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11.
Fine di Abba Dimtu e condanna di Abba Uoldu.
Visioni e profezie. Scandali di Abba Fessah.
affari della missione. Pagato ora questo tributo di storia del paese, facio ritorno a quella della missione. Come il Re aveva publicato che tutte le caste discendenti dagli antichi preti, oppure addette al servizio delle Chiese erano sotto di me, subito da principio, appena io aveva presa la mia posizione ebbi parecchi ricorsi dagli individui di queste caste medesime, per comprendere i quali io mi trovo qui obligato a riferire alcune storie arrivate non solamente prima del mio arrivo, ma prima ancora dell’arrivo del P. Cesare e dell’Abba Jacob. Il primo ricorso toccava la successione del prete gogiamese per nome Abba Dimtu [p. 844] deceduto in Kafa il 12. Gennaio 1853. ricorso presentato dal figlio primogenito del defunto, e dalle sue mogli. Un secondo ricorso mi fu presentato dai parenti di una figlia stata come rapita dal così detto antico prete detto Abba Woldu ancor vivente, accusato di averla uccisa nel 1855.
Per comprendere queste due questioni debbo dire qualche cosa sopra questi due così detti preti. condotta del prete abba Dimtu. Il primo dei due rimase circa venti anni in Kafa, venuto dal Gogiam con sua moglie ed un figlio. Egli era un vero prete del Gogiam, per quanto può essere vero in un paese, dove, non solo l’ordinazione, ma lo stesso battesimo è invalido. Comunque, lasciò il Gogiam e venne in Kafa, da quanto si diceva, perseguitato dai debiti. Venendo, di passaggio in Ghera, fu egli che consigliò al Padre di Abba Magal di farsi mussulmano invece di farsi cristiano. Solamente questo peccato gli bastava per farlo conoscere, e meritargli un gran castigo. Arrivato a Kafa faceva le funzioni di uso al Prete di pura necessità per mangiarvi le propine, ma in tutto il resto era un vero mussulmano, anzi peggiore, perché fu un mago a far comparire il diavolo in persona, cosa mai veduta in Kafa. Non contento di avere molte donne si serviva dell’immunità che godeva il prete in Kafa per abusare delle mogli altrui impunemente. Prese alla fine il male venereo, [p. 845] cosa affatto nuova in Kafa, ed appena conosciuta frà la casta mercante, la communicò a /91/ molte famiglie anche rispettablli della prima aristocrazia. Come in paese questa malattia era una cosa immunda, e considerata come irregolare in un prete, diede motivo ad una forte diceria fra il popolo contro di lui, e quasi che il publico cristiano non lo considerava più come prete.
sua tragica morte nell’Epifania. In questo stato di cose, arrivò la gran storia della sua morte, storia che in Kafa [non] sarà mai più dimenticata; ed ecco la genuina storia come è: Venne la solennità dell’Epifania, solennità in cui la metà di Kafa che si dice cristiana discende al fiume per la solennità del così detto Battesimo, e per la promulgazione della Pasqua, e delle feste mobili, o digiuni dipendenti dalla medesima. In quella circostanza si fa uno steccato forte di legni, in modo che il prete possa sporgere la mano al popolo. Sopra questo steccato si fa un piano, dove il prete vi monta per promulgare la Pasqua. Questo Prete per giustificarsi dalla tacia del male venereo, di cui era accusato, appena arrivato là sopra, spogliatosi di tutte le sue vesti, si mostrò al popolo affatto nudo, mostrando il suo corpo e facendo la sua difesa. Proprio in quel momento passa una famiglia di api, e va a gettarsi sopra di lui; se egli fosse rimasto immobile, nulla sarebbe arrivato di sinistro, ma il miserabile, acciecato dalla collera di Dio, volendo caciare [p. 846] via le api le ha irritate, e più si divincolava più lo morsicavano; discese in terra, sortì dallo steccato, passò frammezzo la moltitudine immensa del popolo come un furioso e matto tutto nudo, come era, ed arrivò, a casa sua già mezzo morto. Visse ancora sino all’indomani e morì. il prete abba Woldu dichiarato erede. Morto che fù mandarono subito da Abba Woldù, l’unico Prete rimasto, affinché venisse a fargli le esequie; ma questi protestò che non sarebbe venuto a nessun atto religioso, se egli non entrava di diritto come erede di tutta la casa del morto, perché diceva, come Prete io sono fratello, erede di tutte le sue donne e di tutta la casa. La questione era affatto nuova in paese, anzi scandalosa, ma cosa farci? ricorsero al Re, e questi si vidde obligato a cedere; così Abba Wuldù diventò sul momento padrone di tutto. La questione rimase senza appello sino al mio arrivo, cioè dal 1853. al 1859.
appello dei figli di abba Dimtu Gli eredi del defunto essendosi appellati a me, ho mandato subito l’ordine ad Abba Wuldu di lasciare la casa del Prete defunto, e tutte le donne dei medesimo fino alla decisione della questione. Gli ho fissato il giorno per la comparsa, affinché si difendesse nella questione suddetta. [In] Più gli ho intimato di venire per rispondere alla questione [della ragazza] rapita e barbaramente uccisa, di cui era accusato. A tutto [ciò] egli rispose che non sarebbe venuto, perché non mi riconosceva come Vescovo ordinario. [p. 847] Vedendo così si unirono tutti i miei e lo costrinsero a venire. Appena arrivato, invece di trattare le due questioni /92/ d’appello gli ho domandato [invece] di che paese era, e come era stato fatto prete. Gli si presentò un libro, ma il povero uomo non conosceva neanche l’alfabeto. Dopo molte interrogazioni egli stesso fu costretto a dichiarare che non era prete, e confessò che era stato schiavo di un Prete del Gurague, fuggito, e venuto a Kafa dopo la morte del suo padrone; risultò in fine, che neanche era stato battezzato, perché in Guraguè i schiavi non si battezzavano. sentenza contro abba Woldu Vedendo così, io l’ho dichiarato come persona che non mi apparteneva. In quanto a me, mi sono contentato di proibirlo di entrare nelle chiese come Prete, ed ho deciso nulla la successione nell’eredità del morto Abba Dimru.
questione della figlia uccisa. Ho voluto sentire la questione della figlia rapita, e stata da lui barbaramente uccisa. Risultò che questo vecchio Abba Woldù trovandosi già con dieci mogli, si era invaghito di una figlia di un suo vicino, e servendosi dell’immunità che godeva come prete, rapì questa figlia, obligando i parenti della medesima a ricevere una paga nominale [p. 848] della figlia, [e] se la fece sua schiava. Un giorno avendola trovata a trescare con un suo schiavo, gli fece legare tutti [e] due nudi come erano, e gli fece mettere sopra la buca di una famigli[a] di formiche dette gondan, delle quali ho già parlato altrove. Quelle due povere creature, obligate a restare là tutta la notte, la mattina furono trovati mangiati vivi. Sentendo questo spettacolo, io l’ho mandato al Re significandogli la sentenza data rapporto all’eredità di Abba Dimtu. Quindi, avendo confessato egli stesso che non era Prete, io mi dichiarava incompetente per la sentenza della figlia uccisa. il re conferma la mia sentenza; assolve abba Woldu. Il Re confermò la mia sentenza, in quanto alla figlia uccisa il Re lo assolse per la ragione che i parenti della figlia, avendo ricevuta una paga, non avevano più diritto di riclamare, essendo essa divenuta schiava, ed il padrone che uccide uno schiavo, non ha che una venia verso il Re. Così finì la questione.
visione di una figlia narrata a sua madre. Debbo qui riferire una storia arrivata molti anni prima del nostro arrivo a Kafa, probabilmente lo stesso anno 1846, in cui fu stabilita la Missione Galla in Roma, stando alle relazioni delle persone che hanno [pro]seguito più da vicino tutta la storia. Fu questa una figlia [p. 849] di circa dodeci a tredeci anni, età in cui incommincia [a] sentire le passioni del mondo la figlia di Kafa molto precoce; andata colla sua madre alla Chiesa di S. Giorgio, ebbe una visione, che raccontò alla sua madre stessa quasi subito dopo colla massima ingenuità e semplicità sua propria. oh madre mia, disse, io ho veduto Jero ogo, cioè it gran Dio, quello che comanda S. Giorgio; vicino a Jero stava la gran Ganni, cioè la gran Signora, oh quanto era bella! ah madre mia! quel Signore bianco come la tela dei mercanti, quello che l’anno passato abbiamo veduto /93/ in Bonga, venuto a prendere la sposa, quel Signore era là, esso l’anno passato non sapeva parlare, ma oggi mi parlava come parlo io; oh quante cose mi disse! egli mi disse che i nostri preti non sono buoni, e mi fece vedere dei preti che non hanno moglie, e che verranno in Kafa. La gran [gran] Ganni venne, mi fece delle carezze... oh madre, oh madre mia, che gran piacere ho provato allora! allora quel Signore mi disse che la gran Ganni voleva darmi al suo figlio, e mi raccomandò molte cose: mi disse di pensare sempre al figlio della gran Ganni, e di non amare altri che lui; oh madre mia! io godeva un piacere che non posso dire; ma in un momento tutto fu perduto, [non] viddi più nessuno...!
[p. 850] profezie sui preti futuri Io non ho riferito tutto, perché, perdute le mie memorie nel 1861., non mi ricordo [di] più. Quando io sono arrivato in Kafa la ragazza era già morta da molti anni, ma le sue profezie erano nella bocca di tutti. Ho chiamato la sua madre ancor vivente ed un fratello della defunta. Essi mi dissero che le visioni furono molte, e le revelazioni pare che avessero per iscopo il viaggio dei nuovi missionarii, dei quali ne parlava soventi. Essa talmente aveva questo in capo, che non amava i due preti vecchj di Kafa; dei quali aveva predetto molte cose, fra le altre la morte di Abba Dimtu. Essa diceva sempre che sarebbe morta prima dell’arrivo dei Preti, come difatti arrivò. Chiamava la morte sua il mio sposalizio col figlio della gran Ganni.
condotta di qu[e]sta figlia. Tanto la sua madre, quanto il suo fratello mi raccontarono cose mirabili della sua condotta; sopratutto una gran riserva in materia di pudore e di castità; appena arrivò ai sette anni nessuno poté vedere più le sue nudità, [compresa] la sua madre stessa; in ciò era inesorabile, cosa molto straordinaria colla corruzione di quel paese; in ciò fu sempre riservatissima sino alla morte. Fu ammirabile in essa l’orrore alla bugia, e la sua mortificazione in tutto. In paese non si conoscevano preghiere affatto, [p. 851] neanche l’orazione dominicale, ma essa pregava, solamente i suddetti non seppero dirmi cosa dicesse. Essa per non sentire o vedere cose meno oneste fuggiva tutte le conversazioni, ed amava piuttosto di lavorare con una vecchia schiava nei lavori di schiavi, come il lavoro del cocciò, a preferenza di altri lavori con persone meno riservate. qual fosse la sua fede è mistero. Benché il paese si dicesse cristiano, pure in esso vi era nessuna idea di Cristo, e della Trinità; epperciò dalla madre e dal fratello non ho potuto ricavare cosa essa conoscesse in materia d’istruzione; solamente parlava della gran Signora e del suo Figlio, come sopra ho detto nella visione.
mie spiegazioni. La condotta morale di questa ragazza [non] lasciava niente a desidera- /94/ re, ma era un mistero per me questo suo misticismo, e le sue profezie in una persona che non ho potuto supporre abbastanza istruita nei misteri essenziali della fede cristiana, e sopratutto dovendola supporre senza battesimo, cosa che non esisteva in paese, se pure d’Abbadie, avendola avvicinata in Bonga non la battezzò, cosa fatta da lui altrove, come già ho notato in Gudrù. Circa questo però, e circa la fede sui dogmi essenziali è da notarsi che in paese non essendovi precedentemente un linguagio di uso, ne essa poté spiegare il poco che sapeva, ne tanto meno le persone che l’avvicinarono poterono spiegarsi a me. [p. 852] Una cosa è da notarsi pure che questa creatura privilegiata, e prevenuta in molte cose dalla grazia del Salvatore fu costante fino alla morte a respingere ogni segno di rispetto ai preti antichi dicendo sempre che il gran prete suo non era ancora venuto. il signore bianco come la tela dei mercanti chi [è]? È curiosa l’apparizione del Signore bianco come la tela dei mercanti veduto l’anno precedente, certamente il Signor d’Abbadie, e ciò mentre egli si trovava allora forze in Gudrù di ritorno, e forze neanche egli pensava ad essa; bisogna dire che nel supposto l’angelo di Dio ha voluto prendere questa figura, come quella che egli era stata più simpatica e nobile per dar peso alle parole sue; forze lo stesso angelo in quel momento lavorava nel cuore del Signore prefato per arrivare allo scopo della lettera scritta alcuni mesi dopo alla S. C. di Propaganda, perché la missione di questa ragazza pareva piuttosto diretta a preparare l’idea della futura missione.
questa creatura sarà salva? Mi resta ancora una questione molto delicata a sviluppare rapporto a questa ragazza così privileggiata, ed è, sarà essa salva? nel caso affermativo, come credo, qual grado di perfezione possiamo noi supporre in essa? La questione è molto difficile, perché in quel tempo in Kafa non esisteva, ne idea di battesimo, ne ministero [p. 853] di esso, e ciò che è più non esisteva neanche l’idea dei due misteri, Trinità, ed Incarnazione. Lasciamo perciò questa questione, perché non sappiamo cosa abbia potuto trovare per via straordinaria. un ragionamento di risposta. Una cosa possiamo dire [di] certo, è la sua condotta tutta straordinaria; transeat in molte cose, dove la legge naturale può essere maestra, ma [e] il mistero della verginità, quale non omnes capiunt da essa custodita così gelosamente? La sua madre assicurava, che essa ai 13. anni incomminciò [ad] avere tutte le sue regole mensili, dunque ha dovuto avere tutte le battaglie che fanno di questa virtù un martirio; ma come ha potuto reggere così virilmente a tutto questo senza aver gustato il calice del calvario e della redenzione nostra? Siamo perciò costretti a confessare che quella creatura ha dovuto trovare dei tesori straordinarii dei quali non abbiamo la chiave nella sua storia. L’angelo supposto da S. Tommaso [d’Aquino] non sarà ve- /95/ nuto per salvarla? Non lo sappiamo, almeno non sappiamo chi sia, se non è quello nominato da essa nella visione.
Lascio ora questo argomento tutto tenero e consolante per passare ad un’altro tutto fiele per me; tale è la vita del missionario, non ha ancora digerito il boccone squisito che Iddio gli manda di quando in quando per consolarlo nelle sue battaglie, che già lo aspetta un’altro di fiele e di malinconie. affare di abba Fessah. La missione di Ghera, che mi si presentava come un giardino seminavo di rose [p. 854] incominciava [a] mettere fuori le spine; se fosse stata solamente la defezione di qualche pianta seccata, sarebbe stata meno male, ma la malatia si spiegò nello stesso giardiniere. Una deputazio[ne] mi arrivò, da Ghera a farmene la più deplorabile descrizione sul conto del Sacerdote stesso da me lasciato in custodia del gregge, divenuto lupo in tutti i sensi, per sbranare le povere pecorelle con orribili scandali. Abba Fessah, antico allievo di Abba Salama, l’ho lasciato in Ghera per pochissimo tempo, onde occupare nominalmente quel posto sino all’arrivo di Abba Hajlù, dopo più di un’anno d’ipocrisia, il primo giorno di libertà, incomminciò subito a dare dei scandali in casa, obligando colle minacie alle sue voglie diaboliche [gli altri], e dopo, fatta la pace coi giovani della corte passavano la notte con lui con grave scandalo di tutti i cristiani, mentre poi di giorno era sempre in giro in cerca di donne. Tutti quei poveri cristiani erano desolati.
una brina sulla missione di Ghera Questo scandalo fu una vera brina sopra la vite [nel mese] di Aprile. Era indispensabile [di] mandare subito Abba Hajlù, ma per farlo partire bisognava intendere la cosa col Re, ed avrebbe certamente ritardata la spedizione. Vedendo così ho fatto partire dello stesso giorno il Giovane Gabriele colla deputazione. Caro mio, gli dissi, tu hai senza dubbio sentito qualche cosa, posso fidarmi di te per mandarti ad Abba Magal, e pregarlo di farmi partire subito Abba Fessah per l’Ennerea? Ciò che mi imbarazza è l’affare tuo, cosa ne dici? È questione di partire con questa gente, e senza entrare nella casa della missione, andare [p. 855] direttamente dal Re, e sbrigato che sarai ritornare al più presto che potrai. In quanto all’affare tuo, lascio alla tua prudenza d’intenderti col Re a tuo riguardo; ora puoi tu fare questo? Padre mio, rispose questo angelico giovane, io [non] posso far nulla che peccati, ma coll’aiuto di Dio, quando voi mi comandate, spero [di] riuscirvi; voi solo pregate per me e sulla vostra parola potrò tutto. Detto, fatto, intesa la cosa colla deputazione di Ghera, partirono della stessa sera: io dissi loro, di partire, e che fra pochi giorni, prese le misure col Re, sarebbe venuto Abba Hajlù.