/134/

13.
Incontro con Masciascià:
commozione e rivelazioni.

progetto di viaggio L’indomani 26. Giugno di buon mattino ci siamo levati, e soddisfatti tutti i nostri doveri religiosi in famiglia, il Governatore venne da me: Sarebbe ora il momento propizio di partire, disse, ma il Re mi ha raccomandato di passare con Lei d’accordo: se si sente partiamo subito, se no, Ella potrà anche [p. 95] passare il giorno qui in riposo. Ciò detto, mi condusse fuori, e mi fece vedere la strada che dovevamo percorrere: era in piena aurora, ed il sole incomminciava [ad] indorare l’orizzonte sulla linea del nostro cammino; era il caso di discendere la collina dove eravamo, passare un fiume che serpeggiava sopra un piano verso levante, e noi andavamo verso tramontana. suoi pericoli. Sul nostro cammino si presentava un basso piano coperto di una nebbia bassa che copriva il terreno come quasi un tappeto di neve; in due ore, diceva il governatore, noi potremo attraversare sicuri tutto questo piano senza timore di essere assaliti dai Galla, perché a quest’ora essi non vi vengono per timore della Signora (1a) Non vi sarebbe altra via? dissi io al Governatore. Vi sarebbe, rispose egli, ma è più lunga e più faticosa, (massime per Lei che non ama di andare a cavallo) cioè la via più a ponente tenendoci sopra le colline; laddove questa del piano è molto più breve, e più facile. Molto bene, risposi io, ma a dirgliela franca, trovo che il timore della Signora, che hanno i Galla è molto ragionevole, perché quella Signora conosce il modo di uccidere senza lancia, senza spada, e senza fucile, essendo una bella e buona malattia micidiale. Perciò [è] meglio /135/ per noi tenerci ad una strada più sicura, anche con qualche fatica e maggior tempo.

[viaggio più lungo] Il Governatore allora prese il partito di lasciare il piano dei Galla, benché questi in quella giornata non ci avrebbero assaliti certamente, essendo corsi verso l’attacco del Re poco lontano. Il nostro viaggio perciò per i paesi più alti fù un poco più [p. 96] lungo, motivo per cui di quella giornata non abbiamo potuto arrivare al campo del Re; abbiamo pernottato però non molto lontano dal medesimo in [Kohot] un luogo, dove solevano dimorare molti forestieri venuti da lontano per le aque calde esistenti poco lontano nel basso, paese di febbri, e ben soventi assaliti dai Galla vicini, i quali facevano anche stragi (1b).

arriva degiace Masciascia cugino del re La sera il nostro Governatore avendo mandato un messaggiere al campo, l’indomani ci venne all’incontro Degiace Masciascià, il quale ci aspettava impaziente. Questo Principe molto affezionato alla missione, del quale già si è parlato in molti luoghi, (2a) considerava la nostra partenza, come l’ultimo disastro per lui, essendo stato sempre io il suo Protettore nelle diverse crisi che ebbe, avendolo fatto sciogliere dalle catene più d’una volta. Il nostro incontro perciò fù una vera crisi di lutto, e di pianto. Egli conosceva tutto, ma [non] poteva dir nulla, perché nella Corte del Re Menilik regnava sempre ancora il prestigio di Bafana capitale nemica del Principe Masciascià. Il poveretto in publico parlava col suo silenzio e colla sua malinconia. Da solo poi era [in] un continuo pianto, come un figlio ai piedi del letto del suo Padre moribondo. Io non la finirei se tutto volessi riferire e descrivere. opinione del principe nella gran question[e] Egli, come principe ereditario presuntivo, conosceva tutta la potente manovra [p. 97] dei nemici della missione cattolica alla corte dell’imperatore Giovanni, e posso dire che fù da lui che ho sentito l’ultima parola che mi era riservata dalla divina Providenza. Ella, mi disse chiaro il Principe Masciascià, è solennemente tradita; appena arrivata a Devra Tabor, nel primo giorno stesso del suo arrivo conoscerà di non essere stato chiamato per altro fine che per essere prigioniero, e quindi esiliato.

mie risposte a lui Voi mi dite[:] tradito ed esiliato: tradito da chi? da Menilik? risposi io al principe. Dio mi liberi anche solo di pensare questo del Re mio Cugino, e mio Padrone, rispose Masciascià; io sono intimamente persuaso che Egli ne sa meno di voi in ciò che fa, egli, come voi, è tradito al pari di voi in tutto ciò che fa contro di voi e della missione vostra. Figlio mio, risposi io al Principe, dunque voi siete più giusto di me in questa causa: io era già arrivato a dire del Re in questo mio affare: o che il Re è un gran sciocco, oppure un gran fellone; voi invece più fedele di me al vostro Re e cugino, voi ancora lo scusate. Con tutto ciò /136/ io vi confesso di non essere ancora convinto della sua innocenza; ma voi sapete che io sono Prete, anzi Vescovo, mandato da Cristo non per combattere e fare la guerra, ma per essere crocifisso con Cristo mio padrone. [p. 98] Voi piangete con ragione, perché in me e nel mio Coadjutore voi perdete due Padri che vi amavano e vi difendevano; io poi piango, e più di me piangerà Monsignore mio Coadjutore, perché obligati dalla forza a lasciarvi in una condizione poco sicura anche per voi (1c); noi piangiamo non solamente per la vostra posizione politica di principe del sangue ancora dubbiosa, ma molto più per la vostra conversione, che già noi credevamo come certa, oggi divenuta un problema. Noi certamente dobbiamo rimproverarci come colpevoli di aver troppo rispettato la vostra politica posizione di principe ereditario per certi riguardi, forze troppo umani. Ma voi dovete [ammettere che] anche voi avanti [a] Dio non siete innocente, perché ci avete sempre troncata la via procrastinando da un giorno all’altro il vostro legittimo matrimonio cristiano.

altra risposta di Masciascià Dopo questo mio discorso il principe Masciascià rimase un’istante senza parola, poscia diede in uno scoppio di pianto: io sono perduto, disse, perduto sotto ogni riguardo spirituale e temporale; so che il Re Menilik mi ama sinceramente come suo figlio; egli ama anche molto la missione vostra, ma a che serve? egli è guidato dalla regina Bafana, la quale ha giurato di amazzarmi; essa teme il publico di Scioa, il quale è quasi tutto per me: senza di questo a quest’ora sarei già morto. Nella rivolta di Tammo, io avrei potuto disfarmi di questa capitale mia nemica: allora i miei [p. 99] soldati tutti d’accordo volevano gettare questa donna nel precipizio della fortezza, ma io, unicamente per il rispetto del Re mio cugino e padrone, ho voluto salvarla; il Re, nella pace fatta, conservò sempre una certa riconoscenza per questo atto di generosità, ma essa invece, ritornata alla Regia, crebbe nella sua malignità (1d) contro del proprio benefattore.

/137/ difficoltà per la partenza Dopo tutta questa scena dolorosa, tra me ed il principe, scena secreta che io non poteva comunicare a nessuno della mia casa medesima, è inutile che io riferisca qui la mia brutta posizione al campo del Re, dove il Principe Masciascià era come Governatore lasciato dal Re medesimo. Sono rimasto due giorni in uno stato di vera violenza. Io avrei voluto partire subito per timore di espormi a qualche publicità per ogni caso che il mistero dell’esilio penetrasse nel publico. Ma ho provato molte difficoltà per parte del Principe, il quale avrebbe voluto accompagnarmi, e trovava delle difficoltà, perché regnava la febbre nel campo, e si trovavano là molti infermi lasciati dal Re prima di partire, ed anche molti della stessa sequela del principe Governatore. nostre occupazioni nel campo Ho dovuto vederne molti frà i più fidi, e somministrare ai medesimi il kinino. Il campo, situato sulle frontiere a levante della Provincia di Effrata, luogo malsano, si trovava travagliato da una certa [p. 100] epidemia, e direi anzi mortalità, perché le febbri dei paesi bassi, incontrate dai soldati nelle diverse escursioni, passava[no] con tutta facilità in tifo; molti morivano, ed i pochi che guarivano si trovavano in uno stato di gran debolezza, da non poter ri[m]patriare. Sarebbe stato quello un luogo da esercitare la carità spirituale e corporale, e da poter fare molto bene; ma la mia posizione era troppo precaria, complicata, ed anche difficile e scabrosa per iniziare qualche cosa. Tuttavia i miei giovani non lasciarono là dal dare un grande esempio di zelo e di carità.

ritorno del prete indigeno
[29.6.1879]
Quello però era il punto in cui io doveva separarmi anche dal mio caro sacerdote indigeno Sahelie, e da alcuni altri, i quali mi avevano accompagnato fin là, e [erano] destinati a ritornare indietro. Io quindi, conservando sempre il più geloso secreto sul mistero del mio esilio, dopo avere passato nel campo una parte del mio tempo col principe in secrete e dolorose conferenze, un’altra parte del tempo a consolare e curare ammalati, non doveva dimenticare anche quella parte di figli, i quali, per la via dei paesi alti dovevano ritornare al Sud verso Ankober, dando loro i miei ultimi avvisi, conditi sempre colla promessa del mio ritorno dopo alcuni mesi, o al più un’anno. false speranze Alcuni dei miei, i quali avevano per me una grande venerazione, e sapevano nel tempo stesso che l’imperatore Giovanni, [p. 101] benché conosciuto da loro come nemico della missione cattolica, pure non lasciavano di avere del medesimo un’idea di uomo religioso, e desideroso di conoscere la verità, essi calcolavano sopra la sua futura conversione; quando l’imperatore avrà passato qualche mese col nostro Padre, essi dicevano, sarà vinto dalla grazia e non mancherà di convertirsi; facevano sopra di questo grandi calcoli; io poi mi guardava bene di dissuaderli, raccomandava anzi loro preghiere a /138/ loro partenza tale affetto; se non altro, diceva fra me stesso, servirà questa speranza a tranquillizzare gli spiriti. Così essi se ne partirono, tene[ne]ndo i paesi alti, verso Fekeriè Ghemb, e verso Ankober, ed io non gli viddi più cogli occhi del corpo, conservandoli sempre presenti agli occhi dello spirito mio, ed a parte delle amorevoli mie sollecitudini.

sellecitu[di]ni del principe In quel frattempo il Principe Masciascià nostro amorevole [protettore] [egli] lavorava a spedirli forniti del necessario, accompagnati da alcuni suoi fidi. Ma nel tempo stesso Egli non dimenticava la mia partenza, quella che più l’occupava, e l’affliggeva più di tutto. proviste di viaggi[i]o. Egli, a tale effetto, aveva fatto preparare una quantità di pane, specie di biscotto macinato per la carovana, quanto bastasse per tutto il viaggio sino a Warra Ilù. Quindi per me e per i miei compagni una gran quantità di Bessò (1e), cioè farina di orzo arrostito, ed impastata con miele; quindi un corno di miele purgato, ed alcuni corni d’idromele, con una quantità [p. 102] [quantità] di carne secca pestata e ridotta in farina (1f); un’altra quantità di pepe rosso anche in farina, e pepe nero anche esso macinato (2b). In terzo luogo per me una quantità di ovi duri col loro guscio (3a). Io [non] mi sono mai trovato tanto ben fornito in viaggio, come partendo dal campo per le sollecitudini del nostro principe Masciascià. Iddio ha voluto farmi tutte quelle carezze per prepararmi alle tribolazioni che mi aspettavano. nostra separazione da Masciascia Ciò fatto, ed allestita la carovana provista di servi, muli e tende, ho lasciato il campo del Re Menilik, accompagnato dallo stesso principe Masciascià, il quale mi scortò sino ad un villagio lontano mezza giornata verso Nor[d]-ovest, dove mi consegnò ad un suo subalterno comandante della frontiera, dove ci siamo divisi per mai più vederci.

Nel partire il principe mi lasciò un mulo con alcune tende, ed un suo servo fido, il quale doveva accompagnarmi sino a Warra Ilù. Lasciato il /139/ campo del Re, la mia carovana si ridusse a sette persone, un diacono, quattro chierici, ed un servo, che mi fece sempre da procuratore presso il Re, il quale portava la parola del Re Menilik. strada al nord-ovest per Warra-Illù. Partendo dal villagio suddetto, per arrivare a Devra Tabor avrei potuto prendere la direzione Nord seguitando e tenendomi sopra la cresta della montagna all’Est dell’alto piano etiopico, che dallo Scioa arriva al Tigrè, come punto dei due versanti, est ed ovest; per quella via non si trovano fiumi da attraversare. Ma il Re Menilik mi aveva obligato a prendere la strada ovest che conduce a Warra Ilù, dove non mancavano [p. 103] alcuni fiumicelli e torrenti da attraversare: la ragione principale di quella determinazione, era perché Warra Ilù era il punto in cui i miei due compagni Monsignor Taurin, ed il P. Gonzaga dovevano aspettarmi, e là ci aspettavano i corrieri del Re Menilik, e dell’imperatore Giovanni. La strada era più lunga e più complicata di fiumi e di montagne, ma più sicura. alcune tribu seminomadi Solamente ci rimanevano ad attraversare gli antichi confini tra il regno di Scioa ed i principati Wollo Galla, abitati da tribù pastori semi nomadi, specie di Zellan pagani, bensì tributarii, ma quasi indipendenti. Il nostro comandante che governava la Provincia di Ant[i]ochia al Nordovest, aveva avuto ordine di darci una scorta dal Principe Masciascià suo padrone, per attraversare quelle tribù, fra le quali non abbiamo trovato case da ripararsi dalla pioggia, ma abbiamo trovato sufficiente ospitalità e liberalità in latte e carne, duranti i due giorni passati frà le medesime.

strada del nord In un giorno di viaggio verso il Nord, la piccola nostra carrovana, sortita dalla Provincia di Effrata avrebbe potuto attraversare la Provincia di Ant[i]ochia, ed arrivare ai confini Sud dei Worro kallo per trovarsi sulla strada già da me descritta nel mio viaggio 1849., quando io in compagnia del fu P. Giovanni Stella Lazzarista fui obligato a tornare indietro, per ordine di Ras Aly, dai soldati di Berrù Lubbò. da Effrata a Warra-Ilù Invece avendo io [p. 104] tenuto il Nord-ovest, sortito dalla Provincia di Effrata, mi vollero quattro giorni per arrivare a Warra Ilù, seguendo il corso delle aque verso il Nilo azzurro, e tenendo sempre i confini tra il regno di Scioa ed i principati Wollo Galla, sempre frà le tribù seminomadi ed indipendenti di quelle altezze sopra descritte; quindi, come vedremo poco dopo, mi rimaneva [d]a percorrere una linea nord-est per arrivare a Saïnt, principato di Tokò Brillè da me visitato nel 1849. per chiudere una specie di triangolo da me percorso in quelle altezze etiopiche in diverse epoche. Se io fossi un dotto geografo, armato di istromenti per le misure matematiche, questo triangolo avrebbe potuto servire di base per una carta geografica per tutta l’alta Etiopia, come centro della medesima. Ma io era un povero missionario privo di tutto, /140/ che viaggiava in condizioni tali da proibirmi ogni esattezza matematica. Oggi poi scrivendo non mi ricordo più neanche dei nomi di tutti i luoghi, e delle persone che entrarono a parte nel dramma attuale del mio esilio.


(1a) La Signora di cui è questione è la febbre dei paesi bassi della zona del sole, la quale si può chiamare febbre gialla, perché ha molta rassomiglianza con quella dell’America, e di altri paesi della zona, benché cangi quasi sempre d’aspetto e di natura, ed anche di nome. Come già dissi altrove, la superstizione di molti luoghi da a questo morbo una certa personalità, alla quale si raccomandano, come quella del vaïvuolo. Se questo morbo non si sfoga coi vomiti e colla diarrea, essa suol dare alla testa, ed è sempre micidiale. Allora la curano con canti ed altre osservanze, alla Signora che parla nel delirio dell’ammalato. [Torna al testo ]

(1b) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]

(2a) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]

(1c) Dalle notizie avute dopo la mia partenza, nell’anno 1880. il giovane principe in questione si trovava [dall’ott. 1879] incatenato nella fortezza di Tedba Mariam in Saïnt per le manovre della regina Bafana. Sul fine dello stesso anno l’imperatore Giovanni trovandosi alle strette per le vittorie dell’armata di Scioa riportate nel Sud da Kafa sino al Gogiam, dove [7.6.1882] fu incatenato il nuovo Re Tekla Hajmanot, non osando battersi coll’armata di Menilik, corse a [7.7.1882] Saïnt dove slegato il principe suddetto col suo prezzo ottenne da Menilik la pace e la restituzione del Gogiam. L’armata di Scioa amava Masciascià più di Menilik, epperciò questi dovette cedere. Da certe lettere venute ultimamente risulta che il Principe in discorso è alla corte di Giovanni. [Torna al testo ]

(1d) Il mio lettore troverà più indietro questo dramma curioso, quando ho parlato della rivolta della Regina al Re, e poscia della [1877] rivolta dei suoi soldati contro di essa in favor suo, mentre egli si trovava da Essa legato fra le catene. [Torna al testo ]

(1e) Il bessò si scioglie nell’aqua dentro un corno a misura del bisogno, e si scioglie più o meno denso a misura che la persona ha più bisogno di mangiare, oppure di bete, perché serve di cibo e di bevanda; è cosa sanissima, e si conserva anche molti mesi sempre fresco; è una pasta che si può mangiare anche in natura. [Torna al testo ]

(1f) Anche la carne secca è una delle grandi provviste di viaggio; essa e macinata, e ridotta in farina, e poi conservata in un’otre anche dei mesi, qualche volta e meschiata con della farina di fave; se ne fa una specie di brodo, o intingolo condito di burro e droghe, esso è gustosissimo e sanissimo. [Torna al testo ]

(2b) In Etiopia le droghe più comuni sono pepe rosso, pepe nero delle indie, canela, garofani; [la droga] si macina e si conserva in piccoli otri, o a parte, oppure misto con sale pesto. [Torna al testo ]

(3a) Io in viaggio soleva portare ovi duri col guscio, e di quando in quando ne prendeva uno; era questo il mio nutrimento quando poteva averlo; un’ovo ed un corno di aqua alla fonte, alcuni ceci, formavano il mio nutrimento. Per regola di chi viaggia, è questo un sistema molto commodo, economico in tutti i sensi, e sano; è il sistema di alcuni arabi. [Torna al testo ]