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Capitolo VIII.

Discussioni serene.

La propaganda della religione cattolica è affidata alla parola evangelica. Ogni accento delle labbra sacerdotali possiede la forza sorgiva di fresca vena erompente, e la virtù creativa della piccola semenza. L’energia latente ma reale che Iddio infuse nelle parole evangeliche, non si manifestò solamente nella possente predicazione di quegli apostoli dei tempi passati, che hanno meravigliato il mondo coi prodigi delle loro virtù, con la onnipotenza taumaturga e con le folle trascinate alla sequela del Cristo; essa non si spense mai e passò anche attraverso alle labbra umili del più modesto cappellano militare.

Strumenti indegni della carità divina nell’operare la salute delle anime, rimanemmo spesso storditi dai mirabili effetti della nostra parola. Non era una potenza umana quella che in essa vibrava.

Le composizioni stilizzate recitate nelle grandi occasioni, i discorsi pubblici, non sempre ci apportarono i frutti copiosi che raccogliemmo invece spesso dalle private ed intime conversazioni. La convivenza perfetta, la prossimità a comuni pericoli davano alla vita del /75/ campo una intimità così famigliare e profonda che si viveva proprio a cuore a cuore, con l’anima aperta all’anima del compagno. Nelle lunghe ore di attesa, nelle reclusioni forzate di giorni e giorni entro ai ricoveri della montagna tormentata dal turbine, negli indugi famigliari delle mense di ufficiali, nelle confidenze amichevoli, la lingua si snodava e accendeva svariate conversazioni.

L’ambiente non era certo favorevole a temi religiosi: che anzi era una gran pena condividere il pane quotidiano con increduli, libertini, nemici dichiarati della santa Chiesa. Pochi credenti si trovavano, e più pochi che avessero il coraggio di manifestare e all’uopo di difendere la propria fede.

La presenza stessa del cappellano faceva tacere le futili e banali chiacchiere, di cui si riempivano gli ozi militari, e portava il problema religioso sul tappeto. Talora era la stessa abilità del sacerdote zelante che faceva cadere appositamente il discorso intorno ad un voluto argomento, per mettere in luce una verità religiosa e farvi aderire un’anima già presso a maturità. Alle volte, qualche ingenuo massoncino, ultimo arrivato o vecchia conoscenza, cui pizzicavan le mani per la voglia di fare un po’ di ostruzionismo alla Chiesa che, a suo parere, veniva forse troppo stimata nella persona del cappellano, tentava di spezzar qualche lancia contro l’uomo e l’idea in lui incarnata. Altre volte, la disputa religiosa veniva accesa da un articolo di giornale, o da qualche notizia di cronaca, o dalla santa curiosità di qualche profano che mostrava desiderio di conoscere i misteri della fede ignorata.

/76/ Ogni tocco che risvegliasse le anime dalla letargica indifferenza religiosa, suonava all’apostolo come un gioioso allarme che chiamava a raccolta tutte le sue forze. Non importa qual fosse il tema su cui si ingaggiava la lotta spirituale: ci sentivamo pronti, colla grazia di Dio, su tutti i punti. Dalle obbiezioni volgari, trite e ritrite, a cui sono date, eloquenti risposte da tutti i trattati di apologetica, alle obbiezioni di moda, tratte da tutto lo scibile con incredibile leggerezza — o tramate sui fatti di cronaca minuta o internazionale — tutto passava nelle nostre dispute. Imberbi saputelli bocciati all’esame di licenza liceale e professori d’università avevano ugualmente la parola per sciorinare banali accuse o serie difficoltà.

Non era troppo facile, ma nemmeno difficile, trionfare di tutti questi avversari che talvolta accendevano dispute clamorose. La cultura ordinaria di cui la Chiesa provvede il suo clero bastava per far fronte a tutte le difficoltà: ma non era la scienza sola che portasse a galla il vincitore in queste strane lotte intellettuali. Più che le argomentazioni ragionate facevano breccia le frasi felici, la prontezza di risposte argute. Ma la vera forza penetrativa che conquistava reaimente le anime, aprendo la via alla verità divina era la dolcezza, la delicatezza, il fiore della carità cristiana.

Sarebbe riuscito di gran danno alla buona causa che sostenevamo, prendere degli atteggiamenti di superuomini; vantarsi, come di cosa propria e quasi personale, delle infallibili prerogative della santa Chiesa e sopratutto abbandonarsi a gretti risentimenti, a schermaglie personali che, combattendo l’errore, schiacciano an- /77/ che l’uomo che ne è infelice preda. L’opera di Dio non si compie nel tumulto delle contenzioni, ove l’orgoglio fa ugualmente velo a chi sostiene l’errore e a chi difende la verità. La mitezza, l’umiltà, la dedizione perfetta, compaziente e affettuosa ed una fratellanza umana superiore a tutte le divisioni, accompagnata dal costante nitore della virtù e dalla adesione fedelissima alla santa Chiesa, forma l’argomento convincente che seduce le anime e le attira al bene. La nostra eloquenza non aveva bisogno di usare i sarcasmi caustici, che sono le armi di chi non ne possiede delle più serie e più nobili: non ci doveva premere di far dello spirito, come si suol dire: era nostro debito, invece, evitare tutti gli argomenti irritanti, per non usare che la grande arte evangelica del cuore.

Il principale sostegno di chi lavora nella vigna del Signore, è la fiducia in Dio e nella bontà naturale dell’anima umana. Il fuoco sacro è acceso in tutti i cuori: in alcuni dà fiammate, in altri si cela sotto alti strati di cenere e attende che la mano dell’apostolo venga a suscitarvi la vampa divina.

La nostra parola dolce e accettevole, non cadde mai invano. Quella pure che non diede nemmeno il più piccolo germoglio, non è perduta: rimasta tra le pietre, e le spine selvagge delle passioni, germoglierà a suo tempo. La parola apostolica, germe di vita eterna, è una semenza che non soffre il tempo. Come i chicchi di grano, rinvenuti presso le urne sepolcrali dell’antico Egitto, dopo millenni ritengono ancora la virtù seminale, così gli insegnamenti deposti con cura nel cuore di libertini e di increduli di vent’anni, vi si conservano /78/ a dispetto di ostinazioni perverse, di ipocrisie e di aberrazioni, attendendo il sole più caldo della misericordia di Dio per dare il germoglio e il frutto sacro.

Nei primi giorni del settembre del 1916, eravamo agli sgoccioli del breve riposo concesso in previsione di una nuova prova del fuoco; quando giunse inattesa una squadra di ufficiali, per completare i quadri delle truppe destinate all’azione bellica. Dovetti fare io gli onori di casa nella stamberga rovinata, in cui aveva sede il comando reggimentale che per la tarda ora era già andato deserto.

Sedendo alla parca cena, nella debole fiamma di un paio di moccoli si scrutavano le facce stanche, soffuse di un roseo velo di commozione, dei nuovi compagni di battaglia. I poveretti, in pochi giorni, dalla milizia territoriale, erano stati buttati nei corpi combattenti e spediti immediatamente in prima linea, e alla vigilia di un poderoso attacco.

Erano abbattuti, e qualcuno assai irritato.

Venendo a conoscere la mia qualità di cappellano, mi spiattellarono diverse dichiarazioni.

— «Io», diceva con molle accento umbro, un tenentino smilzo smilzo, «io sono sempre stato amico dei preti: vi sono tra di loro delle persone di valore.»

— «Le quali però ti contano sempre delle panzane» soggiunse nervosamente un altro tenente, tracannando un bicchier di vino. Quell’aggiunta provocò un /79/ po’ di stupore spiacente nei commensali e diversi commenti, i quali offrirono il destro al cappellano, che per il primo momento aveva fatto lo gnorri, di lasciar comprendere che non era proprio il caso di raccogliere l’accusa. — «Via,» riprese il tenente accusatore, «chi ormai crede ancora che vi sia un Dio? Se vi fosse avrebbe pietà di noi e non ci lascerebbe in questa bolgia infernale.» — «Questo, no, non puoi dirlo,» insorse un compagno. «Io non sono un clericale, ma non mi son mai sognato di negare l’esistenza di Dio, perchè gli uomini fanno la guerra. Non siamo ridicoli!» — «Ed io v’affermo che se prima vi potevo credere, ora non posso ammetterlo. Ma se ci fosse un Dio, col suo pacifico assenteismo dalla sciagurata carneficina, non ci indurrebbe forse a negarlo?» — e afforzava la sua empia interrogazione con una bestemmia da trivio.

Io credetti bene di ammonirlo che le prove dell’esistenza di Dio, poggiate sul fatto evidente e permanente dell’ordine, dell’armonia e delle finalità della natura rimangono ancora nel pieno vigore che ritenevano, quando Aristotele, il principe della filosofia pura, le formulava: e che la guerra, voluta dal libero arbitrio che Dio ha dato agli uomini, è una conseguenza e un castigo della empietà umana.

Ma il bruno siciliano pareva agitato da un interno fuoco infernale, ed urlava: «Ma che ordine, ma che armonia; è tutto un disordine completo! Io non ho fatto alcun male e sono lanciato davanti alla morte sul fior della vita.» Alle altre argomentazioni dei compagni più saggi, rispondeva con nuove bestemmie; alle loro esortazioni , rimandava amare ironie.

/80/ Compresi che non era quello il tempo più adatto per affrontarlo: nessuna parola poteva indurre a migliori intendimenti il suo spirito sovraeccitato. Mi permisi solo, nel congedarmi, di sussurrargli che avrei pregato per lui: ma, mentre ancora tenevo nella mano la sua destra, stringendola con affetto, egli crollò le spalle e mi rispose che non aveva bisogno di preghiera alcuna.

Pochi giorni dopo, e precisamente nel pomeriggio del quindici di settembre, io salivo per il doloroso camminamento che metteva sul campo ove si battevano i miei soldati. Scrosciavano le mitraglie fra i gravi scoppi delle bombarde. Andavano e tornavano i porta-ordini con passo frettoloso: cominciavano a scender le prime barelle. Ero fermo presso un ferito, quando mi sentii chiamare ad alta voce. «Cappellano, Cappellano,» e vidi corrermi incontro l’incredulo di quella sera: ma in quale condizione! Due soldati lo sorreggevano ai fianchi; colla giubba gettata sulle spalle, mostrava il corpo coperto di fasciature sanguigne: il viso pallido come di cadavere. Una mano, quella sola che gli era restata, sorreggeva il mozzicone dell’altro braccio, perfettamente troncato sopra il gomito e involto nelle bende.

Io rimasi costernato: ma egli guardandomi fisso coi suoi occhi neri meridionali, lucidi e penetranti: «Cappellano, mi disse. Iddio mi ha castigato: prega per me,» e proruppe in uno scroscio di pianto, riprendendo il cammino, sorretto dai due soldati.

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Quando, spingendo la porticina sgangherata della baracca, mi affacciai all’interno della fureria, i quattro sott’ufficiali si volsero verso di me e arrossirono, quasi colti in flagranti. Quegli che stava parlando animatamente, ammutolì colla sillaba troncata sul labbro.

—«Buon giorno, giovanotti! Che abbiamo di nuovo?... State tramando qualche gherminella, non è vero?!» domandai sorridendo.

—«Venga, venga, signor cappellano,» mi disse poi il sergente furiere, sorgendo dalla sedia: «venga, che le diremo tutto, tanto più che vi entra anche lei nella nostra disputa. Con lei si può parlare. Qua una sedia per il signor tenente!»

— «Sentiamo, dunque?» diss’io. «Abbiamo una questione seria!»

— «La questione,» prese a raccontare un giovanottino imberbe, «è questa. Si parlava dei preti e si diceva che fare il prete è un mestiere come un altro. Anche loro sono uomini che devono risolvere il problema della vita: e perciò fra di loro ve ne sono dei buoni e dei cattivi.»

I quattro interlocutori mi guardavano curiosamente, per scoprire sul mio volto l’impressione destata in me dalle parole troppo sincere del compagno.

— «Non è di lei che parliamo,» soggiunse tosto un terzo, un omone grande e grosso, con una lunga barba che gli dava un aspetto paterno, «Sappiamo chi è lei: ma è certo che molti preti non intendono che al lucro.»

/82/ — «Sentite figlioli: vi ammetto che i preti, considerati sotto l’aspetto umano, sono uomini in carne ed ossa come tutti gli altri: hanno le stesse necessità di vita e possono portare gli stessi difetti. Ma v’è una qualità nella missione del sacerdote che la fa differire sostanzialmente da qualunque altra professione. Ogni professione viene esercitata a scopo di guadagno materiale: il sacerdote invece, mentre giustamente ricava dal suo ministero il necessario per vivere, non ha altra mira nella vita che fare il bene spirituale e materiale del prossimo. Gesù Cristo, prima di lasciare questo mondo incaricò gli apostoli e i suoi successori, che sono appunto i preti, di rappresentarlo in terra e di tenere le sue veci.»

— «Ebbene, padre, ora io le dirò come e perchè ho incominciato a fare l’anticlericale.» Il sergentino, che così mi interruppe, si fece avanti, continuando amichevolmente: «Io ho uno zio prete; da anni non lo vedo e non gli scrivo, e se lo incontrassi per la strada, volterei gli occhi dall’altra parte.»

— «Via, lo hai già dichiarato che sei anticlericale,» lo ammonì il babbo, il sergente dalla barba folta.

— «Continua, continua,» gli dicemmo in coro.

—«Frequentavo la seconda liceale... privatista e semiconvittore nel collegio di... Si era in carnevale, anzi già presto al termine, ed io, per mia sventura, troppo presto avevo dato fondo al piccolo peculio che con tanta parsimonia mi avevano spedito i genitori. Che fare? Carnevali a borsa vuota e a denti asciutti non ne avevo ancora passato nessuno, e non avevo proprio nessuna buona volontà di fare quello. Mi balenò un disegno che mi parve promettente, ho zio prete, anzi cano- /83/ nico, Don Bastiano, che aveva avuto anche una simpatia per me, quando ero piccolino e minacciavo di sentire la vocazione ecclesiastica...»

— «No, no, non c’era pericolo,» — gridarono i compagni.

Con un sorriso maliziosetto il sergente continuò: «Gli scrissi una bella lettera: gli raccontai che avevo fatto un voto a Sant’Antonio di far celebrare una messa solenne e di portargli un grosso cero per gli esami dell’anno passato... e che essendomi questi riusciti benissimo, dovevo ancor adempiere i miei obblighi... Ebbene, sa lei quanto mi ha mandato quello spilorcio? Sì, spilorcio, tirchio, perchè i quattrini li conta a sacchi. Mi ha mandato due lire, due lirette, raccomandandomi per di più l’economia.»

— «E ben ti stava,» gli spiattellò in viso il babbo. «Chi inganna viene ingannato.» — Tutti ridevano.

— «Come? io ebbi persin vergogna di ritirare il vaglia di due lire. Lo tenni nascosto ai compagni che, scannati al pari di me, mi piovevano addosso mille volte al giorno chiedendo: E Don Bastiano non s’è ancor fatto vivo? E i quattrini del canonico sono venuti?»

— «Ma, di’ il vero, le due lire le hai riscosse?» mormorò ironicamente un compagno.

— «Con due lire però ho potuto far poco. Passai il carnevale maledicendo i preti; i preti s’intende, come lo zio che m’han fatto diventare anticlericale.» —

Il racconto che aveva suscitato l’ilarità comune, fece pure sorridere il cappellano, il quale terminò la conversazione con queste osservazioni:

/84/ — «Veda come s’è formato il suo anticlericalismo. Lo zio non poteva rispondere in miglior modo alla sua richiesta. Certo, se le avesse mandato una cinquantina di lire, ella allora sarebbe stata contenta e avrebbe subito trovato il modo di impiegarle. Ma il carnevale di diciotto anni non è più un innocente sollazzo infantile: e così i denari dello zio prete avrebbero servito ad offendere il Signore e forse anche a danneggiare la salute dello studentello. Invece, da uomo esperto, lo zio con quella piccola somma ha tolto il pericolo di tutti quei mali, e nel tempo stesso ha potuto darle un buono ed affettuoso ammonimento.

«Ma lasciando il caso suo, io credo di non esagerare nell’asserire che non v’è ceto che abbia maggiormente beneficato la società, del sacerdozio cattolico. Le opere stabili di beneficenza sono in maggior parte istituite e sorrette dal clero.

«La missione spirituale che innalza la sua vocazione al di sopra di tutte le mire umane, è avversata scientemente dai perversi, colpiti dalla virtù e dagli insegnamenti purissimi della sua vita: quantunque vi siano molti che, come il nostro biondo sergentino, si atteggiano ad anticlericali per un equivoco, serio o ridicolo, oppure per fare i superuomini.

«Non vedete con quale instancabile carità il Sommo Pontefice insiste nelle sue iniziative di pace, ispirate unicamente dal desiderio di giustizia, e dalla ripercussione di tutti i nostri dolori sul suo gran cuore paterno? Non sapete quali inesauribili soccorsi egli elargì, quali istituzioni promosse a sollievo delle popolazioni torturate, dei prigionieri, dei feriti e dei morti, e degli orfani di guerra?

/85/ «Quanto è dunque ingiusto dir male di chi ha dato tali argomenti di carità e di chi non chiede che di compire l’apostolato di bene che Gesù Cristo gli ha affidato!»

I quattro sergenti mi ascoltavano senza far motto: ma nei loro occhi io leggevo l’assentimento sincero alle mie parole. E quando dovetti allontanarmi, si mostrarono dolenti che la conversazione fosse troncata. Io non volli indugiar oltre per quella volta: alla verità si arriva passo passo.

L’ambiente nel quale il cappellano era costretto a vivere, non era certamente rispondente ai gusti della sua spirituale vocazione. La gioventù più impetuosa vi agitava freneticamente la fiaccola dell’empietà e della immoralità: e noi dovevamo compiere il dovere di difensori avanzati, di sentinelle vigili di Dio e della Chiesa a quegli estremi limiti del buon senso e della civiltà.

Ma nelle diatribe suscitate dallo spirito del male non era richiesto l’impiego delle nostre riserve intellettuali, poichè (lo constatammo facilmente, e con tristezza), il livello intellettuale della gioventù incredula è assai basso. La fede manca non perchè si ragioni troppo, ma perchè non si ragiona punto. I fautori torbidi dell’anticlericalismo sono quasi sempre incapaci di sostenere il peso di una discussione a fondo.

Spesso i loro argomenti si riducevano ad affermazioni gratuite e spudorate; il disprezzo affettato e l’in- /86/ sulto blasfemo serviva come da arma comune contro le cose e le persone sacre. Ma il nostro giovane zelo, primizia del ministero sacerdotale, non paventava le schermaglie degli imberbi untorelli; la grazia di Dio ci sovveniva apertamente. Dopo qualche risposta che ci fioriva spontaneamente sul labbro e tappando una bocca blasfema, conchiudeva efficacemente, con soddisfazione dei migliori, una disputa religiosa al campo, ringraziando sinceramente il Divin Maestro che ha mantenuto la promessa da Lui fatta: «Quando sarete davanti ai persecutori non datevi pensiero del come e che rispondere; vi saranno allora suggerite le parole dallo Spirito Santo che abita in voi.» (1)

/Nota a p. 86/

(1) S. Matteo, capo X; vers. 18-20. Torna al testo ↑