/45/
5.
Arrivo di P. Cesare. Organizzazione.
Vino di zibibbo e funzioni. Abba Gallèt.
[27.3.1853]
arrivo del p. Cesare in Gudrù
Passata la Pasqua latina del 1853. il P. Cesare aveva finito la sua missione in Basso per le provvisioni di cui era [stato] incaricato, e prima
[p. 47]
che si chiudesse il Nilo per le pioggie, lasciò Basso con tutta la sua numerosa famiglia, e circa la metà di Maggio passò egli pure in Gudrù, mentre Ras Aly era ancora in Gogiam. Così crebbe a dismisura la nostra famiglia, e benché la casa fosse terminata, pure non era ancora sufficiente per tutta quella gente. Alcuni servi venuti col P. Cesare stati presi unicamente per i trasporti da Basso al Gudrù presentando poca speranza per il sacro ministero furono congedati, e ripassarono il Nilo, e si mandarono in Gogiam a passare la stagione delle pioggie con qualche incombenza.
si organizza la casa di Assandabo La casa [essendo] quasi terminata, e la famiglia tutta radunata, bisognava pensare, a dare un poco di regola a questa, affinché non mancasse la dovuta preghiera, e la necessaria istruzione, sia agli allievi della casa, che [che] al publico. Rapporto alla preghiera già prima di arrivare in Gudrù, essendo ancora io in Zemmiè era stata tradotta una preghiera in lingua Galla per la mattina e per la sera composta di un’adorazione fatta per la mattina, ed un’altra per la sera, [p. 48] l’orazione dominicale, la salutazione angelica, il simbolo degli apostoli, gli atti di fede, speranza, e carità, i comandamenti della legge di Dio, e della Chiesa, i sacramenti, i sette vizii capitali, le virtù cardinali, i doni dello Spirito Santo, ed i quattro novissimi. Questa preghiera fù ripassata e corretta.
fu riveduto il piccolo catechismo Rapporto al catechismo già esistevano pure i due capitoli sull’unità e trinità di Dio, e sull’incarnazione del Verbo, i quali furono riveduti e corretti; a quest’ultimo si aggiunsero due domande riguardo alle due nature di Gesù Cristo, perché è questa l’eresia principale di quei paesi. Dopo di questo si pensò a completare il piccolo catechismo contenente una breve spiegazione del simbolo, massime sulle eresie più comuni, /46/ una breve spiegazione dei comandamenti, dei sacramenti, dei peccati, e delle virtù, sì teologiche che morali.
Assandabo paese misto di due lingue [In] Assandabo, dove noi eravamo, come paese di gran mercato, si trovava ancora un misto di popolazione abissinese e Galla. Quasi tutta la popolazione conosceva ancora abbastanza la lingua amarica d’Abissinia; colà tutte [e] due le lingue potevano ancora [p. 49] servire per istruire il publico, epperciò gli stessi allievi della casa venuti con me dall’Abissinia potevano istruire. Era perciò Assandabo il luogo più conveniente per incomminciare la missione, ed accostumare la nostra casa alla lingua galla, benché poi fosse il paese meno disposto, e meno atto per ricevere la fede, essendo un paese molto divagato, paese dato al negozio, e ciò che più importava, paese dove regnavano ancora tutti i pregiudizii degli eretici d’Abissinia contro la missione.
necessità di una casa in Assandabo, benché meno disposto Uno stabilimento di missione in Gudrù, e particolarmente in Assandabo è di tutta necessità alla missione per le corrispondenze colla costa di Massawah, e per conseguenza anche coll’Europa; di ciò avvi nessun dubbio, motivo per cui l’opera incomminciata deve promuoversi ad ogni costo.
Per altra parte non si può negare che delle gravi difficoltà si oppongono in Gudrù per il progresso della missione medesima in materia di proselitismo, ed eccone le ragioni. Il Gudrù [essendo] frequentemente [p. 50] assalito dalle truppe cristiane del Gogiam, il galla del Gudrù ha un’odio inveterato per il nome cristiano. 2. Queste rappresa[g]lie metteranno sempre in dubbio uno stabilimento qualunque durabile in questo paese.
consiglio sull’avvenire della missione Io, benché Vicario Apostolico, e nel tempo stesso Prefetto dei missionarii, avrei potuto prendere determinazioni indipendentemente dai miei compagni in questo affare, tanto più che poteva essere sicuro di loro, e della loro docilità a qualunque mia determinazione, pure trattandosi di una cosa molto grave, per la quale non bastava l’ubbidienza, ma conveniva schivare anche il disparere, in un paese lontano da Roma, dove in caso di disparere sarebbe stato difficile ricorrere ai superiori per l’appoggio, ho voluto proporre la questione del quid agendum per assicurare l’avvenire della missione. due solenni conclusioni In questo consiglio fù deciso che si dovesse conservare lo stabilimento del Gudrù per le corrispondenze colla costa del mare; [p. 51] ma che nel tempo stesso si prendessero misure per fare col tempo uno stabilimento più al Sud, e se fosse stato possibile in Kafa, dove la missione sarebbe stata affatto indipendente da tutte le vessazioni dell’Abissinia.
/47/ Antoine d’Abbadie ed Abba Baghibo Una volta deciso questo piano di operazione ho dovuto pensare al primo passo da farsi, ma, ne io, ne nessuno di noi aveva cognizioni dei luoghi e delle persone più al Sud, dove diriggerci. Dai racconti di Antoine d’Abbadie avevamo sentito parlare di Abba Baghibo re di Ennerea, come di persona molto favorevole agli europei, e generalmente tutti i mercanti parlavano di lui, come di persona favorevole a tutti i forestieri, massime mercanti, motivo per cui, dopo il Gudrù e Leca[,] Ennerea era divenuto il gran mercato del Sud; Abba Baghibo, vecchio principe, aveva di più nelle sue mani la chiave di tutta la diplomazia fra tutti quei principi galla del Sud.
si prepara un regalo Per questa ragione abbiamo deciso di spedire messaggieri a lui. Ma, secondo l’uso di quei paesi [p. 52] non si poteva mandare la prima volta un messaggiere senza regalo, e noi eravamo molto scarso in questo genere, e come era la stagione delle pioggie di Giugno, e dovevamo ritardate sino alla fine per spedire ad Abba Baghibo, così abbiamo avuto tempo a preparare qualche cosa. Il sacerdote indigeno P. Hajlù Michele, persona di grande abilità, anche in lavori di ago, si incaricò di fare un manto reale in ricami, e questo unito ad alcuni altri oggetti povevano [potevano] bastare al uopo.
manca il vino per le messe Prese che furono queste determinazioni, si continuò l’operazione dell’organizzazione della casa. Per mancanza di vino non si diceva che una Messa ogni giorno; il sacerdote indigeno non avendo ancora celebrato la sua prima Messa, assisteva sempre colla cotta e stola, onde abituarsi a celebrarla al più presto possibile; quindi alla medesima assistevano tutti i sacerdoti ed i giovani allievi. Dopo la Messa all’aurora si dava il segno per la preghiera publica del mattino, alla quale si univa il catechismo alla lettera, seguito da un piccolo ragionamento. lavoro manovale e studio Finito questo i giovani avevano due ore di lavori manuali per [p. 53] la continuazione dei lavori della casa; in questo frattempo il P. Cesare faceva scuola di latino al sacerdote indigeno, e dopo io gli insegnava un poco di teologia. Passate le due ore di lavori manuali, quando il sole incomminciava [a] riscaldare, si faceva la scuola del latino a tutti i giovani; il sacerdote indigeno faceva questa scuola mentre lavorava a cucire il manto di Abba Baghibo. Io poi col Padre Cesare lavoravamo a comporre il catechismo. Il P. Felicissimo era come il Procuratore, e pensava alla casa ed ai forestieri. La sera era poco presso la stessa ripartizione, solamente in luogo della scuola [di lingua] latina si faceva a tutti la scuola della lingua sacra etiopica [a tutti], anche a noi europei, ed il sacerdote indigeno ne era il professore. Dopo calato il sole si dava il segno per la /48/ preghiera publica, e catechismo, come la mattina, finito il quale, colla cena si chiudeva la giornata.
In giorno di festa poi, oltre all’osservanza dei giorni feriali, della mattina e della sera, la mattina dopo le otto si celebrava una seconda Messa (1a), nella quale si faceva la spiega[zione] del Vangelo, e dopo [p. 54] la Messa si terminava colla corona di espiazione corona di espiazione in uso nella missione, corona di cinque decine, per la quale serviva quella stessa della terza pane del rosario; nella prima decina in luogo del mistero facevasi la raccomandazione così concepita = un pater, ave, e dieci Gloria Patri per riparare tutte le bestemmie dei pagani; nella seconda decina[:] un Pater ed Ave... per riparare le bestemmie dei mussulmani; nella [terza decina]... per riparare tutte le bestemmie degli Ebbrei; nella quarta decina... per riparare tutte le bestemmie degli eretici; nella quinta decina.., per riparare tutte le bestemmie dei cattivi cristiani. Finita questa corona si cantava il salmo[:] Deus misereatur nostri, verso[:] Domine, non secundum peccata nostra... Oremus[:] Deus qui culpa offenderis...
funzio[ni] della sera La sera poi in luogo del Vespro si diceva la terza parte del rosario, si faceva un’istruzione, e dopo si terminava colla corona di espiazione come sopra. Non potendosi conservare il SS. Sacramento per mancanza di luogo abbastanza proprio e solido, non vi poteva essere la benedizione del Sacramento, come si usa nelle nostre Chiese. [p. 55] la conserva[zione] del sacramento La missione nell’attuale stato di povertà di vasi non potrà certamente tanto presto conservare l’eucaristia, tanto più che le cappelle di paglia molto soggette al fuoco fanno anche riflettere; ma questo non è l’unico motivo. L’Abissinia [non] ha mai usato conservare l’eucaristia, epperciò nei luoghi misti di Cristiani bisognerà andare adaggio in ciò per non suscitare nuovi cavilli; anche nel supposto di conservarla l’esporre visibilmente le specie sacramentali potrebbe essere anche un’altro argomento per lasciare la benedizione all’uso latino.
la questione del vino per le messe Ho narrato l’ordine stabilito per la casa, mi rimane ad esporre la questione del vino per le Messe, questione molto grave per tutta quella missione senza vino, e senza una communicazione colla costa per farne /49/ venire. Dopo lo stabilimento dell’islamismo in oriente e la distruzione delle viti in quasi tutti i paesi d’oriente, in tempo che l’islamismo regnava con tutto il rigore del suo fanatismo, essendo proibito l’introduzione e la circolazione [p. 56] del vino, nell’Egitto i copti eretici furono obligati a celebrare col vino fatto col zebibo, ed a questo, come io credo, si deve attribuire l’uso del zebibo in tutta l’Abissinia, uso antichissimo, e divenuto come dogma di fede presso quel popolo mezzo barbaro. L’uso di questo zebibo in Abissinia è tale che il celebrare col vero vino spremuto dall’uva fresca per l’abissinese è divenuto uno scandalo. Ma almeno si celebrasse col vero vino di zebibo sarebbe ancora meno male, ma il vino con cui celebrano non è più che un nome, poiché sul momento di celebrare polverizzano pochi grani di un zebibo non maturo in una quantità notabile di aqua. In alcuni paesi [lo] hanno ridotto a 7. grani per un grosso bicchiera d’aqua.
decisione della S. C. sull’uso del zebibo Prima della mia partenza da Roma ho esaminato le decisioni della S. C. rapporto al vino di zebibo emanate per alcune Chiese d’Oriente, ed arrivato in Egitto mi sono procurato una quantità di zebibo, ed al mio ingresso in Gudrù non ho tardato molto a provarne il bisogno di servirmene, appena consummato il poco vino che aveva con me portato da Iffagh in alcune bottiglie.
[p. 57] Appena mi sono trovato all’atto pratico di servirmene non mancavano questioni e dubbj sulla quantità dell’aqua da mettersi, ed ho veduto subito il gran bisogno di occuparmi seriamente dell’esame di questa questione per dare un’istruzione in scritto a tutto il clero indigeno, per assicurarmi che nulla si variasse in avvenire in questa materia così gelosa, da cui dipende la validità del sacrifizio.
esperienze fatte da me per la quantà di aqua conveniente Tutta la questione stando nel compensare la quantità d’aqua che l’uva ha perduta nel seccare, ecco il processo da me fatto: ho fatto venire dal vicino Gogiam una quantità di uva matura: ho contato mille acini di essa e gli ho messi a seccare; quindi altri mille acini sono stati spremuti, e ne ho misurato il mosto e ne ho fatto del vino. Quando i mille acini fatti seccare furono ben secchi ho misurato anche quanto zebibo in misura davano nel loro volume; dopo questa operazione, questa quantità ha perduto tanto di liquido aqueo seccando; dunque a questa quantità di zebibo si può aggiungere questa quantità di liquido aqueo senza timore di mettere in dubbio la legittimità del vino naturale. Il processo mi parve [p. 58] abbastanza esatto per avere un punto di partenza sulla quantità di aqua che a tutto rigore si può aggiungere, benché in pratica convenga sempre tenersi un poco al dissotto.
/50/ modo di fare il vino col zebibo. Prima di tutte queste esperienze io usava di un sistema approssimativo, ed era questo: in una bottiglia di composte detti Pikles inglesi, le quali hanno la bocca larga, metteva due o tre pugni di zebibo, e poi vi metteva aqua in modo che coprisse e passasse il zebibo di qualche centimetro, e la lasciava un giorno; in questo tempo il zebibo gonfiava e ritornava poco presso [a] riprendere il suo sviluppo che aveva prima di seccare; quindi lo spremeva e lo rimetteva nella bottiglia, lasciandolo tanti giorni che basta per la fermentazione, più o meno, secondo il paese e la stagione più o meno calda; quando la fermentazione era prossima a terminarsi ed il vino aveva fatta la sua separazione dalla feccia, allora io colava il vino puro in una bottiglietta, e rimetteva dell’aqua sulla feccia rimasta agitando il tutto e lasciandolo di nuovo fermenta[re] due o tre giorni per cavarne il vinetto che doveva servire per la purificazione. Il vino poi della bottiglietta ogni due o tre giorni [p. 59] soleva travasarlo fino a tanto che terminasse affatto la fermentazione e non formasse più deposito. precauzioni nell’uso di questo vino, affinché si conservi In questo modo si otteneva un vino simile al madera, forze ancora migliore; questo vino chiuso ermeticamente in una bottiglietta si può conservare anche un’anno e più; solamente quando si mette in uso bisogna far attenzione di dividerlo in piccoli fiaschetti, in modo che sia sempre pieno, perché il lievito di secco che contiene il zebibo, se la bottiglia restasse qualche tempo non piena prenderebbe più facilmente l’acido. Per questa ragione nei luoghi che si fa uso di questo zebibo è conveniente che [che] la casa abbia una buona provista di piccole bottiglie di diversa capacità.
modo di fare il vinetto per la purificazione. Riguardo poi al secondo vinetto che si fa per la purificazione, dopo due o tre giorni di fermentazione si deve separare dalla feccia e travasarlo, come sopra, fino a tanto che cessi affatto la fermentazione ed il deposito, nella quantità sopradetta di zebibo e di aqua si ottiene ancora un vinetto quasi simile al primo in gusto, e che si può conservare molto tempo, se si [p. 60] ha l’attenzione che la bottiglietta sia sempre piena, e ben turata. Questo proverebbe che il zebibo può sopportare una quantità di aqua maggiore, come risulta dall’esperienza sopra narrata.
note ulteriori sopra l’uso di questo vino Nelle istruzioni lasciate al clero della missione io non mi sono tenuto alla quantità d’aqua molto maggiore che potrebbe sopportare il zebibo, ma ho conservato l’uso antico; tuttavia ho creduto bene di fare conoscere il risultato dell’esperienza suddetta, perché potrebbe darsi che il missionario si trovi in grande scarsità anche di zebibo, attese le grandi difficoltà di communicazioni colla costa del mare, ed il zebibo non è un’oggetto d’importazione per i mercanti, sopratutto nei paesi galla, non trovandosi ben soventi negli stessi paesi cristiani, dove vi sono mol- /51/ te chiese, perché l’uso che se ne fa dagli eretici è minimo, e quel poco che si usa è zebibo del paese, il quale è fatto con uva non ancora matura.
quale quantità nei casi eccezionali In queste istruzioni, quando occorresse difficolà di trovare zebibo, oppure vino d’europa sicuro ho ordinato una quantità minima di vino, come sarebbe un solo cucchiarino da caffè per la sola consacrazione, avendo attenzione in tal caso di mettervi una sola [p. 61] goccia d’aqua servendosi di una penna preparata espressamente per assicurarsi che non ne discenda di più. Altrimenti potrebbe accadere in qualche missione più isolata di dover lasciare la celebrazione della S. Messa, male molto più grande; tanto più che quando si lascia la Messa, e la communione molti lasciano poi anche la confessione.
la vite produce ma l’uva non matura, perché? In tutta l’Abissinia e paesi Galla la vite viene molto bene, e produce ancora in modo soddisfaciente; io stesso ho sempre cercato di farne piantare; ma [non] serve a nulla fino a tanto che non si coltiverà in tutto il paese, perché la povera vite quando ha fatto il suo frutto, prima che questo maturi è mangiata dagli ucelli e delle api. Quando tutto il paese fosse pieno ve ne sarebbe per gli ucelli per le api, e per l’uomo coltivatore; all’opposto non basta neanche per le api. In Abissinia se ne trova qualche pianta vicino alle chiese, ma gli eretici la tagliano [l’uva] prima che incomminci a maturare, e così si libera dal flagello, ma questo può farsi dagli eretici, i quali cercano solo un zebibo nominale, e poco loro importa [p. 62] [importa] che la Messa sia valida, o invalida, ma non possiamo fare così noi missionarii.
ancorche l’uva maturasse dovrebbe ridursi in zebib perché esistono soli vasi di terra senza vernice e corni. Quando anche la vite potesse produrre e maturare l’uva non ci dispenserebbe ancora dal ridurla in zebibo, perché tutti quei paesi mancano di vasi per conservare il vino in [in] quantità. Tutti quei paesi non conoscono altro che vasi di terra senza vernice, i quali possono servire per qualche tempo per farlo fermentare, ma poi per conservarlo qualche tempo non servono, perché assorbisce e traspira. Fuori di questi vasi vi si trovano corni di bue in alcuni paesi, forze migliori dei vasi di terra, ma ci vuole pena a trovarli, essendo per lo più presi dai Principi e dai grandi per trasportare l’idromele nelle spedizioni, militari. Se ne trovano anche dei grandi che possono contenere otto o dieci litri di vino, ma sono rarità; ho veduto però che il corno lascia sempre un poco di cattivo gusto.
primo ministero s. Mentre si stavano facendo tutte le operazioni, delle quali e stato questione fin quì il ministero della parola faceva le sue parti per quanto permetteva il nostro stato di forestieri senza la lingua galla, e colla sola /52/ lingua abissina. Fortunatamente non mancavano [p. 63] alcuni zelanti giovani, frà gli altri il caro Morka Giovanni, ed il figlio di Workie Zallaca, unitamen[te] a Gosciò figlio di Gama, il quale col consenso del suo Padre se ne stava quasi sempre con noi. La casa aveva comprato dei schiavi dei due sessi per il servizio del pane e della birra; ora molti, sia della nostra casa, sia ancora della casa di Gama potevano contarsi come catecumeni sufficientemente istruiti per ricevere il S. Battesimo. Oltre di questi, i giovani venuti con me, e già battezzati in Abissinia, già ammessi alla S. Communione bramavano di ricevere la Confermazione.
nella Pentecoste [15.5.]1853. Per questa funzione è stato deciso di aspettare la Pentecoste, molto a proposito per l’amministrazione di questi sacramenti, trattandosi massime del principio di una missione. Come eravamo quattro Sacerdoti, sarebbe stato convenientissimo [di] fare un Pontificale, ma per questo vi erano due difficoltà insormontabili, mancava di tutto incomminciando dalla chiesa la prima era la mancanza di tutte le vesti e di tutti gli arredi necessarii ad una tale funzione, e la seconda difficoltà era [p. 64] la mancanza di una chiesa sufficiente per una simile funzione: la nuova cappella per essere la prima fatta nei paesi galla, aveva un Sancta Sanctorum ed un’altare molto ristretto; l’altare aveva un mettro e dieci centimetri di lunghezza, ed appena a destra e sinistra del corporale permetteva di collocare un piccolo messale in ottavo piccolo; epperciò non vi era luogo per il diacono e suddiacono; il Sancta Sanctorum poi appena poteva capire al più sette persone immobili. L’ambone della Chiesa poi appena poteva dar luogo a dodeci persone.
Fu perciò di necessità limitarci ad una funzione molto ristretta, e si decise che tutto il pontificale avrebbe consistito nella sola persona del vescovo colla mitra, baston pastorale, e due preti inse[r]vienti con cotta. nuova forma di pastorale e di mitra Ma anche per questo bisognava pensare a cercare una mitra, ed un baston pastorale. Io stesso ho preso un cuojo vecchio, o piuttosto pelle che si voglia chiamare, perché in quei paesi non è conosciuta la vera concia, ed inzuppata nell’amitone di grano, e ben [p. 65] stirata l’ho fatta seccare al sole. Ho tagliato i due pezzi in forma di mitra italiana, e poi l’ho data al sacerdote indigeno, persona molto capace, il quale la [ri]vestì di qualche pezzo di stoffa rossa da lui ricamata politamente colla sua croce in mezzo fatta di ricamo, e fù una mitra più che ordinaria della nostra europa. Per il bastone pastorale poi si prese una canna, e vestita di stoffa con piccoli ricami in forma di stellette, anche questa faceva ancora la sua figura, solamente in cima, invece del semicircolo pastorale vi era la croce orientale.
/53/ risposta sulla mitra di carta Fama crescit eundo, e come la strada dell’Europa è abbastanza lunga, la mia povera mitra, benché bellina, pure arrivò in Europa come una mitra di semplice carta, ed io dopo circa 12. anni arrivai in Roma ed in Francia come il lupus in fabula, e da tutti mi si domandava della mia mitra di carta così famosa. Senza distruggere l’opinione stabilita in Europa sulla mitra di carta [p. 66] non mi fu difficile rispondere domandando semplicemente quall’era la mitra di S. Pietro di me molto più grande, come ognun sa, e facendo riflettere che il paese a me toccato in sorte in industria ed in richezza era forze dieci secoli più indietro dei tempi apostolici; dissi a qualcuno che aveva l’aria di burlarsene = che Iddio vi conservi la mitra gemmata; a me non toccò altro che uomini barbari da istruire = difficoltà per il trasporto di arredi sacri dal litorale In Roma io aveva ricevuto tutto il necessario per il pontificale, ma il tutto restò alla costa, perché certi oggetti di valore, e con una forma obligata non possono essere trasportati dentro gli otri, e sugli asini d’Abissinia legati sul dorso con corregie che tutto guastano. Per fortuna che il mio carattere vescovile era ben chiuso nel mio cuore, del resto l’avrei anche dovuto lasciare alla costa.
Avvicinandosi dunque a festa della Pentecoste il Venerdì antecedente si piantò una tenda avanti la porta della cappella, la quale doveva servire per tutte le persone che venivano solamente [p. 67] per vedere la funzione, e quindi come luogo fuori di Chiesa, dove avrebbe avuto luogo l’interrogatorio dei battezzandi col resto della liturgia sino all’ingredere, affinché questa funzione non fosse sotto i cocenti raggi del sole. Il resto della giornata fu occupata a preparare i battezzandi della casa in numero di sette, cioè quattro maschi e tre donne. Per queste non essendovi ancora altre donne battezzate e confermate le quali potessero essere matrine, fummo noi obligati a fare da padrini. Restavano ancora altri cinque della casa di Gama, e questi furono riservati per il giorno stesso della Pentecoste.
battesimo solenne di sette adulti
[14.5.1853]
L’indomani Sabbato di Pentecoste ebbe luogo la lunga funzione, nella quale, dopo le profezie, ebbe luogo la benedizione del fonte, e quindi il battesimo solenne dei sette neofiti adulti della casa. Si fece l’interrogatorio latino con la sua traduzione in lingua del paese, e siccome in Gudrù si trova un culto diretto del demonio ho aggiunto ancora una parafrasi o spiegazione pratica coll’opportuna moralità, tanto più che si trovavano presenti
[p. 68]
i neofiti da battezzarsi l’indomani, e molte altre persone. Per questa stessa ragione in tutte le altri parti della liturgia, precedeva sempre una piccola spiegazione, e ciò principalmente negli esorcismi, e dovunque si parlava del demonio. Per questo la funzione del battesimo occupò molto tempo, perché importava troppo di
/54/
far conoscere tutto lo spirito della liturgia, cosa troppo essenziale in questi paesi pagani, nei quali il demonio ha un culto diretto.
per certe ragioni non si diede la comunione Dopo il battesimo si celebrò la Santa Messa, nella quale i nostri neofiti avrebbero dovuto ricevere l’Eucaristia, tanto più che in Abissinia questa si da anche ai neonati; ma pure, tutto calcolato, abbiamo deciso di sospendere, affinché precedesse una istruzione maggiore diretta ed un forte desiderio di riceverla. Il galla è molto materiale e non è tanta facile ad innalzarsi a livello di questo gran mistero; ecco la ragione per cui abbiamo deciso di ritardare la communione degli adulti.
l’indomani un secondo battesimo
[15.5.1853]
L’indomani solennità della Pentecoste ebbe luogo un’altra funzione meno lunga, ma più viva ancora. Prima della Messa si fece [il] battesimo di cinque persone della stessa casa di Gama nostro
[p. 69]
Signore, cioè della stessa sua madre chiamata Dunghi, del suo figlio ed erede Gosciò, di un suo secondo figlio nato da una schiava, detto Kumma, e poscia di due altri bimbi anche figli di schiave. La funzione del battesimo fu celebrata poco presso come quella del giorno precedente. Dopo il battesimo si celebrò la S. Messa, nella quale si fecero circa 12. communioni, compresi alcuni sacerdoti. Dopo la Messa ebbe luogo la confermazione di otto dei nostri giovani; a questi giovani dopo l’unzione del S. Crisma si legò la testa con una benda bianca, come ancora si usa in alcuni paesi d’Europa.
il battesimo della vecchia Dunghi La funzione fu al non plus ultra commovente. La vecchia madre di Gama era quella che [at]tirava l’occhio di tutti, come persona la più influente nella casa e dinastia di Gama. Io mi sono deciso di battezzarla, perché il suo battesimo poteva e doveva esercitare un gran prestigio per determinarne anche molti altri, benché io avessi poca fiducia di riuscita. Questa [p. 70] vecchia matrona aveva gran talento, e delle eccellenti qualità che attiravano una gran parte del Gudrù al suo figlio Gama, ma era così invecchiata nelle sue superstizioni, che io dubitava di poterla dominare. Dopo di essa fù un gran trionfo il batte[simo] di Gosciò, il quale regnò poi in tutto il Gudrù dopo la morte di Gama suo Padre. Bastavano questi due per dare una grande vivacità ed ecclatto alla nostra funzione, ma prima ancora che la funzione fosse finita arrivò un’altro [fatto] tutto singolare a completare la nostra consolazione.
un messaggiere venuto da Lagamara Mentre si stava dicendo la Messa verso le ore undeci arrivano due giovani con due o tre asini carichi, e stavano aspettando per parlarci. Appena finita la funzione furono subito chiamati, e dissero [di] essere stati mandati da Abba Gallet di Lagamara; consegnarono subito due carichi /55/ di grani, ed un terzo carico di miele, e di butirro. Appena pronunziato il nome di Abba Gallet tutti gli uomini di Gama con altri vicini che avevano assistito alla funzione fecero una grande esclamazione, ed andavano subito a gara per [rac]contare di lui chi una, [p. 71] chi un’altra storia edificante, come di un uomo dai galla stessi rispettato come un santo. Alla presenza di tutta quella gente ho voluto sentire il messaggio, come certo di sentire una cosa edificante, ed ecco poco presso le sue parole.
messagio di abba Gallet Io sono un cristiano del Gogiam venuto in questi paesi galla per fare fortuna; fino a tanto che ho potuto ogni anno sono sempre andato in Gogiam, ed ho sempre pagato le mie decime alla Chiesa, ma oggi divenuto vecchio non posso più. Ho sentito che sono venuti Preti in Gudrù, epperciò mi facio premura di mandarvi qualche cosa, come è mio dovere; vi prego perciò di ricevere questo come una mia decima. Subito che potrete, uno venga qui in Lagamara, e stia vicino a me, ed allora dirò poi tante altre cose.
Queste sono poco presso le parole che mi mandò a dire, ma calcolando tutto quello che ho sentito [a] vociferare sia dal messaggieri stessi, sia ancora da altri del Gudrù, che conobbero tutta la sua storia, ho potuto [p. 72] argomentare essere quel uomo una di quelle anime privileggiate di buona fede, osservatore della legge di Dio, per le quali Iddio usa certe economie tutte particolari, ed arriva qualche volta a visioni ed a miracoli in mezzo alla stessa eresia la più corrotta. Al vedere questo fatto, tanto io che i miei compagni abbiamo esclamato[:] un’altro Cornelio!
storia di abba Gallet Difatti stando alle storie che si narravano di lui da tutta quella gente, era egli prima un piccolo mercante, il quale faceva il giro di tutti i mercati lontani con gli altri mercanti, ed in mezzo di una casta la più corrotta, egli ne guardò in facia ad una donna mai, ne si fu trovato mai da solo con qualsiasi di questo sesso fuori di sua moglie; egli [non] fece mai parte nelle gozzoviglie e nelle questioni dei compagni, se non per mettervi la pace; quando poteva radunava i mercanti nei giorni di festa per fargli fare qualche preghiera; dimodoché lo consideravano come il prete della carovana. Iddio lo benedisse e diventò molto ricco, [p. 73] comprò molti terreni, ma non cangiò te[r]nore di vita; ogni anno andando in Gogiam la prima sua sollecitudine era quella di pagare le sue decime alla Chiesa; faceva molte limosine, ma non prestava denari all’interesse, difficile anche ad imprestarlo senza interesse, per non avere poi questioni. Sopratutto aveva cura di ajutare giovani mercanti, e gli prendeva con se per educargli al negozio cristiano.
/56/ continua la storia Iddio gli diede quattro figli, e due figlie dalla sua prima moglie, ma per sua disgrazia questa essendo morta, egli lasciò di andare ai mercati lontani per custodire la sua famiglia, e mandava i suoi capitali col mezzo dei suoi fidi da lui formati. Solo non lasciò di andare in Gogiam per le sue decime, e per condurre qualche figlio dei più grandi a ricevere il Battesimo. Per forza dovette maritarsi una seconda volta, ed anche questa seconda moglie gli diede altri cinque figli e figlie. Divenuto così un vero patriarca, l’onore dei cristiani in tutti quei paesi, incomminciava [ad] esercitare [p. 74] un vero prestigio sopra tutta la casta cristiana, la quale formava più di un terzo della popolazione di Lagamara. Egli non amava quelli che [che] si erano fatti pagani, oppure che inclinavano al paganesimo, ed onorava invece quelli che avevano mantenuto il loro carattere di cristiano; come però questi erano molto corrotti cercava di rilevarli. Ai suoi figli poi non aveva altro da raccomandare che di conservarsi nella fede cristiana, e starsene lontani dalle superstizioni Galla, minaciando di non riconoscere per figlio quello che anche solo inclinasse al paganesimo.
abba Gallet in età decrepita. Arrivò finalmente ad un’età quasi decrepita; molti figli erano maritati con famiglia, ai quali aveva già dato terreni e piccoli capitali per mantenersi; compresi i figli, figli dei figli, ed altre famiglie da lui protette, la sua casta poteva già mettere sotto le armi circa cento lancie, cosa che nei paesi galla era una vera grandezza, e dava ad un capo casta il diritto di sedere nei comizii. Tutta questa gloria però per lui era una piccola cosa; una sola sommamente l’affliggeva, ed era [p. 75] quella di trovarsi in paesi galla senza un prete, e senza una Chiesa per morire ed essere sepolto cristianamente: io mi trovo quì trà pagani, diceva egli ai suoi amici, se ritorno in Gogiam tutta questa gran famiglia che Iddio mi ha dato si farà tutta pagana, almeno potessi avere qui un prete, ed una piccola Chiesa; era questa la sua lagnanza continua, ed erano questi i suoi sospiri sino a due o tre anni prima del nostro arrivo in Gudrù.
profetizzò la nostra venuta Cosa abbia veduto, cosa gli sia stato detto nessuno lo sa, ne egli lo disse, ma il certo si è che da detta epoca tutto questo linguaggio si cangiò, il mio prete deve venire, e vero prete, oh quando verrà! e con questa speranza visse sempre contento sino al nostro arrivo. Lascio ora questa storia, perché dovrò ritornare, quando la missione si stabilirà in Lagamara, e dovremo raccontare la sua morte.
La venuta dunque dei messaggieri di Abba Gallet fù per noi la corona delle nostre consolazioni in quella fortunata festa di Pentecoste, nella quale la missione e la Chiesa di Cristo aveva[no] guadagnato dodeci /57/ [p. 76] figli. ritorno dei corrieri di abba Gallet I messaggieri avevano ordine da Abba Gallet di rimanere in Gudrù l’indomani Lunedì giorno di mercato per completare la sua regalia, o decima da lui chiamata. Diffatti l’indomani sera rivennero dal mercato portando un bel bove. Ciò fatto martedì mattina ripartirono portando al loro padrone i dovuti ringraziamenti, promesse di un sacerdote per dopo le pioggie, e molte notizie della missione di Gudrù.
(1a) in Abissinia massime dalla parte sud il celebrare due Messe nella medesima Chiesa, e nello stesso giorno, è una cosa talmente fuori di uso da poter, non solo dar motivo di scandalo farisaïco, ma anche [a] motivo di malignare agli eretici. In Assandabo del Gudrù, come luogo confinante del Gogiam, era anche questa, una misura [d]a prendersi, oltre la difficoltà di trovare il vino, per celebrare la S. Messa ogni giorno a tutti i sacerdoti. Per chi medita la storia, anche dei nostri eretici di Europa, trova che il diavolo, padre delle eresie di tutti i tempi e luoghi, è sempre il medesimo. [Egli] [Torna al testo ↑]