miei viaggi; mentre io mi tratteneva coi poveri ed abbandonati, venivano a me i signori e le signore, e mi apriva la strada per fare sentire qualche verità; qualche volta gli stessi protestanti in questo modo si avvicinavano, Il prete che si occupa dei poveri, a prima vista gli pare di abbassarsi, eppure monta in alto a misura che calpesta il mondo, esso è come le aque, le quali camminando sempre al basso e rotolando fra le pietre, ottiene due cose, essa bagna la terra, la lava, la feconda, e poi si scioglie in vapori, e monta in alto per dominare l’atmosfera ed i corpi solidi.

la locusta di Gerusalemme caduta in mare
[5-6.7.1866]
In quel viaggio da Suez a Aden ho notato ancora un’altro fenomeno: Sortendo da Suez ho trovato che il mare era coperto di locuste morte e già in putrefazione: vedete, dissi a tutti i signori che mi ascoltavano, sono poco più di quindeci giorni io camminava verso Gerusalemme, e da Giafa alla santa città [p. 9] io calpestava questi poveri insetti, i quali facevano gridare tutto il mondo e lo sollevavano alla loro distruzione; povere bestie, dopo aver fatto strage in quei paesi, ed aver fatto gridare tutto il mondo di quà e di là si sono alzate, ed il vento soffiando dal levante le ha spinte sopra il mare, ma il mare è troppo grande per attraversarlo, ed hanno trovato il loro sepolcro, e stanno facendo quì la fortuna dei pesci. E questa anche una bella figura del mondo[:] noi poveri mortali siamo tutti dominati dal prorito di dominare, e montare in alto per comandare ai nostri fratelli; questo prorito tiene in agitazione il mondo, ed è causa delle guerre frà le nazioni, frà i paesi, e nelle /231/ stesse famiglie, ma questo vento della superbia ben soventi ci cacia in mare e ci fa trovare il nostro sepolcro. Il mare seppelisce la locuste, affinché non si moltiplichi troppo col morire in terra lasciando il germe. La Providenza di Dio manda i flagelli, e gli modera a suo tempo, come permette la guerra per castigo, e poi da la pace per non distruggerci totalmente.