/77/
10.
Prodotti: cocciò, canna, caffè, coriandro,
cera, palma, papavero, vite, muschio.
Io poi nell’impegno in cui sono di dare un’idea di questo paese così particolare e misterioso in tutto non posso dispensarmi da una breve descrizione del suo sistema agricola, e delle piante che occupano la maggior parte della superficie del suo terreno. la pianta del cocciò La prima di tutte le piante di Kafa è il così detto Cocciò, pianta della famiglia dei mosacei, come quella che occupa, forze un terzo del terreno di Kafa, e che da il pane alla sua popolazione. descrizione della pianta cocciò È questa la più grande fra la famiglia [p. 819] dei musacei, e quando una pianta è ben sviluppata, il suo tronco, se pure così posso chiamarlo, una persona non può abbraciarlo. Ho detto[:] se così posso chiamarlo, perché ciò che si direbbe trunco non è che la raccolta delle foglie, come [di] un cardo, la cui foglia parte dalla radice. Una foglia di una pianta di Cocciò nel suo sesto anno, incomminciando dalla radice sino alla sua estremità superiore conta almeno tre mettri di lunghezza, dei quali più di un mettro è pura costa, senza ali verdi, la quale come una foglia di un cardo si combacia colle altre, e ne forma il tronco; il resto poi quasi due mettri lungo, mette le ali verdi, e va diminuendosi la costa, prendendo l’apparenza di una vera foglia lunga due mettri, e larga un mettro nel suo centro. Quando sopragiunge una gran pioggia, se una persona di Kafa può avere una di queste foglie si corrica per terra in luogo secco, e con quella foglia sopra si ripara in modo, che neanche una goccia arriva a lui.
uso di questa pianta Conosciuta la pianta espongo ora come si fa il pane. Una donna seduta vicino alla pianta taglia una foglia a fior di terra, e poi gli fa passare da capo a fondo il coltello, ed apre la costa in tutta la sua lunghezza, e ne raschia il glutine sopra una pelle, oppure dentro un vaso. Così tutte le foglie sino all’ultima dell’ex pianta. [Ciò fatto] [p. 820] Ciò fatto, e preparata una piccola pozza sufficiente per contenere il glutine di tutta la pianta, oppure di due o più piante, dentro ben guernita di foglie, si mette tutto quel glutine dentro, e si chiude con una pietra, oppure /78/ anche con della terra, e si lascia fermentare anche sei mesi, e non meno di tre mesi. come si fa il pane di cocciò. Quando si estrae pren[de] l’aspetto di una pasta bianca, che si direbbe di fior di farina; ma siccome ha molti peli, anche lunghi si tagliuzza in piccoli pezzi e poi di nuovo si rimpasta, se ne fanno grosse pagnotte larghe mezzo mettro e spesse quattro o cinque centimetri; si fa cuocere sulla piatta forma, ed ecco il pane ordinario di cacciò, bellissimo a vedersi, ma avente un’odore disgustoso per chi non è accostumato. Un pane della grandezza sopradetta, tributo ebdomadario di uno schiavo, è talmente pesante, che un’adulto stenta [a] portarlo. Il kaficiò, accostumato a questo pane così pesante, quando mangia del pane di grano, non provando nel ventre questo peso, è mai sazio, ha sempre fame.
qualità di questo pane. Questo pane, in eguale volume, benché più del doppio pesante del pane di grano, pure non è indigesto, anzi molto facile a diggerirsi; solamente nutrisce poco, avendo sempre ancora una quantità di peli, i quali nella digestione non si sciolgono, [p. 821] ma passano in secesso tali [e] quali, di modo che gli escrementi, stati lavati dalla pioggia, dopo qualche giorno presentano un pugno di peli bianchi, come barba. altri usi della pasta. Le persone ricche, prima di fare il pane, sciolgono la pasta in una piccola quantità d’aqua, la passano ad una tela, ed aspettando di nuovo che si condensi asciugandosi, fanno il pane senza questi peli; oppure ne fanno una pasta tagliuzzata, come le nostre paste, e cotte nel butirro non sono cattive. Io [non] ho mai potuto mangiare il pane di cocciò, ma ho mangiato più volte di queste paste fritte, e mi sono trovato benone.
bontà della radice; utilità di tutto il resto. La radice della pianta del Cocciò, bollita come le nostre patate, non si distingue dalle medesime, anche per il gusto, e se ne possono fare gli stessi usi come [del]le patate nostre. La radice ha più sostanza nutritiva dello stesso pane; io ne ho mangiato più volte accomodata colla carne, oppure fritta col butirro, e l’ho anche amata molto. Tutto il residuo della pianta serve a qualche cosa, e niente si perde; la costa della foglia, dopo levato il glutine se ne fa delle corde, delle legacie per la costruzione delle case, ed i schiavi se ne fanno delle vesti. Le ali verdi della costa, [p. 822] tagliata in piccole liste, e seccata si fa il matarasso per il letto, ed è molto morbido; è anche un preservativo dalle pulci. Io poi mi sono servito di questa foglia come di carta o papirus per scrivere in mancanza di carta.
La pianta del cociò è mangiata dai poveri anche nei [primi] quattro anni, ma non è matura che nel sesto anno. il cocciò nel settimo anno. Nel settimo anno cacia fuori in mezzo un bastone, in cima del quale produce un frutto come un /79/ cocco delle indie pieno di semi simili ai lupini; dopo questa produzione la pianta muore naturalmente, e se ne ricava più poco per la parte mangiabile, bensì per tutti gli altri usi sopra indicati. Per questa [ragione] la pianta del cocciò non si lascia oltre i sei anni. Seminandosi il grano si ottiene una pianta selvagia, meno buona per mangiare. il cocciò non si semina, ma si pianta Per propagare il cocciò domestico [gli agricoltori], non si servono della seminazione, ma lo piantano. Per ottenere i piantini tagliano una quantità di piante nel terzo anno a for di terra; e coprono di una pietra il restante, affinché non possa alzarsi il germe di mezzo. Allora la pianta getta fuori dei figli intorno, i quali fanno radice a parte, e dopo un’anno questi sono piantati a distanza [p. 823] di più di un mettro l’uno dall’altro in circonferenza. Una pianta tagliata produce da 15. 20. o 25. piantini. Ecco in tutto descritto il sistema [di coltura] praticato riguardo a questa pianta.
il nutrimento del cocciò Questa pianta forma il nutrimento principale del uomo di Kafa, anche ricco. A questo nutrimento aggiunge carne e birra in quantità; perché tutti i grani sono consummati nella birra, eccetto i legumi, come fave, ceci, lentichie, i quali servono come companatico. I ricchi bevono idromele, e minor quantità di birra. I poveri non trovano ordinariamente idromele, e trovano in minor quantità [la birra]. Ciò non ostante la razza è abbastanza forte e sviluppata, prova che il nutrimento è sufficiente. i vermi in Kafa. Solamente il kafino ha sempre la sua pancia molto sviluppata, come una donna gravida di alcuni mesi. Il kafino, oltre il verme solitario, come, anzi più degli abissini, e dei Galla, ha poi un gran deposito di vermi ordinarii nel suo ventre, e muojono anche molti per causa di questi, oltre a tanti altri incommodi. Io attribuisco questa quantità di vermi al cocciò. Una signora ammalata, per mancanza di calomel l’ho trattata tre giorni interpolati con buona dose di olio di ricino [p. 824] fatto estrarre nel paese; dopo la terza volta l’ammalata ha dato per secesso un grosso catino di vermi, cosa mai veduta in paese, ed [d]allo stesso medico. Dopo un giorno l’ammalata se ne ritornò a casa come una sposa di contentezza. Se questo fatto mi fosse accaduto qualche tempo prima avrei forze salvato il P. Cesare, morto di questa malattia, e dopo morte gettava ancora vermi, come vedremo a suo tempo.
le siepi vive in Kafa. In Kafa [vi] è come una legge antichissima del paese, la quale obliga tutti i proprietarii a tenere chiuse le loro proprietà con una siepe viva. Lo stesso Re osserva gelosamente questa legge nelle sue proprietà; gli stessi publici pascoli del governo, ancorché abbastanza vasti, massime in Bonga, come luogo di mercanti e di forestieri, sono chiusi con un guardiano alla porta, il quale riceve tutti i bestiami abbandonati a se, e /80/ gli restituisce al padrone mediante una piccola retribuzione. strade impraticabili. In seguito a questa legge, le strade di Kafa diventano quasi impraticabii, perché nei due lati vi sono sempre le siepi vive che le rendono sombre, [cioè, buie] e le privano del sole, epperciò nei piani fangose sino al ginocchio per causa delle grandi pioggie, e nelle discese l’aqua rodendo, diventano come fossi, ben soventi molto profondi. Le strade di primo ordine sono larghe al più quattro mettri, di secondo ordine larghe tre mettri, di terzo ordine solamente due.
Le siepi sono di euforbie abissine quasi in contatto, oppure di una spina arborea [p. 825] detta in paese Wallensu con delle spine come grossi chiodi. Queste siepi si innalzano come alberi, e possono trattenere un’armata. Come poi le siepi non sono solamente sui confini delle proprietà ma anche nell’interno delle medesime, divise in molti compartimenti per le diverse famiglie di schiavi ai quali sono date per la coltura, e per separare i pascoli interni dalle terre coltiv[at]e. Bisogna dire perciò che queste sole siepi nel paese aggiungono una gran quantità di alberi da accrescere l’attrazione pluviale.
gran quantità di canne straordinarie. Debbo parlare qui della canna, come pianta che occupa una parte notabile del terreno di Kafa, e serve colà come materiale quasi unico nelle costruzioni delle case. Esiste colà la canna ordinaria dei nostri paesi in gran quantità, ma di questa non ne parlo, come cosa conosciuta da noi. Quella che merita una memoria speciale è una specie di canna di una grossezza tutta straordinaria, e direi quasi unica. La grossezza più ordinaria di queste canne è di dieci centimetri; queste servono per le costruzioni delle case, motivo per cui le case di Kafa sono le più belle e le più eguali; queste canne unite e ben impiastrate, e colorite di bianco, si direbbero veri muri nostri. Nelle altezze sopra Bonga, siano [le canne] di questa stessa specie, oppure siano esse [p. 826] di un’altra specie non potrei ben assicurano, ma queste sono talmente grosse che il vano interno passa[no] notabilmente il diametro di un palmo; secchie ed alveari di canne. queste rimpiazzano tutti i vasi di casa, sia per l’aqua, sia per il latte, sia per il miele; un nodo di esse, le più grandi è [della dimensione di] una bella secchia ordinaria. Queste più grandi servono anche come alveari; due nodi di esse possono albergare una gran famiglia di api; sono commodissimi, perché l’alveario, diviso in due stanze con una semplice comunicazione, quando si vuole prendere il miele da una parte, si leva il coperchio di testa, si soffia dentro il fumo, e le api passano tutte nell’altra stanza per lasciar prendere in pace la metà del miele; così un tempo dopo si fa la medesima operazione dalla parte opposta. E inutile dire /81/ che sia la lunghezza dei nodi, sia lo spessore delle pareti è sempre in proporzione per renderle forti, e resistenti.
origine e nome del caffè. Un’altra pianta più caratteristica, e tutta propria del paese di Kafa è il caffè, il quale pare che prenda persino il suo nome da Kafa. Lascio la questione ad altri più in caso di finirla, se cioè i mokesi abbiano il merito d’averci dato [per] i primi [p. 827] l’uso del caffè; come altresì quella, statami data dagli stessi mokesi, se cioè la pianta del caffè sia stata portata dai mercanti da Kafa, il di cui commercio è stato sempre per i secoli addietro nelle loro mani; perché altrimenti avrei l’aria di esaggerare. il caffè in Kafa è pianta spontanea. Stando solo a ciò che ho veduto io, il certo si è che Kafa è forze l’unico paese del mondo, dove il caffè sia una pianta spontanea del suolo, dove non ha bisogno di essere coltivata, trovandosi essa nei boschi, dove si trova la migliore qualità di caffè. Oggi si trova il caffè piantato vicino a quasi tutte le case di Kafa; io stesso nei due anni che vi sono rimasto ne ho fatto piantare circa tre mille piante in Sciap pensando di fare una piccola sorte alla missione, se non altro per somministrarne alle case dei paesi Galla. Ma io stesso ho dovuto mandare a raccogliere le piante nei boschi, dove solo si trovano.
il caffè della foresta Talmente il caffè è amico dei boschi, che i gran Signori di Kafa, volendo averne del migliore, per averne del fresco ogni giorno preso sulla pianta, questi nei loro gran terreni hanno un compartimento separato da siepe, dove si vede una piccola foresta di alberi, all’ombra dei quali [p. 828] il caffè nei boschi suol nascere, crescere, e produrre, e là in quella piccola foresta essi trovano il loro caffè migliore. Non è già che una pianta di caffè tutta sola non possa esistere, ma d’appresso la tradizione di tutti quei paesi, incomminciando dall’Ennerea, le gran produzioni di caffè migliore e quella dei boschi, e secondo le medesime tradizioni il caffè piantato fuori dei boschi va soggetto a delle malattie, cosa che non accade nei boschi, dove esso nasce. Quì conviene notare che il caffè di Ennerea, e di Ghera, secondo la tradizione di quei paesi, è venuto da Kafa.
il caffè coltivato. Posto che ho parlato del caffè, debbo notare qualche cosa sulla diversa specie del medesimo, seguendo in ciò il linguagio del commercio, e degli amatori dei nostri paesi d’Europa. Secondo me, e stando alle osservazioni mie, non vedo specie diversa di caffè, ma tutta la decantata diversità sta nel modo di coltivarlo e raccoglierlo. Se pure vi è qualche diversità da una pianta all’altra, sta trà la pianta nata da se e cresciuta nei luoghi più simpatici, come nei boschi, da quello che è stato piantato dalle mani del uomo, in luoghi meno simpatici. Quello che è coltivato è /82/ più grosso, seguendo in ciò il corso di tutte le piante coltivate; laddove quello nato da se, massime nei boschi, che nel nostro linguagio si direbbe selvagio, [p. 829] quello è molto più piccolo; di gusto però, e [per] finezza aromatica, questo ultimo è migliore di quello. Riguardo a questa qualità piccola vi è una cosa da osservare, che ben soventi è mischiato, oppure si confunde colla schiuma di caffè grosso, la quale schiuma è il caffè non maturo, oppure il grano che ha sofferto. Nei grandi depositi di caffè si purga il caffè, e tutto il rifiuto si vende ad un prezzo inferiore, questo, come caffè degenerato, ha per lo più cattivo gusto; questo caffè di rifiuto guai se si mischia coll’altro, [perché] allora lo guasta.
la differenza sta nel raccoglierlo. Ho detto sopra che la differenza delle diverse specie di caffè sta nel raccoglierlo. La maturazione del caffè ha un periodo di parecchi mesi. In Kafa incommincia [a] presentarsi [in] grani di caffè maturo nel mese di Settembre, cresce in Ottobre, ed in Novembre, ma se si volesse aspettare la completa maturazione non finirebbe che in Febbraio. Ora cosa ne avviene? in Settembre, ottobre, e Novembre si raccoglie il caffè che cade da se, perché arrivato alla sua maturazione, e quello è il caffè migliore che è riservato per la loro casa. Passato il mese di Novembre si raccoglie tutto come si trova, per lo più non ancora maturo, e quello è il caffè di commercio molto inferiore. Gli arabi sono gli unici che sanno raccogliere il caffè, e per questa ragione essi mantengono l’onore al caffè detto di Moka, [p. 830] benché nella sostanza sia lo stesso caffè degli altri paesi. La ragione per cui gli arabi lo raccolgono bene è perché essi amano di utilizzare il guscio del caffe, bevendolo a preferenza della grana. Il guscio non è buono se non è rosso, cioè arrivato alla sua maturità. Io stesso ho provato questo coll’esperienza; il guscio è migliore della grana, ma quando è fresco e ben maturo; se non è maturo vale niente; anche maturo bisogna saperlo conservare, cosa molto difficile, i soli arabi sanno conservarlo, perché nei miei viaggi da Massawah a Aden, sia in Hodeida che in Moka fuori stagione ho gustato il caffè fatto col guscio, ed era buonissimo.
il commercio del caffè Vo[glio] terminare la descrizione di questo articolo del caffè con dire qualche cosa del suo commercio. Il caffè sarebbe un vero tesoro per Kafa quando vi fossero strade per un facile trasporto, cosa che sgraziatamente manca in tutti quei paesi. In Kafa si calcola il caffè per il consumo indigeno, essendo colà tutti assuefatti a prenderlo da tempi antichissimi, forze molto prima che il medesimo fosse stato conosciuto nella nostra Europa; ma come ognuno può procurarselo senza comprarlo, appena si può dire colà un’oggetto di mercato, e ben soventi si /83/ cangia col grano a misura eguale. Un gran mercante di schiavi, di avorio, oppure di muschio, egli compra qualche carico di Caffè per il suo bisogno di viaggio, e per qualche regalo ai Galla dove passa la notte, o per facilitare [p. 831] alcuni passaggi più difficili, ma non per vendere; caffè, cera, coriandro, è commercio di poveri. è questo un piccolo commercio dei piccoli mercanti, i quali trafficano sul caffè, sulla cera, e sul coriandro. Trovandomi in Lagamara, quando un giovane inclinava al commercio, senza capitale, io l’aiutava a comprarsi un’asino, con quello andava a Kafa come servo di un’altro gran mercante per mangiar pane, ed aver qualche sale; arrivato là col sale guadagnato colla sua fatica, e colla fatica dell’asino affittato, si comprava un bel carico di caffè con qualche pezzo di cera; con quel carico di caffè andava in Gudrù e lo vendeva qualche volta [per] tre talleri di Maria Teresa; così pagava il suo asino, e poi faceva subito un secondo viaggio. Ma un viaggio [per] andare e venire costa almeno un mese di tempo, e calcolato l’asino e la fatica sua il profitto è molto poco. Per questa ragione in Kafa il caffè manca di smaltimento all’estero, e ben soventi [non] è neanche raccolto, quando anche [si consideri che] questo piccolo commercio è ingombrato dalle guerre. Se vi fossero strade e mezzi di trasporti, allora Kafa diventerebbe un paese molto ricco e potente, ed anche la raccolta, e la coltivazione sarebbe attivata.
il coriandro ed il serpente. Il corriandro è uno dei prodotti di Kafa, e come abbiamo detto del caffè sarebbe molto più coltivato quando vi fosse maggior smaltimento per l’estero, ma sgraziatamente questo articolo è più caro in Kafa del Caffè stesso, e non è un capitale che al littorale, a differenza del kaffè, del quale avvi sufficiente consumo [p. 832] nell’interno dell’Abissinia, ed anche nei paesi Oromo-galla, fra i quali il caffè col guscio è anche un’osservanza superstiziosa; mentre il corriandro è un’arromatico di cucina presso i soli grandi d’Abissinia. Io ne aveva in un terreno, ed ho voluto vederlo quando era maturo, era perfettamente rosso come un piccolo peperone; avendo voluto innoltrarmi dentro fù necesario che andasse prima una persona a caciarvi i serpi; in un piccolo spazio viddi sortire parecchj di questi animali. I serpi lo amano quando è maturo ancora rosso, divenuto secco non è più rosso, ed i serpi non lo cercano più. Il commercio di questo articolo si fa col guscio grosso come una noce, ma in forma di cuore.
commercio della cera Un terzo commercio dei mercanti poveri è la cera, articolo di poco consumo nell’interno, dove non vi sono delle Chiese; benché anche le Chiese d’Abissinia se ne servino solo per far lume. Stando alla quantità del miele, la cera sarebbe molta, ma è sciuppata nei lumi delle case, e delle poche Chiese di Kafa, come già si è detto. Gli abissini purgano la /84/ cera facendola [p. 833] come si purga la cera. bollire coll’aqua, e poi colandola con uno stracio per separarla dalle materie estranee; essi ne perdono molta con questo sistema. In Kafa invece hanno un processo più semplice; essi riempiono un vaso di [di] cera bruna, lo chiudono con una specie di tela setacio, e poi capo volto in un buco, dove in fondo esiste un recipiente, e sotterrato col dorso un poco fuori gli accendono il fuoco sopra, ed in breve tempo tutta la cera purissima cola nel recipiente, restando le sole materie estranee nel vaso. In molti paesi galla la cera brutta tal quale è abbruciata in un piatto, e [non] se fa nessun conto.
le palme e le stuoie. In Kafa esiste una quantità tale di Palme o datolieri selvatici, che se questa pianta fosse coltivata da produrre e maturare i suoi frutti, basterebbe per mantenere il paese. Produce dei grapoli enormi, ma quando i frutti sono a mezza portata dallo sviluppo restano così e cadono, come arriva in molti altri paesi, dove la coltura non è conosciuta. L’unico lavoro che se ne fa sono le stuoje. Il kafino lavora così bene queste stuoje che di buon diritto devono stimarsi le più belle; sono molto più belle di quelle che si vedono sui litorali [p. 834] dell’africa e dell’arabia nel golfo di Aden e di Persia. Se ne fa un gran commercio per tutta l’Etiopia, ma non arrivano sino al mare. Alcune sembrano vere stoffe, tanto sono fine e variopinte in vivissimi colori! La parte più tenera e quasi interna del germoglio, ben aggiustato in Kafa è un boccone squisito. Lo stesso [si dica] del germogli[o] della canna di specie grossa prima che sia sortita al contatto dell’aria. Vi sono di quelli che coltivano la palma e queste canne come noi usiamo di coltivare i spar[a]gi.
il papavero, e l’oppio ricavato. Si coltiva in Kafa il papavero in sufficiente quantità, ma non per cavarvi la morfina o l’oppio, ma semplicemente per il seme da loro mangiato in giorno di digiuno. Io [vi] ho cavato dell’oppio in due o tre maniere diverse. 1. facendo delle semplici incisioni sotto la coppa del fiore quando stava per aprirsi, raccogliendo l’umore simile al latte con un cucchiajo, e poi facendolo semplicemente seccare. 2. Tagliando tutta la testa del papavero e spremendola come sopra, e fattala seccare. 3. Colla bollitura di tutta la pianta, poi spremendo il liquido, e facendo consumare questo sino alla coagulazione. Così io otteneva un’oppio quasi simile a quello che si trova in commercio. Il primo raccolto sotto il fiore era il più potente. Colla bollitura ne ho ricavato anche una quantità dalla lattuga nostra, e dalla lattuga selvatica molto abundante in Kafa.
come si mangia il papavero Ho detto che i kafini mangiavano il seme di papavero nel digiuno, ed ecco come lo preparavano: macinavano questo seme [p. 835] sopra una /85/ pietra aggiungendogli qualche goccia di olio di nug, e lo riducono come una pasta bianca tutta simile al butirro fresco; più volte ne ho mangiato con gusto come companatico. La prima volta ho temuto la morfina del papavero, ma poi ho veduto che, anche mangiandone una certa quantità, appena poteva accorgermi nella notte, come se avessi preso un calmante, poco presso come mi faceva una buona insalata di lattuga, la quale nelle regioni equatoriali contiene maggior morfina che nei nostri paesi. Dopo avendo provato che questi sonniferi secchi, dati come calmanti, non producevano più tutto quell’effetto che mi aspettava, ho argomentato che anche il seme di papavero così mangiato non aveva più tutta la sua morfina.
ho trovato la vite; la salvo dalle api. Ho trovato in Kafa anche la vite, grazie forze a qualcuno degli antichi Preti. Al mio arrivo questa vite marcava un bellissimo raccolto, ma ammaestrato dall’Abissinia ne sperava molto poco, attesa la gran quantità di api e vespe che si trovavano in quel paese; tanto più poi, che, da quanto mi si diceva, per il passato poco o nulla se ne ricavò. Ho studiato giorno e notte la maniera di preservarla, per ricavarne almeno una piccola quantità. Fra tutti i tentativi fatti quello che riuscì fu l’uso del fumo di sterco di bue secco. Appena perciò incomminciò quest’uva a maturare [p. 836] Vedendo che incomminciavano le api ad invaderla, ho fatto sotto il pergolato un mucchio di sterco di bue polverizzato mischiandogli dentro qualche pezzo di kolqual verde, appena si alzò questo fumo le api e le vespe non si avvicinarono più. Fu per me un vero trionfo, atteso il gran bisogno [che avevo] di vino per le messe. Così ho potuto portare quest’uva alla sua maturità; anzi posso dire che il fumo la salvò dalle pioggiè, che da un’altro campo la minaciavano, ed accelerò la sua maturità, e posso dire che la perfezionò.
ho fatto il vino, e seccato il zebibo Ho ricavato da dodeci a quindeci kilò di uva. La questione principale era quella dei vasi per contenere il vino, e la providenza mi fece trovare poche bottiglie presso i mercanti, che ho comprato subito a prezzo sommo. Con una parte dell’uva ho fatto del vino, quanto poteva ritirare nelle bottiglie che aveva, e coll’altra parte ho fatto del zebibo. Allora, alla presenza di tutti i giovani ho rinnovato le prove, ed esperienze per assicurare la quantità di parte aquea che si esala dall’uva seccando, per conoscere la quantità di aqua che si può aggiungere facendo del vino col zebibo, secondo la teoria già altrove da me descritta quando mi trovava in Gudrù. Verso Pasqua ho potato la vite dividendo l’operazione in due rate, una potandola sul fine d’Aprile, e l’altra [p. 837] nel mese di Giugno: onde vedere, se con ciò mi riusciva di fare ritardare la raccolta di qualche mese per averla nella stagione più secca. Difatti /86/ nell’anno seguente quella che fù potata prima portò la sua raccolta un mese prima dell’altra. Vedendo così ho piantato molte viti.
origine de[l] muschio in Kafa. Fra gli articoli di commercio di Kafa, dopo quello dei schiavi, era quello del muschio; darò perciò ancora un’idea di questo, e poi ritornerò alla storia della missione. Come gli arabi nell’antichità sono stati sempre i monopolisti del commercio in tutto l’alto piano etiopico dobbiamo supporre i medesimi come quelli che hanno incomminciato a coltivare questo ramo di commercio; gli indigeni accostumati a considerare i mussulmani come infami, anche la coltivazione del muschio è divenuta come una cosa immonda. i monopolisti del muschio. Quindi è stata sempre una privativa di detta razza il prodotto del muschio. Questa non è una cosa molto buona, perché i mussulmani sogliono comprarlo più facilmente, ed anche più a buon mercato. Col tempo io sperava di superare questa barriera di pregiudizii locali per incamminare anche i nostri cristiani a coltivare questo articolo di industria, ma le cose non si possono ottenere in poco tempo. Fatto sta ed è che a[l] tempo mio non si contavano ancora 50. case mussulmane, che [che] coltivassero il muschio in Kafa. Col monopolio però di questo articolo, erano divenuti questi tutti gran proprietari, i quali tenevano nelle loro mani [p. 838] tutte le chiavi del commercio di quel paese. Io ne conobbi parecchi, i quali avevano ciascuno più di cento di questi animali. Un gatto muscato il menomo che dia è un’uncia di muschio al mese, ma arriva ben soventi a due uncie. Il prezzo del muschio può arrivare in Kafa a due uncie e mezza ogni tallero, ma ben soventi è a due sole uncie.
col titolo di medicina ho visitato lo stabilimento del gatto muscato Uno di questi mussulmani avendo bisogno di me per una medicina e venendo soventi a vedermi ho voluto prendere quest’occasione per visitare uno di questi stabilimenti dei gatti muscati. Come Vescovo doveva fare questa visita secreta per non contaminarmi in facia dei cristiani non ancora abbastanza istruiti. Mi volle anche molta pena per ottenerlo [il favore] dal proprietario, attesoché in questo affare la superstizione del cattivo occhio è molto forte, e sogliono tenere in ciò un gran mistero: lo stabilimento essendo quasi impenetrabile a persone straniere. Il mio giovane portato da Ghera, detto il mussulmano, ma battezzato secretamente col nome di Gabriele, era il destinato da me per visitare gli ammalati di quella famiglia, e portar loro la medicina a tempo e luogo. Con questa occasione aveva fatto egli in quella casa una gran brecia, colle sue insinuazioni apostoliche nel cuore di alcuni, e massime di un giovane della più intima ed immorale relazione col padrone, il quale appunto sorvegliava lo stabilimento. Con questo mezzo il mio Gabriele poté ottenere tutto quello che io desiderava, di vedere cioè questo sta- /87/ bilimento, come si cava il muschio, come questi [p. 839] gatti moscati sono tenuti e mantenuti, e come sono raccolti nella foresta. Difatti una sera secretamente travestito in compagnia del mio giovane suddetto, ho veduto ogni cosa, ed ho potuto discorrere molto in proposito, ed accertarmi anche delle cose che non ho potuto vedere. Il mio giovane Gabriele poi, il quale in Ghera era stato testimonio me la completò.
cacia del gatto muscato. Ecco dunque la storia che io allora ho potuto scrivere, e che ho conservato sempre presso di me in Kafa sino all’epoca del mio esilio, in cui restò perduta. Questa storia sarebbe troppo lunga, e ne scrivo semplicemente un’abozzo. ll gatto muscato ha le sue epoche di passione, come poco presso arriva nei nostri gatti di famiglia. In questa epoca particolarmente se ne fa la cacia, perché allora più particolarmente se ne trovano molti, insieme, e l’animale si trova in una esaltazione da lasciarsi cogliere più facilmente. Si tendono le reti in certi luoghi; molte persone quindi nei dintorni in giro spingono questi animali al luogo delle reti. Quando la [la] guardia sopra un’albero vede, che alcuni sono entrati nel luogo della rete tira alcune corde, e [le bestie] restano inviluppate. Chi conosce l’animale distingue subito il maschio dalla femina, e lasciando questa in libertà, [e] presenta la buca della gabbia [p. 840] ed entrato dentro [il maschio], se lo porta a casa. Riesce qualche volta di prenderne anche due o tre. Da principio questo animale è molto feroce, ma poi poco per volta, si accostuma di più alle persone che gli danno da mangiare, e gli nettano il muschio. pregiudizi superstiziosi sopra questi animali. Al sentire alcuni, massime i padroni, i quali non amano di lasciare avvicinare persone, dicono questi che questo animale ama una persona pura e senza passione di donne, oppure pratiche anche di uomini, altrimenti si mettono di cattivo umore, e non danno il muschio, ed anche mordono. Io poi ho veduto coi miei occhi che invece stette quieto e si avvicinò alla persona per essere nettato, ma mi parve che la persona giuocasse qualche industria che qui non sarebbe tan[to] proprio riferire. Il mio Gabriele poi, che conosceva molto questa parte in Ghera, dove egli stesso l’aveva esercitato questo mestiere, mi assicurava che tutta quella gente sono tutti porci, e che egli dopo [essersi] fatto cristiano, non avrebbe più potuto fare quello che fece essendo mussulmano.
mio criterio pratico sui medesimi. Dopo tutto ciò, a seconda del mio criterio, io penso che questo povero animale, obligato ad una reclusione senza colpa, ma intanto obligato ad una continenza forzata, riceve in amicizia le carezze compensatrici [p. 841] fatte dai suoi custodi più con animo di mitigarlo dalla sua naturale ferocia, che non per principio di passione per se ributtante. Intanto con questa industria, alcuni custodi, forze più giovani e più inclinati a certe /88/ leggerezze con questi animali, trovano in essi più calma, e maggior quantità di muschio, a preferenza di altri custodi più provetti, e con delle passioni più pronunziate per le donne, oppure per le persone dello stesso sesso a uso mussuIano. Da ciò nasce il linguagio notato sopra dei padroni in favore della supposta purità che domandano questi gatti moscati, o moscadì che si vogliano dire, dei loro custodi. come si nutriscono questi animali Il custode intanto della sessione da me visitata, mi fece vedere la razione di carne che si suol dare a ciaschedun animale ogni giorno; aggiunse quindi, che dopo tre giorni di pura carne, succede un giorno di polenta di orzo fatta con molto butirro ed un poco di carne secca polverizzata, per purgargli. Ogni custode ha circa 12. o 15. di questi animali [d]a custodire, ed ogni settimana presenta al padrone in misura il muschio prodotto. forma della gabbia Mi fece vedere alcune gabbie diverse più grandi per il caso che l’animale fosse ammalato; perché la gabbia in cui erano abitualmente era lunga e stretta in modo che non permetteva all’animale di voltarsi; l’apertura della gabbia dove mangia era più piccola, da quella di dietro, dove si ricavava il muschio e si purgavano gli escrementi. La gabbia era di giunchi ben tessuti a lungo ed a traverso. Mi disse che vi erano altri sistemi di gabbie, ma che la più comune era quella. Quando la gabbia era troppo sporca, allora si faceva passare [p. 842] l’animale in un’altra gabbia stata lavata ed aggiustata. Quindi mi fece vedere alcune gabbie fatto con un solo nodo di canna per gli animali più feroci, venuti di nuovo, ma mi assicurò che queste gabbie non potevano servire che per poco tempo, perché l’animale avrebbe sofferto dal soverchio odore. Mi disse che soventi [soventi] si metteva la malattia in questi animali, la quale ne distruggeva molti; per questa ragione, mi diceva, appena uno di questi animali è ammalato io mettiamo in altro luogo lontano dagli altri.
malatie di questo animale. Sentendo questo, ho creduto a prima vista che fosse l’idrofobia il morbo che gli distruggeva, poiché il custode diceva che [gli animali] ammalati non mangiavano ne bevevano, ma poi mi sono ricreduto; è invece la cattiva carne che gli danno, essendo tutta carne di animali degenerati che gli danno per economia. Per mantenere bene il gatto muscado costa molto [il vitto] di carne e di butirro, e costa molto anche [per le persone] di servizio. altra specie di gatto muscado. Oltre questa specie di gatto muscado, in tutto l’alto piano etiopico avvene ancora un’altra specie ancor più simile alla nostra faina, [animale] il quale s’introduce di notte nelle case in cerca di galline, ovi, e sopratutto di butirro; lascia ben soventi un odore di muschio di diverso genere, odore più ingrato, e quasi insoffribile. Questo in nessun luogo è coltivato, ma se fosse coltivato potrebbe dare anche del /89/ muschio. [p. 843] Parecchie volte i miei giovani ne hanno ucciso, ed ho veduto che il maschio ha il muschio [ha il muschio] alla radice dello scroto, come l’altro. Non so però se abbia la stessa virtù. contrafazione del muschio. Da qualche tempo in quà i mercanti hanno incomminciato ad alterare molto questo articolo di commercio. Aggiungono per lo più del miele, come materia che si rassomiglia molto nella figura. Il trasporto si suole fare dentro corni di bue. Come è un’articolo che ha molta dogana, e non si può nascondere, perché l’odore lo fa conoscere, i mercanti sogliono nasconderlo dentro i pastoni di cera bollita al sole.