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23.
Ultima udienza e morte di Abba Baghibo.
Ritratto del sovrano e successione. Esilio.
[9.9.1861]
L’indomani, se non erro, 12. Settembre, abbiamo voluto fare uno sforzo, affrettando il passo quasi tutta la giornata siamo arrivati la sera alla nostra casa. Andò subito l’inviato di Abba Boca colle poche persone [colle poche persone] di compagnia che aveva direttamente alla casa del Re condotti dal porta parola, ma non furono ricevuti, ricevettero però l’allogio e la cena. Quindi Abba Baghibo
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mi mandò subito a dire che l’indomani di buon mattino mi avrebbe fatto chiamare, ed ordinò che mi fosse mandata la cena.
incontro con Abba Baghibo
[14.9.1961].
Difatti l’indomani mattina, appena levato, mi fece subito chiamare prima dell’udienza comune, ed arrivato là trovai che parlava già coll’inviato del Re di Gemma Kaka. Avendo fatto cenno all’uomo di Gemma di andarsene, allora io ho pregato il Re di trattenerlo, perché aveva qualche cosa da dire in presenza del medesimo. Raccontai tutta la storia del giovane Camo; il Re furioso, va bene, disse, lasciate a me questo affare, non mancherò di occuparmene.
Sortito che fù l’uomo in discorso ci siamo trattenuti da soli più di un’ora. Egli già sapeva tutti i nostri affari, ma mi fece molte interrogazioni sopra certe specialità che non ha potuto sapere. Ho trovato Abba Baghibo molto afflitto per l’affare della missione e mio. Egli aveva un’idea così grande della missione, che alla fine non dubitava dei nostri trionfi. belle sentenze di abba Baghibo. La causa vostra, disse, è la causa stessa di Dio, e Iddio sempre trionfa, [p. 114] ma la causa di Dio è sempre piena di misteri che noi non possiamo comprendere. Voi oggi avete grandi nemici, perché non vi hanno compreso. Lo stesso mio paese non vi ha compreso, come non vi ho compreso io stesso. Quando penso ai vostri affari, ed a tutta la storia vostra fino al giorno d’oggi suole arrivarmi come quando voglio guardare il sole, e che mi trovo obligato a chiudere gli occhj. Io ho la testa piena di meraviglie sentite; ma le meraviglie vostre quanto sono grandi a chi vi crede, altrettanto poi sono terribili a chi non crede. Voi non avete altro [d]a fare che aspettare, e Kafa vi chiamerà. Una sol /191/ cosa vi aggiungo: non credete che il Re di Kafa vi sia nemico; egli anzi vi ammira, ma egli figura di essere padrone e non lo è in realtà, e non può fare di più. Vi ho detto molte cose, ma ancora molto mi resta a dirvi, epperciò parleremo ancora.
mio criterio sopra di lui. Al sentire quel uomo mi pareva [di] sentire un Santo Padre; io era compreso di stupore, come quel uomo con tutte le idee nobili e grandi che aveva di noi, e della missione, potesse ancora essere musulmano sincero. Ma il povero [p. 115] Re non era più padrone di se, di quanto lo fosse il Re di Kafa. Egli, benché monarca assoluto, aveva una gran famiglia di mussulmani fanatici, i quali nella sua vecchiaja incomminciavano a dominarlo. Abba Baghibo non cangiò affatto, l’ho trovato ancora tal quale era, vero amico ed ammiratore delle cose nostre, ma i suoi peccati sono stati tali da non meritarsi la grazia della conversione, e della sua salute. Egli come principe aveva tutte le buone qualità desiderabili, giusto, misericordioso, pacifico, e, benigno; ma in materia di sensualità arrivò a dare dei scandali affatto nuovi in paese. Egli non poteva sentire il nome del vizio di pentapoli, nel quale caddero vergognosamente tutti i suoi figli e la sua corte; ma in materia di donne neanche le sue figlie erano risparmiate. Come i suoi lumi erano superiori, avanti [a] Dio più gravi han dovuto essere i suoi peccati. Io attribuisco a [a] ciò la sua impenitenza.
ultima mia visita al re. Fui chiamato da lui ancora una volta, ma arrivarono sul momento tanti forestieri, che ho dovuto aspettare in una casetta vicina molto tempo senza vederlo, e quando tutto il mondo [p. 116] si ritirò nil fece chiamare, ma l’ho trovato in piedi che sortiva dalla sala d’udienza: caro abuna, disse, desiderava molto di parlarvi, ma debbo ritirarmi, perché sono mezzo ammalato; egli [ritornò] alla casa particolare sua, e l’ho seguito un tratto, e poi lo lasciai per non vederlo più. malattia di abba Baghibo. Difatti andò a corricarsi per non levarsi più. Si tenne secreta la sua malattia alcuni giorni, sospesa però affatto l’udienza ad ogni categoria di persone. Cadde sotto la sorveglianza della sua famiglia fanatica mussulmana, epperciò fu per me impossibile il penetrarvi. Come non aveva ancora publicato, e neanche lasciato travedere chi sarebbe [stato] il suo successore nel regno, dopo la rivolta di Donoce suo primogenito, di cui abbiamo già parlato, incomminciarono le brighe in fami[g]lia per chi sarebbe [stato] l’erede suo. Egli un bel giorno chiamò i suoi figli alla presenza di tre gran impiegati; cavato l’oro dalla sua destra lo diede ad Abba Bulgu dicendo: ecco l’erede dopo la mia morte.
Abba Baghibo visse ancora circa cinque giorni, se non erro, senza che nessuno sapesse ciò che si è passato, e la stessa sua malatia grave;
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lo stesso silenzio assoluto, con una severa proibizione dell’ingresso alla [alla] corte faceva presentire qualche cosa di grave, epperciò tutto il paese si trovava in grande agitazione. Un Re caro al suo popolo, divenuto l’oracolo di tutto le corti vicine, dopo dieci giorni di un silenzio misterioso è cosa naturale che doveva produrre un gran senso. Io per me tremava al solo pensare a ciò che sarebbe accaduto in caso di morte.
morte di abba Baghibo
[24.9.1861].
Un bel giorno, se non erro il 21. [di] Settembre, la mattina si sentono tutti i tamburri indicami qualche cosa di grande. Quando si trovò una quantità di popolo radunato, sorte in treno di tutto la corte, annunzia la morte di Abba Baghibo, e la successione al trono di Abba Bulgu con ordine, che [nel] tempo [di] tre giorni per tutto il regno, [i sudditi sono invitati] a trovarsi in Saka per riconoscere il nuovo Re.
La morte di Abba Baghibo fù un grande avvenimento, non solo per la missione, ma per il regno di Ennerea, e possiamo dire per tutti quei principati Galla del Sud, la diplomazia dei quali era come concentrata in lui. biografia di abba Baghibo. Questo grand’uomo, probabilmente di razza portughese, come gia si disse, [p. 118] frà gli altri meriti, ne ha alcuni che interessano anche l’Europa nostra. Fu egli che aprì la strada al primo fra i nostri europei sino a Kafa, che è il Signor Antonio d’Abbadie. Fu egli parimenti che stabilì la missione cattolica in Ennerea, in Ghera, ed in Kafa; fu egli pure che superò le immense difficoltà che vi erano per recarmi in Kafa; tutte cose già dette a suo luogo. Egli favorì molto il commercio, e sotto di lui l’Ennerea diventò il più gran mercato del Sud trà Kafa e Gudrù. Il regno suo in tempo di suo Padre era solamente dalla montagna detta di Ennerea verso il Sud sino a Sappa; due terzi di questo regno più al Nord furono tutte conquiste sue. Ma più di tutto fu l’ascendente preso da lui, non solo sopra tutti i principi Galla dei contorni, ma anche sui popoli Galla liberi del Nord, fra i quali metteva soventi la pace, e teneva le strade aperte per i mercanti. Certamente che scomparso questo uomo tutti quei paesi dovevano scuotersi e soffrirne molto in seguito, come il fatto poi dimostrò.
Teodoro minacia i paesi Galla In prova di ciò voglio raccontare un fatto, del quale io ne ho tutta la certezza, perché io ne fui interessato. Dopo che l’Imperatore Teodoro ebbe conquistato i Wollo [p. 119] Galla ed il regno di Scioha, minaciava tutti quei Galla del Sud. Il Viceré di Scioha per nome Betsabeh, ricevette rinforzi da Teodoro, e con un’armata colossale sotto il nome del suo padrone nel 1858. arrivò sino al Guraguè e fece sentire a tutti quei Galla [l’ordine] di pagare il tributo. Questo affare mise lo spavento in tutti quei paesi, sia liberi che monarchici. progetto dei principi galla Tutti caddero ai piedi di Abba Baghibo, come persona che possedeva molte chiavi e cono- /193/ scenze, suggerendo nel tempo stesso di mandare me per trattare questa pace. Ricevo una lettera da Monsignore Cocino, nella quale questo buon Padre, quasi lodava il progetto, come cosa onorifica per la missione. Io rispondo sul momento in questo senso: è questo un progetto impossibile; io conosco l’Abissinia, qualunque messaggiere sarà una persona sacrificata se non porta con se un tributo proporzionato, il quale servirà per professare la servitù di tutti questi paesi; il solo rimedio è l’unione di tutti i paesi Galla incomminciando dal Gudrù sino a Kafa, i quali dovranno mettersi in movimento di guerra al primo comparire dell’armata abissinese da qualunque parte, come solidarii gli uni degli altri. Si lavori in questo senso.
abba Baghibo decide la questione Abba Baghibo uomo di calcolo, appena gli fu tradotta questa mia lettera, comprese subito la questione [p. 120] e mandò a tutti i principi Galla, ed ai capi di tutti i Galla liberi da lui conosciuti l’idea concepita in questi termini: Teodoro non acetta risposta senza tributo; il tributo è la nostra schiavitù; ecco la risposta [da indirizzare] all’imperatore Teodoro: tutti i Galla solidariamente uniti risponderanno all’imperatore coi loro cavalli e colle loro lancie in massa nel primo momento cbe farà una qualunque apparizione armata in qualche estremità [del territorio]. Predicate ovunque questa unione, e fatela sentire da tutte le parti in modo che arrivi alle orecchie di Teodoro, e di tutta l’Abissinia. Tali furono le risposte di Abba Bghibo, e bastò questo che Teodoro non ci pensò più. Nel momento in cui scrivo, morto quel grand’uomo i Galla mancarono di una bussola, e disuniti fra loro, le armi dell’Abissinia hanno già rovinato tutti quei paesi.
conclusione. Basta il fin quì detto per dipingere quel uomo, il quale presentava una figura tutta particolare, ed un carattere superio[re] a tutti i più distinti [principi] da me notati in tutto il tempo che io [p. 121] ho passato fra quei popoli. Il resto poi della storia, incomminciando dalle mie vicende di quei tempi, sino alle dolorose vicende della Società geografica odierna faranno vedere da quale altezza [sono] caduti quei popoli, in specie gli stessi figli dell’eroe da me lodato sopra.
come si fa la scielta dell’erede. Difatti il figlio scielto da Abba Baghibo per succedergli nel regno non fu il migliore. Il migliore sarebbe stato Donoce, già dichiarato erede publicamente circa dieci anni prima, ma poi esiliato per la rivolta, di cui già si è parlato. Dopo di lui sarebbe stato migliore Abba Dicò, persona di uno spirito più generoso, meno fanatico, e che meglio avrebbe tenuto le vie del suo Padre. Invece fu eletto Abba Bulgu, fanatico mussulmano, il quale si lasciava guidare dai Santoni della Meka, coi quali soleva passare tutta la sua giornata. Nella scielta dell’erede prevale per lo più la madre che l’importa sopra le altre mogli sul cuore del Re, come accadde al Re Davide rapporto al gran Salomone. [p. 122] nuovo sistema di abba Gomol Abba Bulgu, innaugurato [il trono], e riconosciuto Re di Ennerea prese il nome di Abba Gomol, nome con cui era [stato] chiamato il suo avo Padre di Abba Baghibo. La prima cosa che fece fù [di] prendere una parte molto attiva nella diffusione dell’islamismo. Spiegò il suo spirito nella promulgazione stessa del suo nome con queste parole: Abba Gomol Re di Ennerea, padre dei mussulmani e padrone di tutti gli altri. Come il paese era ancora tutto Galla, fuori della corte] e [e] di alcuni impiegati, non piaque questa maniera di esprimersi. Egli infatti non vedeva altri che i suoi mussulmani, e tutti gli altri furono per lo più respinti e tenuti lontani. Io stesso, stato tanto onorato dal suo padre mi sono veduto affatto allontanato.
timore mio, e dei cristiani Io me ne stava travagliato da pensieri sul futuro: dopo la catastrofe di Kafa, diceva frà me avrei creduto di riposare quì in Ennerea, ed occuparmi un tantino per ravivare il movimento di quella cristianità. Occupato in questi pensieri, ed ancor più occupato nel calmare i miei cristiani, i quali temevano ancor più di me, [p. 123] un fatto accaduto diede il fuoco alla mina che si stava preparando dal partito mussulmano.
morte della moglie del re Verso il fine di Novembre dell’anno stesso 1861. un Sabbato a sera morì una delle sue mogli [di Abba Gomol]. La sera vennero i cristiani più influenti a trovarmi e mi consigliarono di andare la mattina dell’indomani Domenica alla corte tutta vicina per i complimenti di uso prima della Messa, onde prevenire il gran mondo che sarebbe venuto dopo. Fatto questo, dicevano, assisteremo più tranquilli alla nostra Messa. Mi piaque il loro suggerimento, e la mattina seguente prima del levare del sole siamo arrivati alla porta della regia, e stavamo aspettando che si aprissero le porte, onde essere i primi a fare il nostro dovere, e poi sortirsene per la celebrazione della Messa.
nuova tribolazione[:]
accusa di magia contro di me.
abba Matteo battuto, e messo alla tortura.
Ma invece di poter ritornare per [per] celebrare [la Messa] della prima Domenica di Avento ho dovuto prepararmi per celebrare una seconda Messa di tribolazione, forze egualmente cara al nostro divino Maestro. Dopo aver aspettato molto tempo, e quando già stava radunato un popolo immenso corso per i complimenti al Re, fu chiamato
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invece il mio Sacerdote indigeno Abbate Matteo all’interno della regia, in presenza del Re, e di un Sinedrio di mussulmani per subire un’interrogatorio: il vostro padrone, disse il Re, è stato veduto questa mattina prima del giorno che stava facendo prestigi magici contro di me, e di questa mia regia; come voi eravate presente dovete saper tutto, epper-
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ciò dovete dirmi tutto sotto pena di essere messo alla tortura. Il povero Sacerdote avendo risposto che egli nulla aveva veduto, che [non] sapeva nulla di tutto questo, che anzi[o] io era una persona affatto incapace di fare cose simili, dovette rassegnarsi e sopportare un’orribile tortura, ma il povero Sacerdote non potendo assolutamente confessare una cosa falsa dovette doppiamente soffrite. Finalmente alcuni antichi e sinceri amici nostri implorarono misericordia, ed il povero Sacerdote fu lasciato libero, ma il Re decretò che io dovessi partire dal paese della giornata stessa.
intimata la sentenza di esilio
[30.9.1861].
Intanto io fuori della porta, abbandonato fra la calca nulla sapeva di tutto ciò che era accaduto nell’interno della regia. All’improvviso sortì il mio povero Sacerdote lasciato libero, ma [non] ebbe neanche il tempo di narrarmi l’accaduto, che arrivarono tre mussulmani inviati dal Re ad intimarmi l’esilio: che io cioè dovessi della stessa giornata sortite dalla casa della missione, come convinto di magie contro la persona
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stessa del Re; come publico malfattore sono stato preso in mezzo a tutta quella calca di gente, e portato a casa mia, dove già mi aspettavano gli esecutori dell’empio decreto.
numerati e decimati gli effetti di casa.
Furono sul punto sortiti di casa tutti gli effetti, ed uno per uno ripassati e decimati dagli esecutori del Re. Sono incredibile le violenze ricevute dal popolacio mussulmano della corte, a segno che qualche mio amico, mosso a compassione, recatosi dal Re lo consigliò ad ordinare qualche moderazione, per cui si ottenne qualche calma. Tuttavia furono accelerati gli ordini di partenza; tutti gli effetti furono caricati alla meglio sulle bestie di casa, e non bastando, dagli impiegati esecutori, ad un prezzo arbitrario ed esaggerato, furono cercate altre in modo che verso le tre dopo mezzo giorno ci siamo trovati all’ordine.
non poteva più reggermi, ma bisognò partire. Io non aveva ancora gustato una sola briciola di pane o una goccia di aqua; oppresso nel cuore dal dispiacere, e dagli affari, mi sentiva stanco a segno che non poteva più reggermi, eppure bisognò mettermi in viaggio, perché jussio regis urgebat; bisognò ancora sentire l’ordine dato ai manigoldi, che cioè [avevo] tempo due soli giorni per sortire dal Kella, o porta del regno [p. 126] e notassero bene che io non poteva entrare in nessuna casa, anche nel caso di grande pioggia. nostra sortita dalla casa Appena fummo sortiti noi di casa, sotto i nostri occhj medesimi entrò tutta la folla dei mussulmani [entrò] per il pigliagio; bisogna dire però che nessun Galla, e tanto meno [nessuno] dei nostri cristiani volle prendere parte a quella barbarie. Io ho domandato alla vecchia monaca, se aveva portato con se qualche cosa da mangiare poiché i nostri ragazzi dovevano avere fame, ed essa mi rispose che le due donne portavano una piccola pelle piena /196/ di ceci, ed una decina di ova per me; sia lodato Iddio, dissi, ciò basterà per non morire di fame.
pretenzioni senza fine. Appena sortito di Saka viddi subito la gran tempesta che ci sovrastava. Fra i Galla vi sono alcuni proverbi molto a proposito per spiegare la mia condizione di quel momento; quando il padrone è in collera con uno, dicono, persino il cane gli morde; quando l’asino è gettato a terra dalla jena, vengono poi gli avoltoj a finirlo. Così fù di me: tutta quella marmaglia mussulmana della corte, veduto quello che ancora ci restava dopo il pigliagio del Re, veduti i talleri sopratutto, ed alcuni oggetti per loro molto rari, avrebbero voluto tutto finire. Alcuni si presentavano semplicemente con domande, altri con delle [p. 127] promesse di parlare per me in quelle attuali mie strettezze, ed altri poi anche minaciandomi, o fingendosi spie o messaggieri secreti del principe. Tutto questo però non era ancora il male maggiore, e da questo con un poco di risoluzione poteva liberarmene alla meglio. timori per i miei giovani. Ciò che più mi molestava era l’immoralità di tutta quella turba di giovani mussulmani, immoralità petulante, e molto pericolosa, massime per i miei giovani, alcuni dei quali non erano ancora abbastanza fermi. Molti di quei giovani della corte si dicevano figli di Abba Baghibo e fratelli dello stesso Re, e con questo titolo si facevano avanti nelle loro pretenzioni di ogni genere anche immorale.
cerco un rimedio. Vedendo arrivata la notte, e temendo molto, sia pei rubarizii che potevano farmi, essendo stati i miei effetti tutti male inviluppati, e peggio legati in facia al publico. Sia ancora più particolarmente per il pericolo di alcuni miei giovani cristiani che si erano uniti a me per timore della persecuzioni, i quali potevano essere violentati al male. Per liberarmi da tutta questa sollecitudine ho cercato di entrare in trattative col capo risponsabile [p. 128] della carovana promettendogli un bel regalo quando sarei arrivato ai confini, colla sola condizione di caciarmi tutta quella marmaglia della corte dalla carovana, e fare in modo che nulla arrivi di contrario sino ai confini. A questa mia proposta il capo della carovana mi rispose che egli non poteva, perché tutti quei giovani della corte erano venuti colla permissione del Re medesimo, e che molti erano figli di Abba Baghibo, epperciò suoi fratelli, più o meno conosciuti come tali, come figli di schiave che hanno avuto relazione col suo padre. Ho detto[:] più o meno conosciuti, perché alcune schiave di corte sono riservate e custodite, ed allora i loro figli sono più riconosciuti, mentre alcune [altre] essendo lasciate più libere, i figli sono più incerti.
crebbero anzi le pene mie. Sentito che ebbi la risposta che mi diede, invece di tranquillizzarmi crebbe ancora di più la mia agitazione; ho dovuto invece pensare a /197/ supplire colla guardia dividendo il tempo col Sacerdote abba Matteo e con un catechista di quelli che potevano imporre un poco di più. Per rapporto al furto la guardia poteva bastare, avendo il mussulmano sempre ancora un poco di ritegno, se non può farla franca; ma in quanto a certi disordini immorali, io stesso in quello stato [p. 129] di publico avvilimento non avrei potuto imporre colla sola mia presenza a quella gente spudorata. Difatti per mettere in sicuro alcuni giovani più vistosi, e meno forti per resistere avendogli collocato vicino a me, per diffendergli ho dovuto servirmi di una verga e battere senza misericordia quelli che si avvicinavano. Un’altro pericolo ancora maggiore per alcuni miei giovani era quello di essere in qualche modo sedotti onde allontanarli da me per rubarli; l’allontanamento di pochi passi avrebbe bastato, perché essendo io guardato non poteva corrergli dietro. arrivo al kella più morto che vivo Partiti da Saka Domenica sera, mezzi morti di fame e di continue agitazioni e pene siamo arrivati Lunedì sera vicino al Kella o Porta dei regno. Io credeva di sortire, e così trovarmi più presto libero da tante vessazioni e pericoli, ma invece arriva un cavaliere del Re con ordine di farci ancora pernottare.
mi arrivano tre notizie secrete Tutta quella notte fu andare e venire di corrieri finti o veri con ordini misteriosi e contradittorii, i quali non servirono ad altro che a rendere più petulante tutta quella ciurmaglia. Nella notte venne un nostro Cristiano portatore [p. 130] di grandi notizie secrete. Prima di tutto sappia, disse, che arrivarono da Kafa i due Sacerdoti prigionieri Abba Joannes, ed Abba Jacob coi Lemmy di Kafa e di Ghera. Oltre di ciò due gran fatti sono succeduti ieri mentre si stava facendo il pigliagio della casa. Un Santone mussulmano entrato nella chiesa, montò sull’altare per farvi delle immondezze, come sia andato non si sa, perché si trovavano con lui solamente dei mussulmani, i quali tengono nascosto i detagli, ma il fatto è che, da quanto pare, cadde di dietro, e lo portarono via morto; questo fatto acadde nella notte. Ancora un’altro terribile: alcuni sparsero la notizia che essendo stata sorpresa la casa all’improvviso siano stati gettati denari e cose più preziose nella latrina; dietro questa notizia si recò colà un grande impiegato, incomminciò subito l’evacuazione della latrina; era questa un piccolo pozzo della profondità di circa un mettro e mezzò o al più due. L’impiegato assisteva all’operazione, mettendo fuori tutte le materie radunate da cinque o sei anni.
tutti biasimano il re. Oltre le tre notizie surriferite, quel cristiano mi aggiunse ancora molte altre notizie relativamente alla mia espulzione; d’appresso a quanto si dice, e mi assicurò anzi una persona stessa della corte molto mia amica, aggiungeva egli, il mondo più rispetta- [p. 131] bile del paese, quando /198/ sentirono la sua espulsione parlarono al Re con una gran franchezza, la madre stessa sua in collera e la madre stessa del Re si afflisse [del fatto] molto grave che offende l’onore del suo Padre stesso morto così di fresco, e che l’ha scielto a regnare fra tutti i suoi fratelli; questo mio amico mi assicurò, disse, che la madre disse chiaro al Re: non ci vedremo più se l’Abuna dei cristiani non ritorna. Tutte queste notizie, benché ancora semplici notizie secrete, pure calmarono un tantino le mie agitazioni per il restante della notte, ed ho potuto prendere verso [la] mattina un poco di sonno. si sospende la mia sortita. Mentre io dormiva, quando incomminciava [a] spiegarsi l’aurora venne un cavaliere a gran galoppo diretto all’comandante del Keila coll’ordine di sospendere la nostra sortita sino a nuovo avviso. La stessa persona di ritorno dal Kella passò da noi, e domandò se mancava qualcheduno dei nostri.
il giovane Andrea rubato Al sentire questo il Sacerdote Abba Matteo facendo l’appello di tutti i giovani trovò che mancava il giovane Andrea nostro alumno di casa; era questo uno schiavo stato comprato [p. 132] in Ghera, unitamente alla sua madre, quando io passava in quel paese nel viaggio di Kafa. Questo giovane aveva molto talento, e leggeva così bene il latino che lo chiamavamo per sopra nome il Grisostomo. Come poi non pareva chiamato al Sacerdozio pensavamo di farlo catechista. Abba Matteo al vedere che mancava si sgomentò, e venne da me piangendo, tranquilizzatevi, dissi, egli ritornerà certamente. Seppi poi la storia genuina raccontatami da lui stesso. Era egli di una figura molto avvenente, ardito, ma furbo nel tempo stesso. Parecchie volte era già stato tentato dai mussulmani i più riguardevoli della corte, ma egli si serviva dell’amicizia loro per penetrare i loro secreti, ma poi si burlava di loro. Come egli stette sempre in Ennerea e conosceva tutta la corte; nella notte ha voluto allontanarsi per avere notizie, e così diradare un tantino quelle tenebre che ci opprimevano, e fu rubato, ma quando passò il cavaliere sopra indicato gridò per la sua libertà; ecco tutta la storia di lui.
suo ritorno trionfante. Difatti, appena il cavaliere raggiunse il ladro, avendolo informato come la scena era cangiata a nostro riguardo lo lasciò subito libero, e poco dopo [Andrea] rientrò trionfante nel nostro campo a consolare tutti con un mare [p. 133] di notizie raccolte di quà e di là; notizie sopra notizie, consolazioni sopra consolazioni. da lui si seppe che si trovava in strada una carovana mandata dalla madre del Re, la quale ci portava un gran pranzo, e veniva con essa anche Abba Jacob. Da lui si sentì come tutto il paese prese molto a male il nostro esilio, e come tutti speravano il nostro ritorno. Al suo arrivo non fù più un mistero la catastrofe arrivata nella nostra Chiesa, e quella della latrina, dove invece dei tesori, quelli che lavorarono se ne ritornarono tutti /199/ ammalati. Portò di Kafa parechie notizie anche consolanti. I due sacerdoti dopo tre mesi di prigionia riuscì loro di fuggire, furono presi sulle frontiere e ricondotti legati al Re. Si fece consiglio, furono pregati di restare, ma avendo ricusato, furono mandati [a me] portatori della pace ristabilita. Di modo che, quanta fù la pena che provò tutta la casa al vederlo scomparso dal nostro campo, altrettanta fu la consolazione che recò nel suo ritorno; fù un vero balsamo per tutti.