/360/
42.
A Loja: Negùs-Sciumi e Aviètu.
Repubblica e monarchia. Monogamia.
arrivo a Loja Arrivati a Loja ci vennero all’incontro i due villagi di Negus, e di Avietu coi soliti lelta[;] viddi una popolazione tutta nuova e quasi che io non conosceva [p. 459] più alcuno, perché tutte le fisionomie erano cangiate. cangiamenti di fisionomia in otto anni Negus e Sabie erano divenuti vecchi, e così quasi tutta la turba del[le] mogli di Negus; una grossa matrona tutta inviluppata nella sua tela si avvicina a baciarmi la mano, chi è questa? dissi; come, non la conosce più? è [o] non è la mia sposa? disse Avietu, ah sei tu? Quando ti ho lasciata eri così sottile, che io temeva che il vento ti portasse via. Ora sei divenuta una mezza montagna di carne: oltre essere cresciuta ed ingrossata dai tre parti, ne portava uno già maturo in ventre. Il mio giovane di Nunnu la stava guardando con un’occhio di ammirazione, ed Avietu che leggeva nel suo cuore tutte le sue impressioni, mi guardava e rideva facendomi cenno al giovane. Erano appena otto anni, e non finiva di ammirare il cangiamento di tutta quella gente; io era ammirato degli altri, e non m’accorgeva che gli altri erano ancor più stupiti sopra di me, divenuto tutto vecchio e bianco.
Così vanno le cose del povero mondo di quaggiù che sempre gira e non resta fermo; ognuno parte colle sue antiche impressioni nel cuore, e non è che dopo un certo tempo ritrovandosi cogli amici [p. 460] che si conosce la grande trasformazione di un paese; non solo cangiano le fisionomie [dei singoli], ma cangia la popolazione; nella casa di Avietu la nonna Hada Gulti non esisteva più, e la nuova generazione chiamava nonna la madre di Avietu; le case stesse avevano preso un’altra figura. Una novità sola mi fece molto piacere: stato della cristianità di Loja. Avietu aveva fatto un piccolo cortile a parte chiuso da una porta, nel quale esisteva una cappella, una piccola sacristia, ed una casa per il prete, dove io mi sono ritirato. In Loja i cristiani lasciati da me erano pochi, la maggior parte quasi tutti appartenenti a queste due grandi case di Negus e di Avietu. I soli schia- /361/ vi appartenenti a queste due case ascendevano a centinaja. Una gran parte di questi erano già molto istruiti, ma fra gli adulti pochissimi furono batezzati in tempo della mia assenza. Furono battezzati quasi tutti i bimbi, massime nella dipendenza di Avietu, del quale potevamo fidarci, affinché non fossero venduti.
bisogno del ministero ap.[istolico] in Loja Io avrei voluto dare una piccola scossa a quella cristianità, e non ho mancato di raccomandare caldamente questo affare alla mia gente, ed ho diviso quella popolazione ai diversi miei catechisti per l’istruzione della medesima; [p. 461] lo stesso Avietu e sua moglie desideravano molto una tale operazione; ma Avietu sapeva molto bene che la mia persona era in quel momento impegnata negli affari della pace di tutto il Gudrù. un’imbarazzo contro di esso Loja, come paese, il quale godeva ancora di una certa autonomia, epperciò neutrale, dove tutti i partiti potevano trovarsi senza essere notati, era stato scielto appunto per il convegno di molte persone influenti. Epperciò era appunto là, dove io doveva tenere la mie grandi conferenze diplomatiche per il mantenimento della pace nel paese. Mi era quindi quasi impossibile prendere una parte attiva nel ministero della parola apostolica. Per questa ragione si decise di lasciare il ministero sacro agli indigeni.
prima aristocrazia di Loja. Già ho dato altrove un’idea delle Sette case di Gudrù. Fra queste Sette case, o caste del Gudrù, dopo Luku, la più numerosa era Loja, e capo di questa casta, era Negus-Sciumi, persona di poco valore tanto politico che militare; egli era il più ricco di tutto il Gudrù in terreni, ed in bestiami. Dopo Negus-Sciumi, veniva la casa di Avietu-Gulti, secondo figlio di Sciumi, il quale sarebbe stato un cadetto semplice, se nella casa di Sciumi non vi fossero stati due maggioraschi. Morto Sciumi, Negus prese il primo maggiorasco, [p. 462] e dovette lasciare il secondo maggiorasco a Gulti suo fratello non uterino, ma figlio di altra moglie di Sciumi.
il maggiorasco in titolo, e quello in commenda. I due maggioraschi posseduti da Sciumi uno [era] in titolo, dovuto per legge del paese al suo primogenito; il secondo era solo in commenda, per così esprimermi, e questo secondo la legge doveva passare al secondo genito, benché in dignità fosse un maggiorasco superiore, passato a Sciumi per mancanza di linea maschile prossimiore. Per conseguenza il maggiorasco di Avietu-Gulti godeva una precedenza sopra quello di Negus. L’oracolo però della casta restò sempre a Negus, perché Gulti suo fratello morì ancor minore, e dopo di lui Avietu incomminciava appena [a] sortire di minorità relativamente alle grandi amministrazioni del paese.
/362/ Negus e Avietu loro titolo Negus dunque aveva il possesso dell’oracolo, ma Avietu avrebbe avuto il diritto. La prima moglie di Negus chiamata Sabie, di cui si è parlato già, era della casa Warra Kumbi nemica di Gama, e stata da questi battuta, come già si disse. Per questa ragione Negus nella politica di Gama fu sempre un’individuo dubio. All’opposto Avietu avendo sposata la figlia di Gama era naturalmente del suo partito. carattere di Negus; quello di Avietu Negus passava di poco i 50. anni di età, e sarebbe stato nella sua vera epoca per la diplomazia, ma essendo una persona dalla sua giovinezza estremamente stato dedito all’effeminatezza ed alla vita sensuale era già divenuto vecchio e bambolo prima del tempo; lo schelletro dell’oracolo era [p. 463] nella mani di Negus, ma il midollo era goduto da Sabie sua gran moglie, e padrona assoluta di casa, la quale dominava Negus, ed appena lo lasciava parlare nelle conversazioni. Negus contava come sospetto in politica relativamente a Gama, in questo senso. Avietu poi era un giovane dai 22. ai 23. anni di età, a cui la natura aveva dato tutto quello che poteva dare ad un giovane di quell’età in paese galla, gli aveva dato la bellezza da incantare il mondo, ma sopra la natura il cristianesimo l’aveva arrichito di tante qualità morali da essere considerato un vero prodigio: umile con tutti, grazioso al non più dire, popolare ornato da gravità tale che mai si abbassava, di una giustizia poi tale da guadagnarsi la fiducia universale. Era egli un vero fiore di primavera, sia per la bellezza, sia ancora per la fragranza da promettere un grande avvenire. il giovane di Nunnu. In quella circostanza gli aveva aggiunto Iddio un socio che [non] si divideva mai da lui, ed era questi il mio giovane figlio della pace, anch’egli un’altro rampollo della prima aristocrazia di Nunnu. Era questi per Avietu un vero ornamento, ed ognuno prognosticava un gran che nel futuro da questo amichevole connubio di quei due giovani.
la vera opinione del popolo di Gudrù Tale era il campo nel quale io doveva lavorare per la pace del Gudrù. Tutti i vecchi di Loja che si occupavano della politica del paese venivano alla porta di Negus per abitudine; la mia presenza radunava [p. 464] ancora molta gente da tutto il Gudrù. Sabie regina dell’idromele larghegiava molto, credendo con ciò [di] servire alla causa dei nemici di Gama suoi parenti, ma il galla non ama [di] lasciarsi guidare da una donna, epperciò le belle qualità di Avietu ne raccoglievano il frutto in favore di Gama. Questo principe aveva molto cangiato e demeritato, come già ho notato, ma bisognava confessare che il Gudrù aveva molto guadagnato sotto il suo governo. Il governo così detto libero degli oromo galla era un governo di nome libero, ma la libertà non era per il basso popolo, ma bensì per i grandi dell’aristocrazia. Il paese era sempre in guerra di quà e di là, ed il basso popolo era vero schiavo or /363/ degli uni ed ora degli altri. Io discorrendo colle classi inferiori, queste tremavano al solo pensare al ritorno del governo primitivo, il quale poteva dirsi una vera schiavitù del popolo alle passioni di molti privati invece di uno.
difetti di Gama, bene da lui fatto Benché Gama fosse un uomo ancora pagano e pieno di passioni sue proprie dirò ancora di più: benché Gama avesse commesso degli eccessi, pure bisognava confessare che egli aveva fatto del gran bene a tutte le classi, ed anche [p. 465] allo stesso paese in generale, divenuto uno e forte. mali dlla repubblica dei galla Prima di Gama la guerra civile era quasi continua nel Gudrù e questa guerra faceva un vero esterminio nel popolo e nella campagne, quasi continuamente devastate. Non bastava la guerra civile frà i diversi Signori del paese, mai questi ben soventi, non potendo colle loro forze vincere il loro nemico, ricorrevano all’aiuto dei paesi dei contorni, e correvano [in soccorso] gli esteri molto più micidiali. La guerra puramente civile fra i diversi partiti dell’interno, era sempre ancora guerra di fratelli, di parenti, e di amici, epperciò molto più mite; laddove l’estero senza vincoli di parentela e di amicizia, era [impegnato in] una vera guerra di distruzione universale.
la monarchia di Gama Dal momento che Gama incomminciò a regnare in Gudrù, cessò affatto la guerra civile, e l’estero non vi pose più il piede, la proprietà, la coltivazione, il commercio fiorirono, ed il Gudrù era divenuto molto ricco. Ma vi era ancora ben di più: Gama era chiamato nei paesi dei contorni in ajuto or di quà or di là, e non vi ritornava senza riportare qualche cosa in contracambio. Oltre a tutto ciò il paese del Gudrù con questo mezzo [p. 466] andava guadagnando in tutti i contorni una certa dittatura. vantagi della monarchia in Gudrù I suoi commercianti quindi trovavano la strada aperta da tutte le parti, e le loro persone non solo, ma i loro interessi erano rispettati dovunque. Il Gudrù poi divenuto un paese più sicuro, da tutte le parti correvano a portarvi i loro prodotti. Ora tutti questi vantaggi, trovati già da otto o dieci anni, incomminciava[no] [ad] entrare nei calcoli, nelle abitudini, e nei bisogni del Gudrù; ognuno perciò incomminciava a fare i suoi conti, e tremava ad ogni movimento politico del paese per paura di ritornare agli antichi disordini; meglio, dicevano molti, sopportare i difetti di un uomo solo, che essere continuamente alla berlina or degli uni, ed ora degli altri per servire alle loro diverse passioni.
il male contro la monarchia era poco Dal momento che io sono rientrato nel Gudrù, ho veduto subito che la massa della popolazione era molto aliena da nuovi movimenti politici; speravano anzi in me che avrei contribuito molto ad estinguerli. Tutto /364/ il male consisteva in alcuni amici dell’aristocrazia Warra-Kumbi, ed in pochi altri di quelli che amano di pescare nel torbido, i quali [non] mancano mai in tutti i paesi, e sotto ogni forma di governo. Io perciò [p. 467] non ebbi molto a faticare per persuadere il popolo, piuttosto per preveni[re] alcuni capi dell’aristocrazia a non lasciarsi sedurre. Molti anzi [dell’]dell’aristocrazia, i quali poco potevano sperare da un cangiamento di governo, essi stavano uniti col popolo e con Gama. il pericolo nella mia partenza tenuta secreta Se io non avessi avuto il bisogno di partire per la costa, io solo avrei bastato per impedire ogni movimento, dirigendomi a pochi capi, i quali avevano bisogno di qualche avvertimento, affinché non si lasciassero inviluppare da alcuni agitatori, per tenere tutto in equilibrio il Gudrù sotto il governo di Gama. Anzi la mia sola presenza in Gudrù, oppure anche in Lagamara, avrebbe forze bastato. Ma sgraziatamente di quando in quando mi arrivavano lettere che mi chiamavano, non solo alla costa, ma anche in Europa. Io teneva nascosta questa mia risoluzione, non solo al Gudrù per la tranquillità di quel paese, ma a tutta la missione, nella quale il solo Monsignor Cocino lo sapeva; altrimenti uno scoragiamento universale sarebbe avvenuto incomminciando da Kafa e da Ghera, ove lo stesso P. Leone nulla sapeva.
storia edificanti... In Loja fratanto i miei indigeni avevano molto lavorato; lo stesso giovane mio figlio della pace di Nunnu, egli stesso aveva esercitato il suo apostolato di altro [p. 468] genere; egli non essendo ne chierico ne catechista, come semplice secolare, colla schietta confessione delle sue pazzie giovanili produsse una vera crisi nei costumi del Gudrù. le tre piaghe Noi oromo borrena, per lo più i più ricchi fra i galla, diceva egli un giorno ad un’altro ricco Borrena di Gudrù, noi abbiamo tre piaghe da guarire, se pure ancora vogliamo essere uomini; e ciò che vi dico sono tutte cose provate da me coll’esperienza, che mi fa ora piangere [a] lacrime di sangue, notatelo. La prima piaga sono le madri e le nonne. La seconda piaga è la poligamia, la quale nasce dalla prima. La terza piaga sono i mussulmani, nei luoghi dove si trovano, col loro sistema di non volere la porta maestra, ed estinguere la naturale tendenza dei due sessi. Egli al suo amico soleva narrare tutto l’accaduto a se stesso in prova di quanto diceva. Dopo gli raccontava la storia del galla seduto nell’aqua colle sanguisughe che lo succhiavano con tutto il lepido con cui e scritta. [E concludeva:] Iddio mi fece conoscere che io mi trovava in [uno] stato peggiore di quel galla, e che le mie sanguisughe erano tutti i miei compagni e compagne d’iniquità, così mi sono risolto a lasciare.
Ad un’altro nobile giovane, il quale pure me lo raccontò egli stesso, un’altra volta diceva: noi siamo tutti oracoli fra il popolo, come appar- /365/ tenenti alla vera razza detta Borena, cioè figli dei nostri primi Padri [p. 469] che hanno conquistato questi paesi; e con questo titolo possediamo grandi maggioraschi, e siamo rispettati da tutti questi galla Oromo. chi [è] il padre dei ricchi galla? Ma, diciamo la verità, siamo noi certi di essere davvero figli discendenti di quegli eroj che noi chiamiamo nostri Padri? i poveri sì, possono sperano, ma noi ricchi no no. I poveri da piccoli, appena trovano un poco di pane, e non sono guastati da ragazzi; divenuti più gandi, con pena trovano una moglie e se la tengono molto cara; prova di ciò sono tutti carichi di famiglia; per loro non vi è dubio [sull’autenticità] del padre. Noi ricchi guastati da piccoli dalle nostre stesse madri o nonne, affogati e distrutti dalla piena dei piaceri; viene il momento di prendere moglie, e lo faciamo senza cuore e senza affezione, di cui siamo resi incapaci; aggiungiamo altre mogli, ma sempre senza forze, e senza cuore. Ora queste povere donne che non trovano il loro conto coi loro mariti, ne dalla parte del cuore, ne dalla [parte della] persona, cosa faranno nella necessità di aver un figlio per il loro avvenire? lo cercano di notte colla lanterna, magica; epperciò la [la] maggior parte di noi siamo figli di schiavi.
il giovane racconta le proprie effemeridi Un’altro non avrebbe potuto dir tanto, ma egli figlio unico della prima famiglia di quei contorni, col sistema suo d’incomminciare [p. 470] sempre dalla storia di casa propria, egli poteva dire tutto, ed era ascoltato come un’oracolo da tutta la gioventù del suo rango, e le sue parole, come le effemeridi più curiose passavano da uno all’altro, è verissimo, si diceva da tutti, ecco che Gama, questo grand’uomo, si dice figlio di Moras, eppure si sa da tutti che Dunghi sua madre non potendo far affari con Moras suo Padre, se ne fuggì in Nunnu e trovò Gama là nel mio paese; così si dice di Negus, e di molti altri figli del racco e non del marito, avete capito? Ora sapete perché io sono quì? ve lo dirò in poche parole. Io [sono stato] rovinato da piccolo in casa; più tardi [sono] caduto nelle mani di un mussulmano che abusò della mia gioventù, e [sono stato] mangiato vivo dalle sanguisughe; ora conosciuto il mio stato, mi trovo con una sposa prodigio di fedeltà, la quale dopo un’anno di abbandono, essa è ancora tal quale è venuta da sua madre; non vuol saper altro fuori di me. Ora facio la novena a questo uomo di Dio per ottenere un’erede colla sua benedizione, come l’ha ottenuto Natan di Nunnu, e Tufa-Boba di Kuttai. Intanto risparmio quì il capitale perduto, ed imparo da Avietu il mestiere di sposo.
la monogamia nei paesi galla E bene notare quì che Avietu era probabilissimamente l’unico galla ricco monogamo di tutti quei paesi; è certo almeno che io non [ne] ho conosciuto altro. Una persona poi della condizione [p. 471] di Avietu, /366/ il quale non solamente si poteva chiamare ricco, ma principe frà i ricchi, era una cosa così straordinaria, che in tutti quei contorni aveva dato occasione a parlare di se. Un ricco che avesse due o tre volte più del necessario per vivere per se e per la sua famiglia, con una sola moglie, l’ho sentito molte volte [a] criticare come avaro, e [lo] sarebbe stato criticato tanto più Avietu, il quale apparteneva ad una condizione affatto unica in Gudrù, se Avietu fosse stato uno di quelli, i quali, oltre la sua moglie, avesse avuto ancora delle concubine fra le schiave di casa, oppure una qualche favorita nel vicinato. Ma la sua storia, incomminciando dalla sua giovinezza era così pura in questo genere, e così divulgata nei contorni da neanche lasciare il menomo dubbio a questo riguardo, dimodoche ognuno era persuaso che Avietu era monogamo per principio; epperciò sotto questo riguardo solamente io doveva riconoscerlo come un vero apostolo del Vangelo; quindi il giovane di Nunnu sopra riferito, quando disse: ed imparo da Avietu il mestiere di sposo, intendeva [di] dire: studio quì il sistema di monogamia evangelica, sia relativamente a Dio, sia relativamente a tutti gli altri offici tanto igienici che sociali: le sue parole precedenti[:] riparo il capitale perduto, bastava[no] per dichiararlo.
Avietu maestro di monogamia. Avendo io detto sopra[:] aver sentito più volte [a] criticare un monogamo ricco come un’avaro ho inteso di far conoscere con ciò l’abassamento dei costumi galla [p. 472] per rilevare il merito di Avieto, ma non per provare come totalmente estinto il senso, o meglio [il] sentimento radicale comune, a questo riguardo, a tutti i popoli barbari, ed agli stessi mussulmani, fra i quali, benche vi esista la poligamia, pure l’idea che ne hanno è come di un rilasciamento o permesso, non come una cosa primitiva; perché in ciò posso assicurare che tutti quei popoli conservano sempre un’idea superiore della monogamia, per la quale hanno un rispetto particolare. Così per forza si deve interpretare il rispetto, e direi quasi [la] venerazione, del nostro Avietu in tutti quei contorni; così pure si devono spiegare certi encomj che si sentivano anche dai Galla di certe persone storiche defunte. Di Abba Gallet morto in Lagamara, di cui ho già parlato più volte, il gran merito suo era la sua monogamia evangelica, non solo presso i cristiani, ma presso i mussulmani, e presso i Galla: ecco l’elogio che si diceva da tutti: abba Gallet non conobbe altro che sua moglie; ed è per questo che Iddio lo benedì, e lo fece Padre di una gran famiglia.
Avietu missi[on]ario in casa propria Io non posso dare un’idea compita della missione di Loja prima di riferire la mia partenza per Assandabo, senza dare un’idea del ministero esercitato da Avieto. Quando io sono partito per Lagamara [p. 473] /367/ Avietu era un giovane sposo, il quale contava appena 17. anni di età. in quell’epoca i cristiani di Loja erano pochissimi. Avietu non era ancora padrone di se, e nella casa sua medesima governava la vecchia Hada Gulti, persona abile per le cose d’amministrazione, ma di religione e di disciplina domestica nulla affatto, anzi d’inciampo. Avietu prevedendo che colla mia partenza la missione di Gudrù non avrebbe avuto più preti, che qualche indigeno di passagio, risolse di mettersi egli stesso all’opera, incomminciando dalla casa sua. Per l’amministrazione, disse alla madre, ed alla nonna io, e mia moglie siamo minori e vogliamo esserlo, fate dunque voi; ma poi per la disciplina della casa voglio assolutamente essere iò [a presiedere]. Benché egli non [ne] avesse ancora il diritto, pure, come era l’idolo e la speranza unica della casa, lo lasciarono fare.
moralità e religione in casa di Avietu. Bisogna confessare che la vera missione in quel paese incomminciò allora. I due sposi d’accordo incomminciarono ad alzare la voce e mettervi un poco di moralità alla casa loro. Dopo la moralità venne la religione, e mattina e sera nel piccolo oratorio incomminciò a farsi un poco di preghiera [p. 474] e catechismo. Non tardò la moralità e la preghiera a propagarsi in tutte le case dei schiavi del suo villagio, perché[:] regis ad exemplum totus componitur orbis. suo apostolato domestico La comparsa quindi del prete indigeno incomminciò ben presto a trovare qualche battesimo preparato. Così a misura che cresceva Avietu nella sua influenza, cresceva anche la moralità e la religione nel villagio suo; da questi quindi passò anche al villagio di Negus; dopo ai contorni. Avietu, e la sua sposa incomminciarono a farsi dei catechisti secreti, ed anche delle catechiste nelle case della loro dipendenza. Venendo quindi il prete indigeno di quando in quando non mancava di trovare di che fare seguendo il movimento. dopo la morte della vecchia nonna Quando poi morì la vecchia nonna, che ancor teneva fermo nel paganesimo, la casa di Avietu diventò presto una piccola casa patriarcale cristiana.
modello di famiglia patriarcale cristiana Al mio arrivo in Kobbo col giovane di Nunnu, questi poté già vedere un vero tipo di un galla che faceva da missionario in casa sua e nei contorni. Avietu che cercava di far capire questa gran massima al suo nuovo discepolo non lasciava d’istruirlo colle parole, ed iniziarlo coll’esempio; la sera dopo la cena, secondo il suo solito, quando era libero, sortiva con lui ed entrava [p. 475] in una delle case subalterne degli impiegati suoi, oppure dei suoi schiavi con famiglia facendosi seguire da un qualche vaso di birra, oppure [di] idromele, e si bevevano in compagnia di quella famiglia, mentre faceva là qualche interrogazione di catechismo, oppure qualche correzione ai genitori, ovvero ai ragazzi /368/ più grandicelli secondo le circostanze; domandava ancora dove dormivano i genitori, dove dormivano i figli, e dove le figlie, perché è questa una delle gran piaghe dei poveri per mancanza di case, ed allora prendeva le sue misure. Finita la conversazione sortivano e strada facendo diceva al nuovo discepolo: vedi, fratel mio, questa visita per questa casa è un’avvenimento, e domani tutto il villagio saprà cosa ho detto e cosa ho ordinato; così senza costo di spesa si guadagna fede, costumi, ordine, ed affezione; tu sei ancor più ricco di me, ed in questo modo in meno di un’anno avrai messo l’ordine a tutto il tuo villagio; la mia sposa poi per parte sua, quando vi sono ammalati, oppure sopratutto donne parturienti, e sorte, gli soccorre, e fa al uopo sortire di casa i ragazzi, ritirandogli essa, affinché non vedano tutti [gl]i spettacoli della miseria umana.
In questo modo il nostro Avietu faceva da missionario non solo ai suoi vicini, ma anche ai popoli lontani. Difatti il giovane di Nunnu scriveva a caratteri d’oro [p. 476] tutte le cose sentite e vedute per riprodurle in casa sua, appena ritornato a Nunnu. Ognuno perciò può imaginarsi lo stato della missione di Loja coll’ajuto di apostoli di simil fatta. amministrazione dei sacramenti in Loja Non fu difficile ai nostri catechisti [di] preparare una quantità di battezzandi, i quali ci occuparono quasi due giorni intieri. Finiti i battesimi, sarà necessario, mi disse Avietu, aver pazienza ancora un giorno per ascoltare le confessioni; molti sono piccoli, ma io bramo che incommincino da piccoli, perché allora sarà più facile che si confessino quando saranno grandi; non mancano poi anche di quelli cattivi, i quali non vorrebbero confessarsi, ma io conosco che ne hanno bisogno; alcuni di questi verranno anche un poco per forza, ma, se non altro, servirà a disingannarli, e prepararli per un’altra volta. Difatti il buon Padre di famiglia incomminciò egli con sua moglie, e dopo mi presentarono il loro primo genito, che contava già quasi otto anni di età. Poscia mi condusse egli stesso, quasi per forza, qualche ragazzacio, che fece inginocchiare ordinando di confessarsi.
promesse di ritorno In Loja, non solo per causa della missione apostolica, la quale faceva il suo corso con molta soddisfazione, ma anche per altri motivi, ho dovuto prolungare di qualche [p. 477] giorno la mia dimora; ma i corrieri si succedevano ogni giorno con Assandabo, ed arrivò finalmente il giorno in cui non si poté ritardare, perché in Assandabo ci aspettavano. Vennero di là molti a prenderci, e fù uopo partire. partono i giovani di Gombò Furono finalmente congedati i giovani di Gombò, i quali ritornarono al loro paese. Nel caso di dover ritardare il mio viaggio della costa di Massawah, io aveva intenzione sincera di ritornare a fare una seconda visita a tutte le missioni /369/ percorse nel mio viaggio, e con queste promesse riuscì meno dolorosa la separazione con quei giovani, molti dei quali se ne ritornavano battezzati, epperciò bisognosi di essere coltivati.