Missione e Viaggi nell’Abissina
di Monsignor Guglielmo Massaia
Vescovo di Cassia e Vicario Apostolico dei Galla

1857

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Capitolo VI.

Sommario

Persecuzione in Abissinia. — Conversione d’un capo di monaci. — Il sig. de Jacobis acconsente ad esser consacrato Vescovo. — Viaggio del P. Felicissimo da Cortemiglia verso Mons. Massaia, suo arresto a Baraah, sua comparsa davanti ad Ubiè, e liberazione. — Stato della missione dei Galla di Mons. Massaia quattro mesi dopo il suo arrivo.

Qualche tempo prima della consacrazione del sig. de Jacobis a Vescovo, ebbe luogo in Abissinia una forte persecuzione degli eretici contro i cattolici: dopo che Monsignor Massaia era partito da Aden, donde scriveva un sacerdote missionario questi particolari, ed era ritornalo a Massova. Fu questa persecuzione così fiera, che lo stesso sig. de Jacobis fu costretto a rifuggirsi a Massova, dove da pochi giorni era arrivato Monsignore. Molti altri furono costretti ad abbandonare i loro paesi, e molti apostatarono.

/83/ Ma questa stessa tempesta servì nelle mani del Signore a dare alla missione un grande acquisto e una grande consolazione ai missionari: poiché un capo di mille monaci, venerato in tutta l’Abissinia pei suoi buoni costumi e rispettalo dagli stessi re, al vedere che i missionari cattolici, dopo aver fatto tante buone opere in Abissinia, ne erano stati così barbaramente cacciati, conchiuse ch’essi dovevano essere i veri apostoli e gli eretici nell’inganno. Per la qual cosa si presentò al re, e rimproverogli con franchezza l’ingiustizia che faceva ai cattolici. Poi fece un giro pe’ suoi conventi, eccitando tutti i monaci a dichiararsi per la causa cattolica, e a non far conto alcuno dell’interdetto che l’Abuna eretico aveva scagliato contro tutte le Chiese. In fine si portò a Massova presso il sig. de Jacobis, dimandando di esser promosso al sacerdozio, per poter quindi con più autorità recarsi in Abissinia a proteggere il cattolicismo. Si acconsenti a’ suoi desiderii, e fu ordinalo prete, e quando partivano di Aden queste notizie, egli era ancora a Massova presso il sig. de Jacobis.

Questa fu la persecuzione che decise /84/ finalmente il sig. de Jacobis a lasciarsi consacrar vescovo, quando prima, come si è veduto, vi si opponeva con tutte le forze. Poiché ora vedeva che egli non potrebbe più trovarsi tanto facilmente con Mons. Massaia, e servirsene in tutti i bisogni della missione; d’altronde un vescovo colà era indispensabile. Così la missione dei Lazzaristi, a cui apparteneva il sig. de Jacobis, ebbe anch’essa il suo vescovo.

Dopo queste relazioni non se ne incontrano più altre riguardanti quelle missioni, fino ad un’avventura del P. Felicissimo, raccontala da lui in una lettera, l’anno 1852, ma che dovette avvenirgli qualche anno prima; imperocchè fu quando, venuto Monsignor Massaia dall’Europa, e giunto fino a Cartum per indi entrare nei paesi dei Galla, il P. Felicissimo volle venire ad incontrarlo.

Non eran poche le insidie che poteva tendergli ad ogni passo il vescovo eretico nel traversare l’Abissinia. Ma l’apostolo avea la carità di Cristo che lo confortava, lo spronava, lo animava a cimentarsi ad un viaggio che, se potea riuscirvi, empiva di grande allegrezza lui ed il suo Vescovo. Mosse dunque il missionario con /85/ alcuni portatori, una guida, e il suo scrivano, il 24 di novembre, alla volta dell’Abissinia, e giunti verso sera a Saati, sostarono all’orlo d’un’acqua, tenendo lontani da sè i leoni e le iene collo strepito di certi strumenti fatti a tal uopo. Ma trovarono di passaggio colà un tale, che era inviato da un europeo apostata per dare all’Abuna l’avviso della loro partenza.

Ad ogni modo la mattina seguente si avviarono ai monti dell’Etiopia, alle cui falde giunsero sul mezzodì, e presa fra quelli la strada più sicura dai leoni, dai leopardi, dagli elefanti, e da altrettali bestie, valicarono in tre dì la catena di quelle montagne, discesero ad una pianura grandissima della provincia dell’Abissinia, seguitarono loro viaggio per le strade, che parevano più sicure dagli agguati dell’eretico, ed a’ primi di dicembre si trovarono ad un punto, in cui si credettero in salvo.

Ma quel certo, che avevano incontrato a Saati, aveva tenuto lor dietro per due giorni, spiato il loro indirizzo, e riferito tutto all’Abuna. Onde questi mandò suoi sgherri a tutti i villaggi, in cui probabilmente dovean passare. Ed ecco al quat- /86/ tro di dicembre, essendo pervenuti ad un villaggio, detto Adde-Baraah, uno zoppo diede la mala voce del loro arrivo, mentr’essi volevano seguitare il cammino tutti i paesani furono loro addosso. Li trascinarono dinanzi al podestà, il quale li tenne cinque giorni prigioni, dopo i quali sopraggiunsero gli sbirri dell’Abuna, e legati li tennero di nuovo altri cinque giorni. Al diciasette fecero sembiante di volere scatenare il missionario per lasciare però in ceppi il povero neofito, ma il buon cuore del missionario non lo sopportò: volle piuttosto star legato come il suo compagno di sventura, ed aspettare la sentenza di Ubiè, a cui avea scritto l’accaduto.

Ma i messi, che recavano ad Ubiè la lettera, furono scoperti e catturati dall’Abuna; solo un altro, mandato sin dal primo giorno di prigionia a darne avviso agli amici rimasti là donde il missionario era partito, aveva potuto recarne la nuova, e raccomandare la cosa alle loro preghiere. Intanto il povero missionario nella sua prigione sosteneva scherni, soprusi e strapazzi incredibili per mano anche delle più vili persone, e per giunta, i più maliziosi interrogatorii d’un monaco /87/ apostata. E ciò fino al 24 di gennaio, quando un messo, segretissimamente mandato al re Ubiè, fu di ritorno in compagnia d’un suo commissario, il quale avea ordine di condurre il Padre al campo, ove il re si trovava.

Il 6 di febbraio mossero da Adova (Adde-Baraah), e dopo otto giorni di viaggio per grandi montagne, pervennero alla presenta di Ubiè. Imbacuccato nel suo mantello abissinio, domandò al Padre: Chi siete voi? — Abuna Felixios. — Perchè arrestato? Nol so: gli uomini dell’Abuna, che qui vedete, ve lo diranno. Coloro, senz’altra domanda aspettare, trattisi avanti, dissero al principe: Quest’uomo fu dall’Abuna fallo mettere in catene, perchè, qual missionario cattolico, va insegnando la sua legge in queste contrade e nei paesi dei Galla, ove era diretto. Ubiè non fece buon viso a questa insipida accusa, e per soprappiù fece un buon rabbuffo ai cagnotti dell’Abuna: e, s’egli insegna, e voi disinsegnate, ma le catene non si mettono ad Europeo senza mio avviso: e sarebbe più conveniente al carattere vescovile il conservar la pace e l’armonia. Quanto a me, non veggo in quest’uomo: ragione di castigo: però se ne ritorni a /88/ Massova, e sia finita per sempre. — E questi ferri? interruppe il missionario, stendendo le braccia verso il principe. —  E quei ferri vi saranno tolti di presente, e poi, acciocché nulla vi accada di sinistro, sarete di capoluogo in capoluogo accompagnato sino a Massova.

Il missionario adunque rivide Adova e in essa i luoghi di sua cattività, fu accolto dal governatore e dal vicerè assai bene; al 19 di marzo, valicati i monti, discese nel Samaar, cioè paese caldo: finalmente si fermò in casa dei missionari di S. Vincenzo, donde scrisse questa lettera mentre stava aspettando buon vento da far vela per internarsi nell’Africa ed unirsi col suo Pastore. —

Possiamo terminare questo accozzo di notizie separate e vaghe con alcune parole di Mons. Massaia, quando da quattro mesi era entrato nella sua missione (15 di aprile 1853), e dimorava a Sandabo, appuntamento commerciale di tutti i Galla. Egli non istà in questa breve lettera a far la descrizione del paese, perchè gli manca il tempo e la carta. Dice solamente che ha già rigenerato più di trenta anime, e che fra quindici giorni /89/ battezzerebbe solennemente forse cento persone.

Ma non era il battesimo che recasse completa la consolazione al suo cuore, come quello che da sè solo non può fare i buoni cristiani. Era necessaria l’istruzione: ad essa si dirigevano tutti i suoi sforzi; e il popolo invece non v’avea troppa inclinazione, perchè, dato interamente al traffico, era divenuto indifferente agl’interessi religiosi, e per altra parte avea sì ingombre le menti di pregiudizi popolari e di grossolane superstizioni, che era ben difficile formar loro un giusto criterio e avvezzarli alla pura verità. In quel paese, dice Mons. Massaia, il demonio riceve culto pubblico, diretto e formale, ed è proprio adorato sotto il vero suo nome. I maghi e le streghe dei Galla rappresentano in tutta la loro realtà quelle scene diaboliche, che tra noi si contano per favole da intrattenere le veglie. Il contrasto, prosegue il buon Vescovo, è durissimo; ma io combatterò fino all’ultimo spirito: non uscirò più di qua, finché un ordine superiore o la morte non me ne tragga, e anche questa non mi sarà grata, se prima non avrò salvo tutto il paese dei Galla /90/ con piantarvi la croce e diffondervi il suo amore.

Metteva intanto principio all’educazione di parecchi giovanetti da mandar poi nelle varie provincie; avea già fabbricato due casuccie ed una chiesa, che raccoglieva la sera le preghiere di alquante persone. Quanto ad allievi per allora ne avea solamente due, dei quali uno intendeva di ordinar sacerdote fra un anno. Bellissima anima, dice Monsignore, e tale che, se Iddio me ne concedesse un centinaio, il demonio ne avrebbe paura.