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20.
Prigionia di due preti ed esilio dal Kaffa.
Vagolaggi, incertezze, riflessioni.
due preti sono chiamati dal re
[25.8.1861].
La sera del 24. Agosto verso notte il Re mi mandò due vasi d’idromele di prima qualità pregandomi di farlo bere alla mia famiglia; quasi nello stesso momento arriva un’altro messaggiere, col quale il Re mi mandava [a] pregare di mandargli subito Abba Joannes ed Abba Jacob per un’ammalato di famiglia, ed aggiungere anche ai medesimi il chierico catechista Gabriele, molto desiderato in famiglia, per far loro compagnia. Abba Jacob si trovava al catecumenato di Tadmara, ed una persona dello stesso Re che si trovava là partì subito per chiamarlo; Abba Joannes partì coi messaggieri stessi coll’ordine di dire al Re che non poteva mandargli il giovane Gabriele partito per altra destinazione. Abba Hajlù si trovava al catecumenato
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di Baha Ghiorghis, ma da qualche giorno soleva recarsi la sera dopo tutti i catechismi alla casa di Sciap per passarvi la notte con me, ed arrivò poco dopo.
storia del grano turco e del cane Prima di narrare l’esplosione della mina preparata dal governo, devo ancora narrare un piccolo fatto che servirà di spiegazione per il seguito. In Kafa il grano turco si semina e viene bene, ma non per farne farina e pane, ma suol mangiarsi come un frutto, quando è verde, arrostito al fuoco, come fanno in alcuni paesi in Europa i ragazzi. Dal momento che questo grano turco è per arrivare i cani del paese se lo mangiano. Io aveva fatto seminare di questo grano turco vicino alla casa per i nostri giovani, e quattro giorni prima alcuni dei nostri giovani che custodivano questo grano dai cani amazzarono un cane e lo soterrarono in un buco per nascondere il loro delitto, e la cosa passò inosservata.
Ritorno alla storia principale. I due preti chiamati alla corte non ritornando della sera io ho passata la notte solo con Abba Hajlù. [26.8.1861] La mattina prima del giorno si disse la Messa, ed ebbe luogo [p. 72] tutta l’osservanza del mattino, e dopo di essa il catechismo ragionato fatto da me. Secondo l’uso in seguito i catechisti stavano catechizzando nei rispettivi /170/ drapelli secondo il solito, ed io sulla porta della Chiesa stava col dragomanno ripassando alcune traduzioni, ma io era impaziente di vedere ritornati i due Preti andati alla corte la sera avanti, ed incomminciava [a] essere in pena non vedendoli. la casa circondata dai soldati Tutto all’improvviso vengono a dirmi che tutti i contorni del vasto nostro recinto erano circondati da soldati; non tardarono ad avvanzarsi verso di me una decina d’impiegati, persone tutte rispettabili, seguiti da soldati chi gli facevano ala di dietro; si avvanzano due e si presentano a me dicendo che avevano degli ordini reali da significarmi. Parlate pure, dissi io, che io sento.
intimazione di partenza;
mia risposta
Allora prese la parola uno e disse; il Re ordina di venire con noi; egli permette di prendere con voi alcuni fra i giovani, ed anche qualche persona di servizio; molto bene, risposi io, ma perché tutto questi soldati? forze che non bastava la sua parola? Non ho domandato io più volte
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di andare e non me lo permise? mi alzo tranquillo per vestirmi, e mettermi in ordine di viaggio, e non me lo permisero, ho cercato di prendere almeno un poco di carta col necessario per scrivere e non vollero; ho cercato di dire qualche cosa, e mi risposero che non sono venuti per disputare, ma sibbene per [e]seguire la parola del Re.
sono costretto [a] partire.
Ho fatto qualche domanda sopra i due preti andati alla corte, e mi risposero di nulla sapere, e mi fecero premura di alzarmi. Allora dissi a qualcuno, ed al dragomanno Negusiè, dite ad alcuni ragazzi di seguirmi, ed alla vecchia monaca di venire. Mi presentarono un mulo sellato, e dissi[:] andiamo dove Iddio ci guida e parto. Al mio primo movimento si alza un gran grido universale di orribile pianto in tutta la casa.
un pianto universale;
do al prete la facoltà, benedico tutti: assolvimi, dissi.
[lo sono] Obligato di montare a cavallo, e monto; Abba Hajlù mi accompagna da vicino: figlio mio, gli dissi: è arrivato il momento di gran prova bisogna fare coragio e farlo ai tuoi compagni se gli vedrai; do a te tutte le facoltà spirituali e temporali,
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ti benedico con tutto il paese che ti consegno sotto la dipendenza del P. Leone secondo le circostanze; [passo] dalla vita alla morte[:] dammi l’assoluzione. Ho cercato quindi di dirgli ancora qualche cosa, ma si avvanzarono alcuni manigoldi e dissero: basta.
dura separazione
Lo presero e lo riportarono a casa; così ci siamo separati per sempre. Mi seguì ancora qualche passo il mio procuratore e dragomanno Negussiè, ma le lacrime, la confusione, la forza publica me lo vietarono, solo mi ricordo d’avergli detto queste parole: Iddio ti salvi con tutta la tua famiglia, e tutto il paese, anche lo stesso Re e tutti i nemici di qualunque genere; ma senza che me ne accorgessi me lo presero e l’obligarono anche a ritirarsi.
gran confusione intus et foris Fratanto io camminava scortato da soldati vicini, da cavalieri di rango in lontananza, fra i quali alcuni che conobbi; la forza publica in lonta- /171/ nanza era senza misura, e cresceva sempre ancora[;] la confusione interna ed esterna non mi lasciava neanche avvertire da qual parte si camminava, se al Sud, oppure al Sud-ovest; al certo si andava per una via nuova che io non conosceva. Come non sapeva dove andava a finire, io pensava alle mie partite con Dio, [p. 75] e pregava per la salute di quel povero paese, facendo di me stesso un sacrificio generoso, anche della mia vita, per il medesimo. A misura che incomminciava [a] ricomparire un poco di calma ho voluto girare l’occhio dietro di me per vedere le persone di casa, e viddi la buona vecchia Waletta Mariam che piangeva, ed il bravo chierico Camo, ma i soldati non gli lasciavano avvicinare; una cerimonia molto curiosa. viddi però una cosa la quale da una parte mi faceva ridere, una persona che io supponeva un mago teneva un piatto pieno di sangue e ne versava qualche goccia dietro il mulo che mi portava, povera gente, dissi trà me stesso il timore vi fa far questo, voi temete di me e del mio Dio, e con ciò cercate [di] calmarlo a spese di quella povera bestia più innocente di voi.
timori del governo. La mia partenza [avvenuta] il 25. del nostro Agosto era nel forte delle pioggie: il governo poi temendo qualche sommossa, nel mio sortire di Kafa schiavarono tutte le strade più dirette e praticate, facendo dei giri arbitrarii per arrivare dovunque all’improvviso, facendo persino tagliare le siepi [p. 76] e passare sopra i raccolti già quasi maturi; lascio perciò considerare che brutta strada mi fecero fare[:] fango sino al ginochio, boscaglie da attraversare, e pioggia sulle spalle; sopra tutto questo un’odore di cadavere insopportabile che ci seguiva, senza sapere cosa fosse, io quasi pensava che un’esalazione d’inferno si facesse sentire. un cane putrido portato dietro. In quei cattivi passi, a caso mi trovo un momento vicino ad uno dei miei ragazzi che piangeva, egli domando cosa era quell’odoracio insopportabile, e questi gemendo mi dice[:] è quel certo cane giorni sono, ammazzato da noi nel grano turco, essi l’hanno disotterrato, e lo portano dietro di noi, per dire a tutti quelli che passano, il corpo del nostro delitto, quello cioè d’aver sotterrato un cane come malefizio contro il paese. Povera gente! dissi quante superstizioni! questa ancora non la conosceva; ma intanto, diceva fra me stesso, chi ha significato al governo la storia di quel cane se non il diavolo? Da ciò conobbi come da molto tempo io aveva delle spie in casa.
due mie grandi consolazioni. In mezzo a tutte queste spine che mi trafiggevano il cuore non debbo poi tacere alcune grandi consolazioni. La prima della mie consolazioni veniva da Dio, ed era [p. 77] appunto quella di vedermi troppo onorato da Dio facendomi provare un momento la confusione da lui sofferta dopo la sua cattura nell’orto di Getsemani sino a Gerusalemme, e l’in- /172/ domani sulla strada del calvario; questa consolazione compenserà i menzogneri onori ricevuti in Kafa; anche un qualche Giuda non mancherà che avrà mangiato i 30. denari di prezzo, povero Giuda! diceva fra me, [il male] l’hai fatto a te stesso. Iddio ti salvi dall’impiccarti, e nella sua misericordia ti converta! La seconda mia grandissima consolazione, la quale in altro senso ingrossava, oltre ogni dire il mio cuore sino a trovarmi quasi oppresso erano le lacrime dei Nicodemi, e delle Marie che in lontananza mi seguivano piangendo; Ella ha ragione di affliggersi, mi diceva di passaggio uno dei nostri, ma se Ella vedesse un poco lontano la quantità di quelli che piangono, alcuni in secreto, e sono inconsolabili! eppure in Kafa sono di cento uno quelli che conoscono la [la] presente catastrofe; qual sarà il dolore quando tutti conosceranno questa storia?
i soldati mangiò erano immondi Uno dei motivi che io non vedeva la gran quantità di quelli che piangevano era, perché il governo aveva ordinato che nel mio viaggio io fossi guardato da 40. soldati detti Mangiò in Kafa, e Woïto in Abissinia [p. 78] razza infame, di cui ho già parlato altrove. Il governo aveva preso questa misura per abbassare il mio prestigio disonorandomi, e per segregarmi dal popolo, affinché questo non gli facesse dei guai e delle sollevazioni. Con questa misura tutti quei del paese, usati dall’infanzia a considerare quella razza come immonda, restavano lontani per forza, per non diventare immondi anche essi; si avvicinavano solo alcuni dei miei, i quali essendo stranieri non conoscevano tutto questo. La seconda ragione per cui [il governo] mi fece guardare da questi soldati è, perché non potendo essi parlare colla popolazione, ed essendo tutti schiavi del governo, erano più sicuri allo scopo di cui era il caso. Questi schiavi in Kafa sono i ministri di giustizia publica, considerati come i carnefici del paese, ed è per questa ragione che tutti i nostri piangevano, credendo come certo che io era condannato ad essere gettato nei fiume Goggieb, cosa che io affatto non temeva.
uso particolare di Kafa. Camminando io aveva cercato più volte di scendere dal mulo e camminare a piedi, perché non essendo accostumato io mi trovava molto stanco di quella cavalcatura, ma i soldati sempre mi proibirono, ma alla fine non potendo più andare avanti, mi slancio ad ogni costo e discendo; allora vedendo [p. 79] i soldati che io sono disceso, e non potendo farsi capire da me, lasciarono avvicinare il mio giovane Camo, e questo mi fece conoscere la ragione che mi proibivano di discendere, la quale era che discendendo io sarebbero discesi tutti i grandi che mi accompagnavano; difatti mi fece vedere, come tutti erano discesi appena io sono disceso, e camminando io a piedi centinaia di cavalieri erano obligati /173/ [di] camminare a piedi, anche i gran dignitarll. Così, dopo poco cammino sono rimontato, e tutti rimontarono a cavallo, considerandomi sempre ancora nelle mia dignità maggiore.
mio grande indebolimento. Abbiamo lasciato la casa di Sciap circa le dieci ore di mattina prima del pranzo, essendo ancora digiuno; siano le strade tortuose, sia il fango, sia la pioggia, oppure, più di ogni altra cosa, sia piuttosto la crisi del cuore io non lo so, fatto sta che io non ne poteva più e mi sentiva [a] mancare il cuore; i soldati che mi assistevano da vicino si accorsero che io incomminciava [a] vacillare, e minaciava ogni momento di cadere [p. 80] ed i soldati erano obligati di sostenermi sul mulo come un cadavere; naque perciò una vera confusione in tutto quel gran mondo di gente che mi accompagnava; si fece un’alto, ed i grandi fecero consiglio fra loro sul partito da prendere. uno svenimento avvenutomi ci trattiene Era una vera sincope che mi aveva privato un dieci minuti dei miei sensi, ma poi avendomi dato un poco d’aqua [d]a bere, e fatto qualche bagno alla fronte sono ritornato ai miei sensi; i miei ragazzi e la mia vecchia monaca mi stavano intorno tutti desolati; un gran Signore dell’accompagnamento avendo fatto venire un [un] forte caffè, ed avendomi dato un poco di forte idromele ho potuto rimontare sul mulo, e proseguire il viaggio sino alla prima porta, luogo dove il governo aveva fissato che si facesse un poco di stazione. Siamo arrivati che mancava poco alla notte, e fui introdotto in una casacia destinata per le guardie, luogo immondo, perché casa dei soldati Mangiò, nessuna persona dello stato civile poteva avvicinarsi; i soli miei ragazzi e la mia vecchia entrarono.
stazione, e conferenza col capo. I miei di casa presi all’improvviso, nella partenza presero una quantità di ova, un poco di farina di orzo, e tutto il caffè macinato che vi era in casa, unico cibo che io soleva mangiare, [p. 81] e mi prepararono qualche cosa e così ho potuto gustare un poco di cibo. Per loro poi portarono della carne, ed arrivò la cena ordinata dal governo, che io non ho gustato. Dopo che tutti mangiarono ho mandato il mio ragazzo Camo ad un capo della spedizione significandogli che io desiderava parlargli, ed egli mi fece rispondere che non poteva entrare nell’abitazione dove io era, come luogo immondo, ma che intanto, appena il nostro mondo si sarebbe messo in riposo sarebbe venuto, accompagnato da un’altro e ci saremo parlati in qualche luogo fuori. Venne difatti, ed io gli dissi di mandarmi per la via di Ghera, dove io aveva dei cristiani con dei Preti. Ma egli mi pregò di non sollevare quella questione, perché sarebbe stata una cosa inutile, essendo diversi gli ordini del governo, e non stando ciò nelle loro mani; che egli neanche poteva dirgli per quale /174/ strada si andava, venendo ogni momento ordini nuovi. Mi esternò la sua afflizione e mi esortò alla pazienza, e se ne andò.
Si riposò sino al canto del gallo e poi sortì l’ordine della partenza; non tardò una mezz’ora che ci cadde sulle spalle una pioggia dirotta,
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ma ciò non ostante si continuò il viaggio. Si sortirono le due altre porte, e siamo arrivati nel basso del fiume, dove già ci aspettava qualche provisione. Si fece un’alto di due ore circa, si gustò qualche cosa, e poi si intimò la partenza. Sperava sempre ancora di poter andare per la via di Ghera; il mio cuore ed il mio sguardo sognavano la bella cristianità [di] Afallo, di là lontano solo una buona mezza giornata;
si costeggia il Gogieb due giorni;
timori di Ghera.
ma invece si prese la via del Nord lasciando Ghera alla nostra sinistra, ed abbiamo costegiato il Gogieb sino alla sera, [raggiungendo una località] di cui ho perduto il nome, dove si fece alto per passarvi la notte. Là tutta la notte si montò la guardia, perché si temeva che Ghera, o almeno i Cristiani di Afallo venissero ad assalirci per impadronirsi di me; ma la notizia non andò a tempo per organizzare l’attacco. Si partì nella notte sempre costegiando il fiume e temendo di Ghera sino alle dieci del mattino, quando si fece un piccolo alto di refezione e di riposo, dopo si continuò [per] la stessa direzione sino al ponte di Gemma.
Questo ponte è un ponte sospeso come quello che unisce Ghera a Kafa, da me già descritto [p. 83] a suo luogo in quel viaggio. Si dice ponte di Gemma, non perché sia sul territorio di Gemma, ma perché vi passano i mercanti di quel paese per Bonga. Dicendo mercanti di Gemma non s’intendono solo i gran mercanti d’importazione o esportazione dal mare sino a Bonga che passano direttamente da Gemma a Kafa, ma si intendono principalmente commercio tra Gemma e Bonga di farina e caffè. i contadini di Gemma che portano farina al gran mercato di Bonga (1a), ultimo centro di commercio del nord etiopico dalla parte sud. La ragione è che in Kafa mangiandosi pane di Cocciò, l’uso di macinare il grano è quasi nullo, ed imperfettissimo. I gran mercanti deI Nord che vengono a Bonga anche da Ghera e da Gumma, in Kafa non troverebbero ne pane di grano, ne farina per farlo, e morirebbero di fame, almeno coloro che non possono adattarsi al pane del paese. Più al Sud questo fiume Goggieb segna i confini di Kafa con Ghera; quì poi i confini di Kafa passano il fiume e si estendono [per] qualche miglio.
passaggio del fiume Gogieb
[29.8.1861].
La nostra carovana di quella sera passò il fiume, e pernottò all’altra riva. Ho parlato già prima della cerimonia del sangue che si versava da
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un mago dietro i miei passi
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questa cerimonia è stata continuata sempre; così pure quella del cane morto. Debbo quì riferire alcune cerimonie concernenti questi due fatti, le quali ebbero luogo sulla riva di questo fiume. Appena arrivati sulla sponda del fiume si fermò la carovana, e mi fecero sedere. Il mago incomminciò a scannare una pecora, e raccolto il sangue in un vaso, fece un giro intorno al cane morto per tre volte versando sangue intorno, e poi versò la metà del sangue sopra il cane. Dopo fece passare il cane dall’altra parte del fiume, e là pure rinnovò la stessa cerimonia; fatto questo, legata una pietra al cane stesso intinta pure di sangue, il cane infine fu gettato nel fiume, e cosl terminò quella fragranza sofferta per tre giorni.
cerimonie dei maghi Terminata la cerimonia del cane incomminciò quella del fiume. Si scannò un’altra pecora, e raccolto il sangue come sopra, se ne versò una parte nel fiume, e sopra il litorale a destra e [a] sinistra del ponte, e passato il ponte versandovi sangue sopra a lungo del medesimo passarono dall’altra parte facendo la stessa funzione, come nella porta opposta, e finirono con versare tutto il sangue nel fiume. Fatto questo mi fecero passare sul ponte, e passato io, poco per volta passò, tutta la carovana. [p. 85] Passato che si ebbe il fiume, siamo saliti sopra una piccola altezza, dove esistevano alcune case di pastori. Là abbiamo passato la notte. Passato il fiume io credeva [di], essere sortito dal territorio di Kafa, ma invece fu allora che ho sentito che il territorio di Kafa si prolungava ancora quasi una mezza giornata piu lontano. Io credeva di aquistare la mia libertà, ma invece la mia schiavitù [si] continuò ancora.
arrivo ai confini di Kafa. L’indomani abbiamo salito un lungo tratto di parecchie ore per una montagna deserta popolata di boschi per arrivare all’alto piano, e continuando ancora [per] qualche altro [tratto] fra boschi sempre verso il Nord siamo arrivati ai confini di Kafa, circa un miglio lontano dalle porte del regno di Gemma-Abba Giffara, dove dovevamo piantare il nostro campo, ed aspettare la conclusione delle conferenze di quei principi Galla riguardo alla mia persona. consiglio di mandarmi in Gingirò Si diceva fra i nostri che il governo di Kafa avrebbe voluto mandarmi in Gengirò principato situato all’Est di Gemma Abbà Giffar, dove la parte pagana di Kafa prendeva la sua origine, ed i maghi in certe questioni sulle tradizioni [p. 86] della loro razza manda[vano] a Gengirò, essendo il Re di quel paese come il grande oracolo della razza. Pensavano di mandarmi là per farmi perdere, senza contaminarsi di un crim[in]e di sangue colla razza cristiana dominante nel loro paese. Era questa una voce che girava nella nostra carovana, ma questa voce doveva avere qualche sorgente. Io non credo /176/ che il Re di Kafa di razza cristiana potesse voler questo, epperciò nel supposto bisognava convenire che nel consiglio del governo abbia prevalso quello dei maghi, i quali contavano in Kafa un consigliere di più; il Re ha dovuto essere passivo in quella decisione. Il governo di Kafa aveva deciso di corrompere i preti, ma vedevano impossibile ottenere quello scopo, essendo io nei paesi Galla; l’affare del P. Cesare bastava loro per convincersi di questa verità. Il loro piano aveva del probabile, ma mancava loro la strada per mandarmi a Gengirò, dovendo passare sui paesi Galla, i quali, benché pagani erano di altra razza, ed avevano incontrato certe obligazioni in facia ai publi[co] di tutti quei paesi a mio riguardo.
ordini venuti da Kafa. Difatti, arrivata la carovana sui confini di Kafa ricevette l’ordine di formare là un campo più stabile facendo capanne provisorie per aspettare là le decisioni che si sarebbero prese. Io rimasi stupito vedendo [p. 87] la costruzione di capanne per tutta la carovana composta di cinque o sei capi con 300. soldati, oltre di me e del mio seguito; ancor più stupito vedendo arrivare ogni giorno delle sufficienti provviste mangiative per tutta quella gente: o che il governo teme di essere impedito dai Galla, diceva fra me stesso, oppure è nato qualche dissenso nel consiglio del medesimo. Messagieri andavano e venivano continuamente trà Kafa e Gemma-Abba Giffare, dove esisteva una gran Conferenza anche coi principi Galla, i quali pure mandavano i loro Lemmy.
gravi notizie venute da Kafa. Le persone del mio seguito colsero l’occasione di molti che continuamente venivano da Kafa per diversi motivi sopracitati, [e] andavano raccogliendo notizie. Il mio chierico Camo, il quale conosceva molto bene la lingua di Kafa trovò di che raccontarmi; Abba Joannes ed Abba Jacob sono tutti [e] due in prigione nella casa del Re, diceva, e sono obligati a passarsene il giorno e la notte con donne, ma essi le caciano col bastone, e se non [se ne] vanno stanno recitando il rosario. Abba Hajlù poi è sempre in Sciap, come l’abbiamo lasciato, ma è guardato dai soldati, i quali sempre ancora restano là custodi. Il governo credeva di trovare fucili, ma [non] ha trovato niente, ed alcuni dicono che l’Abuna [p. 88] ritornerà; i kaficiò pagani sono in gran discordia coi cristiani. Tutti i catecumeni si sono dispersi. I consiglieri sono sempre radunati, e vengono messaggieri da tutte le parti per l’affare dell’Abuna.
pene e consolazioni mie. Queste notizie erano tutte gravi, benché ancora incerte, ed erano per me un’argomento di grande afflizione, ma non mancavano di consolarmi nel tempo stesso. I due sacerdoti in prigione eccitavano la mia compassione, ma intanto, diceva fra me stesso, se Iddio darà loro forza per /177/ sostenere [le tentazioni] confermeranno i nostri catecumeni nella fede, e disinganneranno il governo, vedendo di [non] poter nulla ottenere nel suo diabolico piano. Anche l’affare dei 50. fucili, che i maghi ed i mussulmani davano per sicuro trovarsi in casa nostra, dovevano aumentare il disinganno del governo dietro una così nera calunnia. Anche riguardo al mio ritorno, supponendo ancora reale ciò che si diceva, io non pensava di ritornare tanto presto; io avendo prima cercato di sortire, una volta sortito, non sarei rientrato senza prima visitare tutte le missioni, ma avrei lasciato che [mi] sospirassero.
crescono le dicerie in Kafa. Erano incredibili le dicerie che si spargevano in tutto il paese di Kafa pro e contro di noi, regnava colà l’idea che regna frà noi oggi nei giornali dei diversi partiti d’Italia e di Francia; arrivava là ciò che arriva quì, il partito della Chiesa nella sua passività si tiene sempre al dissopra dove [p. 89] regna la luce e chiaroveggenza; negli stessi cuori torbidi e corrotti esiste sempre ancora un piccolo angolo di luce lasciato da Dio o per salvare, oppure per rendere [l’uomo] inescusabile; in fine la luce l’importa sempre sulle tenebre, e mai queste contro quella. i miei sogni mentre scrivo. Le notizie che giornalmente venivano di Kafa andavano ogni giorno aggiungendo luce e consolazione anche per noi; nell’opinione publica in Kafa andava [andava] ogni giorno più crescendo un’idea di me, e dei preti in prigione come di eroi incomprensibili, ed invincibili, e mentre scrivo mi pare di vedere lo stesso in questo mondo tumultuante di progressisti relativamente al Papa ed alla Chiesa; lo stesso arrivava in Gerusalemme fra quelle turbe furiose contro Cristo, e contro gli apostoli. Così via via in tutto il cammino di questo regno di trionfi incomminciato da Cristo, sino al giorno d’oggi. La ragione è sempre quella: la luce di necessità disperde le tenebre.
anche il nostro campo incommincia... Anche nel nostro campo incomminciavano a correre molte voci, sia dalla parte di Kafa, sia ancora dalla parte della conferenza di Gemma Abba Giffare. P. Leone in Ghera, sentita che ebbe la notizia del mio esilio di Kafa era divenuto veramente come un leone[:] [p. 90] ruggiva, e si faceva sentire da tutte le parti; i suoi cristiani di Ghera erano furiosi sul modo degradante del mio esilio, massime sapendo che io aveva cercato più volte di sortire, e mi fù negato [il permesso]; prendono parte i principi galla. questi gridarono presso Abba Magal, e questi presso Abba Baghibo; quindi nella conferenza di Gemma Abba Giffare si rese sempre più difficile la causa del governo di Kafa[:] il nostro campo quasi in contatto coi Galla dei contorni conosceva tutto, e ne parlava sotto sotto; i miei poi che sentivano mi tenevano al corrente di ogni cosa. In seguito a tutto ciò, e probabilmente in seguito ancora ad alcune istruzioni ricevute dallo stes- /178/ so governo, la mia situazione era divenuta un poco più libera ed onorata.
mia opinione sull’operato del governo di Kafa. Io in causa propria [non] potrò mai pronunziare un giudizio sopra un fatto molto grave sotto ogni riguardo, grave per la missione, e grave per il paese di Kafa, sia che ciò si consideri nel suo rapporto all’estero, sia ancora nell’economia governativa del suo interno. I mussulmani, perché temevano in avvenire per la tratta dei schiavi; i maghi poi per i loro interessi particolari hanno molto fatto per troncare la corrente della missione che inondava, e l’hanno vinta, ma hanno sacrificato un gran bene del loro paese, hanno seminato un grande [p. 91] malcontento nel loro paese, e ciò che è più, un elemento di eterna discordia nel loro paese, e ciò per una vittoria fittizia del momento, mie sentenze particolari. poiché nelle cose di Dio è proprio la persecuzione quella che ci vuole per farle crescere, perché essendo opera di Dio è necessaria la contradizione per far conoscere la mano sua omnipotente; se volevano distruggere la missione cattolica, il mezzo unico sarebbe stato quello di arrichirla troppo, perché così ci avrebbe fatti troppo sensuali e superbi, e nel tempo stesso avrebbe sollevato una corrente d’invidiosi che ci avrebbero distrutti, e l’apostolato prendendo un’aspetto tutto civile non sarebbe stato più opera di Dio, epperciò nelle mani di tutte le passioni umane. Invece il passo fatto dal governo di Kafa sarà un’argomento eterno che manterrà nel cuore di quel paese il bisogno di rivenirvi. Ciò potrebbe anche servire di lezione agli odierni nemici della Chiesa. Chi ha perduto il clero d’oriente, in modo che non risorgerà più, sono stati i troppi favori dell’impero. La persecuzione è un martello che batte il germe evangelico, e come un chiodo lo ficca nel cuore di un popolo da non sortirne più.
si fanno le preghiere solite e catechismo. Passavano già intanto i dieci giorni i[n] quel deserto, ed io dal momento che ebbi un poco più di libertà aveva già ripreso l’osservanza propria di tutte le nostre case; il fervidissimo giovane Camo, il quale sapeva molto bene la lingua di Kafa recitava [p. 92] con grande edificazione publicamente la preghiera, ed io faceva il catechismo, facendo lui da interprete, al quale molti intervenivano. Nel mio catechismo, come se nulla fosse accaduto, io parlava di Kafa come di paese mio, parlava dei kafini chiamandoli figli, nel mio discorso professava gran rispetto per il Re e per il governo; per me, diceva, i cristiani ed i pagani sono tutti miei figli, perché Iddio mi ha mandato per salvarli tutti dalla schiavitù del demonio. Questo mio modo di parlare gli incantava e non sapevano darsi pace dopo una simile crisi; così quella gente venuta per custodirmi incomminciava[no] a simpatizzare, ed avvicinarci.
(1a) I Contadini di Gemma portando farina a Bonga la cangiano con [del] caffè e [del] coriandro. [Torna al testo ↑]