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18.
Morti dello zio del re e della «ghebrècio».
Persecuzioni e speciosi risarcimenti.
cade infermo un zio del re catecumeno. Eravamo sul principio della Quaresima, epperciò verso il fine di Febbraio 1861. quando si ammalò gravemente un vecchio zio del Re, stato alquanto istruito dal giovane chierico Gabriele, quando si trovò alla corte chiamato dai figli del Re, e dalla Regina. Questo vecchio infermo domandava il S. Battesimo ed i Sacramenti. Come era questo un’atto non solo religioso privato, ma anche, in certo modo diplomatico, se ne passò parola allo stesso Re, [p. 35] ma, come si sa da tutti, il Re passa per un porta bandiera del dispotismo nazionale, ma il poveretto non è più padrone di se di quelli che siano altri individui oppressi. Il povero Re di Kafa avrebbe non solo accordato, ma desiderava di accordare la facoltà cercata dal suo zio morente, ma temeva i veri despoti, epperciò con pena finse di rifiutare al medesimo la domandata facoltà, accordandola poi secretamente con molte condizione di secretezza. il vecchio è battezato e more. L’infermo quindi fù battezzato con tutta la secretezza possibile in una grande famiglia, per non allarmare la turba dei maghi, o dei Sette consiglieri, che erano i veri despoti secreti. Ricevette in seguito colla massima edificazione tutti gli altri soccorsi della Chiesa cattolida e spirò contento.
Non fu possibile tenere secreta la conversione di quel vecchio venerando, e fù un vero trionfo per tutti i cattolici, e sopra tutto per i cattolicizzanti, i quali in Kafa erano moltissimi; senza sapersi come, si svegliò per lui un entusiasmo generale, e tale che nessuno osò fiatare, e ne presero parte gli stessi anti cattolici; di modo ché il pianto di uso fu un pianto di un genere tutto diverso dal pianto pagano di uso, si sarebbe detto [p. 36] una vera scena di Paradiso. Al sentirsi la morte cattolica di questo vecchio della corte fu un vero trionfo universale, e non solo i nostri cattolici, ma tutti i cristiani più vicini vollero intervenire alla sua sepoltura, una gran parte di vero cuore, e per affezione sincera verso il defunto, ma una gran parte anche colla speranza [di ammirare] la cerimonia cattolica mortuaria, cosa molto interessante in tutti quei paesi. Io /152/ guidato sempre da uno spirito di moderazione, per non eccitare l’invidia dei nemici, sempre pericolosa, avrei voluto farla economicamente, ma si risolve la sepoltura cattolica solenne. la popolazione accorsa di tutte le categorie ci obligò a farla con tutta la solennità possibile. Furono chiamati i Preti da tutte le parti, io vestito pontificalmente con mitra, ed i tre sacerdoti in piviale con una quantità di chierici con cotta presentavano il clero funzionante. La salma dentro una cassa che il defunto teneva preparata a questo effetto, con una coperta nera con croce bianca in mezzo e quattro fiocchi agli angoli tenuti da quattro fabricieri delle chiese, per il paese formava un vero spettacolo mai veduto
ordine della processione Dalla casa del morto sino alla Chiesa di S. Giorgio sotto Tadmara, casa del fù P. Cesare, dove il defunto per testamento doveva essere seppelito, [a] quasi due kilometri di distanza, in mezzo ad un mondo spettatore ebbe luogo la processione regolare: Precedevano i catecumeni [p. 37] a due [a] due, i quali dicevano il s. rosario; dopo di loro molti cattolici di tutte le categorie tutti in buon ordine; quindi seguiva il clero, e dopo questo il convoglio mortuario, accompagnato da una popolazione immensa di veneratori ed ammiratori. Arrivati che fummo alla Chiesa di Ghiddi si cantarono le esequie in rito latino con tutta la solennità, di cui eravamo capaci. Ciò fatto noi ci siamo ritirati in Chiesa, dove abbiamo deposto le vesti, e quindi in buon’ordine ci siamo ritirati alla nostra abitazione di Sciap, ed il cadavere fù sepolto dentro una capanna, o casa stata fatta di quella giornata stessa. Ritornando noi a casa, accompagnati sempre da una gran moltitudine, non si possono esprimere le cose sentite dagli ammiratori: non è questa una sepoltura, dicevano, ma [sono] nozze di paradiso che abbiamo veduto.
ho creduto un momento tutto Kafa convertito. Il complesso di questo fatto fece un’impressione tale in tutto il paese di Kafa, che io ho creduto un momento d’avere convertito tutto il paese e di aver vinto tutti i nemici. Difatti certe cose che ancora si sentivano dalla bocca dei maghi e della razza pagana, non che dai mussulmani, cessarono affatto. [p. 38] Dalla corte incomminciavano a venire nuovi catecumeni, ed alcuni pagani si dichiararono cristiani, e si aggiunsero al catecumenato di Baha-Ghiorghis, dove si trovava il Chierico Gabriele, e dicevano a questi che i figli del Re avevano domandato al loro Padre di farlo ritornare alla corte per istruire e che tutti lo desideravano. la missione, dissero, regna in Kafa. Un giorno vennero alcuni mercanti cristiani dalla città dei commercianti di Bonga: La missione cattolica, dissero, oggi regna in tutto il paese di Kafa, dovunque non si parla di altro che della missione cattolica, e dell’Abuna; la sepoltura del vecchio zio del Re ha sorpassato quella dei re stessi; oggi la razza Kaficiò medesima è scossa nel più intimo del /153/ cuore. A tutte queste belle cose, sia lodato Iddio! dissi io, e facia che duri[no] sino al[la] fine.
nascono le spine Ma Iddio non permette tanto facilmente che i suoi apostoli si pascano troppo di questi bei fiori, perché le spine sono fatte per rendergli più preziosi; e per difendergli dal vento s[c]irocco che può seccare persino la pianta. morì la ghebrecio madre del re. Mentre noi stavamo godendo di questa bella fragranza di primavera, eccoci arrivare all’improvviso una tristissima notizia: la madre del Re, la Ghebrecio, quella che molto ci amava, e che ci soccorreva nei nostri bisogni, di pane particolarmente per le turbe di catecumeni che ci opprimevano tutto all’improvviso si seccò questa sorgente: [p. 39] la buona Ghebrecio, colta da non so quale malattia, in una sola notte morì. Questa notizia gettò il Re, la corte, e tutto il paese in un mare di afflizione; essa era tanto amata da tutti per le sue buone qualità, che il pianto sollevatosi non fù solo un pianto civile, come suole accadere nella morte di simili persone altolocate, ma fù un vero pianto. Sopratutto la missione, della quale era madre tenerissima, i poveri, e generalmente tutti gli afflitti avevano ben ragione di piangere, perché essa nella sua alta posizione, avendo tutto nelle mani, e ciò che più importava, possedendo i cuori di quasi tutti i grandi che maneggiavano gli affari, poteva tutti soccorrere, ed anche soffocare le grandi passioni di corte fatali per gli oppressi.
il telegrafo dei cassoni sospesi. Questa notizia mise in sconquasso tutto il paese di Kafa: il telegrafo dei cassoni sospesi agli alberi intimò all’istante il gran lutto regale a tutto il regno, lutto di tre giorni, pendenti i quali, nessun adulto poté più dormire sul suo letto, ne sedersi a tavola per mangiare. Tutti gli impiegati di qualunque genere dovettero partire, sull’istante per la casa della defunta Ghebrecio per il pianto solenne di uso. Lo stesso Re dovette lasciare la sua regia di Anderacia per recarsi alla casa della defunta sua madre per assistere al pianto di uso in mezzo al campo [p. 40] militare vicino alla casa della defunta, e di là dare tutte le disposizioni, e di là, mentre riceveva le delegazioni dei singoli piangenti venuti da lontano, dava poi tutti gli ordini per la sepoltura della medesima.
la mia andata al pianto non ha luogo. L’ordine del pianto essendo stato generale naque la questione, se io dovessi andarvi, oppure rimanere in casa? Tutti i miei di casa erano d’avviso che io dovessi andare, e così pure la pensavano quasi tutti gli oracoli principali nostri cattolici; io invece temendo di dare motivo a qualche publicità, ho preso, invece il partito di spedire direttamente al Re il mio dragomanno e Procuratore Negussiè per assicurarmi da lui stesso sul partito da prendere; difatti mandatolo in meno di due ore ritornò portando con se un gran personagio di confidenza del Re stesso /154/ per notificarmi con tutta segretezza le sue ultime intenzioni: il re mi manda la sua parola. no, mi fece dire il Re, voi non potete venire, perché io non potrei ricevervi, trovandomi circondato dai gran maghi del paese; io, come sapete, di nascita sono cristiano; ma come Re sono pagano, e debbo conservare la mia qualità di Kaficiò pagano in questa circostanza, altrimenti potrebbero succedere gravi disordini. La mia madre defunta essendo cristiana, vi prego di mandare tutti i vostri preti e chierici, affinché faciano per essa tutte le preghiere fatte per il mio zio defunto, [p. 41] ma desidero che queste preghiere si faciano in casa, e senza nessuna publicità esterna; la ragione è che essa dovendo essere sepolta nello stesso sepolcro di mio padre, morto come Kaficiò, potrebbe nascere qualche difficoltà. Così fui privo di vedere quella cerimonia, ma vi andarono i preti e fecero secretamente tutte le preghiere per la defunta nostra gran benefattrice, la quale, benché non sia stata battezzata, lo sarebbe stata se fosse stata più libera, ed in morte ha dovuto desiderare di esserla certamente.
diferenze trà il pianto del p. Cesare e quello della Ghebrecio. Non mi trattengo a descrivere la cerimonia quasi legale del pianto, come cosa già descritta nella morte del Padre Cesare in moltissime cose, onde dispensarmi da una ripetizione; bisogna però notare che quì è questione di un pianto quasi reale, essendo la Madre del regnante, ed avente un’impiego corrispondente alla prima dignità dello Stato, essendo la Ghebrecio l’amministratrice economica di tutte le case del Re, la quale, come madre, era senza resa di conti: laddove il P. Cesare, come Prete, secondo gli antichi usi di Kafa, contava come eguale in dignità come uno dei consiglieri. Epperciò gli usi, benché nella qualità fossero gli stessi, erano però molto più in grande. Mi contenterò perciò di descrivere [p. 42] in breve il campo dove si fece il pianto; quindi pure brevemente la cerimonia della sepoltura della defunta.
si descrive il campo, e la cerimonia del pianto Si supponga un circolo di un kilometro circa; nel centro di questo un’altro circolo di circa 300. mettri, dentro il quale si trovavano tutte le tende reali. Intorno al piccolo circolo del centro stavano ammontichiate o distese tutte le richezze mobili della defunta, in modo che fossero ben vedute da tutti. Il gran circolo poi [era] circondato da soldati a cavallo, incaricati di contenere le grandi moltitudini di popolo venuto al pianto, il quale si estendeva ad una distanza a vista d’occhio tutto l’intorno. Da una parte un grande ingresso di persone che andavano e venivano per prendere gli ordini reali. Dal Re partiva l’ordine, col quale era chiamato un gran capo di provincia con tutti i suoi subalterni impiegati, i quali a cavallo dovevano girare nel vasto spazio trà i due circoli, piangendo, urlando, e scarnificandosi alcuni a sangue. Così uno dopo l’altro chiamati si succedevano tutti [i] gran capi del regno.
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mattina del terzo giorno.
partenza del cadavere per Kafa.
La mattina del terzo giorno si fece la levata del cadavere dentro una cassa ermeticamente chiusa, coperta, con gran lutto, ma riccamente, e portata dai primi impiegati della defunta.
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Sortito il convoglio dalla casa mortuaria, e seguito dalle sue dame, e dalla famiglia, entrò nel campo, del Re, come per congedarsi, e fece anche esso il suo giro, pendente il quale [si udirono] pianti ed urli del Re, della sua corte, e della corte della defunta. Dopo ciò il Re partì con tutta la sua corte, preceduto da soldati, e dopo di lui il convoglio mortuario. La processione camminò parecchie ore per arrivare sino alla cima della montagna detta Kafa, distante circa 15. kilometri, dove esiste il luogo dei sepolcri reali. La sepoltura terminò la sera del terzo giorno.
sciolto il gran lutto
Dopo questo il Re fece battere il telegrafo dei cassoni sospesi, dichiarando terminato il gran lutto, e libero ognuno di mangiare e dormire nel suo letto. Intanto il Re ritornò la mattina del quarto giorno nel suo campo di prima per ricevere il resto del pianto rimasto, venuto da molto lontano, e là vi restò circa otto giorni e poi ritornò alla sua regia di Anderacia, dove arrivato dichiarò la sua prima moglie nuova Ghebrecio della sua casa.
La descrizione suddetta è tale [e] quale mi venne riferita dai miei preti, e dagli altri di casa, i quali viddero ogni cosa. i cattolici volevano i funerali cattolici. Debbo quì riferire ancora ciò che acadde [p. 44] al mio clero, quando questo andò alla casa della defunta per le preci mortuarie; là si, radunarono non solo gli oracoli cattolici, ma molti altri cattolicizanti, e volevano ad ogni costo che per quella defunta si facesse la medesima funzione stata fatta per il zio del Re, attesoché quella donna era di cuore cattolica, morta probabilissimamente col battesimo di desiderio, e forze anche probabilmente avvelenata dal complotto dei maghi, appunto perché ajutava i cattolici. Essi volevano questo come un trionfo del nostro partito; ma i poveretti non sapevano tutto ciò che passò nell’alta diplomazia dei consiglieri in proposito, motivo per cui il Re mi mandò l’inviato, di cui sopra. Difatti, quando il Re seppe ciò che si discuteva dai cattolici coi miei preti mandò subito un messo secreto, e fece dissipare il consiglio. Io, sentito ciò, [non] dissi nulla, ma ho dubitato subito che qualche cosa fosse già in via incomminciato contro di noi.
la pilola amara inzucherata Chi conosce la diplomazia interna di Kafa però sa la somma abilità di quel paese nel indorare la pilola amara per farla inghiottire all’ammalato. Difatti il favore della corte e del governo fù sempre eguale e costante. Morta la Ghebrecio che usava molte liberalità verso la missione, la nuova Ghebrecio, direi quasi che aggiunse [favori] all’antica. [p. 45] La corte permetteva ad alcuni di venire al catechismo, e di prendere il battesimo; alcuni, anche grandi frà la casta pagana veniva[no], impara- /156/ va[no], e frequentava[no] con tutta la libertà. Più ancora dopo la Pasqua del 1861. il governo ordinava la costruzione di una gran Chiesa in Sciap, ed una gran casa per me accelerandone molto il lavoro. Sul fine di Giugno accordava anzi un gran terreno alla missione sul riflesso del gran bisogno della medesima a misura che si moltiplicavano i catecumeni. Sembrava perciò dissipato ogni pericolo, e la missione sembrava veramente trionfare in ogni senso.
una seconda volta il mago dei buda da la medicina Nel mese di Luglio il governo incomminciò una seconda volta l’operazione già riferita altrove contro i budda, o stregoni in una provincia dove [vi] si trovavano molti cristiani, il gran mago che suol dare la medicina delle streghe si recò colà e fece bere la medicina, di cui già si parlò, ad alcuni pagani, e furono provati colpevoli. Tentò quindi di farla bere anche ad alcuni cristiani, ma questi fuggirono a me per esserne liberi. Io fui costretto una seconda volta [di] ricorrere al Re per farli dispensare, e con gran mio stupore fui subito esaudito [p. 46] Il publico vedendo i christiani liberati, ed i pagani provati budda venduti incomminciarono a stupirsi ed esaltare i cristiani perché avevano trovato nell’Abuna la loro salute. Gli stessi pagani incomminciarono a turbe [a] domandare di farsi cristiani. In verità sarebbe stato questo l’ultimo dei trionfi, quando fosse stata una cosa veramente sincera dalla parte del governo.
arrivo di abba Joannes da Lagamara. In quell’epoca, cioè passata la metà di Luglio in circa arrivò Abba Joannes da Lagamara. Passato in Ghera sentì colà tutte le cose mirabili di Kafa; incredibili le notizie che si propagavano cola; si diceva persino che il Re di Kafa si era fatto Cristiano e Cattolico, e che stava per obligare tutta la razza pagana detta kaficiò a farsi cristiana. Abba Joannes venne accompagnato da un giovane mussulmano, antico compagno di Gabriele, mandato da Abba Magal al medesimo. questione di abba Joannes con un mussulmano. Egli confidò ad Abba Joannes il desiderio sincero di farsi cristiano, come ha fatto Gabride, e che a questo riguardo aveva ottenuto anche la permissione di qualificarsi come mio schiavo, come ha fatto Gabriele. Abba Joannes mi raccontò tutte queste cose, e disse di più, come strada facendo ebbe a questionare con un mussulmano fanatico, il quale aveva detto che l’Abuna [p. 47] era venuto in Kafa per regnare, e che a questo effetto teneva 50. fucili in casa per battersi d’accordo coi cristiani. Del resto poi Abba Joannes era fuori di se per [la] contentezza vedendo tanto movimento di catecumeni. Ma mi esortava a prendere le mie misure per distruggere certe prevenzioni che si andavano seminando contro di me e dei cattolici.
/157/ mio piano per la visita ai galla. Per tagliare a mezzo tutte quelle voci che andavano spargendosi ho spedito il mio Procuratore al Re significandogli, come io aveva grave bisogno di partire per qualche tempo per visitare le missioni dei paesi galla, pregandolo di congedarmi per qualche tempo a tale effetto. Per corroborare la mia asserzione, aveva unito Abba Joannes venuto recentemente da Lagamara. Il re mi rispose [con] un vero piangistero dicendo: Padre mio, io ho fatto di tutto per voi, perché oggi volete abbandonarmi? Di quel giorno stesso il giovane mussulmano venuto da Ghera avendo parlato col chierico Gabriele al catecumenato di Baha G[h]iorghis, dove si era recato, ritornarono la sera a notte. communicazioni misteriose. Dopo, appena la casa tutta era a dormire, venne da me il chierico Gabriele a manifestarmi le parole di Abba Magal: figlio mio, gli diceva, io temo che si stia preparando in Kafa qualche cosa contro l’Abuna; [p. 48] tu sai che ti amo, e che ti ho dato licenza di farti cristiano; ora, occorrendo di dover sortire da Kafa; se veramente sei contento di essere cristiano, come credo, non conviene ne a te, ne a me ritornare quì, neanche all’Ennerea, perché i mussulmani non ti lascieranno più vivere, ma devi andare direttamente a Lagamara. [In] Prova che ti parlo da vero Padre, ecco che ti spedisco questo tuo vero compagno, il quale invidia la tua sorte, e dopo la partenza dell’Abuna da Ghera, egli ha lasciato tutte quelle vergogne dei nostri Santoni, ed il suo cuore è sempre stato con te e coll’Abuna; se egli è risolto di farsi cristiano, da questo momento lo dichiaro schiavo dell’Abuna, e potrà partire con tè per Lagamara, o dove anderai.
spedisco un secondo messaggio al re. Al sentire questa rivelazione ho incomminciato a vedere più chiaro l’avvenire che mi si preparava, ma io era legato da una secretezza che io non poteva prudentemente violare agli stessi miei di casa. Ho preso il partito di mandare al Re una seconda ambasciata concepita in questi termini: Signor mio, vi prego di nuovo di lasciarmi partire per Lagamara, dove ho qualche affare gravissimo che mi chiama; mi creda, [è] meglio per me e per voi che io vada, perché con questo gran movimento cattolico io temo [di] darvi qualche disturbo; partendo si raffredderanno le cose e la nostra amicizia si confermerà sempre [p. 49] più; per carità perciò mi permetta di andarmene, in pace. nuovo rifiuto, e lo scuso nel fatto. Il Re sentì questa mia seconda domanda con suo gran dispiacere, e finì per dire che non poteva lasciarmi partire senza prima pensarvi seriamente. Chi leggera queste mie memorie sarà stupito di vedere questa mia seconda ripulsa, più ragionata della prima, e sarà imbarazzato per conciliare la buona fede di questo uomo col brutale esilio avvenuto circa un mese più tardi. Io non voglio scusarlo, ma pure per una certa diminuzione del suo mali- /158/ gno carattere facio notare costituzione del regno di Kafa. una specie di costituzione a cui è legato il Re di Kafa per la quale egli è obligato per giuramento di vita e di morte di non manifestare il secreto delle cose state discusse e decise col consiglio dei Sette, fosse anche alla sua moglie ed al suo figlio. Supposto deciso il mio esilio ad un’epoca fissa egli non poteva, ne direttamente ne indirettamente variare la decisione, ma doveva mantenersi come se nulla sapesse, come il Confessore delle cose sentite in confessione; poteva bensì riferire di nuovo la cosa in consiglio dei Sette per ulteriore decisione.
mie risoluzioni Veduto questo mi sono rassegnato ad aspettare il colpo che venisse; fratanto ho pensato a mettere in sicuro almeno un prete, il Chierico Gabriele, ed il nuovo mussulmano venuto da Ghera. [p. 50] partenza di abba Paolos con Gabriele per Lagamara. Invece di rimandare indietro Abba Joannes, ho pensato di mandare Abba Paolos per custodire provisoriamente quelle missioni del Nord. Ho raccomandato ad Abba Paolos ed ai due giovani compagni suddetti di partire al più presto senza nulla dire nemanco in famiglia, di partire di notte per arrivare a tempo fuori del mercato di Bonga per unirsi ai mercanti, come semplici paesani dei contorni, e di prendere direttamente la via di Gemma Abba Giffare, e schivare tutti i centri dei principati Galla dove potevano essere conosciuti. Essi sortirono tranquillamente; però appena passarono due giorni, quando i nostri cattolici sentirono la partenza di Abba Paolos, e del giovane Gabriele fù un pianto universale e la stessa corte, massime i figli del Re furono inconsolabili, e si lagnarono molto.
impegno del re per le fabriche. Ciò fatto, ho mandato un’altro catechista ad Abba Hajlù a Baha Ghiorghis senza nulla dire, e continuai la mia operazione apostolica, come se nulla fosse. Il Re, dopo il secondo rifiuto, mandò ordini pressantissimi affinché si accelerassero le costruzioni della Chiesa e della casa per me. Quest’ultima fù terminata [p. 51] verso il dieci del nostro Agosto; descrizione della casa. nel paese era una vera bellezza: una casa lunga 40. e più mettri, e larga da quindeci a sedeci. Nei due lati dieci piccole stanze, in tutto venti, quante bastavano per i preti indigeni, e per i chierici. Il salone di mezzo diviso in due, una parte serviva per la mia abitazione, e come refettorio; l’altra poi come sala di udienza. Nelle due teste due absidi aperte sostenute con colonne; una parte mi serviva per la scuola dei giovani, e l’altra per chi aspettava l’udienza. I muri erano di semplici canne grosse come la gamba, tutte eguali e ben unite, poscia intonacate di un fango misto di paglia finissima, e poscia imbianchite in modo che in certa lontananza sembravano veri muri nostri.
inaugurazione della casa. Il Re volle che si inaugurasse con tutta solennità, ed a questo scopo mandò tutto il necessario per la medesima a tutta la numerosa famiglia. /159/ Mandò sopratutto un letto lavorato in legno con molta arte ed anche con qualche scultura; ai quattro angoli del letto quattro colonette, le quali sostenevano una bella tendina. Al vedere tutto questo chi avrebbe detto che quattro giorni dopo io non [io non] mi sarei più trovato in Kafa? [p. 52] eppure fù così; tutta quella liberalità fu tutto un sistema organizzato nel consiglio dei Sette per giustificare il passo che avevano deciso di fare, e per addormentare la publica opinione già troppo inclinata verso la missione. Prima però di passare alla crisi del mio esilio, voglio raccontare una piccola storia curiosa ed interessante, arrivata nell’ultimo mese della mia dimora in Kafa.