/15/

2.
Il «Corrègna». Sciàlaca Gèmber e gli Zellàn.
Da Nagalà a Devra-Tabòr, a Derìta.

si incommincia l’interrogatorio
parlo in segreto al scialaca e si lascia
Scialaca Gember si mise a fare l’interrogatorio incomminciando dai due giovani, allora io, sentite, gli dissi, fate sortire questa gente, ed io vi dirò tutto in segreto a voi solo. Così sortiti tutti io gli ho raccontato tutta, la storia mia, senza [p. 541] però dire che io era un vescovo, dissi solo che era un missionario europeo venuto dal Gudrù. ah molto bene, disse il Scialaca, voi siete Abba Messia; è più di un’anno che si parla di voi qui; voi siete stato legato in Gogiam da Degiace Tedla. Vedendo che sapeva tutto, lasciate dunque l’interrogatorio; io non rifiuto di andare dall’imperatore, e tutto dirò a lui, forze meglio anche per voi; dissi io al Scialaca. Io comprendo tutto, rispose egli, io farò tutto quello che posso per voi, ma dovendo far finta di nulla sapere, voi mi direte che vi apellate all’imperatore; con questo titolo, disse, io lascio tutto, ma non posso dispensarmi dal farvi custodire rigorosamente. Questo è giusto, dissi io, ma vi prego di farmi custodire da persone un poco più gravi, perché questa notte ho passato una notte d’inferno con questi vostri giovani. Allora egli mi diede per corregna (compagno di catene) un suo giovane di confidenza; mi diede una capanna a parte, e mi restituì tutti i miei effetti contati.

sono diventato uomo di nuovo Allora diventai di nuovo uomo vestito dei miei stracj. Il mio monachello fu legato a parte, e mi lasciò Stefano per servirmi. Seppi poi che il Scialaca mandò un secondo corriere all’Imperatore. Così eravamo tutti in aspettativa di risposta. Scialaca Gember fu abbastanza [p. 542] polito e cortese in tutto. Egli era un uomo di mondo in tutto il senso abissino, era anche grossolano, ma non mancava di buon cuore e di fede per quanto può essere capace un’eretico, o dirò meglio un vero selvagio, che [non] ha avuto nessuna istruzione, e che conosceva Cristo solo di nome, come sono per lo più tutti gli abissinesi. ordini dati da scialaca Gember per me Egli diede alla casa sua gli ordini i più generosi, affinché nulla mi mancasse. Anche il mio coregna aveva ordini severissimi di rispettarmi in tutto. La catena /16/ che mi univa al coregna era lunga circa un metro, ed eravamo legati la mia gamba sinistra colla sua gamba diritta; e l’anello era abbastanza largo che poteva girare nella gamba; epperciò egli era libero e poteva allontanarsi da me per tenere conversazione con qualche persona sua fida; solamente mi era difficile potermi isolare in modo da non sentire i loro discorsi.

conversazione col mio coregna La sera, prevedendo che questo giovane mio coregna avrebbe avuto qualche visita poco edificante, ho voluto occupano con qualche conversazione interessante, ed appena finite poche preghiere col mio Stefano che mi dormiva vicino, io mi sono voltato al coregna e gli ho domandato di che paese era? Io sono un giovane di Scialaca Gember, e siamo tutti Agau. Dunque, dissi io, il vostro paese è qui vicino dall’altra parte del Takazzè? Noi siamo, rispose, Agau-meder [p. 543] [situati] al di là del lago Tsana. Il nostro paese è un gran paese, qualche volta è sotto il Damot-Gogiam, e qualche volta è stato dominato dal Ras. i tre paesi degli Agau, o Agaw. Il vero paese Agau è questo qui di Sokota; il nostro paese è la stessa razza, ma si chiama Agau-meder. In tempo dei galla, un valoroso dei nostri andò a stabilirsi in quel paese abbandonato per custodire quelle frontiere minaciate dai galla; egli, oltre i suoi soldati, fù seguito da molti altri, i quali vi si stabilirono, e così naque Agau-meder, cioè terra degli Agau. Si trova ancora, egli continuò, un’altra razza degli Agau, stabilitasi in simile modo da un’altro gran guerriero del paese degli Agau, chiamato Bogos sulla frontiera del Tigrè, e questo è il paese così chiamato dei Bogos. Di tutti questi tre paesi la lingua nella sostanza è sempre la stessa, benché un poco variata dopo molti secoli. Anticamente il paese Agau fù sempre il bracio destro degli imperatori di Gondar.

storia di scialaca Gember Io ho ringraziato il mio coregna della bella storia che io non conosceva ancora; ora, dissi io, parlatemi un poco di Scialaca Gember. Il mio padrone Scialaca Gember era un giovane guerriero, [riprese il giovane,] il quale godeva tutta la confidenza di Degiace Gosciò, ed era tutto amico di un certo Ras Micael persona del vostro paese (M.r Arnau d’Abbadie), [15.6.1853] il quale ritornò al paese suo; quando il nostro imperatore Teodoro, [p. 544] allora chiamato Degiace Kassà, faceva la guerra con Ras Aly, [e] [† 27.11.1852] Degiace Gosciò suo padrone, [fu] ucciso in guerra da Kassà, il mio padrone passò al servizio del nuovo conquistatore, il quale lo amò molto per la campagna che egli fece contro i Zellan. scialaca Gember batte i Zellan
[mar. 1853]
Egli un giorno presentò all’imperatore molte milliaja di bestiami; egli con belle maniere arrivò a scoprire i tesori nascosti dei Zellan, ed invece di tenerseli, come avrebbero fatto altri, egli un giorno gli presentò un Gan (una /17/ giarra) pieno di talleri. Per questa ragione l’ha fatto Scialaca (capo militare corrispondente al nostro grado di colonello, [)] e fu sempre impiegato nell’alta amministrazione dei pascoli, imperiali. Oggi egli spera da un giorno all’altro di diventare Ras.

Come io cercava sempre notizie dei Zellan da me evangelizzati nel 1852. ed in specie del mio caro Melak, ho domandato al mio coregna della tribu suddetta; ma egli, come mi disse, non si trovò in quella spedizione, perché ancor giovane non poteva soddisfare alla mia domanda; mi assicurò però che tutti i maschi di quelle tribu furono tutti massacrati, e che restavano solamente alcune schiave disperse.

la schiava di scialaca Gember A questo riguardo le dirò una cosa il mio padrone portò da quella spedizione una schiava; se essa fosse qui [quante cose] potrebbe dirle molte cose, ma essa è lontana di qui, si trova in Agau-meder, ed è là come la madre di famiglia. Essa dice che è cristiana, [p. 545] ma intanto essa [non] va mai alle nostre chiese, e non ama i nostri preti; dunque chi l’ha battezzata? Essa ci racconta sempre in famiglia che nella sua tribù era venuto, un bianco, il quale restò un mese, e passava la notte ed il giorno ad insegnare; tutta quella tribù correva a sentire l’uomo di Dio, e lo amavano molto. Un bel giorno all’improvviso se ne partì per Iffaghe; ma prima di partire lasciò tutte le autorità al figlio del padrone per nome Melak. Appena partito l’uomo di Dio, il nostro Melak ci disse le parole sue: io parto, disse, manderò al più presto un prete; fino a tanto che il Prete non sarà venuto, tu farai tutto quello che mi hai veduto [a] fare. F[a]rai cioè le preghiere e catechismo che hai imparato, e se qualcheduno sarà in pericolo di morte tu potrai battezzarlo come ti ho mostrato.

i missionari di Genga nemici di Maria Quando questa schiava raccontava tutte queste cose mirabili, noi credevamo che l’uomo bianco andato ad istruire i Zellan fosse uno di quelli che poi si stabilirono a Genga, ma essa diceva che era un’altro; quelli di Genga noi gli conoscevamo, essi erano maritati, e venivano qualche volta a comprare il butirro; essi non volevano sentire parlare della Madonna, di S. Giorgio, del Tabot, e del Kurban; per questa ragione Melak gli ha caciati [p. 546] via e non poteva vedergli; l’uomo di Dio venuto da noi fù uno mandato da Ato Maquonen il capo delle dogane di Ifaghe, quello era un’altro. Quello partì da Ifagh col figlio di Maquonen per il Gogiam e scrisse una volta da Basso; noi sappiamo che quello era andato ai Galla; esso predicava la madonna, esso era amico di S. Giorgio, e predicava molto del Kurban; esso digiunava, mentre quei di Genga mangiavano carne nel giorno di Venerdì.

/18/ moralità, e preghiere di quella schiava. Quella schiava quando venne alla casa di Scialaca Gember era ancora giovane, ed era molto bella; i nostri giovani, ed io stesso l’ho cercata molte volte, ma essa non voleva sapere di noi, e quando qualcheduno cercava per forza [di accostarla] essa si metteva a gridare, e non voleva; essa pregava sempre. La madre di Scialaca Gember gli domandava il perché? Signora mia, essa diceva, l’uomo di Dio diceva sempre che Iddio non permetteva che una sola moglie benedetta dal Prete; fuori della moglie, siano pensieri, siano parole, siano atti, con donne, con uomini, e cogli stessi animali, sono tutti gran peccati. L’uomo di Dio gridava molto contro queste cose. Melak ed il suo fratello avevano ciascheduno una schiava e la lasciarono; l’uomo di Dio, e dopo [di] lui il nostro Melak [p. 547] gridavano molto contro questi peccati, epperciò io non ne voglio sapere di queste cose.

mie conferenze al coregna Il mio coregna mentre mi raccontava queste cose, io prendeva motivo da questo, per catechizzare quel giovane; caro mio, io gli diceva, quella schiava aveva ragione di rifiutare tutte queste cose. Voi dite che i Zellan erano pagani [erano pagani], ma io vi assicuro che erano più cristiani di voi. Così ho incomminciato a fargli delle belle e buone conferenze; da principio se ne rideva, ma poi poco per volta entrò nella massima, ed io quando faceva un poco di conferenza al mio giovane Stefano, egli la sentiva volontieri. Qualche volta che venivano le donne a trovarlo incomminciò a mandarle via. Dopo prendeva parte anche alle preghiere nostre. Io non faceva che raccontargli come si facevano i matrimonii nei paesi cristiani; come i giovani figli erano conservati, come erano conservate le figlie. In questo modo sono arrivato a fargli capire qualche cosa. Caro mio, gli diceva, l’uomo che si guasta così da giovane non è più capace di affezionarsi ad una moglie, e [non] sarà mai un buon capo di famiglia, e [non] potrà mai avere figli, perché Iddio non lo benedice; se non altro, io diceva fra me stesso, io arriverò [p. 548] con queste mie esortazioni ad ispirargli qualche sentimento di rispetto e maggiore riservatezza per questi pochi giorni nei quali sono obligato a dormire nello stesso letto, ed averlo compagno in tutti i miei atti indispensabili; ed anche per diminuire gli scandali al mio povero Stefano.

la conquista del coregna Ma Iddio misericordioso mi ha accordato molto di più, perché il mio coregna, il quale nel primo giorno diceva in presenza mia[:] cosa vuoi, mi trovo qui condannato ad essere coregna di un monaco insipido, quanto volontieri lo cangierei con te, mia cara... Nell’ultimo giorno ebbi la consolazione di sentire queste parole dette senza rossore alla donna stessa: oh quanto mi rincresce [di] lasciarlo, vorrei essergli corregna anche dopo la sua morte; ti aveva detto che è un monaco insipido prima di gustarlo, /19/ ma gustato condizionò talmente il mio cuore, che al vederti mi sembri un vero sepolcro... Oh come sei divenuto matto? disse la donna; senti, egli rispose, meglio esser matto in paradiso che galante all’inferno.

Dal fin qui detto il lettore potrà persuadersi che le mie conferenze al compagno di catene non sono state senza frutto. Ma pure, trattandosi di una razza corrotta, come l’abissina, sempre si potrebbe dubitare ancora che tutto questo non sia stato detto per puro complimento, e che non venisse sinceramente dal cuore, epperciò [p. 549] [devo] completare la sua storia. Appena questo giovane fu sciolto dalle catene, e mi fù mutato il coregna, perché, risposta di Teodoro essendo venuta la risposta di Teodoro concepita in questi termini = mandatemi tutti i prigionieri che avete, si avvicinava il giorno della partenza, il mio coregna vuole seguirmi il primo passo che fece il bravo giovane fu di andare dal suo padrone e pregarlo [e pregarlo] nel modo [il] più obligante, di lasciarlo venire con me, Signor mio, disse al suo padrone, io non voglio parlar male del mio compagno, parlo di me: sappiate che io stesso, con le raccomandazioni che mi avete fatto, pure da principio gli ho fatto passare due giorni l’inferno: noi non conosciamo quel uomo, ciò che a noi sembra una carezza, per lui è una spina che lo fa piangere. Dopo l’ho conosciuto, ed ho sentito dalla sua bocca certe cose, che mi fecero prendere gran gusto a sentirlo; vi prego di lasciarmi nel mio posto, per l’amore di Maria e di S. Michele... Caro mio, rispose il Padrone, tu conosci l’imperatore, e tu sai che è un brutto giuoco comparire avanti di lui..; e se gli taglia la testa? quanto sarei felice [di] versare anche il mio sangue per lui, [rispose il giovane,] ed essergli coregna sino al cielo...!

ottiene la grazia di seguirmi Il padrone, sentito questo, quando è così, disse, vattene, e Iddio ti guardi. io non temo, rispose il giovane, anzi spero [di] fargli dei servizii: io sono conosciuto dai giovani della corte, e potrò essergli utile, e procaciarvi delle riconoscenze. Ciò detto, lasciato libero dal suo padrone, volò di me, fece slegare il suo compagno, e baciate le catene se le mise da se stesso. Questa storia [p. 550] fece parlare tutto il campo di Scialaca Gember; la maggior parte erano edificati; le donne, ed alcuni compagni i più guasti lo trattavano da matto; non mancavano poi dei maligni, i quali interpretavano sinistramente questo attaccamento del coregna, come una cosa carnale e dicevano: questi turchi [sono] amici dei giovani, già lo sappiamo... bisognerebbe vederli di notte; non conosciamo il nostro Abba Salama? belle disposizioni del mio coregna Intanto il mio corregna era fuori di se di contentezza, e rivolto a me disse; non tema io ho un mulo ed uno schiavetto che lo conduce, quando Ella sarà stanco potrà montare; la catena che ci unisce in viaggio sarà più lunga, e pure il Scialaca non ci /20/ dispensa; potrebbe anche essere che Scialaca Gember le impresti un mulo per il viaggio. Arrivati che saremo al campo io ho molti conoscenti, e spero di poter fare qualche cosa.

mi trovo senza kalendario e mezzi per scrivere Io aveva con me un piccolo calendario manoscritto con fogli in bianco, dove notava in ciascun giorno le cose notabili con un vecchio breviario a foglietti con dentro alcune lettere di Monsignore Cocino e del P. Leone da portare in Europa. Quando sono stato arrestato tutto questo coi pochi manoscritti [tutto] fu mandato a Teodoro. Epperciò io mi trovava sprovvisto di tutto, e neanche poteva sapere il giorno del mese, [p. 551] se non calcolando coi mezzo del calendario indigeno, che era il calendario Giuliano con qualche variazione. partenza da Nagalà 13. Giugno 1863. Per causa delle pioggie dirotte abbiamo ritardato due giorni la partenza, e credo di essere partito da Nagalà il 13. Giugno. Scialaca Gember diede due asini per caricare le proviste di viaggio per me e per la mia casa.

organizzazione della carovana Eravamo 32. prigionieri, quasi tutti mercanti. Io solo era prigioniero distinto secondo le istruzioni del governo, venute dal campo; per me era destinato un mulo, il quale era di un’altro prigioniero, epperciò io [non] l’ho mai montato. Il conduttore della carovana risponsabile era una specie di uffiziale, [e tutti erano alle sue dipendenze] eccettuata la mia persona, di cui risponsabile era il mio Corregna. Questo Conduttore era nativo di Adoa per nome Alaka Kidana Mariam, il quale aveva conosciuto Monsignore Dejacobis, benché non fosse un suo amico, anzi piutosto nemico, epperciò non doveva essere favorevole a me, quando io fossi stato conosciuto per chi era.

Partito dunque dal campo di Scialaca Gember il 13. Giugno abissino, mi ricordo di questo, perché so di essere partito l’indomani della festa mensile di S. Michele, la quale è il 12. d’ogni mese. Non riferisco tutti i villagi dove abbiamo passato la notte; la ragione principale è perché non mi ricordo del nome dei medesimi; sia ancora perché, non essendo stato nel caso di fare delle osservazioni scientifiche interessanti, sia perché privo di tutti i mezzi [p. 552] sia perché era prigioniere, sarebbe una ripetizione più noiosa che altro. Dirò perciò solamente la formola di ricevimento, e di congedo in tutte le stazioni, ed alcune circostanze più notabili, meritevoli di qualche osservazione. Facio osservare che la nostra carovana essendo una carovana del governo con 30. prigionieri in catene il nostro viaggio appena poteva contare [di percorrere] 3. leghe al giorno. passaggio del vescovo Salama. Appena arrivati alla prima stazione abbiamo avuto la notizia, che la notte precedente il Vescovo eretico Abba Salama aveva pernottato là con tutto il suo seguito. Da quasi due anni era prigioniere /21/ in Magdala, e da più mesi domandava di trovarsi coll’imperatore; finalmente gli era stato concesso di sortire dalla fortezza custodito molto più gelosamente di me. Egli era furioso, perché l’Imperatore permettendogli di venire, invece di chiamarlo al campo lo fece condurre a Devra Tabor in aspettativa. Appena arrivati alla stazione fu cercata una casa per me e per il mio seguito; il restante dei prigionieri fu consegnato al capo del paese, il quale diventava risponsabile di loro, ed era obligato a dar loro l’opportuno nutrimento.

nostro arrivo vicino a devra Tabor La terza sera del nostro viaggio abbiamo pernottato in un villagio lontano circa dieci kilometri da Devra Tabor dalla parte nord. Devra Tabor in quel tempo era la città degli europei. Si trovavano colà [p. 553] molti artisti venuti d’Europa, frà i quali alcuni missionarii protestan[ti] tedeschi, obligati dall’imperatore Teodoro a lavorare. devra Tabor città degli europei Alcuni di questi stavano fabbricando canoni, ed alcuni altri della porvere [da sparo]. Da quanto mi dicevano gli indigeni, questi lavoratori erano molto amati e ben pagati da quell’imperatore. Si trovava[no] pure colà due viaggiatori Francesi M.r Le J[e]an, e M.r La Garde Medico di un Regimenti stati mandati dal [loro] governo in Abissinia. Avrei bramato di scrivere una lettera a questi due ultimi per domandare ai medesimi un poco di denaro per il viaggio in imprestito; ma mi mancava il necessario per scrivere, e poi mi assicurarono che nessuno si sarebbe incaricato di portarla, essendo questione [di corrispondenza] di prigionieri con prigionieri. Sentendo così ho abbandonato il progetto per non aggiungere ferro alla campana già rotta. nozze di un missionario protestante In quel tempo in Devra Tabor si celebravano le solenni nozze di un missionario protestante, ed operajo, certo Signor Teofilo, il quale aveva portata la sua sposa dal Tigrè, figlia del naturalista Scimper di Baden, decano degli europei colà [residenti].

i cordiali servizi del mio coregna In tutto questo viaggio non ho ancora parlato del mio corregna, il quale per altro era la persona più cara di quella carovana. Egli vedendo che io [p. 554] non aveva acettato il mulo destinato per me, e che io camminava a piedi, egli mi destinò il suo, che pure non, ho voluto acettare, così andammo tutti [e] due a piedi. Egli camminava dietro di me col mio Stefano, ed imparava da lui le preghiere, e portava con una mano l’arco della catena affinché non strisciasse per terra. Una cosa mi stupiva[:] era la sua sollecitudine per me; non contento di portare egli la catena nei passi più cattivi mi dava la mano affinché non cadessi. Nella pioggia egli camminava scoperto e dava a me il suo mantello di drappo per ripararmi. Egli pensava a me, pensava al mio monachello Rafaele, anche egli incatenato, e pensava a tutto. Appena arrivato alla stazione, faceva cercare la casa dai soldati, faceva tagliare l’erba per i muli, ed /22/ anche per il nostro letto. Per un certo riguardo avrei voluto mandare anche Stefano al lavoro, ma egli non volle, perché, disse, egli anderebbe col mio schiavo stato guastato da me e si guasterebbe. Nelle notte poi corricava Stefano dalla parte sua per imparare qualche cosa, ed il suo schiavetto dalla parte mia, affinché sentisse le mie parole.

In tutto il viaggio si trovavano degli animali morti e corrotti, i quali mandavano una puzza rivoltante, egli aveva una boccetta piena [p. 555] di aqua d’odore e subito me la porgeva. In certi villagi poi erano ancor più frequenti questi animali morti, e faceva subito fare del fuoco per purgare l’aria. In un villagio vicino alla fontana dell’aqua dove prendevano l’aqua per bere l’aqua era un poco guasta. un’industria per avere acqua potabile Per trovare dell’aqua buona egli fece piantare quattro pali e poi stendeva una larga tela di mossolina tutta propria e raccoglieva l’aqua della pioggia dentro un vaso per dell’aqua pura. Fu questa la prima volta che ho veduto una simile industria. Una simile industria l’aveva veduta sopra una barca araba nei miei viaggi da Massawa in Aden; allora si raccoglieva non la pioggia ma la rogiada da alcuni arabi. Colla pioggia con due mettri quadrati di tela si può trovare molta aqua, mentre colla rogiada se ne ottiene pochissima, e questo solamente la sera o nella notte, oppure di mattina.

la città di Derita La nostra decima stazione fu nella città di Derita, città tutta mussulmana fanatica, città la quale oggi conta quasi tre secoli dalla sua fondazione, la quale si dice fondata dallo stesso conquistatore Gràgne, o almeno dopo la sua sconfitta, trovandosi il sepolcro suo da essa non molto lontano. breve descrizione di Derita La città di Derita è situata [p. 556] nel versante della montagna verso il lago di Tsana che ha in fronte all’ovest, lontano al più tre leghe dal medesimo. Questa città anticamente contava appena tre mille abitanti mussulmani, ma dopo la distruzione di Gondar, e di Iffagh tutti i mussulmani si sono concentrati a Derita, epperciò all’epoca in cui io l’ho veduta contava forze cinque mille abitanti. Teodoro l’ha sempre rispettata, ma gli pagava dei tributi favolosi in proporzione [alle entrate] del paese. Al sud di Derita avvi un piccolo borgo Cristiano con una chiesa, dove noi siamo stati ricevuti; la cena però venne dalla città mussulmana. Derita era l’ultima nostra stazione per arrivare al campo di Teodoro poche leghe lontano, non essendovi che la montagna da salire. Il campo di Teodoro si trovava sull’alto piano di Derek-Wanz (secco fiume) al Sud di Caroda, antico paese del vino, di cui ho già parlato.