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21.
Ripensamenti, restituzioni, rivelazioni.
Delitto e castigo e perdono evangelico.
arrivo di Negusiè con due carichi e parole del re. Le cose stavano in questo senso, ed appunto la sera del decimo giorno arriva il mio procuratore e dragomanno Negussiè mandato dal Re e dal governo. Egli mi portava due carichi di effetti, la più parte vesti di Chiesa e mie. Ciò che mi era più prezioso era il necessario per celebrare la S. Messa. Mi mandava a conto cento talleri per i miei bisogni. Egli portava pure la parola del Re, che io ho voluto fosse sentita da tutti gli uffiziali responsa[ponsa]bili degli ordini reali. La parola del Re era come segue: Padre mio vi prego di non maledire il mio paese, perdonatemi per quello che vi ho fatto, perché sono stato ingannato, ma spero [p. 93] che le cose si aggiusteranno, e ci rivedremo. Riceva i due carichi con cento talieri; il resto verrà poi dopo. racconto di tutto l’accaduto. Io mi aspettava che il Re mi parlasse dei tre sacerdoti; ma nulla disse di essi. Negussiè poi da me interrogato mi disse chiaro, che Abba Joannes, ed Abba Jacob erano sempre ancora in prigione; [i kafini] facevano di tutto per guastarli con introdurre delle donne [e il loro coraggio] era divenuto un vero portento per tutto Kafa. Abba Hajlù poi [egli] era sempre in Sciap, risponsabile della casa, ma era sempre ancora guardato dai soldati. Nessun tentativo è stato fatto per corromperlo con donne. Mi raccontò poi una cosa molto curiosa. Appena partito io due maghi entrarono nella mia gran casa nuova abitata da pochi giorni da me, e presa una pecora la scannarono sopra il mio letto, e lasciarono là la vittima tal quale; poscia sortirono e sigillarono le porte, le quali sono ancora chiuse come l’hanno lasciate.
rivelazioni secrete. Con gran secretezza poi Negussiè mi fece ancora altre rivelazioni: il governo era stato assicurato che sarebbero stati trovati 50. fucili, e per questo la casa e [la] Chiesa di Sciap furono svaligiate ma non [de]rubate, e nulla avendo trovato, gli accusatori sono in prigione. Riguardo ai Preti il sistema di corromperli non è ancora [p. 94] abbandonato, benché disperino di ottenerlo. Credo però che il Re in ciò sia legato dal /180/ suo consiglio, e sono convinto che nel cuor suo ne ha vero dispiacere, benché non possa darlo [a] conoscere, secondo le nostre leggi; quando si parla di questo si vede che egli soffre, e suol dire che colla pazienza tutto si vincerà. una guerra, ed un giudizio popolare. Una cosa poi che affligge molto il nostro governo è la guerra di Gobo spiegatasi quasi nello stesso giorno della sua partenza, e che perciò tutti credono una punizione di Dio. Il vero cristiano crede più di ogni altro in Dio che premia e che castiga il peccato, ma ha di Dio un’idea più grande, e più nobile, egli crede fermamente che Iddio ben soventi castiga per non castigare, e non castiga per castigare; così all’opposto premia per non premiare, e non premia per premiare; il cristiano si forma un’idea più vasta della giustizia di Dio, e non dice facilmente il post hoc ergo propter hoc come sogliono dire i poveri barbari guidati da un misto d’idee di giustizia e di superstizione; motivo per cui il viaggiatore fra quei paesi deve guardarsi dal commettere certe cose che feriscono la morale di quei popoli per non essere giudicato troppo severamente.
esame della questione del castigo. Nell’affare in questione che Iddio non abbia, o abbia punito Kafa per il crim[in]e commesso sopra di me; perché il povero paese di Kafa, avendo commesso [p. 95] un gravissimo crim[in]e contro l’ordine della providenza che la chiamava a misericordia, colle idee ristrette della divina giustizia nelle quali era, se non fosse stata subito punita, forze avrebbe subita la sua punizione, senza saperne la causa principale, epperciò è anche probabile che il publico abbia avuto ragione nei suo giudizio. Comunque debba giudicarsi la questione sopra la causa del castigo, è però certo il fatto del supposto castigo. Il fatto è che il giorno medesimo del mio esilio [Kafa] ebbe l’intimazione di detta guerra, e pochi giorni dopo, fatta una spedizione, fù talmente battuta in un’imboscata, che più nessuno poté ritornare a raccontarne la storia.
spiegazione del fatto in genere. Kafa è un paese dieci volte più grande di Gobbo, e nessuno avrebbe solo pensato che sarebbe stato battuto. Una volta detto che Iddio ha castigato Kafa la causa e finita, perché l’idea di Dio, anche in quei paesi pieni di errori, è sempre un’idea di un’essere omnipotente e creatore, che non è imbarazzato a far [ab]battere un gigante da un Pigmeo, come nel caso di Davidde, e Kafa giudicò il governo per una via la più breve, e la propria dei popoli che hanno un’idea di Dio molto limitata; ma appunto [p. 96] perché limitata e semplice, è anche molto più nobile e grande in certo senso. Ma noi più abituati a ragionare, per non esporci a riconoscere come miracolo ciò che potrebbe essere una semplice combinazione naturale, diciamo a preferenza, che Kafa ha mancato di prudenza, ed ha mancato di calcolo nel suo governo, ed ecco /181/ come. La rivoluzione di Gobbo essendo stata una rivoluzione di schiavi contro i loro padroni, Kafa trovandosi anche essa sbilanciata nella troppa quantità di schiavi non doveva esporsi a voler proteggere l’aristocrazia di Gobbo, e nel caso di ciò volere non doveva esporsi ad una seconda crisi religiosa, col disgusto di una parte della sua popolazione cristiana, quella che era considerata come la più ardita nel combattere in guerra.
mie previsioni ed avvisi. Io trovandomi in Kafa aveva già preveduto il pericolo di una catastrofe, anche molto maggiore di quella che è accaduta; non ho mancato di esortare sempre in questo senso, ma i mussulmani che vedevano nella schiavitù una sorgente di lucro, ed i maghi anch’essi interessati in ciò s’impadronirono del governo e consideravano invece i miei consigli come sovversivi; spiegazione storica. la gelosia [p. 97] poi per il progresso della missione cattolica, certamente non favorevole ne ai mussulmani, ne tanto meno ai maghi pagani, diede fuoco alla mina in un’epoca in cui i schiavi di Kafa non erano ancora ben organizzati, e per questo la catastrofe è stata piccola, altrimenti tutta Kafa sarebbe stata in combustione come Gobbo, con cui i non mancava d’intendersi la casta dei schiavi kafini. L’armata di Kafa che poteva essere di parecchie milliaja è stata molto più piccola per il malcontento di molti, ed anche per una specie di amutinamento dei suoi schiavi poco disposti a battersi con quei di Gobbo. Quindi l’armata mancava del necessario brio e coragio, il quale è come la vita della battaglia. Come poi i cristiani per il disgusto cagionato dal mio esilio, in gran parte non andarono alla guerra, la catastrofe cadde in gran parte sopra la casta pagana, certamente la più colpevole.
spiegazione dogmatica e filosofica. Io spiego così l’avvenimento della guerra di Kafa con Gobbo, ma anche spiegandolo così naturalmente, non intendo poi [di] condannare il popolo di Kafa, il quale l’ha creduto un vero castigo di Dio. Un Ateo o materialista, dal momento che può spiegare in certo senzo un fenomeno qualunque sia, egli subito [p. 98] si crede [di] potersi sbrigare di questo giudice eterno e cantare vittoria ridendosi e beffandosi di loro, ma per sbrigarsi di Dio non basta cantare vittoria per aver trovato la spiegazione di alcune cause prossime di un’avvenimento, bella armonia della providenza divina. perché Iddio manegia tutte le ruote dell’orologio sino alla molla e sino alla mano dell’orologiajo, egli è che manegia i venti, i vapori, e le nuvole per temperarci i raggi del sole, per darci le pioggie a suo tempo, e per gli oragani e le tempeste nella sua collera; egli ancora manegia il nostro orgoglio per batterci poi a suo tempo con giustizia, e manegia ancora le nostre passioni più brutali per lasciare che noi stessi corriamo precipitosamente alla perdizione. Iddio, come prode generale d’armata che vede il nemi- /182/ co correre al precipizio, lasciatelo, dice, e noi risparmieremo ancora la polvere e la fatica dei nostri soldati. I barbari, benché pieni di pregiudizii, pure mantengono sempre ancora un capitale di teocrazia, e riconoscono Iddio alla testa di tutti i movimenti colla sua providenza.
Io perciò mi sono guardato bene di dire che la catastrofe di Gobbo fosse un miracolo, ma non ho potuto negare che quella sia stata una permissione di Dio, forze per condurre Kafa a miglior partito di salute.
convinzione del governo;
decisione.
Il governo poi non ha lasciato di vedere in quel fatto la sua colpa,
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e non lasciò di vedere il bisogno di cangiare registro. I Principi Galla tennero fermo nel sostenere la mia causa; essi tutti d’accordo risposero a Kafa [con] un dilemma, cioè o ritorni l’Abuna a Kafa, oppure noi lo manderemo all’Ennerea nella mani di Abba Baghibo che lo spedì con tutti gli onori sino a Kafa. Il governo di questo paese mi avrebbe volontieri richiamato, ma come sostenere in facia al suo paese medesimo una disfatta più vergognosa ancora di quella di Gobbo? Acettò perciò il dilemma, e dopo quasi 15. giorni dalla mia partenza da Kafa, venne finalmente l’ordine ai soldati della mia scorta di consegnarmi nelle mani del Re di Gemma Kaka detto Abba Boka, fratello di Abba Giffare, pregandolo di farmi accompagnare sino a Saka di Ennerea.
lettere spedite ai preti. Così il giorno 9. Settembre era il giorno fissato per sortire dalle mani del governo di Kafa. Ho dato lettere a Negussiè per Abba Hajlù, per Abba Joannes, e per Abba Jacob, nelle quali mi sono congratulato per la loro fermezza, ed ho raccomandato loro costanza promettendo loro che ben presto le cose avrebbero cangiato.
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mia allocuzione di congedo dai kafini.
Ho fatto quindi una lunga allocuzione a tutta la carovana radunata, dirigendo la mia parola particolarmente ai capi. Prima di tutto gli ho ringraziati della pazienza avuta con me per 15. giorni continui. [Poi aggiunsi:] In quanto al Re ed al governo io aveva domandato due volte di sortire [da Kafa] per i miei affari, e non mi hanno permesso di partire contro i patti e giuramenti fatti prima di venire. Dopo mi avete mandato via ignominiosamente con un cane morto che mi seguiva e versando sangue per tutta la via sulle mie pedate; mi avete consegnato ai soldati Mangiò come chi è condannato a morte.
[il re di Kaffa Tatu Kamo: † 1870;
il guccirascià battezzato nel 1866;
giustiziato nel 1870]
Ora io calcolo tutto questo come niente e gli ringrazio per tutto quello che hanno fatto per me. Dite che io considererò sempre Kafa come mio paese, ed i kafini tutti come miei figli. Io pregherò Iddio per tutti, e benedico tutti. Tutti i miei preti sono in prigione, ciò importa niente, perché son certo che presto gli metterete in libertà, e così faremo la pace. Ho lasciato Kafa
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con tutto ciò che aveva, e sono sortito povero; vi raccomando la restituzione.
nostra separazione dai kafini. Ciò detto ho lasciato il campo, ed accompagnato dai capi del medesimo con alcuni soldati ci siamo incamminati verso le porte dei regno di Gemma Kaka, lontane al più un’ora di viaggio, dove arrivati, abbiamo trovato gli uomini [p. 101] del Re Abba Boka che ci aspettavano: si fece la consegna delle nostre persone ai medesimi, e partirono, la più parte colle lacrime agli occhj. nostra entrata in Gemma-Kaka. Entrati nel regno di Gemma, i galla di quel paese da noi non ancora visitato, ci trattarono molto bene. Come era di sera abbiamo pernottato. Ci diedero una mediocre casa con tutto il necessario per la cena, e per il pranzo l’indomani prima di partire. La nostra scorta che doveva accompagnarci passava le dieci persone sotto gli ordini di un dignitario molto cortese; questi mi disse subito molte cose passate nella conferenza; egli mi confermò la notizia che il piano di Kafa era appunto quello di mandarmi a Gengerò, ma che dopo molti dibattimenti i Galla rifiutarono di acconsentire.