/86/
10.
Ad Ameliè chiamato da Abba Saha:
la questione dei rospi. Il libro dei Galla.
Abba Saa mi prepara una casa in Am[i]liè Fatta questa operazione, io sono partito per Amiliè, invitato da Abba Saa, quel certo galla che io ho guarito in Zemiè [p. 132] prima di arrivare in Gudrù, di cui si è già narrata la storia. Questo galla riconoscente per il servizio prestatogli, mi aveva preparato una piccola casetta, ed un’altra per la cucina, e da molto tempo instava, affinché io andassi a passare qualche tempo con lui; avendo finalmente aderito, e fissato l’epoca, aveva preparato della birra e dell’idromele per fare anche egli un piccolo invito dei suoi amici e parenti ai quali pensava [di] farmi conoscere.
Amil[i]è è lontano due ore circa da Assandabo. Lasciato il prete indigeno a custodire la casa principale, io sono partito con cinque giovani di quelli che avevano maggior bisogno della mia parola immediata, ed ho preso con me la donna goggiamese ultimamente comprata per il servizio, come più bisognosa anch’essa di essere particolarmente catechizzata.
Arrivati in Amilie abbiamo preso possesso della nostra piccola casa di campagna. Abba Saa di casa sua ci prestò tutti gli arredi necessarii alla cucina, consistenti in un vaso per l’aqua, uno o due piatti di terra per fare la pietanza, una marmitta parimenti di terra, ed una piatta forma per fare cuocere il pane. Per il letto nulla si ricerca, perché consiste questo in una pella che ognuno [p. 133] sempre porta con se, ed un poco di erba che i giovani usano [di] tagliare sul momento. Per il primo giorno Abba Saa ci mandò la cena, cioè un piccolo vaso di birra, un poco di pane, ed una piccola pecora, la quale fù scannata sul momento.
invito fatto da Abba‑Saa L’indomani era il giorno dell’invito, nel quale di mattina Abba Saa fece scannare un bel bue e fece preparare il brodo per gli invitati che dovevano arrivare la sera. L’invito era di circa 40. persone, con un poco di /87/ aggiunta per le persone di seguito che usano avere con se i più grandi. La sala d’invito era una casa vecchia e vuota destinata per i forestieri, la quale aveva in circuito una specie di letto alto un poco più di un palmo.
Gli invitati entrarono la sera e si sono seduti in circuito; io con Abba Saa facevamo la prima figura, e si mangiò coll’ordine già indicato, sia la carne cotta, sia la carne cruda; bevettero la birra e l’idromele secondo l’uso già narrato. Passata la terza sessione della cena, quando ognuno incomminciava a sciogliere la lingua in complimenti arrivò un’inconveniente per se leggiero e ridicolo, ma che poi degenerò in questione molto grave da compromettere anche la pace [p. 134] di tutta quella bella serata. storia curiosa e dolorosa di un convitto. Ecco la storia: una persona colla testa già un poco alterata dall’idromele, stanco di tenere il suo corno in mano, lo mise in terra fra i due piedi, intento a parlare coi suoi vicini, essendo il fuoco già quasi estinto, e la casa semi oscura, naque il bisogno di urinare, e così seduto sopra la panca colle mutande sciolte e non chiuse all’uso galla, senza più riflettere al suo corno volle urinare in terra, ed urinò dentro il suo corno stesso: un giovane vicino avendo [ciò] veduto, preso dalla voglia di ridere sortì e lo raccontò ad alcuni compagni, i quali dopo essersi sfogati a ridere rientrarono per vedere il fine della storia. Dopo aver parlato un poco, venuta la voglia di bere, [il pisciatore] trovo che l’idromele non era più quello, ed incomminciava a far questione ora agli uni, ora agli altri, e lo fece gustare ai suoi vicini; i giovani che lo stavano osservando diedero in uno scoppio di riso, raccontando la storia; i vicini che avevano gustato il nuovo idromele si irritarono contro del mezzo ubbriacco e lo presero a pugni, egli vedendosi assalito sorse ed impugnò la lancia, e tutti si alzarono, e si fece il grido di guerra, perché il sangue in quei paesi è un’affare [p. 135] molto grave; io già mi trovava corricato e dovetti alzarmi, ed Abba Saa anch’egli corse per calmare i partiti, ma come tutti erano mezzi ubbriacchi non fu possibile ristabilire la pace e l’ordine, di modo che di notte tempo molti se ne andarono, e con pena riuscì ai vecchj di allontanare poco per volta i due partiti, i quali conservarono più di un’anno l’odio reciproco; per fortuna che non si versò sangue.
ministero sacro in Am[i]liè Passata la crisi di feste io mi sono posto ad istruire: nei paesi Galla non vi sono per lo più villaggi, ma ciaschedun galla suole costruire la sua casa sul suo terreno, epperciò tutte le case sono disperse, ad eccessione dei gran ricchi, i quali hanno parecchie mogli, ed hanno schiavi maritati intorno a loro, è difficile trovare un gruppo di case. Questo sistema ha il suo bene ed il suo male: bene per l’agricoltura, perché i giovani che /88/ crescono in mezzo al loro terreno vi prendono affezione, bene anche per l’ordine domestico, e per la moralità, e bene principalmente in tempo delle epidemie od altri mali ataccaticci; male poi per radunare il popolo per istruirlo, ed anche [anche] male nei casi di bisogno reciproco, come quando vengono ladri, oppure si appicca il fuoco, oppure [p. 136] per i mutui bisogni in tempo di malattie. I popoli isolati sono più calmi ed hanno minori bisogni per la vita, mentre i villaggi ed i gran centri favoriscono molto le passioni di ogni genere, e lo sviluppo di infiniti bisogni, epperciò sono più difficili per mantenerli e per governarli.
difficoltà per l’istruzione dei galla in detaglio. I nostri oromo o Galla, essendo popoli isolati fù per noi una grande difficoltà per metterci in contatto con loro e per istruirli. Ho dovuto perciò organizzare un sistema tutto proprio. Alle preghiere della mattina e della sera non venivano che le persone, e principalmente i ragazzi della casa di Abba Saa, e pochi vicini, epperciò ho dovuto mettere un ragazzo di guardia, il quale doveva star sempre pronto a ricevere ed istruire quei pochi che si avvicinavano lungo la giornata, e presentarmeli quando io mi trovava libero. I ragazzi sono quasi gli unici che si possono indifferentemente istruire con qualche buon’esito. Negli adulti l’istruzione cristiana ferisce al vivo tutto il loro sistema di vita materiale e sensuale, epperciò [c’è] poca speranza di risultato; i pregiudizii e le superstizioni pagane negli adulti sono divenuti come un sistema religioso molto difficile a vincersi.
le donne più difficili del uomo per l’istruzione Il sesso feminile poi [è] ancor più difficile [da istruire]: la figlia ha un poco più di libertà, [p. 137] e sorte anche colle sue compagne, e si può avvicinare più liberamente senza pericolo, ma dal momento che è un poco grandicella è una gemma [tenuta] continuamente sotto chiave, perché guai se perde il suo fiore [verginale:] è una vera disgrazia non solo per essa, ma per tutta la famiglia. La donna che ha marito poi si direbbe quasi una monaca chiusa, massime nella casa dei grandi, perché ben soventi [è] custodita dagli eunuchi; nella classe infima essa è un poco più libera, ma tuttavia sempre custodita. La donna adulta poi è naturalmente più superstiziosa, epperciò più difficile a convertirsi. Il missionario perciò ha delle gran misure [d]a prendere con questo sesso, e non è che dopo una lunga conoscenza e fiducia publica che può avvanzarsi. Io perciò ho portato con me la schiava gogiamese, [perché] essa poteva andare dapertutto, ma sgraziatamente era troppo nuova e poco istruita.
Io sono rimasto circa tre settimane in Am[i]liè, pendente il quale tempo ho battezzato la madre di Abba Saa, la quale è pure madre di Dun- /89/ ghi, epperciò Nonna di Gama Moras, una vecchia, la quale, da quanto ho potuto calcolare, si avvicinava ai 90. anni. Ho battezzato pure alcuni piccoli ragazzi della casa di Abba Saa. Mentre mi trovava colà vennero molti a pregarmi per far fare la pace tra Abba Saa, e [la] sua [p. 138] [e sua] seconda moglie, condannata ad una specie di divorzio che l’obligava a restare sub potestate mariti, col puro necessario alla vita senza speranza di più vederlo; la sua colpa era quella di avergli dato un rospo polverizzato [d]a mangiare, dalla qual polvere era nata una famiglia di rospi nel suo ventre, colpa provata dell’oracolo, nel paese irrefragabile e legale di un mago da lui consultato. Come io l’aveva guarito da questa malattia, io aveva un certo titolo di mischiarmene.
io sono citato come testimonio. Si fissò giorno a questo scopo e si radunarono i vecchj delle due parentele secondo l’uso dei paesi oromo; le due parentele restarono d’accordo di restare alla mia decisione, perché avendolo io guarito io doveva conoscere quale era la sua malattia, ma io non sapeva che Abba Saa provava la colpa della sua moglie, non solo colla parola del mago, ma anche colla mia, perché in Zemiè quando io gli ho dato la medicina, ed egli si attendeva di vedere sortire i rospi o per la via del vomito, oppure per quella del secesso, io gli aveva detto che i rospi non potevano sortire vivi, ma sarebbero sortiti morti. Io fui interrogato a parte dalle due parentele, ed ho risposto [p. 139] naturalmente come doveva rispondere che la malattia di Abba Saa non era malattia di rospi, ma altra malattia che il medico non suol dire sempre, perché l’ammalato non può capire.
mia apparente contradizione
Le due parti furono contente della mia dichiarazione, perché alla fine amavano di terminare questa questione, ma riportando la cosa ad Abba Saa egli non volle saperne dicendo che io era in contradizione di quanto aveva detto in Zemiè, e venne egli stesso da me rimproverando il mio doppio linguagio. Allora io fui obligato a fare la mia confessione sincera come era passata la cosa, ed egli che già aveva capito un poco la nostra missione, benché ancora galla sino al fundo del suo cuore per rispetto a me lasciò di attaccarsi a questo mezzo termine.
mi rifiuto per la pace;
esortazione.
I vecchj delle due parti vedendo che Abba Saa aveva ceduto da una parte volevano che io prendessi la parte attiva e diretta nella pace, ma io allora ho preso la mia posizione di prete cattolico, e dissi che io dichiarava con tutte le solennità possibili che la donna era innocente, ma non poteva andare più avanti trattandosi di una seconda moglie, non così se fosse stato il caso della prima moglie, perché Iddio non ha accordato al uomo che una sola moglie, ed io
[p. 140]
non poteva concorrere all’avvicinamento di una seconda moglie, come cosa proibita da Dio; io posso
/90/
consigliare la pace, anzi debbo farlo, ma non all’unione di una donna come moglie, epperciò io lasciava volontieri a loro questa parte. Come Abba Saa era ancora un vero pagano, forze in buona fede nella sua poligamia, avrei forze potuto occuparmene di questa pace incarnata col contratto conjugale, ma comunque io ho voluto prendere motivo per dire qualche cosa a tutta quella gente.
pace fatta col diavolo. Quando questi oromo si viddero attaccati nella loro poligamia viddi subito d’avergli attaccati troppo nel vivo, finsero di darsi per vinti, combinarono fra [di] loro e presero essi direttamente l’iniziativa della pace con Abba Saa, ed il diavolo era troppo interessato per non ajutarli. La pace fu difatti conchiusa, fecero venire la donna a baciare i piedi al suo marito, e per darmi una certa soddisfazione la donna venne anche a baciare i miei piedi in ringraziamento, benché [p. 141] sapesse che io non era poi tanto favorevole. Da quanto ho potuto capire, quei vecchj vedendo che io ho cercato con questa occasione d’insinuare loro la monogamia cristiana, assalirono Abba Saa come già mezzo cristiano, o almeno sospetto di avvicinamento a noi nella fede, ed Abba Saa non volendo passare come tale si lasciò vincere, e si fece la pace.
Fatta questa pace venne da me un vecchione fratello maggiore di Abba Saa a farmi un complimento: voi, disse, avete guarito Abba Saa mio fratello, io e tutti questi contorni vi sono riconoscenti, e vi rispettiamo come un’uomo disceso dal cielo, ma voi siete forestiero, e non conoscete il nostro paese. i tre libri discesi dal cielo. Iddio da principio ha piovuto dal Cielo tre libri, uno per i cristiani, un’altro per i mussulmani, ed un terzo per gli oromo o Galla. Prima di tutti è venuto un cristiano ha preso il suo; dopo il cristiano è venuto il mussulmano, ed ha preso anche il suo; dopo il mussulmano è venuto l’oromo, e non l’ha più trovato, perché una vacca l’aveva mangiato. Il cristiano osserva il suo libro, e così pure il mussulmano; [p. 142] anche l’oromo osserva il suo libro, e quando vuole sapere qualche cosa ammazza un bove od una vacca e dentro trova tutto ciò che desidera [di] sapere.
Il vostro libro, disse, vi comanda di prendere una sola moglie, ma poi veggo che i cristiani ben soventi mandano via la loro moglie e ne prendono un’altra; non contenti di questo prendono ancora la moglie degli altri, e vengono anche qui a rubarci le nostre mogli. Al contrario gli oromo prendono una moglie, se non gli basta ne prendono una seconda, una terza, o anche più, ma non le mandano via, neanche cercano la moglie degli altri. Voi siete un’uomo di Dio e parlate secondo il vostro libro che è [il] libro dei cristiani, ma dovete sapere che il Gudru è un /91/ paese oromo, ed ha anche uomini di Dio, i quali ci parlano secondo il nostro libro.
il libro dei galla. Debbo qui dire cos’è questo famoso libro dei nostri oromo-Galla – è quella specie di tela di forma aranea che inviluppa il peritoneo degli animali, massime bovini; è tutto grasso più o meno spesso secondo il luogo che occupa, e principalmente secondo lo stato di ben’essere dell’animale scannato, ramificato di nervicelli e piccole vene appena visibili.
Appena sventrato l’animale, si separa [p. 143] dal sacco carneo, nel quale si ferma il cibo, e si forma la prima concozione e digestione del medesimo; così separato un servo lo porta immediatamente al padrone di casa, oppure alla persona più onorata della medesima, e ben disteso lo tiene avanti di lui, direi quasi, come il Suddiadono tiene il messale al Diacono che canta il vangelo. I periti leggono e fanno congresso fra loro sui segni speciali che presenta; fatta questa funzione, il servo torce questo grasso e lo lega al collo del padrone medesimo, oppure di altra persona da lui onorata, per cui ben soventi è stata scannata l’animale.
dottori, e scienza di questo libro. Nei paesi Oromo o Galla esistono delle persone considerate come dottori in questo libro superstizioso. Nelle gravi circostanze, oppure avvenimenti questi così detti dottori sono chiamati per esaminare il così detto morà (grasso sopra descritto), ed esaminatolo pronunzia il suo oracolo, e questo diventa come officiale per la sua decisione che può avere tratto di conseguenza legale. Qualche volta il dottore non essendo soddisfatto del risultato fa venire un secondo animale di diverso colore, si scanna, ed esamina di nuovo, massime quando si tratta di cosa grave, come sarebbe la partenza dell’armata per tale strada, oppure in tal giorno, [p. 144] prima di pronunziare il suo oracolo. È inutile notare quì che in queste operazioni è da supporsi che entri sempre la passione dell’interesse, e della gola, perché gli animali uccisi [si] cedono in parte al dottore, ed una parte è mangiata dai circostanti.
esame da me fatto sulla scienza del libro galla Io ho cercato di esaminare molti di questi periti per vedere se avevano delle regole tradizionali e costanti per calcolare i segnali che si trovano nel morà, ma ho potuto raccapezzare nulla, anzi tutto all’opposto ho trovato che fra loro stessi non erano d’accordo, ed uno la vedeva diversamente dall’altro. Frà gli altri un vecchio, un tempo molto classico, ma che aveva lasciato di fare questo mestiere, perché non poteva più andare di quà e di là, ed anche perché aveva perduto la vista, essendo questi come mio suddito, perché abitava sul terreno della missione in Lagamara, ho potuto interrogarlo con mio commodo; questi mi assicurava che i /92/ segnali del morà per lui non erano gran cosa, ma che alla presenza di detto morà la sua ajana (spirito tutelare) gli parlava al cuore ciò che doveva dire; il risultato perciò dei miei esami è che [i periti del morà] sono tutti cavalieri d’industria. L’uomo abbandonato a se senza una religione positiva che lo guidi, corre al sopranaturale della magia, in [p. 145] ogni circostanza in cui si trovi in presenza di un’incognito sì assoluto che relativo e la stessa nostra società odierna arrivata all’apogeo di alcune scienze, a misura che si va emancipando dalla bussola della Chiesa sente il bisogno di ricorrere alla magia odierna del magnetismo, [dello] spiritismo, e simili.
difficoltà per il ministero fra i galla. Ritornando ora alla mia storia il discorso del fratello maggiore di Abba Saa non mi fece molto coraggio nella par[te] che concerne l’apostolico mio ministero. Il galla, benché [non] facia mai questioni religiose, e con tutta facilità si confessi ignorante, pure non lascia di avere un grande attaccamento alle sue superstizioni, in modo particolare gli adulti, i quali, oltre l’abitudine, divenuta in loro come una seconda natura, essi hanno contratto delle catene nella poligamia, catene difficilissime a vincersi, come è naturale; d’altronde poi [in] queste povere creature sature di tutte le delizie della vita materiale, più difficilmente abbonda la grazia dello Spirito Santo, come vasi immondi, e ciò si verifica particolarmente nei ricchi entrati nella gran corrente del mondo galla, e con un capitale di orgoglio, sempre in proporzione dell’ignoranza. Io perciò ho veduto subito da principio che la gran risorza frà i galla sarebbe stata principalmente nella coltura dei giovani, e della classe povera più libera dalle grandi passioni
[p. 146] Il Gudrù particolarmente doveva di sua natura essere più difficile [a convertirsi], come paese di frontiera in continua lotta coi cristiani del Gogiam, il quale qualche volta soleva passare il Nilo per venire a fare i suoi razia, e portare il disonore del cristianesimo fra quei poveri oromo, [e ciò era] causa di un’antipatia eterna contro i cristiani.
Io avrei voluto resta[re] almeno un mese in Amil[i]è per far gustare un poco la nostra istruzione a quei poveri galla, ma un’inconveniente gravissimo mi obligò a partire, appena passati i dieci giorni, inconveniente che ci darà molto a parlare.