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Capo XVI.
Cambiamenti politici in Abissinia.

1. Notizie della guerra. — 2. Primo sbaglio di Râs Aly. — 5. Secondo sbaglio. — 4. Disfatta e fuga di Râs Aly. — 5. La sorte dei vinti. — 6. Decadenza dell’impero e potere dei Râs. — 7. I Râs mussulmani. — 8. Altri difetti di Râs Aly. — 9. Genio guerriero di Degiace Kassà. — 10. Disfatta di Berrù-Gosciò e nostri timori. — 11. Partenza di Kassà dal Goggiàm. — 12. La perdita di Râs Aly. — 13. Feroce governo di Râs Kassà.

Unitamente con Abba Saha erano venuti ad Asàndabo alcuni ufficiali e familiari di Workie-Iasu, ed essi ci portarono le notizie della guerra, che desolava una gran parte della regione etiopica. L’Abissinia, che per ventidue anni era stata tranquilla sotto le pacifiche dinastie di Degiace Ubiè al Nord, e di Râs Aly al Sud, ora stava per cadere sotto la dominazione di un despota, il quale erasi proposto di tutto distruggere, per tutto riformare a suo talento. Degiace Kassà, genero di Râs Aly, di cui già abbiamo parlato più volte, era quest’uomo, destinato da Dio a portare tanti cambiamenti in quel paese; cambiamenti, che per alcuni (come sempre suole accadere nelle rivoluzioni politiche) dovevano effettuare la rigenerazione dell’Abissinia; laddove in realtà non furono che un gran castigo per quei popoli, ed una maggiore rovina per quei regni e principati.

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2. Râs Aly era un principe popolare e pacifico, e per la sua indole mite e benefica, buono piuttosto a governare paternamente un regno in pace, che a dirigere e sostenere una guerra. S’ egli inoltre avesse avuto una /203/ esatta conoscenza degli uomini, che si dicevano suoi alleati e dipendenti, ed anche delle speranze, che si nutrivano nel paese, avrebbe scoperto le aspirazioni ed i disegni dell’uomo, che stava per entrare in iscena a suo danno, E certamente non si sarebbe andato a confinare tre anni in un’estremità del suo regno, per tenere in assedio un ribelle di poca importanza, qual era Berrù-Gosciò, sciupando così inutilmente molto tempo prezioso, trascurando gli affari del Governo, e perdendo quel credito, che la sua persona erasi acquistato presso le popolazioni del centro. Secondo il parere delle persone più assennate, egli, appena sentite le prime notizie di ribellione, avrebbe dovuto lasciare il Goggiàm, piombare con tutto il suo esercito sul nemico, dovunque si fosse trovato, ed assalirlo da tutti i lati: ed allora Degiace Kassà, non ancora inorgoglito di vittorie, e non molto provvisto di uomini e di armi, difficilmente avrebbe opposto resistenza. Râs Aly intanto, credendo di poterlo vincere facilmente e presto, invece di partire egli stesso, mandò a combatterlo un suo generale con piccolo esercito; il quale, di fronte al nemico, trovandosi inferiore di forze, fu tosto sbaragliato, con la conseguenza di rendere la condizione del Râs più pericolosa e difficile.

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3. Ho già detto nel capo antecedente che Degiace Gosciò, mandato da Râs Aly al Dembèa con un corpo d’esercito per combattere il ribelle Kassà, era stato ucciso, e l’esercito parte prigioniero e parte distrutto. Ciò avrebbe dovuto aprire gli occhi al Râs, e convincerlo che Kassà non era un nemico da potersi sottomettere con piccole spedizioni, ma che richiedevasi un forte e numeroso esercito per fermare sin dal principio le mosse di quel guerriero, che, a giudizio di tutti, sembrava aver con sè i favori della fortuna. E s’egli avesse compreso questa condizione del ribelle, anche dopo la prima disfatta sarebbe stato in tempo di arrestarne i trionfi, recandosi lui stesso in persona sul territorio invaso, ed affrontando il nemico con tutti i soldati che teneva nel Goggiàm. Invece divise una seconda volta l’esercito, spedendone una parte contro Kassà sotto il comando di Alygàz-Berrù, e ritenendo l’altra con sè nel malaugurato assedio della montagna Tsomma. Intanto che avvenne? Alygàz-Berrù con tutto l’esercito fu sbaragliato e vinto, e la medesima sorte toccò pure ad altri tre generali mandati successivamente a tentarvi la fortuna delle armi. Queste vittorie accrescendo naturalmente il credito di Kassà presso quei popoli, pronti a darsi al più fortunato, in breve lo favorirono ad aumentare grandemente l’esercito, sia con nuovi uomini, che andavano ad arrolarsi sotto la sua bandiera, sia con i soldati fatti prigionieri allo stesso Râs.

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/204/ 4. Kassà inoltre non era un uomo di contentarsi di quelle sole vittorie, nè tampoco sapeva adattarsi alla tattica del temporeggiare; ma vinte quelle prime battaglie, come un fulmine corse al Goggiàm per sorprendere all’improvviso Râs Aly, ormai stremato di forze e sbalordito dalle notizie delle toccate sconfitte. Questi, al sentire l’arrivo del nemico, dove men l’aspettava, si scosse, e cercò opporgli quella resistenza che potè: ma avendo di fronte l’esercito di Kassà, ed alle spalle Berrù-Gosciò, che a quella notizia aveva fatto una sortita dalla fortezza, si tenne perduto; tuttavia combattè accanitamente da valoroso soldato un’intera giornata, nella quale vide cadere morti i due terzi dei suoi soldati. Allora Kassà gli mandò un suo genero con altri uffiziali per intimargli di deporre le armi e darsi vinto: ma egli anzichè rendersi, fece trucidare i messaggeri, e con pochi compagni abbandonato il Goggiàm, passò l’Abbài ed andò a rifugiarsi a Devra-Tabor. Ivi sperava di arrolare nuovi uomini, e rifarsi un altro esercito: ma nessuno avendolo voluto seguire, perché la stima e le aspirazioni si erano rivolte verso il fortunato vincitore, risolse di ritirarsi al gran santuario di MàhderaMariàm, per trovare un asilo sicuro in quel luogo immune.

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5. Kassà allora lasciato il Goggiàm, con tutto l’esercito corse dietro al vinto, che fuggiva, e passato dopo di lui l’Abbài, giunse a Devra-Tabor, già abbandonato dal povero fuggiasco, ed ivi prese possesso solennemente di tutto il conquistato regno di Râs Aly. Questi poi non potè goder neppur tranquillo l’immunità di Màhdera-Mariàm; poichè gli amministratori del santuario, temendo le ire del conquistatore, l’obbligarono a partirsene. Di là fuggì ai Borèna, e poscia ai confini dello Scioa, con la speranza di ricevere qualche ajuto da Hajlù-Malakòt, padre di Menelik. Il quale accoltolo generosamente, lo trattenne seco un po’ di tempo: ma poi, temendo egli pure di romperla con Kassà, lo consigliò di ritirarsi fra gli Eggiu: e non credendosi sicuro neppur là, passò fra i Raya-Galla, sulle frontiere Est dell’Abissinia, dove tredici anni dopo mori. Râs Aly aveva tre figli; il primo, che sarebbe stato l’erede del regno, fu consegnato da lui stesso a Kassà, come parente più prossimo, per essere educato: gli altri due dopo la sua morte furono raccomandati ad alcune famiglie galla ragguardevoli; e nel 1868 io li trovai alla Corte di Menelik, dove poscia li lasciai.

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6. Giunto così per salto alla tomba di Râs Aly ed allo sfasciamento di tutta l’Abissinia, per opera di Degiace Kassà, voglio rammentare ai miei lettori alcuni ricordi storici, più o meno anteriori a questi avvenimenti, che probabilmente saranno stati la causa di quelle rovine, che la Provvi- /205/ denza permise a punizione di quei Principi e popoli. Dopo la partenza dei Portoghesi, gl’Imperatori che governavano l’Abissinia, adottarono un metodo di vita politica nel reggimento dello Stato, che a poco a poco distrusse la loro suprema autorità. Datisi al bel vivere, poco e nulla curavano gli affari dell’impero, e sgravatisi poi del peso di attendere e regolare da loro stessi le faccende politiche ed amministrative, si tolsero da ogni comunicazione col popolo; onde la loro persona divenne come un mito, cui si prestava onore e niente più. Il potere pertanto, che prima era nelle loro mani, passò poco per volta in quelle di alcuni ufficiali superiori, chiamati Râs, i quali finirono con farla essi da sovrani. Accre- Ill. Râs Kassà (o Teodoro). || sciutasi quindi smisuratamente la potenza di questi Râs, si prendevano giuoco degl’Imperatori, li mutavano a piacere, li obbligavano a dire e fare ciò che loro talentasse, finché poi resisi interamente indipendenti, li collocarono a riposo; e lasciati ad essi ed ai loro successori alcuni dritti sulla città di Gondar, li ridussero a vita privata, senza godere neppur l’ombra di autorità politica ed amministrativa. Così cadde l’impero, e cominciò il regno dei Râs in Abissinia.

Naturalmente quest’onore e questa potenza, tolta alla stirpe imperiale e passata nella persona di astuti avventurieri, non poteva fare a meno di eccitare l’ambizione dei Grandi del paese; ciascuno dei quali agognando /206/ quella dignità, si resero facili e frequenti le ribellioni, i tradimenti, le usurpazioni, in una parola la guerra civile. In questa maniera adunque sfasciossi l’unità dell’impero, si formarono diversi regni, e si moltiplicarono i Râs; i quali poi, per soddisfare le loro gelosie ed ambizioni personali, combattendosi a vicenda, immiserirono quel paese e quelle popolazioni.

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7. Da principio questi Râs si prendevano dall’aristocrazia cristiana; e benchè eretici, mostravansi sempre fedeli conservatori della fede dei loro antenati; il che formava l’autonomia e la grandezza dell’Abissinia. Ma col volger del tempo prendendo ad aspirarvi anche i mussulmani, e non potendovi giungere, perchè le leggi il vietavano, alcuni, assumendo quella dignità, abiuravano l’islamismo ed abbracciavano il cristianesimo. Ognuno comprende che movente di queste conversioni essendo la sete di regnare, nel fatto non si riducevano che ad una formalità esterna, restando poi i nuovi convertiti veri mussulmani nel cuore e nei costumi. E perciò accadeva che, elevati alla dignità di Râs, si circondavano di mussulmani, dando ad essi la maggior parte degli impieghi e colmandoli di titoli, di ricchezze e di favori: e così l’Abissinia cristiana, invasa e popolata da questa pessima razza, passò, coll’andar del tempo, sotto il giogo dell’islamismo.

Râs Aly apparteneva a questi tali, cioè era di origine mussulmana; quindi anch’egli seguiva l’uso dei suoi correligionarj, dando impieghi ed accordando favori e protezione ai seguaci di Maometto. E già ho narrato altrove come alcuni suoi zii, mussulmani fanatici, governassero grandi Provincie cristiane, facendo proseliti per amore e per forza, ed introducendo da per tutto i costumi dell’islamismo. Il che, com’è naturale, non serviva che ad inasprire maggiormente quelle popolazioni cristiane, e far loro sospirare un migliore avvenire.

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8. Un altro fatto, permesso dalla debolezza di Râs Aly, irritò grandemente il sentimento nazionale cristiano degli Abissini. Gragne, il famoso Arabo, che tre secoli dietro, aveva conquistata l’Abissinia, e voleva con la forza strapparle la fede ed imporle la legge dell’islamismo, era stato ucciso, come si è detto, dai Portoghesi in Carròda, ed ivi sepolto. Memori pertanto gli Abissini della ferocia di questo tiranno, avevano sempre esecrato il suo sepolcro. Ora, cominciando a regnare i Râs, principalmente di origine mussulmana, si cercò di far rivivere la sua memoria, e con pellegrinaggi, con oblazioni ed altri segni di onore si era fatto di tutto per circondare quella tomba di un’aureola religiosa. Sotto Râs Aly poi: non ostante le opposizioni ed il dispiacere dei cristiani, vi s’inalzò una moschea; il che crebbe il colmo all’indignazione del pubblico, non solo /207/ contro la razza mussulmana, ma contro il Governo e lo stesso Râs, che questo fatto permise e favorì.

Râs Aly inoltre dava molto a parlare per i suoi corrotti costumi. Il vizio mussulmano lo dominava talmente, che giunse a commettere tali bassezze e viltà, che sembravano impossibili in uomo così grave, e così buono sotto altri rispetti. Sua moglie se ne lamentava, le persone della Corte ne mormoravano, i padri non lasciavano avvicinare a lui i loro giovani figli, era insomma uno scandalo per tutti. Ad eccezione dunque di tal vizio, egli era popolare, generoso, mansueto e di cortesi maniere: e nessuno più di lui amò ed onorò tanto gli Europei, che capitarono nel suo regno. Eppure con tutte queste buone qualità, il popolo non era contento di lui, e sospirava un’occasione per abbandonarlo e darsi ad altro padrone: come di fatto avvenne, non appena Degiace Kassà inalzò la bandiera della ribellione.

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9. Cacciato Râs Aly, e divenuto Kassà padrone dell’Abissinia, in quindici anni di regno, cioè dal Dicembre 1853 al 1868, fu sempre in guerra, ora con questo ed ora con quello; talmenteché può dirsi che il guerreggiare fosse la sua passione predominante. Non volle mai abitare in città, ma in aperta campagna, dove la sua casa era una tenda in mezzo al campo militare, ed una capanna nel tempo delle grandi piogge. Non prendeva mai consiglio da nessuno su ciò che dovesse fare, nè manifestava a chicchessia i suoi intendimenti circa le mosse di guerra: sicchè, nell’imprendere una marcia, nessuno sapeva dove volesse andare, nè quando volesse partire. Disposte le cose necessarie, un’ora prima dava il segnale di partenza, e tutti già essendo pronti ai suoi cenni, moveva egli il primo con il suo seguito, indi il corpo dell’esercito, poscia la retroguardia, e due ore dopo era levato il campo. Nelle tappe impiegava appena la metà di tempo, che gli altri Comandanti prima di lui solevano spendere: cosicchè un viaggio di due giorni, egli lo faceva in uno, di cinque in due, e di dieci in quattro. Che meraviglia dunque se con questo metodo di vita e con questa ardita tattica avesse gettato lo spavento in tutte le provincie, ed anche nei regni vicini, e se tutti tremassero nel sentire pronunziare solamente il suo nome?

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10. Partito intanto Degiace Kassà, come ho detto, per inseguire Râs Aly a Devra-Tabor, Berrù-Gosciò, sceso dalla sua montagna, con facile vittoria occupò tutto il Goggiàm, e vi cominciò a dare ordini ed a riscuotere tributi, in una parola a farla da Râs. Kassà, inteso ciò, come un fulmine gli fu sopra; ed appena diede tempo al povero Berrù di passare l’Abbài, /208/ e rifugiarsi fra i Galla del Liban-Kuttài. Allora si occupò a raccogliete le spoglie lasciate dai due vinti, e a dare altri provvedimenti, senza neppure domandare dove Berrù fosse andato. Un giorno, lasciato in Goggiàm la maggior parte dell’esercito, con un buon nerbo di soldati, e senza farne motto a nessuno, ripassò l’Abbài, ed in due giorni fu al campo di Berrù-Gosciò. Sorpresolo di notte e circondatolo, l’ebbe presto nelle mani, e legatolo alla testa dei suoi soldati, fece ritorno in Goggiàm. Noi che ci trovavamo in Gudrù, divisi dal vincitore da un fiume ed una valle, in sentire tutti questi subitanei movimenti ed ardite operazioni, tremavamo di paura: ma il Signore ci salvò; poichè Kassà, senza recare molestia alcuna ai Galla, per la stessa strada donde era venuto, fece tosto ritorno. Tuttavia questi pericoli ci fecero avvisati che la Missione in quel punto sarebbe stata sempre troppo esposta ad essere danneggiata e dispersa: e quindi pensavamo se non fosse miglior consiglio cercarci una posizione un po’ più lontana dalle agitazioni politiche e militari dell’infida Abissinia.

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11. Kassà, ritornato vincitore, e portando seco legato uno dei più famosi depredatori dell’Abissinia, e prigionieri quasi tutti i suoi soldati, entrò in Goggiàm qual vero padrone del paese, e tosto prese il titolo di Râs. Ma le sue conquiste non erano ancor finite; poichè altri paesi ed altre guerre vagheggiava il suo spirito guerriero. Date pertanto alcune disposizioni per mantenere l’ordine ed esigere i tributi, senza neppure lasciare un sufficiente presidio, con tutto il corpo dell’esercito, ingrossato dai soldati presi ai vinti, partì dal Goggiàm pel Nord. Ma il Goggiàm non doveva più rivederlo, nè egli mai più possederlo! Ritornato sotto il dominio di un suo antico Signore, gli si mantenne fedele; e per quanti sforzi appresso facesse il fiero Kassà, ne fu sempre respinto: e certamente per i Goggiamesi fu una grande ventura; poichè quella spada, che prima era apparsa gloriosa, e che prometteva rendere grandi e felici i popoli conquistati, si macchiò ben presto di sangue innocente, e divenne lo strumento delle più barbare tirannie.

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12. Ho detto sopra che il popolo abissino volse facilmente e ben presto le spalle allo sfortunato suo Râs, per darsi al coraggioso conquistatore, la cui stella si splendidamente cominciava a brillare nel firmamento etiopico: ma anche ben presto il medesimo popolo si ebbe a pentire del cambiamento di padrone, e si vide costretto a desiderare il Sovrano pacifico, sotto cui aveva passato ventidue anni di vita felice, e in mezzo all’abbondanza di ogni cosa. Poiché, fa d’uopo confessarlo che sotto Râs Aly l’Abissinia toccò l’apice del benessere, per quanto il consentiva la condizione /209/ di popoli semibarbari, e desolati per tanti anni dalle guerre civili. Il suo lungo regno fu un regno di pace, non solo nell’interno, ma anche con i popoli confinanti e vicini; talmenteché i paesi, non decimati dal flagello delle guerre, come prima accadeva ed accade ora, si erano grandemente popolati, formando pure nuovi e floridi villaggi. Questa pace inoltre portava per conseguenza che le popolazioni, non distratte dalle armi, attendessero più di proposito ai lavori della campagna ed alle opere della vita domestica; e quindi si vide ben presto rifiorire l’agricoltura e la pastorizia, principali occupazioni di quei popoli. La mitezza poi dei tributi, le abolite scorrerie e rappresaglie, il rispetto alla proprietà altrui, ed i lievi dazj delle dogane servivano a favorire il commercio, tanto delle provincie e delle popolazioni fra di loro, quanto con i regni vicini, e con gli stranieri. In quel tempo mercanti e viaggiatori godevano la più illimitata libertà e sicurezza in tutte le provincie soggette al Râs, ed abbondando ogni cosa, con pochissima spesa si facevano lunghi viaggi e vantaggiosi negozj. Io di fatto corsi una gran parte dell’Abissinia, cioè da Massauah a Gondar, ad Ifagh, a Baso, provvisto solamente di un po’ di tabacco da naso, di alcuni cordoni azzurri, e di una piccola quantità di aghi e di pepe nero, e con queste meschine mercanzie trovava a scambiare quel latte, pane e birra, che giornalmente richiedevansi pel sostentamento delle persone che mi accompagnavano. E la famiglia dei miei Missionarj visse un anno in Saìnt con soli due talleri e pochi sali, bastando essi soli per comprare il grano, i legumi, il latte ed il burro necessario.

Or in mezzo a tanta abbondanza ed a tanta sicurezza, e nella quiete di quella lunga pace, non avrebbe dovuto il popolo chiamarsi felice e contento del Sovrano, che questo florido stato gli procurava? Tuttavia appena vide comparire in iscena un nuovo pretendente, mutò amore, e si diede a seguire un’altra bandiera. Ma ciò non deve far meraviglia; poichè si sa quanto il pubblico sia volubile, e come la novità attiri sempre seguaci: ma pure è vecchio quel proverbio, che gli uomini non han mai voluto capire, cioè, che il peggio viene sempre appresso. Di fatto, non passarono pochi anni, che, cadute le illusioni, l’Abissino cominciò ad esecrare il nuovo padrone, ed a desiderare il pacifico governo del perduto Râs.

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13. Degiace Kassà, dotato, come ho detto, di straordinarj talenti e di cospicue qualità militari, sarebbe stato certamente per la grandezza ed incivilimento dell’Abissinia cristiana l’uomo più adatto fra quanti da più secoli si erano veduti aspirare a quel trono. Ma sgraziatamente dopo le prime gloriose imprese e dopo pochi anni di moderato governo, sembrò /210/ che gli avesse dato volta il cervello, poichè tanti atti feroci e tali barbarie commise, che solo può trovarsene un riscontro nei tiranni romani. Cominciò prima a far sentire il peso del suo inumano dispotismo sui paesi lontani, e principalmente su quelli, che opponevano qualche resistenza alle sue conquistatrici armi, spogliando i popoli di ogni loro avere, predando bestiami, facendo strage dei ricchi, e tagliando mani e piedi senza misericordia a chiunque sospettasse reo o suo nemico. Tuttavia se si fosse limitato a trattare sì barbaramente i soli popoli lontani, e si fosse mostrato umano e generoso con le popolazioni della conquistata Abissinia, pure la sua autorità si sarebbe sempre rafforzata, ed avrebbe potuto promettersi un lungo regno. Invece, reso esecrato il suo nome fra le genti lontane, cominciò a sfogare la sua sete di sangue e di rapine in mezzo ai suoi popoli medesimi, commettendo atti sì crudeli e feroci, da sembrare incredibili in un uomo dotato dal Signore di tanti belli e particolari talenti. Sicchè impoverita l’Abissinia, ed affogatala in un lago di sangue, si vide in fine egli stesso senza pane, senza denaro, e senza neppure un amico. E quand’anche non fossero corsi gl’Inglesi ad arrestare le pazze ferocie di quel tiranno, senza bisogno di bruciarsi le cervella da sè medesimo, l’Abissinia ben presto ne avrebbe fatta giustizia, e se lo sarebbe levato di torno.

Io posso dire di avere assistito agli ultimi aneliti dei due suddetti grandi Principi, che lasciarono memoria grata l’uno, e triste l’altro in tutta l’Etiopia; e potei meditare lungamente e di proposito sulle loro vicende private, militari e politiche, ed anche sul giudizio che ne fecero i popoli da loro governati, e tanti altri che li conobbero. Un fatto però è certo che Râs Aly fu pianto e si piange ancora da tutti, come un padre benefico da cari ed affezionati figli; laddove Kassà (poi Teodoro) morì esecrato da nemici ed amici, e lasciando al suo paese l’esempio di un gran delitto, quello del suicidio; scandalo mai visto in quelle parti, e maledetto da tutti, per essere l’ultima ribellione dell’uomo verso quel Dio, che dà l’esistenza e la vita.

Tronco qui intanto la storia del vincitore Râs Kassà, per riprenderla poi a suo tempo nel corso di queste Memorie; poichè le geste di questo conquistatore sono così intrecciate con la mia persona e con la Missione, ch’è impossibile narrare ciò che io feci e vidi, senza parlar di lui.