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13.
Il mago «Onnipotente». Al Liban-Kuttài:
Tufa-Koriciò e un figlio per Tufa-Boba
progetto di una visita al paese Kutaï
[1a metà 1854].
Ritornando ora alla missione del Gudrù, passata che fù la crisi del vaivuolo, e ritornato l’ordine della casa, e la confidenza del publico, secondo il mio solito, ho voluto fare una corsa per scoprire terreno, far conoscere la missione, e spargere qualche istruzione fra i popoli vicini del Gudrù. Prima del Vaivuolo sono andato in Am[i]liè dalla parte del ponente alla casa di Abba Saa, pensava perciò fame un’altra dalla parte opposta verso levante, nel paese detto Kuttaï, separato dal Gudrù da un fiume, dove un gran Signore per nome Tufa‑Boba desiderava molto una mia visita. Un bel giorno, presi con me alcuni giovani ed il chierico Morka, accompagnato
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da una guida di Gama, un dopo pranzo siamo discesi verso il fiume in un villagio appartenente a Gama Moras. Siamo partiti di sera, perché in quella lunga discesa a levante, la mattina il sole nella figura [dei viandanti] sarebbe stato molto incommodo; per questa ragione abbiamo pensato di passare la notte nel villagio suddetto poco distante dal fiume, coll’idea di passarlo l’indomani di buon mattino, e fare la salita opposta del Kutai coll’umbra, essendo essa a ponente.
baruffa con un mago. La sera, appena arrivati nel villagio, appena sbrigati gli atti di convenienza con tutte le persone principali del villagio, io, secondo il mio solito, mentre dico l’officio, [e] i miei giovani raccolgono i piccoli ragazzi per far loro un poco di catechismo, non molto lontano un gruppo di gente stanno ascoltando un mago straniero chiamato hullu dendau (omnipotente); il mio Morka, nemico giurato di simili impostori, va [d]a lui e gli dice di andare un poco più lontano, perché ciò mi disturbava; il mago invece viene a mettersi tutto vicino a me, ed io uso prudenza ed entro in casa per continuare il mio officio, ed il mago [mi] seguita ed entra in casa; il mio Morka cerca di proibirlo, e così comincia una baruffa. Vedendo che la cosa incomminciava [a] riscaldarsi non poco, [p. 172] allora per finirla mi alzo in furia, entro in mezzo[:] do /107/ uno schiaffo a Morka, ed un’altro al mago, e poi ritorno a sedermi e continuo il mio officio. Il mago si mette a gridare come un’energumeno, fugge come una persona spaventata, e non io veggo più. Sulla porta della casa ci erano più di 30. persone, [nelle quali subentrò] un silenzio, uno stupore, urla gran meraviglia, e più nessuno seguì il mago, e nessuno osò venire [d]a me.
spiegazione della storia suddetta. Il galla rispetta e teme i suoi maghi. Vi sono dei maghi, l’opinione dei quali ha prevalso e dominano nei paese, ma questi difficilmente sortono dalle case loro, e sono visitati, come santuarii, da una gran quantità di mondo che vi corre alle loro porte portando regali di sali oppure di animali per renderselo propizio. Vi sono poi degli altri maghi non abbastanza conosciuti e girano, sia per guadagnare qualche cosa, sia ancora per farsi conoscere come tali, agognando una posizione nella loro magia che, [che] permetta loro di guadagnare ancor di più restando in casa loro, come sopra. Il mago della nostra farsa surriferita era uno di seconda classe, il quale girava nei paesi per guadagnare qualche cosa, e tutta quella gente era andata da lui portandogli qualche cosa, se non altro, ne noceat. Essendo arrivato io, e vedendomi [a] leggere il libro, [p. 173] il mago ha creduto che fosse venuto un’altro mago per fargli [una] concorrenza, perché fra i galla l’idea del libro è magica, e vedendomi [a] leggere non potevano pensare che io legessi per fare una preghiera, sibbene per esercitare il mio mestiere di mago. Quando io sono fuggito, allora il mago mi ha seguito per far vedere a tutta quella gente che io lo fuggiva, perché lo temeva, ed egli mi ha seguito per far vedere che non mi temeva, e così mantenere il suo prestigio con quella gente che gli aveva portato il tributo. Lo schiaffo quindi è stato una vera sconfitta per il mago, e quella povera gente incomminciava a fare i suoi conti, ecco che il libro è più grande di tutti i nostri maghi, e secondo l’uso del paese non potevano avvicinarsi a me colle mani vuote, e non potevano più seguir l’altro mago per non irritarmi: in breve tra me ed il mago è accaduta la storia che suol accadere fra due galli, e galline.
discesa al fiume Gudder. La sera abbiamo fatto la nostra preghiera e catechismo al cadere dei sole, ed intervennero alcuni del villagio. Io dopo un poco di catechismo, ho voluto dire qualche cosa per far conoscere la missione, e provare sopratutto che io non era un mago, come essi credevano. Dopo quasi tutto quel piccolo villagio ci portò qualche cosa per la cena. L’indomani mattina sul fare del giorno siamo partiti, e per arrivare ai fiume Gudder [p. 174] abbiamo ancora dovuto discendere una cinquantina di mettri. Questo fiume ha un corso di poche leghe, ma molto rapido; aveva pochissima aqua, la quale correva molto limpida fra grandi massi /108/ di pietre portate dalla corrente quando è pieno. Noi l’abbiamo passato ad un chilometro dalla sua imboccatura nel Nilo.
salita, riposo, ed un bel panoramma. Passato il Gudder abbiamo affrettato il passo per fare la nostra salita prima del sole, eppure alle nove eravamo appena ai tre quarti della salita, dove ci siamo riposati un poco all’umbra di alcuni alberi, e vicino ad una fontana, dove abbiamo fatto un poco di colazione con un poco di latte e di pane avvanzatoci dalla cena della sera. Mentre stavamo mangiando la nostra zuppa di latte io contemplava il panoramma molto curioso del Gogiam, del Gudrù, e del Kuttaï, e mi pareva di vedere un triangolo in tutti i sensi, nel senso orizzontale cioè che presentavano i tre capi, vale a dire il punto più prossimo del Gogiam, quello di Assandabo di Gudrù, e quello pure di Kuttaï, questi tre capi dei tre alti piani erano tre punti orizzontali di triangolo poco presso eguale; così nel senso perpendicolare, il punto del Gogiam, quello del Gudrù, ed il fiume Nilo facevano un’altro triangolo poco presso eguale in perpendicolo; così del Gogiam col Kuttai, e di questo col Gudrù. Una persona [p. 175] posta in lontananza sufficiente, dove sia invisibile lo spaccato di questi due fìumi[:] il Nilo ed il Gudder direbbe che questi tre alti piani sono un piano solo; difatti pare che lo fossero da principio, perché questi tre spaccati presentano fra [di] loro un frontone da alto in basso perfettamente identico nella distribuzione degli strati diversi, e di diverso colore, sempre allo stesso livello.
arrivo all’alto piano, Kiessi Boca, e Tufa Koriciò. Terminata che fù la nostra refezione, siamo partiti e con [un] poco più di mezz’ora siamo arrivati all’alto piano del paese Kuttaï, dove poco lontano era la casa di un gran proprietario per nome Kiessi Boka, di cui aveva sentito molto [a] parlare quando era in Zemiè, come di una persona importante per le relazioni politiche col Gogiam, sopratutto con Workie Jasu. Questo signore voleva farci pranzare, ma ho [solo] acettato qualche piccola cosa, un corno d’idromele, perche mi aspettavano in casa di Tufa Coriciò altro capo del paese molto importante, dove dovevamo passare la notte.
Congedatici difatti da Kiessi Boca siamo partiti, e per una strada tutta piana siamo arrivati da Tufa Koriciò, circa un’ora dopo mezzo giorno. Appena arrivati si scannò subito [p. 176] un bue, e ci presentarono della carne cruda, ma il mio chierico morka mi preparò qualche piccolo pezzo di arrostito; fratanto mi presentarono un corno di birra, e quindi [di] idromele. la temperanza e la castità fra i galla. Tutta quella casa era stordita di vedere come, non solo io, ma anche la mia comitiva non ci teneva gran cosa per mangiare il brondò, e come, bevuto un corno non volle più aggiungere altro. La temperanza fra i Galla è una cosa poco conosciuta, è forze più cono- /109/ sciuta la fame che sanno sopportare benissimo quando non se ne trova, essendo i galla accostumati a nutrirsi di pane e di latte, e ben soventi di grano bollito, detto in paese neffrò. Fu poi molto più stupita la sera, quando dopo la cena tutti i miei ragazzi, fatta la loro preghiera in comune si misero tutti a dormire in un gruppo intorno al chierico Morka, e lasciarono in pace tutte le schiave che ad hoc il padrone di casa aveva fatto venire da altre case.
conferenza segreta col padron di casa. Questo padrone di casa disse a Morka che desiderava [di] parlarmi, e gli feci rispondere di aspettare la mat[tina] [la mattina]; difatti, appena levato venne [p. 177] Morka, e mi condusse fuori di casa al sole; perché in quelle altezze la mattina suol fare molto fresco, anzi direi quasi freddo, discendendo il termometro di Reumur qualche volta all’otto [grado] di calore nei mesi del nostro inverno; io mi aspettava qualche questione del vaivolo, oppure di qualche altra malattia, ma invece fù tutt’altro. Tufa Koriciò invece era travagliato da una preoccupazione in seguito del nostro arrivo, = voi, disse, avete quattro o cinque giovani tutti arditi, jeri hanno passata la sera a parlare di cose di Dio, hanno mangiato molto poco, e la sera mi aspettava di vederli divertirsi colle schiave che aveva fatto venire espressamente, e neanche le vollero vedere; io invece in casa ho continue dispute fra i schiavi di casa, e lo stesso mio figlio non risparmia le mie stesse mogli, e qualche volta la collera mi prende, e quasi l’amazzerei; io penso perciò che voi dovete avere qualche medicina per calmare tutti questi bisogni, cosa dite? =
mia risposta a Tufa Koriciò. = Certamente che tengo una medicina, allora risposi, ma questa medicina non è fatta per voi, perché non siete cristiano; voi vi lagnate dei vostri schiavi, e dello stesso vostro figlio, ma voi avete torto, ed essi hanno tutta la ragione, perché voi dovete raccogliere quello che avete seminato: voi avete preso una moglie, e non bastandovi ne avete [p. 178] ancora aggiunto una seconda ed una terza, e dopo queste avete delle schiave riservate per voi, non è vero? i schiavi ed il figlio sono uomini più giovani, e vedendo voi ben circondato di donne, benché già di età matura; niente di più naturale [che accada] tutto quello che voi dite. Pd evitare simili disordini Iddio comanda a tutti di contentarsi di una sola moglie; ecco il primo rimedio ai mali da voi citati. Vi dirò ancora di più[:] il moltiplicare le mogli e le donne diminuiscono i figli; osservate, tutti i poveri con una moglie sola hanno la casa piena di figli, e voi ne avete un solo. Iddio Sapientissimo conosce meglio di noi quello che ci conviene, egli proibisce molte mogli affinché il cuore del marito riposi sopra di una [sola], cosa essenziale per aver figli. In quanto alla calma dei miei giovani il rimedio unico è il timor di Dio, il quale /110/ proibisce di accostarsi ad altre donne fuori della propria moglie, e proibisce ancora di più l’amarle e desiderarle, e qualunque altro atto turpe, perche debilita la forza generativa, oltre [ad] altri mali.
altra istanza di Tufa Koriciò. Tufa Kuriciò ha sentito tutta la mia lunga risposta con ammirabile pazienza tutta propria dei galla, i quali sono per lo più di sangue freddo o flemmatico che si voglia dire, ma nel sentire mostrava un viso di superiorità che dava a conoscere di non essere ancora convinto, [perciò riprese:] = voi avete detto molte belle cose, ma noi già conosciamo le persone venute dal Gogiam[;] [p. 179] essi parlano sempre di una [sola] moglie, ma poi sono peggiori degli altri e noi dobbiamo sempre essere colla nostra lancia in mano per difendere le nostre donne, ma lasciamo questo. Voi non [mi] avete risposto alla domanda che vi ho fatto; io so che avete delle medicine per i vostri giovani, e [certe] persone andate in Assandabo per il mercato mi hanno assicurato di questo, ed alcuni mi dissero che hanno veduto quando l’avete data; dunque io sperava di averne, non per me, ma per altre persone che ne hanno bisogno =
differenza tra Kuttaï e Gudrù. Per non prolungare troppo la storia presente [io] non rapporto la risposta data, bastando il sin qui detto per far conoscere fin dove arriva l’ignoranza e la superstizione dei poveri galla di Kuttaï molto più [spiccata] del Gudrù. Il Gudrù ha idee più vaste per causa del suo gran mercato, e per il passaggio dei forestieri; laddove il Kuttaï è un paese galla più isolato pieni di antipatie per i cristiani del Gogiam. Il Kuttaï passa per un paese barbaro e crudele, perché suol fare delle discese armate, sulle carovane del gran commercio Sud che partono dal Gudrù, passano il Nilo, e vanno a Basso in Gogiam, carovane che qualche volta arrivano a mille e più persone, compresi i schiavi, amazza tutti i mercanti, e si impadronisce delle mercanzie, dei schiavi, delle bestie da soma, e di tutto quello che c’è. Il paese Kuttaï è un paese [p. 180] guerriero molto ardito che vive di rapine in forma di razia; egli non è amico dei forestieri, epperciò ha delle idee ristrette, è ignorante e superstizioso; laddove il Gudrù col favore del suo gran mercato di Assandabo, è divenuto un paese mercante e molto più amico dei forestieri. Alle domande di Tufa Koriciò ho dato risposte evasive nella sostanza, esortandolo a mandarmi qualcheduno di quelli che abbisognano della medicina sopracitata, di lasciarlo qualche mese da me, ed allora avrebbe potuto avere la medicina desiderata; in difetto non poteva darla così; Dal momento che disse che qualcuno ha veduto che io la dava, ho pensato che doveva essere l’amministrazione di qualche sacramento.
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partenza da Tufa Koriciò
arrivo a Tufa Bova.
Terminata questa conferenza secreta abbiamo fatto la nostra collazione e poi con una guida dataci da Tufa Koriciò siamo partiti verso Tufa Boba, dove io contava di restarvi alcuni giorni per istruire. Il nostro viaggio fù [continuato] sempre tenendo l’alto piano, strada molto piana e bella verso il Sud, e dopo circa tre ore di viaggio vi fù una piccola discesa [molto] appena sensibile, e siamo arrivati alla casa di Tufa Boba. Il nostro arrivo per lui è stato una vera festa in tutta la famiglia.
Abbiamo trovato là una bella capanna fatta esclusivamente per me, ed un’altra [un’altra] un poco più grande, ma fatta un poco più alla buona per [per] il mio seguito; con un piccolo recinto da metterci perfettamente in piena libertà. Anche per tutto il resto [p. 181] tutti i preparativi erano stati fatti dietro consigli del mio chierico Giovanni Morka, epperciò io mi sono trovato là come in casa propria, ed i miei giovani poterono installarsi subito per il catechismo alle persone di casa. Io non aveva portato con me il necessario per l’amministrazione dei Sacramenti, ma solo per dire qualche volta la S. Messa, essendo il mio scopo di fare gustare un poco la parola di Dio, e poi ritornarmene.
qualità di Tufa Boba.
profezia di un mago.
sogno.
Tufa Boba era di un carattere affabile ed espansivo, un poco diverso dal carattere fiero e barbaro degli altri di quel paese; egli era un’uomo più civile che guerriero, amava ed era amato dai suoi soggetti, ed era il più ricco di Kutaï. Si è maritato la prima volta all’età di circa 20. anni, ma arrivato ai 27. anni, non avendo [avuto] figli dalla sua prima moglie si è risoluto di prenderne una seconda sperando di averne, ma sgraziatamente anche questa seconda non dava segni di fecondità. Era questo per lui un gran pensiero; dopo il suo primo matrimonio in 12. anni ha visitato quasi tutti i maghi dei contorni prodigando dovunque immensi regali, ma tutto inutilmente. Quando noi siamo arrivati in Gudrù nel suo principio il nostro arrivo aveva occasionato un gran rumore, e si dicevano molte cose in tutti quei contorni. In quella circostanza
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Tufa Boba parlando con un vecchio mago della nostra venuta dissegli queste parole[:] ecco l’uomo di Dio dal quale tu otterrai un figlio; dopo che ha sentito questo, egli si mise in capo una simile idea, e non molti giorni dopo ebbe un sogno di questo genere che lo confermò sempre più. Di qui naque il desiderio di questo Signore di avermi qualche giorno presso di se, e per questo fece molti passi per vie indirette, senza però mai manifestare, ne la profezia del mago, ne il sogno avuto. Io che non desiderava altro che trovare persone disposte a ricevermi, appena ho avuto qualche giorno ho risolto di andarvi, inscio dell’occorso, altrimenti forse avrei lasciato.
/112/ Tufa Boba spera di avere un figlio colle mie preghiere. Appena passarono alcuni giorni, Tufa Boba non ne poteva più, ed incomminciò [a far] sortire il suo affare al mio chierico, e questi più fervente di me, ed armato di una fede più viva della mia, seppe tanto dire, che dopo molte negative di entrare in simile affare, ho dovuto risolvermi di sentire questo Signore; venne difatti e mi raccontò la storia narrata sopra, aggiungendo di più la ripetizione del sogno nella notte precedente il mio arrivo da lui. Gli ho fatto molta morale del genere di quella fatta a Tufa Koriciò, sopra narrata, cosa che soleva fare a tutti [i] ricchi galla, per lo più [p. 183] più ricchi di mogli che di figli; egli mi prometteva che avendo un figlio avrebbe fatto tutta la sua casa Cristiana; m’accorsi allora che il mio Morka, o ispirato da Dio, oppure ingannato dal suo falso zelo, già aveva dato qualche speranza, ed io avrei perciò dovuto battermi non solo contro Tufa Boba, ma ancora contro il mio chierico.
un gran dubio di conscienza per me. La questione era a prima vista di tutta semplicità, perché si trattava solo di dare qualche cosa di benedetto, come una medaglia, o cosa simile, la quale servisse di titolo a Dio per fare una grazia, o mezzo miracolo a questo povero galla, cosa che altrove in paese cristiano [non] avrebbe incontrata nessunissima difficoltà, ma che nell’immaginazione di quei poveri oromo galla, attesa la loro abitudine superstiziosa avrebbe potuto in qualche modo essere considerata come tale. La profezia del mago sarebbe forze, diceva trà me, [sarebbe forze] da mettersi vicina a quella famosa di Balaam? e i sogni moltiplicati non potrebbero forze confermare l’abitudine superstiziosa di questa gente per l’organo del mio ministero? Per una parte certamente Iddio può parlare a questi pagani servendosi della lingua e dei mezzi da loro conosciuti per uno scopo retto di avvicinargli alla fede; per altra parte poi [p. 184] la paura di confermare quei pagani nelle loro superstizioni, e quella sopratutto di essere di scandalo agli stessi miei allievi, i quali in seguito avrebbero potuto abusarne mi spaventava; ma per un’altro riguardo la viva fede del mio Morka mi strascinava a farlo: questo fervente chierico presentava una certezza che Iddio avrebbe fatto certamente questa grazia a Tufa Boba per il bene in grande della missione, come già la vedesse fatta, ed io in presenza di questa sua persuasione figurava come un mezzo incredulo.
risoluzione presa;
mie parole.
In vista di tutto questo ho risoluto di non ostinarmi di più, ed ho preso la risoluzione di fare qualche cosa che servisse per una parte d’istruzione, e che non avesse nel tempo stesso l’apparenza di tentare Iddio colla pretenzione di un miracolo. = Caro Tufa Boba, dissi tu non hai figli, perché finora il tuo cuore non ha riposato sopra [sopra] una moglie
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sola, ed hai incominciato dalla gioventù ad abusare di queste cose; le forze vitali del uomo sono limitate, ed abusandone finiscono per indebolirsi, e l’incontro della moglie diventa una cosa fredda, essendo il cuore per lo più sospeso da altri amori che non fruttano, ed è per questa ragione che Iddio concede al uomo una sola moglie, affinché tutto il suo cuore sia con essa.
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Senti dunque come devi fare: tu devi passare d’accordo colla tua prima moglie, perché solamente quella avanti [a] Dio è la tua vera moglie, [che] tutti [e] due passerete un mese in perfetta astinenza dalle donne e da essa stessa, facendo ogni giorno una preghiera che ti insegnerà il mio chierico Morka, passato questo mese di stretta astinenza, allora passerai un’altro mese con essa sola e non con altre. Con questa sola condizione io di darò una medicina, e la darò anche ad essa da portare al collo, e con questa potrai sperare di avere un figlio. =
Tufa Boba acetta il partito, e parte contento. Tufa Boba fù contentissimo di questa mia parlata, solamente fece qualthe difficoltà sulla scielta che io ho fatto della sua prima moglie, come persona che contava già quasi 15. anni di sterilità; ma avendogli risposto che trattandosi di ricorrere a Dio bisognava pensare di mettersi in regola seguendo l’ordine del matrimonio da Dio stabilito prima di tutto per non mettersi in opposizione con lui, al quale in quanto alla possibilità è perfettamente eguale fecondare la prima moglie, o la seconda, oppure una terza ancor più giovane [si capacitò]. Allora egli partì contento dicendo = io dunque non mi accosterò più ad altre, e vado [d]alla mia prima moglie e combinerò con essa [p. 186] tutto quello che mi avete detto; combinata ogni cosa con’essa, verremo qui ad assicurarvi della nostra ubbidienza, e per ricevere la medicina promessa = Difatti venne l’indomani Tufa Boba colla prima sua moglie e rinnovarmi la promessa giurata di osservare a puntino la prescrizione che loro aveva fatta, come sopra, ed io ho consegnato loro una medaglia miracolosa cucita dal mio Morka in un pezzo di marochino rosso in forma di un talismano di uso, e così se ne partirono contenti.
la moglie di Tufa [con] da alla luce un figlio maschio;
grandi feste.
Per finire la storia di questo fatto e dispensarmi dal ritornarvi, con tutta brevità dirò che passarono circa 40. giorni, Tufa Boba mi mandò un corriere dopo il mio ritorno in Gudrù, per annunziarmi che la sua prima moglie si trovava incinta, e mi raccomandava di pregare affinché [il nascituro] fosse un figlio maschio, pregandomi di acettare un bel bue a questo scopo. Passarono appena i nove mesi; ed ecco un secondo corriere con altri regali molto maggiori per annunziarmi il grande avvenimento della nascita di un figlio, il quale portò il nome monumentale di Dinchi Wacajo [= il meraviglioso Dio]. Fu questo un’avvenimento,
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il quale mi cagionò in seguito molti disturbi di questo genere, e tanti che alla fine stanco, ho dovuto rinunziare, ed il mio chie‑
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rico Morka, prendendo motivo da ciò per catechizzare egli solo si recava [dagli interessati] e colle esortazioni mie che aveva imparato da me facendo il dragomanno, ed a mio nome ha avuto dei grandi risultati simili. Egli diceva di fare tutto a mio nome, ma io confesso candidamente che Iddio in ciò fu molto liberale [con lui] in virtù della fede viva e senza ragionamento, di questo ammirabile giovane, di cui vedremo sempre in seguito [essere stato] l’anima del mio ministero.