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4.
Costruzioni galla e abissine. Furto.
Morte di Kiggi e funerali. Febbre gialla.
premura di costruire le case Il timore del vajvolo, il quale faceva delle apparizioni improvvise or quà or là in non molta distanza dal Gudrù, e mieteva quasi tutti gli adulti che venivano intaccati, aggiungeva un’altro grave motivo per accelerare le nostre costruzioni, per avere ad ogni evento un luogo a parte per mettere gli ammalati, e separargli dai sani, come conviene in simili epidemie.
Questa mia storia sarebbe incompleta senza una breve descrizione delle case in uso in quei paesi, epperciò mi affretto a darla con tutta semplicità, e brevità possibile.
Essendo il Gudrù confinante col Gogiam, e con una popolazione [p. 19] mista, si trovano in Gudrù, e sopratutto in Assandabo, delle case o capanne di gusto puramente galla, ed altre di gusto puramente abissino. forma delle case galla La casa del gusto galla è un tessuto tutto di legno, in modo da potersi chiamare la metà di un’ovo posato in terra dalla parte del taglio; poscia vestita da alto in [in] basso di paglia, tutta cucita con corde. La casa abissina all’opposto è un circolo di legni in forma di steccato piantato in terra, e si leva in alto perpendicolarmente all’altezza di tre o quattro mettri, in proporzione della sua maggiore o minore grandezza; poscia coperta di legni tessuti in forma di parasole, il quale si sporge circa mezzo mettro fuori dello steccato. La casa abissina è tutta impiastrata di fango nella sua parte interna da farla sembrare un muro; all’opposto [per] la casa galla non si fa uso di fango nel suo interno.
modo d’incomminciarle in Abissinia L’architetto sia galla, che abissino, quando vuole costrurre una casa, prima di tutto stabilisce la grandezza che vuole, e [e] supposta questa di dieci mettri, [p. 20] pianta in un dato luogo un pichetto, il quale deve essere il centro della casa, e legatavi una corda, segna un circolo a cinque mettri dal centro, e fa scavare un piccolo fosso più o meno profondo e vi pianta lo steccato esterno, lasciando un vano nel luogo, /34/ dove intende fare la porta, per lo più sempre verso il centro del cortile, nel quale in circolo si faranno altre case; ciò fatto, nel centro nel luogo del pichetto pianta un’albero, il quale sarà il sostegno centrale del coperto a parasole; e questi deve essere alto circa sette mettri, cioè più di due terzi della totale grandezza di tutta la casa. Lo steccato esterno deve essere due mettri più basso dell’albero per il piovente del parasole, il quale dovrà essere tessuto in linea retta dalla cima dell’albero, alla cima dello steccato. E questo in breve lo schelletro di una casa abissina (1a).
nei paesi galla La casa galla osserva lo stesso processo nella fundazione; solamente lo steccato, invece di essere fatto con legni grossi e fatto con lunghe pertiche, [le quali] all’altezza di circa due mettri è tessuta orizzontalmente in modo che il circolo [p. 21] dello steccato non pieghi; quindi la parte superiore viene piegata circolarmente, e tutte le pertiche devono unirsi al centro, e così tessute in forma ovale.
per una chiesa abissina. Quando si trattasse di una chiesa ordinaria in legno, il processo è lo stesso come quello di una casa abissina, ma più in grande. Per esempio, invece di cinque mettri dal pichetto centrale si potrà tirare la corda a dieci mettri in circolo per avere la totalità interna di venti mettri. In luogo dello steccato esteriore vi sarebbe un colonnato in legno; ad otto mettri dal centro vi sarebbe uno steccato; a sei mettri un secondo steccato, oppure invece a cinque mettri dal centro, per ottenere il Sancta Sanctorum interno largo dieci mettri, e l’andito esterno [di] tre mettri. (1b)
Io ho descritto una chiesa molto grande, ma salvata la proporzione si può ridurre. Invece degli steccati si usa anche fare dei muri. La Chiesa abissina ha la porta maggiore sempre a[l] ponente, e poi un’altra al sud, ed una terza al nord, a levante non ha che una fenestra molto alta in modo che non si possa [p. 22] vedere dentro la Chiesa; le stesse porte che guardano l’esterno vi dovrebbero essere anche nel Sancta Sancto- /35/ rum, benché queste siano sempre chiuse, essendo sistema orientale che il Sancta Sanctorum, dove si celebrano i misteri siano invisibili a differenza del [sistema] latino che gli vuole aperti.
sistema del santuario isolato e chiuso L’isolamento totale del sacerdote che celebra come ministro di Cristo e rappresentante del popolo, se era lodevole nel rito mosaico, quando, attesa la debolezza di quel popolo Iddio usava allora di un’economia, e di un mistero nell’esecuzione dei suoi riti, perché allora tutto era figura e mistero; oggi però dopo che, per così dire, si spalancarono le porte dei misteri divini coll’incarnazione del Verbo, dopo che il gran velo del tempio fu squarciato, e dopo che Gesù Cristo pronunziò l’omnia ostendi vobis, è da considerarsi piuttosto come una vera corruzione l’isolamento del sacerdote celebrante dal suo popolo che rappresenta.
Il sacerdote molto concentrato e commosso, mentre celebra insegna e conferma la [la] fede sul mistero medesimo, quando celebra alla presenza del suo [p. 23] popolo, e questi concentrato e sollevato a Dio, innalza il sacerdote medesimo e lo riscalda di santo zelo. la croce in Abissinia Io ho regalato un bellissimo crocifisso di ottone dorato, lavoro squisito della nostra Europa ad un principe abissinese, il quale l’aveva molto amato; dopo aver parlato col suo clero eretico, risolvette di far segare i chiodi del cristo e toglierlo come cosa disonorante; la croce abissinese non è più una croce ma un quadrato, del quale due angoli servono di piede, e di testa, e due altri angoli sono le bracia della medesima; questa croce così sfigurata dimora sempre coperta per rispetto; lo stesso è delle immagini, le quali devono stare sempre velate per rispetto; è una vera invenzione diabolica per togliere tutto il prestigio della storia e del mistero annesso.
sancta sanctorum chiuso L’affare del Sancta Sanctorum chiuso è un’affare consimile coll’aggiunta della corruzione che può introdursi là dentro, quando il sacerdote manca di fede e si trova libero dal controllo del publico. Noi cattolici latini, col capitale della fede che grazie a Dio ci guida [p. 24] e col controllo del popolo abituato, il quale sa benissimo distinguere il prete fervente ed esatto nelle funzioni dall’inesatto, eppure sappiamo quanti ci costa per mantenerci nella bilancia dell’esattezza contro tutte le cattive abitudini che cercano di impadronirsi di noi. Cosa, diremo poi del prete eretico abbandonato a se stesso senza una viva fede, e senza un controllo? io ne conosco anche troppo, quando convenisse mettere tutto in palese.
nostre chiese della missione Le poche chiese che ho fatto io al Sud dell’Abissinia, dove vi sono cristiani del rito etiopico con tutti gli usi orientali, le ho fatte osservan- /36/ do tutta la forma abissinese, ma nell’andito del popolo in luogo delle porte laterali ho fatto grandi finestre che non si chiudono, per le quali il popolo sente la Messa, e fa la santa communione, dalla parte del vangelo stanno gli uomini, e nel lato opposto le donne. Per l’aver l’aria di secondare la forma del paese, lo stesso Sancta Sanctorum, a qualche mettro dalla gran porta è diviso da un tendone, ma questo è sempre aperto, perché là usano sentire la Messa gli allie- [p. 25] vi, o seminaristi che si vogliano chiamare, dove essi usano pure [di] fare la s. communione.
Credo d’aver detto abbastanza per ora sopra questo punto, essendo indispensabile di ritornarvi, quando dovrò riferire altre costruzioni in altri paesi. Dirò solamente che la cappella fatta in Assandabo fù molto piccola, perché non arrivava ad otto mettri di larghezza totale, e questa ancora era divisa per cavarvi una sacristia, la quale serviva anche come luogo di conferenza fra noi europei, ed anche per dire qualche parola a parte a qualcuno della famiglia all’occorrenza. le case del recinto nostro di Assandabo. Fu poi fatta una casa più grande di circa dodeci mettri per la scuola dei giovani, e per il catechismo al publico. Ivi la notte dormivano gli allievi, il loro maestro P. Ajlù Michele, e Giovanni Morka custode. Oltre di queste furono fatte altre due case ancor più grandi, una con recinto a parte per le donne che facevano la farina, il pane, e la birra, un’altra attigua alla porta del recinto, dove restavano i forestieri, e dormivano la notte i servi, e restavano le poche bestie [p. 26] di soma necessarie per la casa e [i] mercati.
Prima ancora che arrivasse il P. Cesare coi suoi giovani la casa contava già circa 20. persone, e per la costruzione delle case e del recinto abbiamo dovuto ricorrere all’ajuto dei vicini moltissime volte, massime per il trasporto dei legni necessarii, una parte dati da Gama Moras, ma anche in gran parte comprati in luoghi lontani. Secondo l’uso del paese, quando si chiamano i vicini in aiuto bisogna pensare a preparare birra e qualche cosa da mangiare, come pane, o in difetto grani bolliti ed arrostiti. Quindi alla fine per l’installazione della casa bisogna pensare a fare un’invito solenne, nel quale vi deve essere carne a sazietà, birre, ed anche un poco d’idromele. usi particolari nelle costruzioni delle case Le case sono semplici, e di poca durata, ma pure in proporzione del paese, costano anche molto, e molta fatica, ma più ancora sollecitudine, perché in paese non si trovano operaj con paga, ma bisogna fare tutto a forza di schiavi, servi, oppure auxiliarj officiosi, i quali costano anche molto per le obligazioni che s’incontrano, e che imbarazzano.
pecunia per le provviste al mercato [p. 27] Una famiglia così numerosa con spese di costruzione, aveva di /37/ necessità proporzionate provviste di ogni genere. In quell’epoca i talleri di Maria Teresa, unica moneta conosciuta in tutti quei paesi, incomminciando dall’Abissinia sino al di là di Kafa, servivano solamente per le grandi compre dai mercanti venuti dal mare, oppure presso grandi persone in contatto coll’alto commercio, ma per tutte le compre in detaglio di cose commestibili, o di vesti suoi mercati, la casa doveva essere fornita di rame rotto, di verotterie di Venezia, di tele nere, e sopra tutto di sali. Per questa ragione il P. Cesare se ne restava ancora in Basso per simili provviste, e due servi ogni settimana andavano e venivano con bestie da soma.
Un bel giorno, prima ancora che si prendesse possesso della nuova casa, verso sera arrivarono i due servi da Basso con due carichi di tele nere in numero di duecento cinquanta, ed essendo l’ora piuttosto tarda [p. 28] si scaricarono, e contati furono depositati provisoriamente sotto l’altare della cappella provisoria fatta da principio vicino allo steccato esterno.
un furto statoci fatto nella notte Mentre tutta la famiglia era sotto la pressione del primo sonno si sente un gran [ab]bajare dei cani; come quelle tele non erano lontane dal luogo dove io dormiva, al[l’ab]bajare dei cani sento unirsi un certo movimento; mi alzo, chiamo i giovani, e [essendo] la casa messa tutta in movimento, i ladri fuggirono, si fece il giro intorno alla casa col lume, e si trovarono alcune tele nere per terra dimenticate; non si tardò a scoprire il buco fatto dai ladri nello steccato, il quale lasciava entrare la mano sino al mucchio delle tele medesime. Si contarono e ne mancarono da trenta a quaranta, [del] valore di circa dieci talleri di Maria Teresa.
il furto stato scoperto Come queste tele in commercio sono inviluppate di carta gialla, e molti pezzi di questa carta furono trovati dispersi, massime sulla strada che avevano fatto i ladri, Gama Moras, venuto l’indomani a verificare [p. 29] il furto, accompagnato dai suoi vecchj, appena esaminato il fatto disse = questo furto è stato fatto dai miei schiavi, io restituirò ogni cosa, e poi mi aggiusterò con loro = I schiavi di Gama conoscevano i ladri, e non volendo essere risponsabili svelarono tutto il mistero per loro discarico: il furto non è stato fatto dai schiavi di Gama, ma sibbene dai schiavi di Chiggi suo fratello adottivo di consenso del loro padrone. Kiggi nel tempo che venne Workie Jasu, quando Gamma invitò i grandi del Gudrù per far conoscere la missione, egli aveva spiegato il partito contro di noi, come già sta scritto a suo luogo, e per questo Gama da allora in poi conservò sempre un’odio contro di lui.
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pace fatta tra gli uomini ma non con Dio
Non volendo io essere causa che questo odio tra Gama e Kiggi andasse più avanti, ho fatto di tutto per far fare loro la pace, come si fece di fatti; ma non la fece Iddio, perché prima di sei mesi i tre ladri, ed il suo padrone Kiggi, tutti [e] quattro morirono, ed ecco come:
il furto vendicato da Dio
uno dei schiavi di Kiggi fece questione
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con qualcuno dei schiavi di Gama, e cadde ferito da una lancia nel ventre in modo che sortivano le budella; come in paese non si seppeliscono i schiavi, non era ancor morto e già l’avevano gettato nel solito precipizio alle jene. Della stessa mattina gli altri due compagni partirono per un mercato lontano qualche giorno colla merce rubata, e ritornarono colla febbre gialla, e vi morivano in meno di un mese.
la febbre gialla in casa di Kigi
Questa febbre gialla finì per entrare nella casa di Kiggi, e dopo qualche tempo si ammalarono le due mogli, le quali guarirono, ma dopo si ammalò Kiggi, stette ammalato quasi due settimane, in capo delle quali Kiggi entrò come in agonia col catarro che minaciava di soffocarlo.
morte di Kigi
[mar. 1854]
e gran pianto
Secondo l’uso del paese venne una sua sorella a visitarlo portandogli un vaso di polenta di orzo, fatta con tutta la delicatezza solita in simili casi, con belle parole glie ne fece mangiare per forza, e spirò colla bocca piena di polenta: come Kiggi era una persona di gran riguardo si fece un gran pianto, a cui concorreva tutto il mondo
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vicino e lontano, epperciò anche i nostri di casa, essendo il pianto dei morti la cosa più sacra che [non] si lascia mai in quei paesi senza tacia d’inimicizia la più grave. Come i gran maghi riconosciuti nel paese sono gli unici che non vanno al pianto, così, tanto io che il P. Felicissimo siamo stati consigliati a non andarvi, come persone sacre, ma andarono tutti quei di casa, restando solo alcuni per la guardia.
sepoltura di Kigi Kiggi era morto la sera appena entrato il sole, ed il gran pianto [era durato] sino quasi alla mattina col finirsi della sepoltura. Il sepolcro fu scavato a quattro mettri circa lontano dalla casa sua principale dalla parte diritta della porta. Gama Moras, come fratello ed erede fu quello che tracciò il sepolcro e diede i primi colpi di zappa. Il sepolcro fu di circa due mettri lungo e due mettri largo; così quadrato si scavò sino alla profondità di due terzi di mettro: dopo si restrinse dai due lati circa un terzo di mettro, lasciando un gradino, e si continuò [p. 32] sino alla profondità di due mettri circa. Quelli che scavavano non erano schiavi, ma tutti congiunti, e mentre scavavano si facevano delle pause di gridi, e di pianto con interlocuzioni di elogi al morto.
le prime operazioni do[po] la morte Mentre si faceva lo scavo del sepolcro, altri tagliavano legni in misura, ed altri preparavano fango per la chiusura di esso. Le donne in casa stavano lavando il cadavere con certi ceremoniali che mai ho potuto /39/ ben conoscere, perché suoi farsi a porte chiuse, ed i nostri ragazzi non osarono innoltrarsi, perché da quanto alcuni mi dicevano questo atto manca un poco di modestia. Il cadavere fù vestito prima di tutte le sue vesti di lusso e sopra di esse gran quantità di drappo rosso, segno di gran richezza. Così vestito fu collocato sopra un letto o grabato tessuto di cuojo.
gran pianto
gran concorso al medesimo
Mentre si eseguirono tutte queste operazioni passarono almeno tre o quattro ore, e la notizia della morte essendo arrivata a qualche lega lontano crebbe a dismisura la [la] moltitudine dei piangenti
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a segno che alla distanza di quasi un mezzo kilometro tutto intorno non si vedevano che sessioni separate di piangenti, ciascheduna col loro cicerone abituato a simili funzioni, ai quali gli altri facevano eco. Questo pianto aveva un’aspetto così lugubre, che per noi forestieri aveva una certa quale idea di giudizio universale. Il mio Morka Giovanni galla di nazione, e che conosceva tutto, egli faceva il giro per sentire tutto quello che si diceva di noi, e della missione.
ornamenti interni del sepolcro Frattanto, terminati tutti i preparativi arrivò il momento di metterlo nel sepolcro: incomminciarono per versare nel sepolcro della birra, e dell’idromele in quantità; dopo si fece nel basso del sepolcro un letto di parecchie tele bianche piegate; sopra le tele si distese un piccolo tappeto di persia; il cadavere sorte di casa ciò preparato il cadavere sortì di casa, fingendo[si] una specie di rissa tra le donne di casa che non volevano lasciarlo sortire, ed i portatori, tutte persone di casa, i quali dovevano portarlo; fra questo trambusto [p. 34] arrivò finalmente il cadavere sui bordo della tomba; è collocato nel sepolcro [si] calarono dentro due, uno ai piedi e l’altro alla testa, i quali lo ricevettero come forestiero in casa propria; lo adagiarono coricato dalla parte del lato sinistro con una mano sotto la testa, e l’altra distesa verso il femore, dove gli posero una caraffa di idromele, che avrebbe potuto prendere a sua volontà subito che la mano raffreddata si fosse riscaldata di nuovo, e di nuovo si fosse riaperta la bocca per bere, e così diggerirsi la sua micidiale polenta.
richezze e provisioni per lui Una persona grande e ricca come Kiggi, aveva bisogno di qualche cosa di più, un gran vaso d’idromele fu collocato proprio avanti di lui alla mira del naso, ed un gran vaso di birra vicino ai suoi piedi, affinché non avesse freddo; la sua sorella strillava di contentezza per essere stata l’ultima a farlo mangiare, e gli faceva mettere il vaso della polenta tutto vicino a lui, affinché potesse finirla subito che avesse digerita la prima; quindi [p. 35] una turba di donne mogli ed amiche avvicinarono ciascheduna il loro piatto favorito; anche il lume non mancava, ma da /40/ quanto mi si disse non vi era il fuoco, e per accenderlo, dobbiamo supporre che [il defunto] batterà le ginocchia per scuoterlo.
aggiunta di pecunie di ogni genere. Dopo tutta questa provisione mangiativa venne la richezza di moneta; qualche tallero di Maria Teresa, sotto la testa il capezzale di tele nere; tutti i vuoti che rimanevano ai due lati furono riempiti di sali, di verotterie di Venezia, e di ogni altra materia mercantile; alla fine un piatto d’incenzo e di mirra coronavano la richezza di quella nuova casa.
ultimo saluto, e chiusa del sepolcro Ciò finito, si sentì un gran grido di pianto, e l’ultimo saluto al Gofta (Signore), dopo il quale si collocarono i legni sul gradino più alto lasciato; dopo i legni [e]stesero una tela, sopra la quale [gettarono] il fango che impiastrava il tetto della nuova casa, e sopra il fango la terra [p. 36] madre comune; quando il sepolcro fu quasi riempito di terra si collocarono sopra grosse pietre, e così si fece una specie di piramide di pietre e terra per assicurarsi, che certi animali non scavino, e gli stessi ladri non cerchino di rubare l’unico capitale rimasto al defunto. L’ultima operazione fu di fare un piccolo fosso intorno al sepolcro per ricevere l’aqua delle pioggie.
unico monumento galla sopra il sepolcro Unico monumento di questo sepolcro eccolo: un grosso palo piantato alla testa, ed un’altro ai piedi, ed in cima un legno orizzontale[;] pendevano di là tutti i trofei degli uomini emasculati in guerra, con una pane della pelle di un’elefante da lui ucciso; quindi alcune caraffe bianche in segno che era una persona ricca, la quale beveva molta birra e molto idromele. Questo monumento si distrugge dopo qualche anno, e non vi rimane più altro che un mucchio di pietre e di terra, quale anche dopo al più un secolo sparisce affatto,
all’aurora tutta la moltitudine era scomparsa Prima che tutto questo abbia potuto terminarsi incomminciava a comparire l’aurora, [p. 37] e la stella che annunziava il giorno, e nella zona torrida dall’aurora alla levata del sole corre appena mezz’ora; la folla perciò incomminciò a dissiparsi, ed al levare del sole neanche più uno si vedeva. ragione superstiziosa di ciò La ragione è, perché nei paesi galla, ed in proporzione, anche nei paesi cristiani d’Abissinia, le malattie hanno sempre un’origine superstiziosa, e si suppongono spiriti o genii, i quali non girano di notte, ma sempre di giorno per scegliere le loro vittime. Kiggi era morto di febbre gialla, malattia molto temuta, come già si disse del vajvolo; quindi è, che il pianto in simili casi si fa solo di notte, dimodoche tutti quelli che non sono venuti al pianto, a misura che la notizia si propaga verranno in seguito sempre o la sera dopo l’entrata del sole, oppure verso [la] mattina prima dell’aurora e del giorno.
/41/ notizie pro e contro la missione La morte di Kiggi preceduta da quella dei tre ladri sopra indicati fece un gran colpo in tutto il paese di Gudrù. Il mio Giovanni Morka da me incaricato di sorvegliare in tempo del pianto tutto ciò che si diceva, [p. 38] egli vestito come semplice galla con mutande sciolte sino al ginocchio, con una cint[ur]a nera alle reni, e supra appeso un coltellacio come sciabola, ed una tela unta e bisunta sopra le sue spalle, col benefizio della lingua poteva trattenersi con ogni specie di persone, e tutto conoscere ciò che si pensava e si diceva dal publico pro o contro di noi.
fede superstiziosa dei galla Non la finirei più se volessi tutto riferire ciò che mi narrava questo nostro zelante figlio: in poche parole, nell’opinione publica in Gudrù noi missionarii eravamo divenuti come altri genii o miti con intima relazione coi genii o miti delle diverse malattie dominanti e più temute nel paese.
I Galla credono in Dio, ma l’idea che hanno di Lui è molto confusa, e non esclude altri esseri, siano o non siano dipendenti da Lui ben non si conosce, esseri però nel loro senso personali, qualche volta buoni come angeli tutelari, poco presso nello stesso senso dei nostri angeli custodi, come risulta dalla loro lingua stessa nella quale si chiamano ajana, ora di una persona, ed ora di un paese; qualche volta poi [p. 39] sono esseri nocivi, capo dei quali il diavolo, da loro più adorato che Iddio stesso, non perché lo amino, ma bensì ne noceat; di questa natura sarebbero questi esseri rappresentanti la persona di una qualche malattia, ai quali pure fanno dei sacrifizii, non perché gli amino, ma per essere lasciati liberi, o almeno trattati più benignamente.
opinione superstiziosa sopra di noi Ciò posto, noi missionarii, come esseri straordinarii da loro non compresi, quando occorre qualche caso straordinario, come è stato il caso della morte di Kiggi, e dei tre ladri sopra narrati, sono facilissimi [ad] attribuirla a noi; ed è per questa ragione, che, come mi riferiva il mio Giovanni Morka, alcuni dicevano che noi non avendo soldati, ne fucili, ne lancie, i nostri diffensori erano tutti questi spiriti, e che perciò la febbre gialla per ubbidire a noi uccise tutti questi ladri.
distruggo un pregiudizio nella mia gente Alcuni dei nostri si gloriavano di ciò, perché, come dicevano essi, in questo modo saremo temuti e rispettati; ma io ho dovuto [s]gridarli non poco, e proibirli assolutamente di non parlare in modo da favorire simile pregiudizio, cari miei, dissi una volta, io amo meglio morire perseguitato che vincere temuto e rispettato [p. 40] con questo titolo, perché qui dentro sta nascosto un gran scandalo, scandalo, perché così si conferma una cosa che non è vera ma falsa, scandalo, perché con ciò /42/ confermiamo la superstizione di questi poveri pagani, e scandalo finalmente, perché così faciamo vedere l’odio e la vendetta contro chi ci fa del male; cari miei, quando sorte con qualcheduno questo discorso, noi dobbiamo fare tutto il nostro possibile per persuadere questa gente che sono in un grande errore il credere che la malatia sia uno spirito personificato, grande errore ancora che noi abbiamo qualche relazione con questi spiriti, essendo la malatia niente altro che un castigo di Dio che ci meritiamo col peccato. stabilisco la verità del fatto Kiggi è morto non amazzato dallo spirito o genio della febbre gialla provocato da noi, perché tutto questo non è che semplice stromento della collera di Dio, è Iddio che l’ha ucciso per il suo peccato; era venuto per lui il momento di misericordia, e l’ha respinto; noi anzi siamo addolorati per la sua morte, ecco, figli miei, il modo di parlare con questa gente, ecco il modo d’istruirla.
si spiega il fatto accaduto [p. 41] Nel tempo del furto noi eravamo ancora nella casa provisoria, ma siccome questa era tutta vicina alla casa di Kiggi, appena si spiegò la febbre gialla in quella casa lo stesso Gama ci obligò a lasciarla, e così prima della morte del suddetto noi eravamo già entrati nella casa nuova, benché non ancora terminata. La ragione per cui Gama ci obligò a traslocare era appunto il timore che la febbre gialla non passasse in casa mia; tanto più egli aveva qualche ragione di temere, perché i miei giovani non si guardavano, e per catechizzare questi ammalati gli frequentavano.
pratica dei miei di casa nelle epidemie Confesso però che io non temeva molto, come non temevano molto i miei ragazzi confidando in Dio. Nelle mie conferenze alla famiglia io raccomandava sempre la visita agli ammalati, massime vicini di casa, anche nei casi di epidemia, esortandoli a confidare in Dio, e suggerendo loro pratica igienica nelle epidemie certe precauzioni, come fra le altre quella di non restarvi molto, meno il caso di qualche servizio straordinario di necessità; come pure in simili casi di tenere sempre [p. 42] in bocca un piccolo bolus [= intruglio] di erbe aromatiche, particolarmente alcune che eccitano molto la salivazione. La ragione per cui io raccomandava l’uso di queste erbe arromatiche, è perché mi sono convinto che il virus di questa malattia si communica per la via della respirazione. L’esperienza mi ha fatto toccare con mano, che quando questa malattia era entrata in una casa finiva sempre per communicarsi a tutte le persone di quella stessa casa, e prima di tutte [al]le persone che restavano continuamente e dormivano in quella casa stessa, lasciando ben soventi intatte le persone delle case vicinissime, se queste non communicavano che raramente cogli ammalati.
La casa abissina non ha finestre, ma prende luce ed aria dalla sola /43/ porta. la casa dei poveri, poco igienica I ricchi hanno [hanno] anche due o tre case, e nella stessa famiglia possono isolarsi, mentre i poveri sono obligati a rimanervi sempre, e non hanno altro luogo per mangiare e dormire, motivo per cui fra questi per lo più tutti restano presi. In una di queste piccole case dopo che un’ammalato ha passato otto giorni, l’aria rimane pregna della respirazione infetta, e questa necessariamente viene assorbita dagli altri, come è chiaro. alcuni corettivi in simili case Fortunatamente [p. 43] nell’ambiente della casa stessa, per lo più nel centro di essa si fa il fuoco, e questo è già un correttivo, perché il fuoco si nutrisce di aria, e chiama la corrente, e questa poi deve sortite per l’attra fila del coperto di paglia, così del fumo, il quale riempie la casa, ma poi vi sorte per il coperto, e per tutti i meati che può trovare; ma questo non basta per purgare l’ambiente della casa stessa. Ho osservate di più che nelle case vecchie, dove lo stesso coperto, e tutti i piccoli meati sono quasi chiusi dalla caligine la malattia è per lo più inesorabile a preferenza delle case nuove.
i novilunii e plenilunii in simili casi Ho osservato di più che in tutte queste malattie epidemiche, o contagiose, è sempre o nel novilunio, oppure nel plenilunio che una persona si ammala. La prima persona che è ammalata in una casa, quella è sempre sola, ed in otto giorni per lo più muore, e se guarisce dopo gli otto giorni, entra in convalescenza, nel plenilunio o novilunio seguente cadono altri, perlo più coloro che hanno maggiori predisposizioni; questi ancora difficilmente guariscono, perché più predisposti. Se dopo di questi cadono altri nella seguen[te] quindecina lunare, questi per lo più guariscono, perché hanno avuto minori predisposizioni alla malattia, benché con capitale di virus maggiore.
[p. 44] E una cosa conosciuta che l’inf[l]uenza lunare è molto più visibile in questi paesi della zona che non nei nostri riguardo a tutte le variazioni atmosferiche; io poi ho fatto molte osservazioni sullo sviluppo delle malattie sì epidemiche che contagiose: persino nell’inoculazione del vajvolo trovava una gran differenza, nella forza del virus nella luna crescente dalla luna calante.
dichiarazione sul nome della malatia Per non ritornare tanto facilmente sulla febbre gialla, di cui ho parlato sopra, dirò in primo luogo che io la chiamo febbre gialla, perché presenta alcuni sintomi di essa, ma in paese si chiama, ora bescetà come in Abissinia, ora golfa nei paesi galla più al nord; ma nella sostanza è una malattia tutta particolare, la quale presenta sintomi diversi in diversi individui, ed anche qualche volta nella medesima famiglia, e sotto la stessa influenza epidemica.
caratteri diversi di questa malatia Fra due persone attaccate nella stessa casa una vomita, e l’altra no, ma quella che vomita presenta maggiori risorse di guarigione dell’altra. So- /44/ pratutto presenta sintomi molto diversi nei paesi bassi e caldi, di quella dei paesi montagnosi, e freschi. Che sia la stessa malattia è cosa certa, perché una donna discesa nei paesi bassi per assistere la sua madre, [p. 45] ritornata a casa sua sulle altezze dopo sepolta la sua madre, fu assalita essa stessa dalla stessa malattia, e fu vittima con altri sintomi. Nei paesi alti abbunda il vomito, e nei paesi più bassi passa più facilmente alla diarrea. quando questa malattia [non] produce ne vomiti ne diarrea, l’ammalato per lo più non arriva alla settima; all’opposto, passata la settima, se l’ammalato è ben custodito, e non fa [sforzi] straordinarii, cosa difficile in paese, può guarire.
modo in cui io soleva curarla Finisco [di trattare] questa materia dicendo brevemente come io soleva curare questa gente, ben inteso, calcolate le circostanze, dove il povero missionario si trova privo di tutto. Quando io sentiva dire che una famiglia del vicinato era presa da questa malattia, se era avvertito subito da principio, e che avessi trovato tamarindi in abbundanza, allora raccomandava alla casa una rigorosa dieta, e faceva bollire una marmitta di tamarindo fresco, e ne faceva bere a tutti, anche ai sani, in quantità tale da determinare una diarrea per tre giorni di seguito, diminuendo un poco la dose nel secondo, e nel terzo giorno; in questo modo guariva l’ammalato, e per gli altri faceva ancora ripetere [la cura] nella quindecina; in questo modo mi riuscì quasi sempre di salvare [p. 46] la casa intiera dalla malatia.
altri rimedii tentati con poco esito Nel caso di non trovare tamarindo in quantità, come arriva in molti luoghi dei paesi alti, allora qualche volta ho fatto uso di altri purganti che si trovano nel paese, come il ricino, e qualche volta anche ho fatto uso dell’emetico, del quale era sempre abbastanza provisto, ma confesso che questi ultimi rimedj non mi produceva[va]no l’effetto [ottenuto] dal tamarindo, perché non poteva darne in gran quantità da fare una crisi. Nel paese non essendovi il torchio non si può ottenere l’olio di ricino puro, ma sempre misto di polpa, la quale irrita. (1c)
Le esperienze sopra citate non sono tutte esperienze avute in Gudrù nel primo nostro ingresso, ma sono cose sperimentate anche dopo [perciò le anticipo] per non ritornare sopra la stessa materia. Ho praticato lo stesso molto avanti quando ho voluto esporre le evoluzioni politiche del regno di Ras Aly, e di Kassà, evoluzione narrata anticipatamente per non ritornarvi. Ora debbo ritornare all’epoca della vera storia nostra avvenuta in Gudrù.
(1a) In Kafa si osserva lo stesso processo; solamente [che] l’albero di mezzo è per lo più un grande albero, il quale, come lo spuntone di un parasole, suole innalzarsi al di fuori sopra il coperchio da due a tre mettri, o anche più, secondo la grandezza della casa. Nel punto in cui si parte il centro, o raggio del coperchio a parasole si devono fare lavori o incastri a scalpello. Questa punta esteriore della casa in Kafa è soventi un’attrattivo del fulmine, colà molto frequente. [Torna al testo ↑]
(1b) Sopra la Chiesa nel centro del parasole suole piantarsi la croce di forma abissina, per io più sempre in lastra di ferro nelle Chiese ordinarie; nelle Chiese un poco più ricche, essa è di rame, qualche volta anche con doratura. Intorno alla croce sogliono [ap]pendersi parecchi guscii di ovo di struzzo, come altrettanti globi di ornamento. [Torna al testo ↑]
(1c) Ho tentato anche i[l] solfato di kinino, ma quasi sempre inutilmente. [Torna al testo ↑]