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19.
Terrificante vicenda umana di Morka
riscattato e divenuto Abba Joannes.
partenza di abba Joannes per Gabba suo paese. Verso la fine di Luglio arriva da Lagamara in Kafa Abba Joannes antico schiavo comprato in Gondar dal P. Cesare, e poi divenuto zelantissimo Sacerdote, del quale già [ne] ho parlato altrove. Questo Sacerdote, appena arrivato in Kafa, e finito che ebbe di narrarmi l’esito del suo ministero in Lagamara ed in Gudrù, mi sortì la questione del suo paese non molto lontano da Kafa verso il sud-ovest, situato sulle sponde del fiume Gabba, grosso confluente del fiume Barrò, il quale nasce al sud di Kafa, passa sotto le altezze di Affilò, e cangiato il nome in Sobat si getta nel fiume bianco. Questo mio Sacerdote adunque mi domandava di rivedere il suo paese, non tanto per l’amore del medesimo, quanto per farsi conoscere come prete, sperando col tempo [di] poterlo evangelizzare e salvare, se non altri i suoi parenti. Conoscendo io la natura di questo Sacerdote ed il suo gran zelo, [p. 53] per il quale, dove arrivava lasciava qualche cosa di seminato evangelico ho deciso di lasciarlo andare, facendogli però premura di presto ritornare, atteso il gran bisogno [che si aveva] di lui in Kafa, e gli aveva dato al più tre settimane di tempo per ritornarvi.
abba Joannes trova un suo zio, e non lo riconosce.
interrogatorio e procedure.
Partì egli, e buon camminatore, arrivò in quattro giorni alla casa di un suo zio materno che non aveva più veduto da circa 15. anni, prima cioè della sua caduta in schiavitù, vale a dire in età di 13. ai 14. anni. Caro zio, gli disse, non mi conoscete? Chi siete voi, gli rispose il zio? Io sono il vostro nipote Morka figlio di vostra sorella Bela, stata rubata andando [a] comprare del grano in tempo della famina [cioè la carestia], come sapete. Ma tu mi burli, disse il zio, io non ti conosco, e non ti devo conoscere, perché frà noi chi è stato fatto schiavo, se dopo otto anni non ritorna, per noi è come un morto risuscitato, e non è contato più nello stato civile del suo paese. Riconoscetemi per vostro nipote Morka figlio di vostra sorella Bela, e lasciamo lo stato civile da una parte, di cui io non me ne curo, perché
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io intendo solo di farvi una visita, e dopo voi visitare il mio Padre Gajo, e poi ritornarmene al
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mio padrone. Tu hai bel dire, ripigliò lo zio, se tu non avessi detto[:] io sono Morka vostro nipote, io ti avrei ricevuto subito come amico, e tutto sarebbe finito. Ora o che tu sei Morka figlio di Gajo e di Bela mia sorella, ed allora io ti debbo ricevere come nipote, e riconoscerti per Morka primogenito di Gajo, e farti riconoscere come tale, e come devi sapere è questa una gran questione fra noi. Ma via, rispose Abba Joannes, ve lo dico una seconda volta, io non mi curo di essere riconosciuto civilmente, e voglio farvi solo una visita, e poi ritornare al mio padrone.
fu solennemente riconosciuto. Lascio tutto questo genere d’interrogazioni e procedure, perché altrimenti non la finirei più. Basti il dire che alla fine furono convocati tutti i parenti ed amici, [e] fu riconosciuto con gran solennità coll’intervento del Bukù; come il figlio Prodigo, fù fatta una gran festa. Ma ciò che più interessa è che il nostro Abba Joannes, più apostolo che parente, o meglio vero parente, perché vero apostolo, dopo aver trattenuto i suoi congiunti [con la narrazione] di tutte le avventure avvenute [p. 55] nel corso dei quasi 15. anni, cioè dal 1847 in cui fu rubato unitamente a Bela sua madre, sino al 1861. passò il suo tempo ad istruire quei poveri pagani, e partì con averne battezzato alcuni: predica di abba Joannes ai suoi parenti. ah fratelli miei, il vero amore non si trova fra noi pagani, il vero amore non si trova fra i mussulmani; perché il vero amore è una cosa discesa dal cielo, e portato da Cristo sulla terra, epperciò questo vero amore si trova solo fra i veri cristiani, fra i veri figli di Cristo. Noi galla pagani non sappiamo, ne dove siamo, ne dove andiamo; noi sappiamo che esiste un Dio, ma non sappiamo chi sia, dove sia, ne la parola sua è arrivata sino a noi; noi crediamo di essere padroni della casa nostra e del nostro paese, invece il vero padrone è Iddio: noi viviamo sempre in guerra combattendo ed amazzando per un poco di terra o per una vacca, ed un bel giorno, o una malatia, oppure una lancia ci arriva, e colla morte siamo caciati fuori di casa per andare all’inferno nel fuoco per tutta un’eternità, caciati dal vero padrone, come piante inutili e senza frutti, oppure come spine del deserto.
Il mussulmano crede di conoscere Iddio e fa pompa della sua religione, ma che Dio! ma che religione! un Dio di terrore, una religione di catene [p. 56] Fratelli miei, per farvi conoscere la religione mussulmana tal quale essa è basta la storia di tutto quello che è accaduto a me dal momento che ho lasciato il mio paese. corre in cerca di sua madre Io era giovane e senza esperienza sento dai reduci del mercato che la mia madre era stata rubata dai mussulmani, senz’altro, e tutto solo colla mia lancia corro in soccorso della mia cara genitrice nella direzione del mercato medesimo; strada /162/ facendo uno che io credeva un Galla nostro domandandomi dove andava, vado in cerca di mia madre rubata, dissi; mi fa segno di seguirlo, ed io alla buona lo seguo tutto furibondo, disposto ad infilzare colla mia lancia il ladro; prudenza fratel mio, disse, siamo per arrivare, e pochi passi ancora dentro un basso, mi fa segno colla mano, ecco là disse; viddi la madre, ma sono schiavo anch’io appena arrivato viddi la mia madre, ma di dietro uno mi salta alle spalle mi strappa la lancia, e due altri mi legano le mani, ed i piedi, ed un terzo mi mette una briglia che mi entra in bocca che mi impedisce non solo di parlare, ma anche di gridare, allora conobbi che ho trovato la mia povera madre per accompagnarla nella sua disgrazia; ci vedevamo ma senza parlarci, le nostre parole erano le lacrime. Quella brava gente erano quattro mercanti mussulmani.
viagio di notte Quando si fece notte bisognò partire e lasciare la patria, obligati a camminare colla sferza che c’incalzava; [p. 57] dire sono stanco, tutto inutile, il riposo è una verga che vi batte senza misericordia; gridare non si può, perché la bocca è aperta e non si puo chiudere; la mia povera madre cade in un fosso, ed invece di ajutarla a sortire la battono senza misericordia per obligarla a sortire. In questo modo si camminò tutta la notte per arrivare la mattina dentro un bosco oscurissimo, dove ci permisero di riposare, uno lontano dall’altro; là ci levarono la briglia, ma ci legarono i piedi colla corda stessa delle mani, epperciò colle mani legate ai piedi. Tutta la carità trovata fu un poco d’aqua da bere, ed un poco di cattivo pane, tanto che basta per conservare la preda ottenuta, mentre essi mangiavano e bevevano godendosela per l’aquisto fatto. riposo, spoglio, e divisionedelle nostre vesti. Quando ebbero mangiato, e furono ben riposati, andarono tutti [e] quattro verso la mia madre tutti ridenti, e spogliatala delle sue buone vesti, e dopo essersi ben divertiti nel contemplare la loro vittima da capo a piedi nuda come era venuta al mondo senza nessun pudore la coprirono con piccolo e schifoso stracio alle reni. Dopo vennero [d]a me facendo lo stesso mettendo le mani in certi luoghi, dove nessuno mai le mise. Quindi mi coprirono alle reni con un piccolo stracio che si sarebbe detto cavato da un sepolcro; seduti poscia in circolo [p. 58] si dividevano le nostre spoglie. viaggio, ed arrivo alla casa dei nostri ladri Quando incomminciò a declinare il sole ed avvicinarsi l’ora dei ladri, ci sciolsero le gambe e ci rimisero la briglia, ed eccoci di nuovo in viaggio sotto il fischio della verga sulle povere nostre spalle tutte nude, e passammo così il resto della giornata e quasi tutta la notte per arrivare ad un villagio composto tutto di mercanti mussulmani non molto lontano dal gran mercato di Lèca. Là siamo stati ricevuti in casa, ci levarono la briglia e ci sciolsero le mani, ma ci misero i ferri ai piedi. La casa dove siamo entrati era una casa di un /163/ mercante di schiavi, ed io colà non viddi più mia madre, perché essa fu messa colle schiave donne, mentre io era coi ragazzi, solamente ci vedevamo qualche volta di passaggio, e da lontano. Fra tutti quei schiavi molti erano coi ferri ai piedi, come eravamo noi, perché anche [essi] rubati, ed ancora vicini ai loro paesi, come eravamo noi.
purificazioni e preghiera mussulmana. Con tutte queste crudeltà, sappiate, fratelli miei, essi erano mussulmani, e cinque volte al giorno solevano lavare tutte le loro iniquità coll’aqua, e poi adoravano Iddio chiamato da loro Allah, ed il loro profeta Maometto, quello che insegnò [p. 59] il modo di rubare i schiavi, ed a nome di Dio diede loro tutta l’autorità per farlo. Vedere quei ladri crudeli farsi portare l’aqua dai schiavi stessi rubati, e poi alla nostra stessa presenza lavarsi le mani, la facia, e sopratutto quelle parti che noi pagani neanche osavamo nominare, e che facevano per loro il vero paradiso della notte, e dopo tutto ciò mettersi a fare la preghiera e l’adorazione, era per noi una cosa tutta nova. Lascio perciò a voi fratelli miei considerare quale rispetto potevamo noi concepire per questa loro religione! visite dolorose. Ciò che più ancora ci irritava non era ancor questo; venivano mercanti compratori, facevano le loro preghiere coi nostri padroni, e poi venivano a visitarci, e noi eravamo obligati di tutto lasciare vedere e toccare, divenuti vera merce di mercato. Una volta viddi a caso la mia stessa madre obligata a così lasciarsi visitare, mi prese un’ira tale, che se avessi avuto una lancia l’avrei gettata nel ventre di quell’infame, povera mia madre! tali sono i mussulmani...!
Siamo rimas[t]i circa dieci giorni in quei villagio mussulmano nelle vicinanze di Lèca; in questi giorni, alcuni già un poco più tranquilli e senza ferri in certi giorni erano condotti come bestie al mercato, mentre noi restavamo in casa
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perché in pericolo di fuga, o di apello al governo, noi dormivamo coi ferri, ma due giovinastri che non montavano la guardia, sotto pretesto di visita notturna ci facevano ributtanti violenze, mentre alcuni compagni gia addomesticati, erano la sera chiamati dai padroni per il paradiso della notte e trovavano qualche corno di birra per metterli di buon’umore. Nella giornata poi si palesavano fra noi tutti i misteri. Alcuni erano già divenuti più che proseliti nel mestiere, e quasi professori di pantomina notturna...!
partenza per Lagamara;
per Nunnu.
Venne finalmente il giorno della partenza per il Gudrù. Mi furono levati i ferri dai piedi, ma fui legato nella mano diritta con un’altro compagno nella mano sinistra. Passammo il giorno e la notte seguente vicini al fiume Ghiviè Lagamàra, dove ho potuto vedere la mia cara madre e parlargli un poco di trafugo in segreto [per] la prima volta. Nel secondo giorno di
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notte colla luna abbiamo montato la montagna del Tibie, e pernotammo a Nunnu vicino a Tullu Amara.
arrivo a Cobbo
Nel terzo giorno siamo arrivati a Gobbo, dove siamo rimasti due giorni.
In Gobbo hanno voluto metterci di buon’umore dandoci qualche corno di birra stata comprata da una donna mussulmana di Basso, e ci lasciarono [p. 61] liberi, guardati a vista. Là ho potuto parlare più a lungo colla mia cara madre, la quale mi raccontò tutte le sue avventure precedenti. brutto spettacolo veduto. La viddi uno spettacolo che mi spaventò: uno più giovane di me venuto da Gumma non molto lontano da Gabba mio paese alzò lo stracio che lo copriva e viddi il poveretto divenuto eunuco 15. giorni prima, e la sua piaga non era ancora guarita; mi disse che furono tagliati cinque insieme, mi hanno ingannato, disse, sotto pretesto di circoncisione, di cinque quattro siamo come guariti, ed uno non poté più orinare e morì. Fratelli miei, disse, da ciò giudicate cosa sono i mussulmani. arrivo in Assandabo. Partiti da Cobbo di notte colla luna, prima di mezzo giorno già eravamo in Assandabo gran mercato di schiavi di Gudrù.
In Assandabo il nostro padrone entrò in una casa mussulmana situata sul pendio verso il Nilo di fronte al Gogiam. Il Padrone della casa dove eravamo entrati era un gran sensale di schiavi. Là era una quasi continua processione di mercanti compratori del Gogiam che venivano a visitarci, epperciò ad ogni istante dovevamo farci vedere dalla testa ai piedi, [p. 62] spettacolo al quale eravamo già quasi accostumati, e del quale alcuni anzi ne godevano prevenendo anche la curiosità dei compratori. Il Gudrù era l’ultimo paese Galla, ed il nostro padrone, da quanto si diceva, non avrebbe passato il Nilo, epperciò ci avrebbe colà venduti tutti. io tremava per la mia povera madre. Io tremava di vedermi scomparire un bel giorno la mia cara madre, o di essere venduto io all’improvviso senza neanche vederla più, e mi sono raccomandato al sensale padrone della casa per essere venduti insieme. Nel Lunedì seguente siamo stati condotti tutti a quel gran mercato, e siamo stati introdotti in una specie di steccato luogo dei schiavi. Il gruppo delle donne era ad una piccola distanza dai maschi; eravamo oppressi dalle visite dei compratori, ma i miei occhj erano sempre rivolti verso la madre che travedeva in mezzo alle altre schiave, senza occuparmi di me; molti dei miei compagni furono venduti, ed anche molte frà le donne e ragazze, da quanto si diceva, ma nessuno lasciò il suo posto. La sera verso notte siamo ritornati a casa, ma rimasero indietro alcuni dei compagni miei, ed anche alcune donne, ma nulla di certo; ritorno in casa e non la viddi più arrivati in casa domandai subito riguardo alla povera mia cara madre, e mi dissero che non era ancora venuta, e non la viddi più: oh mussulmani crudeli!
/165/ prendo affezione ad un musulmano e mi compra Ho passato tre giorni in continuo pianto, e quasi senza mangiare, ma fu forza rassegnarmi. Un mercante mussulmano, che dimorava nello stesso stabilimento, [p. 63] vedendomi afflitto venne la sera a trovarmi, come per consolarmi; caro mio, mi disse, bisogna rassegnarti, sei schiavo e non potrai più fuggire; per la tua madre non pensa[r]ci più, essa non può andare altrove che a Basso al di là del Nilo; se tu sarai bono io penso [di] comprarti, ed arrivati a Basso farò cercare ancora la tua madre, disposto anche a comprarla. Sentendo queste cose, ho rimesso un tantino del mio furore e malinconia; saranno bugie, dissi fra me, ma intanto dopo la mia schiavitù mai un mussulmano mi fù così cortese, mi lasciai vincere in cortesia, mi lasciai accarezzare tutto come ha voluto, ebbene, gli dissi, siatemi Padre, ed io sarò vostro figlio; egli non cercava altro, mi abbraciò ed io l’ho abbraciato, e passammo la notte insieme. L’indomani fu decisa la mia compra, ed io passai al suo compartimento.
sono colà come padrone Arrivato là mi presenta ai suoi schiavi, ecco disse questo è mio figlio e lo tratterete come tale. Vi erano là ragazzi e ragazze in quantità, mi trovò come padrone, e prendo affezione a quella casa, come fosse stata casa mia. Sono [stato] vestito un poco meglio, e poteva mangiare a volontà. Si trovava colà una figlia venuta dal mio paese, la quale mi amava, ed io l’amava, e sperando [p. 64] di trovare mia madre, io era contento. arrivo a Basso, non trovo la madre. Dopo alcuni giorni arriviamo in Basso nel Gogiam, ma la mia madre non fu trovata, ed [io] era desolato, ma pazienza, ho trovato un padre, diceva fra me, e sarò fedele a lui. Furono venduti in Basso alcuni schiavi e schiave, ma per riguardo mio fu rispettata la mia amica. Con questa, come conoscente della mia famiglia ci amavamo molto, ma ci rispettavamo a vicenda a uso del nostro paese. Essa, vedendo che io mi occupava molto della casa, prese pure affezione alla medesima e lavorava indefessamente, a segno che noi due eravamo l’anima della casa, e quasi tutto era nelle nostre mani.
mia cieca passione per il padrone. Colla partenza da Basso svanì ogni mia speranza di rivedere più la mia cara madre, il pensiero della quale mi era di freno in molte cose. Perduta questa speranza, io mi sono attaccato più ciecamente al mio padrone, egli era già fatuo per me, ed io sono divenuto fatuo per lui, ed il giorno era sempre troppo lungo per l’impazienza di trovarmi la sera a trescare con lui. Egli nativo dell’Arabia e stabilitosi a Gondar, aveva [aveva] portato dal suo paese certi vizi, per i quali noi benché pagani abbiamo una ripugnanza persino [p. 65] a pensarvi, ah fratelli miei, pensate che il mussulmano è una vera pece che si attacca! quello che mi ripugnava mi diventò una vera passione. Ma Iddio non mi abbando- /166/ nò, miei rimorsi e peripazzie un rimorso mortale mi rodeva giorno e notte, benché pagano ed ignorante, è impossibile, diceva fra me, che Iddio possa approvare la mia condotta. Duranti tre settimane che passarono da Basso sino a Gondar fu una lotta continua con Dio, colla mia passione, e con un compagno, forze più giovane di un’anno, ma molto più furbo e calcolista sulle passioni del padrone, egli, invidioso della mia posizione in casa, seppe talmente accarezzarlo che non tardò a diventare assoluto padrone della sua passione, ed incomminciò a lasciarmi in pace a misura che mi vidde più insensibile ai suoi ardori. Negli affari però [non] ho lasciato mai i miei doveri, anzi moltiplicai le mie sollecitudini per la casa.
vuole farmi mussulmano in Gondar.
Arrivati in Gondar alla casa sua, dopo alcuni giorni mi disse, figlio mio, io ti ho giurato di considerarti come figlio, e tu mi hai detto[:] siatemi padre, io mantengo la mia promessa, ma tu devi farti mussulmano; ciò fatto, ti conduco alla moschea e per le mani del nostro capo Sciek Aly, ti facio circoncidere, e così sarai in verità mio figlio. Al sentire questo, pensando a tutto quello che aveva provato dai mussulmani, non ebbi coragio
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di acconsentire, me ne restai muttolo, e la cosa passò come se nulla fosse, seguitando sempre nella mia attività di prima. Ancora qualche tempo [poi] tutto all’improvviso un Signore cristiano di Gondar viene, visita la mia cara amica secondo il solito, e poi se la prende, fu la prima volta che viddi quella povera creatura nuda, alla sua partenza ella pianse ed io piansi, ma ho ringraziato il Signore d’averla rispettata per puro riguardo ai nostri usi galla, benche avessi per essa una gran passione e mi costasse una violenza per astenermene.
abba Joannes venduto al p. Cesare
[fine 1847]
Non tardò ad arrivare anche il momento mio: Iddio misericordioso lo accelerò; un bel giorno entra in casa un uomo bianco cogli occhiali, e mi spaventò a segno che sono fuggito[:] insodalin, mi disse questo signore molto graziosamente. Allora mi sono avvicinato tremando, e domandatomi di qual paese [ero], ed alcune altre cose, senza visitarmi, come di uso, sortì di casa convenne del prezzo, e ritornò chiamandomi per nome, caro Morka mio, vieni che sei mio figlio. Fratelli miei, la rapina mi fece sortire di mezzo ai miei parenti pagani, e mi fece entrare fra i mussulmani, dove non ho veduto altro che violenza, terrore, e la più svergognata impudicizia. Iddio ebbe compassione di me, e senza saperlo sono entrato nella casa di un Prete che è casa di Dio stesso.
abba Joannes descrive i veri preti ai suoi fratelli. Avete veduto dove sono andati tutti i giuramenti del mio padre mercante mussulmano? Come potrò [p. 67] intanto descrivervi la grazia che mi fece Iddio? Io dovrei quì farvi conoscere quali furono i miei /167/ nuovi padroni, ma con quai colori potrei dipingerli, con quali parole potrò descriverli? essi non sono uomini di questo mondo. Come ho parlato di Gondar, vi dirò che in Gondar vi sono dei Preti, ma questi sono preti di nome che hanno tutte le miserie nostre; così pure vi sono dei cristiani, ma cristiani che poco si distinguono dai mussulmani, ma i miei padroni sono preti che si direbbero discesi dal cielo, venuti da lontano, mandati da Dio per insegnarci le cose di Dio e la via del cielo. Entrato io difatti in quella casa non ho più sentito altro che parlare di Dio, essi passano il giorno ad insegnare, e la notte a pregare. Essi non cercano roba, non sanno che fare di piaceri del mondo; essi amano tutti, compatiscono i poveri, non vogliono guerre; essi in una parola sono con noi per farci del bene, e per insegnarci le cose di [di] Dio, ma poi si direbbe che sono sempre con Lui in C[i]elo.
conclusione della predica Fratelli miei non vi conto favole o sogni; io stesso nato quì, e vostro fratello ho passato con loro 14. anni sempre imparando ed insegnando le cose di Dio. [p. 68] Io stesso oggi sono Prete come essi, non sono venuto quì per cercare la vostra roba, ma sono venuto per insegnarvi l’unica strada che vi conduce a Dio dopo la vostra morte; io stesso contento di aver trovato Iddio, vorrei vedere voi miei fratelli fortunati, come sono io. Voi oggi stenterete a credere cosa vi dico, e vi sembrerà un sogno tutto ciò che sentite. Ma io oggi non ho il tempo di restare molto con voi, e debbo ritornare al mio Padre; venga qualcheduno con me sino a Kafa, e vedrà coi proprii occhj ciò che vi ho detto, e sentirà egli stesso ciò che vi dico, non da un uomo solo, ma da milliaja di kafini che corrono là ad imparare le cose di Dio.
effetti della predica Abba Joannes tanto disse, tanto fece che seminò un vero entusiasmo nel suo paese, ed avvicinandosi il tempo del suo ritorno a Kafa turbe di gente volevano seguirlo, ma esso per evitare la confusione scelse pochi dei suoi parenti, frà gli altri il suo vecchio Padre ed i suoi fratelli con alcuni altri a lui congiunti. arrivo di abbba Joannes e parenti. Fu in vero spettacolo che stordì tutti [i] kafini, il vede- [p. 69] re quella povera gente arrivare in Kafa con qualche regalo a me, e dopo aver veduto essi medesimi, e sentite le nostre meraviglie domandare dei preti per il loro paese. Come la nostra casa era inundata di catecumeni, e tutta l’istruzione si faceva in lingua kafina essi [non] ne capivano nulla; noi poi eravamo occupatissimi e non potevamo gran cosa trattenerci con loro, epperciò non vedevano che la meraviglia esteriore; ciò che più gli intenerì fu l’amministrazione del S. Battesimo, la celebrazione della S. Messa, e la S. Communione. Quella buona gente però era tutta entusiasmata, ma doveva essere affamata, /168/ perché non potevano adattarsi ai pane di Kafa, e dovevano limitarsi a mangiare un poco di carne, e qualche legume; partenza per loro paese. ripartirono perciò quasi subito per il loro paese per narrare le meraviglie [vedute].
Per fortuna che i poveri Galla se ne andarono presto, altrimenti se fossero rimasti avrebbero veduto uno spettacolo che certamente poteva distruggere una gran parte del prestigio guadagnato dalla missione sopra di loro colla loro visita. [p. 70] Bisogna confessare però che, ne il re, ne il suo governo diedero fin là il menomo segnale di ostilità; anzi cortesie sopra cortesie, e noi continuammo sempre il nostro apostolato con tutto il zelo possibile. Tutti eravamo in buona fede, ed anche lo stesso popolo di Kafa, del quale cresceva di giorno in giorno il concorso al catecumenato. Io solo aveva qualche dubbio che non poteva manifestare, ma questo mio dubbio lasciava ancora sperare una latitudine di molti giorni. Il governo agiva con sistema misterioso tutto proprio di Kafa.